Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: Lauren_Mkenneth    03/10/2013    3 recensioni
Il sipario di alza su di una bellissima città piena di arte, musica e teatro: LONDRA. Una ragazza che recita come fosse l'unica cosa che le importa nella vita.. un piccolo teatro, lo strano copione che è la vita.. e un attore che decide di sconvolgere tutto e spegnere le luci del palcoscenico!
TOM HIDDLESTON vuole portare a teatro una nuova commedia..
Il sipario si alza, gli attori sono pronti; si va in scena!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Era uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s'incontrano quattro o cinque volte nella vita. Fronteggiava, o sembrava fronteggiare, l'intero mondo esteriore per un istante, e poi si concentrava su di te con un irresistibile pregiudizio a tuo favore. Ti capiva fin dove volevi esser capito, credeva in te fin dove ti sarebbe piaciuto credere in te, e ti assicurava di aver ricevuto esattamente l'impressione migliore che speravi di dare.”
 
 
Un mese.
Era da un mese che non vedevo Tom Hiddleston.
Era passato esattamente un mese da quando mi aveva invitata ad andare con lui alla prima di “Much Ado About Nothing”, il film di Joss Whedon.
Quella mattina, appena avevo aperto gli occhi, appena la luce aveva raggiunto il mio viso, passando attraverso le tende e svegliandomi d’improvviso… avevo realizzato che non vedevo il suo volto da un mese.
Mi ero messa a sedere sul letto, scoprendo leggermente le ginocchia per riscaldarle con i raggi rassicuranti del tiepido sole che si faceva forza e, senza chiedere permesso, entrava nella mia camera e inondava tutto con la sua luce.
Distesi le gambe e mi stiracchiai, come una bambina, sorridendo a quella tranquilla mattinata primaverile, che si apriva su Londra come un sipario di diverso colore e spessore; lavato e pulito, che profuma di fresco e fiori, migliorato dai ricordi e dalla tristezza invernale.
Scostai la tenda in tempo per vedere un uomo, dal palazzo di fronte al mio, che salutava la moglie prima di andare a lavoro, con un cenno del capo e il lento movimento della mano.
Piegava la giacca, sistemava la valigia sul sedile del passeggero e si metteva alla guida della sua monovolume.
Senza nemmeno capire il modo, in cui riuscivo a connettere i pensieri dal mio tempo, a quei momenti già vissuti, ero ritornata con la mente a quella sera.
Quell’assurda serata, di cui le immagini mi ritornavano agli occhi come orrendi incubi ricorrenti.
Non avrei mai dovuto accettare, quel maledetto invito…
Il ricordo del suo sguardo vuoto e confuso, la rassegnazione con cui sorrideva imperterrito ai colleghi e mi ignorava completamente per tutta la serata, era già abbastanza.
Almeno di una cosa ero certa: dopo quella sera ero diventata una grandissima donna o forse una grandissima attrice, o una bugiarda… imitatrice, sciocca, stupida, ingenua.
Ogni volta che ci pensavo l’aggettivo che mi attribuivo cambiava, ora in meglio, ora in peggio.
Avevo creduto davvero di poter uscire con una personalità come “Tom Hiddleston” senza rimanere ferita?
Ingenua.
 
***
 
Non vedevo una pioggia così fitta da parecchio tempo.
Almeno non in primavera! Solo da bambina ricordavo un giorno di maltempo in cui ero rimasta tutto il tempo alla finestra, incantata, ad osservare le gocce di pioggia cadere sul verde prato della villa di fronte. Avevo aperto la porta, camminando in punta di piedi, per non farmi sentire da mamma e papà e mi ero seduta sulle grandi scale del portico, inspirando a pieni polmoni quel profumo, che solo dopo un acquazzone si può percepire: l’odore della natura, della libertà.
 
Quel giorno il cielo era divenuto un turbinio di nubi scure e in poco tempo l’acqua era scesa giù dal cielo senza lasciar tregua a chi stava camminando lungo Oxford Street.
Io mi ero nascosta in un bar poco frequentato per bere del tè e rimanere più lontano possibile dalla gente che popolava la città.
Continuavo a fissare la macchina scura, perfettamente tonda, che il contorno della tazza aveva lasciato sul giornale, abbandonato sulla superficie lucida del tavolino, dal cliente che l’aveva consultato prima di me.
Non riuscivo a finire di leggere il titolo stampato a grandi caratteri sulla pagina, eppure era facile, era lì davanti ai miei occhi, tenevo stretto quel giornale da ore.
 
“Fotografata misteriosa ragazza in compagnia dell’attore del momento: il cattivo di “The Avengers, Tom Hiddleston”.
 
Fissavo i caratteri senza capirne davvero il significato, perdendomi nelle linee cariche d’inchiostro che riempivano le pagine bianche del quotidiano.
I giornalisti di Gossip… sempre a caccia di notizie, si dovrebbero informare prima di scrivere cose del genere.
Era passato più di un mese, ma ancora si potevano leggere titoli del genere, sia sui giornali, che su quelle stupide riviste di gossip.
La gente non era mai stanca di sapere i fatti degli altri?
Sei una stupida! pensai gettando il giornale sull’altro tavolo, senza nemmeno guardare se qualcuno vi fosse seduto.
 
«Posso prenderlo? Lo stava leggendo?» era una voce familiare, ma non ci feci caso, ero troppo impegnata ad riappropriarmi della rivista più velocemente che potevo.
«NO! Cioè… si, prego!» dissi non appena ebbi strappato, davanti agli occhi di tutti i presenti del bar, la pagina che parlava di me.
«Lauren, ma che fai!?» alzai il volto, spaventata.
Non volevo essere additata e divenire improvvisamente “importante”, solo perché mi ero fatta vedere in pubblico con un attore abbastanza famoso.
«Jason…» gli feci cenno di stare zitto, portandomi subito un dito alle labbra e guardandolo con sguardo severo.
«…siediti e abbassa la voce».
«Agli ordini!».
Spostò la sedia senza far nessun rumore, girandola al contrario, e si sedette a cavalcioni appoggiando le possenti braccia sullo schienale di legno. Mi fissò per qualche istante, prima di posare le labbra sulle mani incrociate.
Sospirai, prima di mostrargli il pezzo di giornale che avevo appena strappato. Lui lo prese in mano e senza nemmeno guardarlo lo appoggiò sul tavolo coprendolo con quello che rimaneva della rivista.
«So di cosa parla, l’ho letto qualche giorno fa. Mi è capitato sotto gli occhi in una rivista sportiva» alzò un sopracciglio quando vide la mia espressione esterrefatta.
«E cosa diavolo ci faceva un articolo del genere in una rivista sportiva?».
Lui fece spallucce e mi sorrise.
«Dai. Non ti abbattere, non mi sembra la fine del mondo... io posso capire come ti senti in questo momento, ma te lo dovevi aspettare».
«Hai ragione, sono stata una stupida. Eppure non mi sono mai ritenuta una sprovveduta!» dissi appoggiando una mano sotto il mento.
Bevvi un altro sorso di te caldo e i miei nervi si distesero nel sentire il profumo di lamponi che scaturiva dalla bevanda.
«Vedrai che questa ragazza è solo un’amica, o forse una ragazzina carina che si è portato dietro ad un incontro con gli “amici” per fare bella figura e mostrarla un pò».
Ironizzò per qualche minuto, aggiungendo qualche finta virgoletta qua e là, sperando di farmi ridere e muovendo le dita in continuazione.
Peccato che la “ragazzina carina” fossi io!
Mentre parlava il mio mondo si era bloccato, nel locale tutto si muoveva a rallentatore ed io ero l’unica stupida che ancora sapeva come si facesse a compiere gesti alla velocità normale.
Posai la tazza sul tavolo, osando guardare solo il poco liquido rimasto.
Dicono che gli istanti si fermano quando ci si innamora, quando si incontra l’uomo o la donna della propria vita; con il colpo di fulmine... allora perché tutti i momenti belli della mia vita sono passati in un lampo e queste orrende rivelazioni sono talmente lente nello scivolare via?
Un mese.
Un mese senza vederlo, un mese senza sue notizie, senza una chiamata. Forse Jason aveva ragione, ero solo una bella bambolina da mostrare!
«Scusami, ora devo andare, ci vediamo…» la frese mi uscì in maniera più fredda e distaccata di quanto mi fossi aspettata.
Mi soffermai a contemplare lo sguardo, sempre troppo intuitivo di Jason, e poi gli porsi i soldi che dovevo per il tè.
«Puoi pagare tu, io sono davvero stanca. Vado a casa!».
«Cosa gli dico?».
Mi accigliai, guardandolo con sospetto, prima di recuperare il mio l’ombrello in mezzo agli altri.
Scocciato, con l’aria di un padre che guarda la figlia, prima di inoltrarsi in un discorso serio, disse: «Non sei mai mancata ad una prova...»
Ormai ero con un piede fuori dal locale.
Mi voltai, uno sguardo di sfida mi balenò negli occhi. Non mi importava nulla del suo progetto oramai, andavo alle prove solo per correttezza professionale, per una volta mi sarei potuta prendere un giorno di ferie.
Sorrisi.
«Digli che sono malata. Ho la febbre, infondo comincio a non sentirmi tanto bene» conclusi uscendo e chiudendomi rumorosamente la porta alle spalle.
 
Le ultime gocce ti pioggia, giocavano sulle grondaie del teatro fingendosi compositori di sinfonie improvvisate. Battevano sui vetri, alternandosi a momenti di vuoto, e scivolavano giù per i muri accarezzando i vecchi mattoni e stucchi che non accennavano a dare segni di invecchiamento.
Tutto questo era normale per gli attori, che lavoravano in quel posto da tempo; erano abituati agli spifferi e all’orchestra creata dal vento, quando d’inverno si insinuava prepotentemente, sempre negli stessi buchi o piccoli anfratti, e ululava, parlava e cantava, facendo parte della scena insieme ai personaggi.
Ma tutto questo non era ancora abitudine per Tom Hiddleston, la cui pressione e nervosismo, veniva aumentato ogni istante di più dal più piccolo suono o spiffero che gli giungeva all’orecchio.
Braccia conserte, mento rivolto verso il basso, occhi chiusi e mascella contratta, poteva benissimo assomigliare al suo contrario personaggio Loki, se non fosse stato per i corti capelli rossicci.
Il rumore della porta taglia fumo, in cima alla platea, attirò la sua attenzione, facendogli aprire gli occhi, limpidi e chiari come il ghiaccio.
Era abbastanza chiaro e fastidioso, e nel completo silenzio della sala vuota, risuonò tre volte più forte.
Jason si guardò intorno sospettoso, per poi sorridere verso i suoi colleghi, salutarli e  scendere le scale con agilità, per dirigersi verso il palco.
«Jason…» un voce autoritaria lo interruppe prima che fosse riuscito ad arrivare.
«Tom» fece lui voltandosi e mostrandosi in tutta la sua simpatia.
«Dov’è Lauren?» chiese guardandolo con l’intenzione di ricevere una risposta chiara.
Jason fece spallucce, con la faccia esplicita di quel qualcuno che sa perfettamente di cosa e chi si sta parlando.
Tom sospirò lentamente, fece un passo avanti e lo guardò diritto negli occhi.
«So che vi siete visti. Dov’è?».
«Cosa fai mi spii? Devo stare attento quando vado al bagno!» rise il ragazzo, mentre posava lo zaino per terra.
«Non verrà alle prove, tranquillo. E’ malata...» e gli accennò un saluto con la mano.
«E’ malata veramente, o questa è solo una scusa che ti ha chiesto di usare per coprirla? Jason… non vuole venire?».
Strinse il pugno e trasse un profondo respiro.
Non si faceva mai cogliere dalla rabbia, non era un soggetto irascibile, era sempre composto e impeccabile, anche in situazioni in cui un altro avrebbe dato di matto.
Si posò una mano sulle tempie, massaggiandosi per capire cosa fare.
«Possiamo incominciare?» delle voci gli giunsero alle orecchie.
Incominciare? Senza l’attrice principale?
Si voltò verso tutti quegli occhi che si sentiva puntato addosso e annuì, sorridendo come faceva di solito.
Stette a guardare mentre ognuno prendeva l’iniziativa, con in mano il suo copione, e incominciava a recitare la parte senza esitazione, padrone del proprio ruolo e del proprio personaggio.
Era tutto così meccanico, programmato; scherzando si poteva immaginare che qualcuno dall’alto avesse scritto un copione per la vita di ognuno di loro.
Tom li guardava senza che i suoi pensieri volgessero veramente al lavoro che doveva svolgere.
I suoi occhi vedevano solo una ragazza seduta sul divano di bel tessuto scuro, posto appositamente al centro della scena, che sorrideva e gesticolava con i fogli del copione in mano.
Quella creatura che faceva parte della scena come se ci fosse nata. Un animale nel suo ambiente naturale, che si muove sapendo esattamente dove stava andando, che pronuncia ogni sillaba nel momento giusto e con la giusta intonazione.
Senza di lei, tutto pareva scoordinato, anche lui era fuori posto… senza Lauren la sua presenza non aveva senso.
E allora decise...
«Io… io vado via, voi continuate...» disse allungando le mani verso il palco quasi per catturare la scena.

continua... 

 
   
 
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