Ciao a tutti, cari e gentili amici, e
grazie per esservi voluti cimentare nel nuovo e
diabolico prodotto del mio discutibile ingegno! Mi dispiace di continuare a
collezionare questi riprovevoli ritardi (che tra l’altro coprono svariate
ere geologiche) ma mi trovo spesso nella disdicevole
necessità di impiegare le mie capacità logiche e creative nelle
versioni di greco e latino che mi vengono costantemente appioppate (con mio
enorme rincrescimento, tra l’altro). Nonostante il tema eccezionalmente
fosco e gotico del mio piccolo scritto, mentre lo pubblico mi trovo in una
disposizione d’animo prodigiosamente gaia, e cercherò quindi di
dedicarmi al più presto ad un progetto un tantino più corposo
(come le mie settecentocinquantaquattro long fic che languono nel computer…),
per poter offrire prima possibile ai miei amatissimi
lettori un nuovo saggio della mia arte…ma non sperate comunque di
sfuggire alle mie interminabili introduzioni solo per un momentaneo accesso di
bontà. (io con un satanico sorriso dipinto
sulla faccia mentre mi produco nella mia migliore risata maligna).
Per ciò che riguarda le note
tecniche, sappiate solo che per ora la mia protagonista non ha un nome, una
nazionalità o una collocazione temporale precisa: so solo che, per
effetto di un già menzionato e smodato egocentrismo, le sue fattezze ricordano
decisamente le mie…e chissà che, se voi date mostra di aver
gradito, non possa modellare meglio il suo personaggio… quasi sicuramente
lo farò, perché tanto per cambiare mi sono affezionata.
Comunque, spero vivamente che vi
piaccia, e che riesca a lasciare nei vostri animi una traccia, un’ombra, seppur
labile, della mia cenere scarlatta…
Ciaociao da Ceci, e a presto!
Scarlet cinders
Cremisi.
Un lungo rivolo d’inchiostro rosso, dai riflessi scarlatti e cangianti,
scivola fremente sulla pietra, scendendo umido sul mio mento. È sangue.
Il mio sangue. Una larga chiazza purpurea si allarga sul candore della mia
camicia, un bocciolo vermiglio sbocciato sul mio ventre, intorno a quel dardo
gelido che ha lacerato la mia pelle. Gli uomini ridono, sguaiatamente, mentre
osservano compiaciuti la morte dell’eretica. Un’unica fiamma, come
una lingua vivida e rabbiosa, spande nel cielo bagliori purpurei. È la
mia casa, il mio studio, la mia vita, consumate dal fuoco ingordo e potente, tramutate
in ceneri grigie e perlacee. Tossisco, e un altro fiotto vermiglio screzia il
mio viso d’alabastro, i capelli simili a una raggiera tinta dai riflessi
cangianti delle fiamme. La morte tende le sue gelide dita leggere sulla mia
anima, e stringo le pergamene, mi aggrappo con forza, con disperazione a quelle
carte che raccontano di mondi proibiti e narrano storie lontane, a quei cimeli
di un’ esistenza distrutta, straziata, irreversibilmente
deturpata dall’ottuso potere dell’ignoranza . I miei carnefici mi
guardano, e nei loro occhi torbidi e vuoti leggo confusione, timore, e il loro
trionfo crudele su chi ha il dono di poter domare il terribile potere delle
parole. Volto la testa, e osservo gli arabeschi purpurei del mio sangue controre
pietre scure e opache del selciato, le mie mani pallide e bianche strette
intorno alla pergamena ambrata. Non c’ è più molto tempo,
lo sento, e i contorni del mondo già si fanno scuri e pesanti. Ma
è così che volevo morire, nell’armonia dei colori, delle
forme, dei pensieri. Ho passato la mia vita a cercare di scorgere mondi
nascosti, a inseguire ombre intangibili, a tingere d’inchiostro
l’amore e la morte, il bene e il male, obbedendo solo al canto segreto
delle parole, inseguendo solo la bellezza dei versi. E ora, mentre la voce di
Caronte mi chiama nell’Ade, rivolgo una preghiera all’arte a cui ho consacrato la mia esistenza; ascolta, Musa, ed esaudisci l’ultimo
desiderio della tua servitrice, concedimi una fine sublime e ammaliante come i
miei amati libri, meravigliosa ed
epica come ciò che ho letto e ciò che ho scritto.
Voglio
la fama immortale degli eroi.
Voglio
un nome che rimanga in eterno.
Voglio
che la mia mente viva per sempre attraverso i racconti e i ricordi degli
uomini.
Mi
hanno tolto tutto, ma questo, quest’ultima opera che voglio donare alla
mia arte, non possono sottrarmela.
Il silenzio ovatta le vuote risate degli
uomini, il viso è dolcemente reclinato sulla guancia, le ciocche
d’oro brunito scendono morbide intorno al fiore scarlatto della mia
ferita.
Sì,
è davvero una bella morte.