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Autore: GingerHair_    04/10/2013    12 recensioni
Eppure, quella notte, un sacco di cose cambiarono. Forse fu un angelo a far cadere tutte le sue convinzioni, un angelo smarrito, tremante, condannato al suo destino. Un angelo che non voleva essere tale, che fingeva di non esserlo; che mostrava solo il lato peggiore di sé.
Un angelo con una sigaretta in bocca e con la mente annebbiata dall’alcol.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Only for ne night

Questa storia vorrei dedicarla a Sara,
che la aspettava da tanto tempo.

 
 

God knows waht is hiding in those weak and drunken hearts,
guess the lonliness came knockin,
no-one needs to be alone, oh save me


La notte era fredda e il vento soffiava fra i tetti delle case, facendo un rumore simile ad un sibilo. Le strade erano deserte, se non si contava qualche macchina, che però passava velocemente, senza curarsi minimamente della cittadina avvolta nella nebbia.
Grace si strinse di più nel suo cappotto, aumentando il ritmo della sua corsa: era in ritardo e sentiva freddo. Lei sapeva che la città non era quella che sembrava; sapeva che sotto quelle luci soffuse, sotto quella calma apparente c’era molto di più.
In un certo senso questo la attraeva, perché anche lei era così. Debole in apparenza, senza sogni, con poca personalità; ma dentro di lei nascondeva molto di più. Per lei portare una maschera non era uno sforzo, aveva da sempre creduto che solo le persone che tenessero davvero a lei dovessero sapere chi era veramente, mentre degli altri non gli importava molto.
Era anche per questa ragione se faceva quel lavoro: la gente nei piccoli paesini parlava e sapere che non la conoscessero veramente le faceva ignorare tutte quelle chiacchiere maligne.
Grace non viveva lì, ci veniva solo di sera, perché con quel lavoro si pagava gli studi. I suoi genitori vivevano lontani da lei, avevano passato tutta la loro vita sostenendola e ora che era abbastanza grande si manteneva da sola.
Il lavoro che aveva trovato le piaceva un sacco, perché era l’unico che le lasciava esprimere la sua passione più grande: la danza. Grace ballava da quando era nata, o per lo meno da quando aveva dei ricordi. Ogni compleanno chiedeva delle nuove scarpette da danza e ai muri della sua stanza erano appesi i poster di tutte ballerine meravigliose: era cresciuta con il sogno della danza, ma aveva dovuto rinunciarvi.
Entrare in scuole specializzate era difficilissimo, inoltre non aveva abbastanza soldi per pagare la retta, ragion per cui si era ritirata a studiare nel nord dell’Inghilterra. Lì aveva trovato una migliore amica, Amber, ma soprattutto un modo che potesse dar sfogo alla sue passioni e che risolvesse i suoi problemi economici.
Quella sera, in ritardo come al solito, aprì la porta sul retro ed entrò nel locale, confortata immediatamente dal caldo che faceva.
«A quest’ora si arriva?» la riprese Mrs. Chesty quando la vide arrivare.
«Scusami» ridacchiò lei.
Vanessa Chesty era una donna sulla cinquantina dal carattere tremendamente instabile. Era la proprietaria del locale e ci teneva a far sì che andasse tutto bene anche se spesso non aveva il coraggio di sgridare le sue dipendenti che si approfittavano di lei, ed era dolce come una seconda madre.
«Vatti a cambiare» le ordinò.
Grace, senza risponderle, si avviò verso il suo camerino, dove trovò anche Amber. Era stata proprio lei ad introdurla lì e le era davvero affezionata.
«Ehi, sono tutti carichi, ora tocca a te!» scherzò l’amica.
Grace sorrise debolmente e iniziò a spogliarsi. I minuti prima di un’esibizione le mettevano sempre ansia, anche se ormai aveva centinaia di spettacoli alle spalle. Sentiva benissimo i segni della tensione: lo stomaco chiuso, il sudore che le scendeva lungo la schiena, la bocca secca… tutto questo ormai faceva parte di lei e lo adorava.
Quando fu pronta, vestita come Mrs. Chesty chiedeva, attraversò il corridoio del backstage per andare sul palco. Il sipario era ancora calato, ma si udivano chiaramente i discorsi del pubblico e la puzza del fumo. Grace sorrise e andò verso il palo su cui avrebbe dovuto fare la sua esibizione e prese posizione “Stupiscili” diceva a se stessa: non aveva una coreografia fissa, le piaceva improvvisare e cercare di stupire la gente come meglio poteva.
Lentamente il sipario si alzò, lei sentì il battito del suo cuore dapprima aumentare, per poi fondersi completamente con la musica. Ballò leggiadramente sul palo, aggrovigliandosi intorno ad esso, facendo spaccate, salendo, scendendo; facendo finta di recitare in uno spettacolo di Brodway, invece di trovarsi davanti ad un gruppo di uomini eccitati.
Poteva sentire i loro commenti volgari, le loro battute, la loro voglia di vedere di più, ma lei non avrebbe concesso altro. Si muoveva sinuosamente, come faceva tutte le sere, come solo lei sapeva fare, con la flebile speranza che qualcuno fra il pubblico la notasse per il suo talento, invece che per il suo aspetto.
Sapeva di essere carina, non era troppo presuntuosa da ritenersi bella; conosceva le sue potenzialità. Sapeva che spesso gli uomini si innamoravano dei suoi occhi azzurri come il cielo in primavera, che adoravano le sue forme, che erano incantati dai suoi lunghi capelli neri.
Sapeva anche che nessuno, però, l’avrebbe amata per com’era dentro: nessuno si sarebbe mai soffermato a guardare dentro di lei, nessuno avrebbe mai trovato la vera Grace.
Eppure, quella notte, un sacco di cose cambiarono. Forse fu un angelo a far cadere tutte le sue convinzioni, un angelo smarrito, tremante, condannato al suo destino. Un angelo che non voleva essere tale, che fingeva di non esserlo; che mostrava solo il lato peggiore di sé.
Un angelo con una sigaretta in bocca e con la mente annebbiata dall’alcol.
Quando l’esibizione terminò, sempre fra i fischi della folla, Grace tornò nel suo camerino, si spogliò dei suoi costumi di scena, si struccò e rimase a fissarsi davanti allo specchio. Cosa c’era dentro di lei? Sarebbe mai riuscita a trovare l’amore vero che tanto sognava? Quello che faceva venire le farfalle dentro lo stomaco, il latte alle ginocchia e faceva scordare tutto?
«Chiudi tu?» le chiese una voce al di fuori del camerino.
Era Kyle, un ragazzo che lavorava lì e faceva il custode. Sapeva quanto lei ci tenesse a rimanere sola dopo la fine dello spettacolo per cui, quando tutti se n’erano andati, le lasciava le chiavi e faceva chiudere il locale a lei.
Le passò le chiavi da sotto la porta e lei, rapida, si vestì con ciò che aveva prima, ovvero una felpa e dei jeans e tornò sul palco. Il sipario ora era tirato e lei poteva fare ciò che aveva sempre amato: danzare liberamente e per se stessa.
Iniziò a muoversi senza musica, non le serviva, aveva il suo cuore che le scandiva il ritmo; poteva sentire il suono delle sue scarpe sul pavimento, lo spostamento dell’aria che creava con le braccia, il senso di leggerezza che aveva piroettando.
«Avevo sentito dire che i grandi ballerini non concedono mai il bis» disse una voce sconosciuta maschile dal fondo della sala.
A quelle parole Grace perse l’equilibrio e rischiò di cadere, cercando di capire chi fosse che avesse parlato. Il palco era leggermente illuminato e la platea era totalmente al buio, per cui lei non riusciva a vedere chi fosse, ma lui riusciva a vedere lei.
«Chi sei?» chiese leggermente spaventata.
Lui rise, poi fece cadere alcune sedie e si avvicinò a lei. Era un ragazzo alto, dai tratti spigolosi e i capelli mori. Grace non riusciva a vederlo bene nel buio, ma sentiva che puzzava di fumo e di alcol ed era abbastanza sicura che fosse ubriaco.
«Il locale è chiuso, non vedi?» gli disse freddamente.
«A me non sembra, ci sei tu che ballavi» le rispose lui.
Aveva un tono di voce allegro e si muoveva a destra e sinistra, come se non riuscisse a stare in piedi.
«Dove abiti?» gli chiese prendendolo sotto braccio.
Era ubriaco, non poteva di certo lasciarlo là dentro. Lo portò dietro il palco, verso l’uscita sul retro, almeno per fargli prendere un po’ d’aria. Grace lo trascinò a fatica e, quando arrivarono, aprì la porta, facendo entrare ventate di aria gelida.
«Riprenditi» gli disse seccata.
Il ragazzo sbatté varie volte le palpebre, come se non capisse da dove venisse il freddo improvviso e poi, quando se ne accorse, respirò l’aria fredda a pieni polmoni.
«Grazie» le disse «Mi serviva».
L’aria pungente della notte di gennaio sembrava aver giovato sul ragazzo, che ora sembrava più stabile, tanto da tenersi in piedi da solo.
«Tu non sei come gli altri clienti. Sono tutti vecchi che cercano belle donne da guardare… ma tu sei diverso, che ci fai qui?» gli chiese Grace con una certa curiosità.
Illuminato dalla luce del palo lì vicino, il viso del ragazzo le sembrava più familiare: aveva grandi occhi color miele e i capelli neri, acconciati in un ciuffo.
In risposta alla sua domanda, il ragazzo rise amaramente, poi la guardò negli occhi; sembrava che qualcosa lo tormentasse.
«Non sai chi sono, non puoi capire» le disse.
«Potrei, se tu me lo dicessi».
Grace era sempre stata una ragazza forte e determinata, non si arrendeva con poco e quando voleva scoprire qualcosa andava fino in fondo.
«Sposerò una ragazza che non amo» confessò lui.
Grace voleva dirgli che se non la amava doveva lasciarla prima che fosse troppo tardi, che la ragazza in questione avrebbe capito, ma dallo sguardo afflitto di lui comprese che non era affatto facile, perciò si limitò a mordersi il labbro e guardarlo senza fare nulla.
«Tornando al discorso di prima, credo che tu sappia ballare divinamente» le ripeté.
«Grazie» rispose lei, non potendo fare a meno di arrossire leggermente.
«Davvero, io sono un pessimo ballerino, ma so che tu sai ballare» fece una pausa e la guardò begli occhi «Mi sono innamorato di te mentre ballavi».
Grace sapeva che a far parlare il ragazzo doveva essere l’effetto dell’alcol, ma quella le sembrò lo stesso una delle più belle frasi che le avessero mai detto. Lei danzava con tutto l’amore che aveva in corpo ed era bello che qualcuno lo notasse e lo percepisse.
«Grazie» disse di nuovo.
Il ragazzo la guardò negli occhi; in quel momento non sembrava ubriaco, ma molto sobrio.
«Resta sempre te stessa. Non scendere a patti con nessuno, tanto meno quando si parla d’amore, altrimenti ti ritroverai ad ubriacarti e andare in squallidi locali».
Grace capì che ciò che aveva detto si riferiva a lui.
«Sai, me lo ripetevo in continuazione. È provvisorio, fra poco passerà, fra poco sarai di nuovo te stesso… invece non è successo. Ora sono quello che mi hanno fatto diventare e non riesco a tornare più indietro».
Il ragazzo rise, ma era una risata di quelle tristi.
«Mi odio. Non farti mai cambiare».
Grace rimase impressionata dalle parole del ragazzo: molti la detestavano e la giudicavano, per cui l’unica persona da cui si faceva veramente influenzare era se stessa; non riusciva a crede come qualcuno potesse odiarsi così tanto.
«Non dovresti dire così, nessuno dovrebbe odiarsi» gli disse preoccupata.
«Un tempo non mi odiavo, ero solo un ragazzo che voleva inseguire i miei sogni; quando questi sono diventati realtà ho capito che se volevo farli rimanere tali avrei dovuto fare dei sacrifici, così ho sacrificato me stesso. Ora non sono più quello di prima».
Grace, senza sapere il perché del suo gesto, lo abbracciò. Lo strinse e lui iniziò a piangere, come un bambino piccolo e senza ritegno.
«Quando si è famosi non si dovrebbero mostrare le proprie lacrime» le sussurrò fra un singhiozzo e un altro «Per cui promettimi che non lo dirai a nessuno».
Grace lo strinse ancora di più a sé. Non sapeva chi fosse, come si chiamasse o quanti anni avesse, ma sentiva di conoscerlo come nessun altro: anche lui, come lei, era solo e cercava amore. Lo cercava in ogni singola cosa che potesse esistere e la continua mancanza lo portava alla disperazione.
«Non sei solo» gli sussurrò.
A quell’affermazione lui smise di piangere, poi la guardò e, recuperando un po’ del suo contegno, la fissò negli occhi.
«Ricordati le mie parole quando sarai famosa».
Poi, stupendola, le si avvicinò e la baciò delicatamente sulle labbra. Grace fu triste perché, anche se quello era un bacio leggero, sarebbe stato l’unico in cui avrebbe sentito tutto quell’amore. Lei credeva nel destino e nell’amore sincero e, più di ogni altra cosa, capiva che lei non sarebbe mai stata con quel ragazzo.
Anche se non c’era stato nient’altro che un bacio, la loro sarebbe stata un’avventura da una sola notte. Perché, a volte, l’amore non è fatto per durare e non tutti gli angeli possono tornare in paradiso.
Successivamente Grace capì chi era il ragazzo di cui si era innamorata quella sera, capì la sua tristezza e non riuscì a vederlo mai più felice. Il ragazzo si sposò e fece finta di stare bene, continuando ad odiarsi.
D’altro canto lei seguì i suoi consigli, lasciò l’università e si dedicò a studiare danza. Divenne una ballerina professionista e, mentre era in scena, si immaginava sempre lui seduto fra la folla.
Non le importava se si era sentita amata soltanto per una notte, lei credeva nel destino e voleva amare quel ragazzo. Prima o poi sarebbe riuscita a farlo sorridere, perché a volte anche gli angeli devono essere salvati.


 

 
Ne ho tanto parlato e finalmente sono riuscita a scrivere questa OS. Devo essere sincera, all'inizio questa doveva essere una long, ma poi, per mancanza di ispirazione, è diventata una OS e io sono molto fiera del mio risultato.
So che non è la storia più bella del mondo, ma vi guiro che mi sono sentita triste anche io mentre la scrivevo, inoltre è la prima volta che pubblico un qualcosa del genere e ci terrei davvero a sapere la vostra opinione.
A molte persone ho rotto abbastanza parlando in continuazione di questo ma, davvero, sono emoionata, non scherzo.
Spero che la storia si di vostro gradimento :)
La frase all'inzio del capitolo è una canzone di Birdy, People help the people, una canzone che adoro e che trovo che si intoni benissimo con la canzone (vorrei però farvi noare che questa non è una song-fic).

Se volete potete trovarmi anche
QUI.

GingerHair_
   
 
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