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Autore: dreamlikeview    04/10/2013    4 recensioni
Il Dottore, una ragazza, due cantanti, due studenti, un medico, un 'consulting detective', due agenti del Torchwood, un principe, un servitore mago, due maghi, un supereroe e una comune minaccia. Cosa spingerà questi personaggi ad incontrarsi? Come fermeranno la minaccia imminente? Riuscirà il Dottore a salvare la situazione?
[Crossover: Doctor Who, One Direction, Merlin, Torchwood, Glee, Sherlock, Harry Potter, Smallville]
[Larry, Merthur, Janto, Johnlock, Klaine]
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Doctor - 10, Jack Harkness, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu (che mi amerà per aver pubblicato subito la seconda parte) per il banner. Quell'angelo è figo, ma anche inquietante.
 
Avviso: Contiene fangirling. (lo ripeto sempre, perchè... meglio avvisare sempre. LOL)
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock.)

 
 
Allons-y!
P.s come nel capitolo precedente, sul banner trovate la colonna sonora. 



 
Charlotte e il Dottore si scrutavano. Lui la guardava negli occhi alla ricerca di una risposta a quella domanda che le aveva porto, mentre lei lo guardava incredula. Non poteva davvero averglielo proposto, quello era un sogno, sicuramente, un bellissimo sogno, certo, ma pur sempre un sogno. Il Dottore, che le chiedeva di fare un viaggio con lui?
Con il dito indice indicò il proprio petto, guardandosi intorno. Magari era tornata Donna, e chiedeva a lei di viaggiare, ma con sua grande sorpresa non trovò nessuno. Possibile che l’avesse chiesto a lei?
“Vedi altre persone qui in giro?” – chiese il Time Lord, ridacchiando.
“N-No…” – negò scuotendo contemporaneamente la testa, e guardandosi intorno ancora. Magari c’era davvero qualcun altro, qualche alieno invisibile? Oh, probabile, con lui tutto era possibile, era il Dottore, d’altra parte.
“Allora, ti va di accompagnarmi? Non mi va di non fare nulla per tutto il giorno, e a te?”
“No… direi che… non ho niente di meglio da fare.” – sorrise, iniziando a sciogliersi leggermente. Finalmente iniziava a ragionare normalmente. Il Dottore l’aveva invitata a vedere il TARDIS all’interno, e le chiedeva anche di viaggiare con lui, per una volta, ma era sempre una cosa… fantastica.
“Allora?” – inclinò la testa, sorridendo dolcemente – “ti va?”
“Sì, sì, sì, sì!” – urlò la bionda saltando sul posto urlando felice. Sì che voleva andare con lui, non voleva altro nella sua vita, come poteva rifiutare una tale offerta, un tale privilegio?
“Perfetto, Allons-y!” – esclamò il Dottore, provocando un sorriso genuino e felice sulle labbra della ragazza.
“L’hai detto, l’hai detto!”
“Cosa?”
“Allons-y!”
“Oh adoro dirlo. Non sarebbe fantastico trovare qualcuno che si chiama Alonso?”
“Allons-y, Alonso?” – rise la ragazza guardandolo, mentre il Dottore sorrideva compiaciuto e azionava i comandi del TARDIS.
“Oh, l’ho detto una volta, è stato meraviglioso!” – rise – “dove ti piacerebbe andare?” – chiese subito dopo, guardandola. Aveva deciso che l’avrebbe accontentata, e l’avrebbe portata dovunque avesse voluto.
Lei si morse le labbra guardandolo. Oh, c’era un posto dove avrebbe sempre voluto andare.
In realtà ce n’erano due. E lei era indecisa, se andare in un posto o nell’altro.
“Sì… Camelot?” – chiese con un sorriso innocente sul viso, guardandolo supplichevole. Oh, amava le leggende arturiane, e avrebbe tanto voluto andare lì, a Camelot, quindi perché non chiedere quella?
“Appassionata di leggende arturiane, vero?” – chiese, appunto il Dottore, spingendola ad annuire. Oh, forse aveva sbagliato, forse non avrebbe dovuto chiedere proprio Camelot… forse…
Dannazione, lo sapevo di dover chiedere Verona del ‘500.
“E Camelot sia!” – trillò il Dottore, azionando tutti i meccanismi del TARDIS, e dopo un veloce scossone, partirono. – “allons-y, ragazza, allons-y, non è bellissimo dirlo?” – ridacchiò mentre pilotava la macchina spazio-temporale e la ragazza lo fissava ammirata, pendeva totalmente dalle sue labbra. Era affascinante vederlo all’opera, era elettrizzante viaggiare con lui e lui era… bellissimo. I capelli scuri, gli occhi di egual colore, la grande intelligenza.
“Raccontami qualcosa di te!” – le chiese subito dopo, fissandola dolcemente. Si era accorto che assorta com’era nei suoi pensieri non avesse detto nemmeno una parola, sembrava un fascio di nervi, e per farla sciogliere ci voleva solo una cosa: una bella chiacchierata lunga.
“Oh… non c’è niente di interessante su di me, davvero.” – rispose rammaricata. Lei non era nessuno in confronto alle altre che lo avevano affiancato, non avrebbe mai potuto essere una di loro, una tanto perfetta. Era solo… lei.
“Charlotte Ellis.” – la guardò con rimprovero – “nessuno è poco interessante. Forza, avanti, parla, ragazza che sa tutto su di me.” – la spronò sorridendo, cercando di tranquillizzarla, non voleva che si sentisse sottopression, ma era curioso. Lei sorrise ed annuì. Ecco un’altra cosa che adorava di quell’uomo, era sempre pronto a trovare il lato buono nelle persone, vedeva del bello ovunque, anche dove non c’era o non era mai esistito.
“Beh, mi chiamo Charlotte, ho diciotto anni, sono irlandese e non vado al college, e lavoro in un supermercato. Niente di particolare, davvero, uomo dello spazio” – lui rise scuotendo la testa, Donna lo chiamava sempre in quel modo.
“E la tua famiglia?”
“Numerosa. Vivo con mia madre, i genitori di mia madre, mio padre, mia sorella minore, e mia zia.”
“Wow, tutti insieme?” – ridacchiò guardandola – “immagino che non avrai privacy.”
“Nah, alla fine uno ci fa l’abitudine, basta trovare… l’equilibrio giusto.” – sorrise stringendosi nelle spalle.
“Che rapporto hai con tua sorella?”
“Strano, mi detesta.” – sospirò – “possiamo non parlarne?”
“Sì… certo.” – concordò. L’aveva visto il lampo di tristezza che aveva attraversato gli occhi della giovane, facendola intristire di botto. Le tirò subito su il morale con uno dei suoi sproloqui illimitati, e lei lo ringraziò con lo sguardo per aver smesso di insistere sul tasto dolente della famiglia. Perché forse, il Dottore l’aveva intuito, non aveva detto tutta la verità, ma non voleva turbarla, avrebbe chiesto altre notizie più tardi, non era urgente.
“Quindi… stiamo viaggiando nel tempo, ora?”
“In realtà, siamo arrivati.” – disse il Dottore – “e sì, l’abbiamo fatto. Attraverso il tempo… lo spazio…” – sussurrò con la voce misteriosa, spegnendo la macchina – “miglia e miglia…” – le prese la mano, mentre un brivido le percorreva la schiena – “ore ed ore…” – la condusse verso la porta del TARDIS, lei rabbrividiva sempre più forte e l’adrenalina era sempre più in circolo – “anni ed anni indietro…” – continuò con quella voce misteriosa, aprendo lentamente la porta – “ci hanno condotti…” – le sussurrò all’orecchio, mentre lei sentiva il cuore nel petto venire meno, scoppiare come una bomba ad orologeria – “a Camelot!” – esclamò con un urlo facendola sobbalzare. La trascinò fuori e le mostrò la Cittadella, dov’erano arrivati.
Mura di pietra, casette di legno, e mattoncini, l’imponente castello di fronte a loro, le bancarelle piccole e piene di oggetti artigianali, frutta e altre cose. I cavalieri dalle divise rosse e bronzee camminavano tra la gente, vigili. La ragazza si guardava intorno affascinata, senza lasciare la mano del Dottore.
“E’ tutto meraviglioso, santo cielo, è stupendo… oh Dottore, grazie!” – esclamò guardandosi intorno estasiata, lasciandogli la mano per guardarsi intorno meravigliata da quel posto, senza però perdere di vista il Dottore, forse per paura di perdersi, o  di qualcosa che non sapeva, gli era immensamente grata per averla portata lì, era irreale. Era così che si erano sentite tutte coloro che l’avevano accompagnato?
Un po’ imbarazzate, affascinate, sorprese e così incredibilmente piccole in confronto alla grandezza del tempo, del Time Lord, del TARDIS… era tutto così meraviglioso da non sembrare reale, era… un sogno? – “Dottore, ti prego, dammi un pizzico…” – mormorò, e il Time Lord ridacchiò pizzicandole una mano, per aiutarla a rendersi conto che tutto fosse vero e non fosse solo un sogno.
“Ci credi ora?” – le sorrise con gli occhi che sembravano risplendere, e che contornati da piccole rughe sembravano sorridere anch’essi, insieme al Dottore.
“Andiamo al castello, Dottore?” – gli sorrise annuendo.
“Posso scortarla io, miss Ellis?” – ridacchiò lui, porgendole il braccio, mentre lei lo accettava e insieme a lui si avviava per le piccole stradine di Camelot, facendogli altre mille domande sul luogo, sul tempo, lo spazio e tutto ciò che era il mondo del Dottore, e lui rispondeva entusiasta, allegro per aver trovato qualcuno così curioso e appassionato da fare domande su domande, milioni di domande, e lui amava rispondere alle domande in quanto amasse parlare tanto.
“No, John, non ha senso!” – urlò una voce da dietro un muro – “non possiamo essere finiti nel passato, è impossibile. Non è reale, d’accordo? Stiamo sognando.”
“Sherlock, non stiamo dormendo. E’ vero, siamo andati indietro nel tempo.” – ribatté un’altra voce con tono basso.
“Sarà… una festa cittadina.” – borbottò, mentre l’uomo accanto a lui alzava gli occhi al cielo.
“E come ci siamo arrivati, genio?”
“Non…” – si bloccò. Non era da lui dirlo, non poteva dirlo, era impossibile, lui avrebbe dato una spiegazione anche a quello – “siamo svenuti e ci hanno portati via, sarà uno scherzo di Moriarty.”
“E secondo te, quello che ha minacciato di ucciderti ci porta ad una festa cittadina?!” – sbottò l’altro, cercando di capire cosa frullasse nella testa del Consulting detective, il quale cercava di dare una spiegazione razionale ad una situazione totalmente irrazionale. Non potevano essersi spostati così velocemente da un luogo all’altro, non c’era spiegazione. Forse aveva ragione Sherlock, stavano dormendo. Erano profondamente addormentati… magari vicini, su un letto… scosse la testa velocemente non poteva pensare certe cose, non in quel momento.
“Probabilmente…” – sospirò il Consulting detective, non poteva arrendersi, doveva trovare una soluzione – “… è una delle sue sfide, tra un po’ invierà un messaggio e…” – controllò il telefono, ma quando accese il display, si rese conto che in quel luogo non potevano arrivare messaggi, non c’era segnale. Poi sentirono dei passi correre ed un uomo alto, con un cappotto marrone e un completo composto da giacca e pantalone grigi, camicia bianca, cravatta nera e converse rosse accompagnato da una ragazzina bassina dai capelli biondi, apparve dal nulla.
“Visto John? Gente normale, siamo ad una festa cittadina.”
“Ehm, no, credo che voi non siate a nessuna festa cittadina, signori…?” – disse il Dottore, appena arrivato, mentre la ragazza spalancava gli occhi, senza riuscire ad aggiungere nulla. Quelli non potevano essere… no, era impossibile.
Ora sto sognando, è impossibile…
“Sherlock Holmes, Consulting detective, e lui è il Dottor John Watson, il mio assistente.” – disse Sherlock presentando entrambi, mentre il Dottore rideva sotto i baffi - che non aveva - guardandoli decisamente divertito.
“Sì, beh, da quanto tempo state insieme?”
“Noi non stiamo insieme!” – sbottò John guardando male l’uomo che aveva appena detto ciò che tutti ripetevano loro ogni volta che li incontravano, e la situazione stava iniziando a diventare insopportabile e stressante, non era possibile che ovunque andassero lo scambiassero per una coppia. Il Dottore rise, e si girò verso la ragazza, che fissava la scena senza emettere fiato, non poteva ancora credere ai suoi occhi.
“Secondo te, stanno insieme?” – le chiese, lei per un attimo parve turbata, poi sorrise e annuì con energia.
“Oh, ma è ovvio!” – esclamò – “c’è un’evidente tensione sessuale tra loro, non credi Dottore?”
Sherlock spalancò gli occhi, insieme a John, entrambi si guardarono imbarazzati. John emise una sorta di tosse finta, e spostò lo sguardo sulle due persone appena incontrate.
“Voi due chi siete, invece?” – chiese il medico.
“Io sono il Dottore!”
“E io sono Charlotte Ellis, ma potete chiamarmi la Fangirl.”
“Mi piace come titolo.” – rise il Dottore guardandola. Ormai erano in sintonia, lei non era più timida in sua presenza, e lui non era più terrorizzato dalla mole di cose conosciute da lei. E ‘La ragazza fan’ era il titolo giusto per lei.
“Lei è un avventuriere, vero?” – chiese Sherlock guardandolo con un sopracciglio alzato. Non appena John captò quello sguardo, capì che Sherlock stava per fare una delle sue brillanti deduzioni.
“A dire la verità sono un viaggiatore, ma non mi dispiace il titolo di avventuriero, da cosa l’ha capito?”
“Il suo cuore batte ad un ritmo troppo veloce, ed è evidente che lei è adrenalinico. La posizione dei suoi piedi e quella tipica di chi è pronto a correre da un momento all’altro. Un cacciavite nella tasca della giacca costituisce… una sicurezza, come il cellulare nella tasca dei pantaloni pronto per essere preso, e le mani nelle tasche indifferenza. E’ anche abitudinario, i vestiti che indossa sono gli stessi di sempre. Un avventuriero abitudinario, ordinato ed elegante, oh sempre in cerca di una compagna, perché nei suoi occhi leggo tanta solitudine. Ha bisogno di qualcuno che l’accompagni nei suoi viaggi altrimenti non è contento.” – spiegò velocemente lasciando il Dottore con la bocca spalancata e la ragazza affascinata. – “la ragazza invece è emozionata, forse è la prima volta che fa una cosa del genere, gli occhiali fanno capire che è una studentessa, le dita magre dicono che sia una persona a cui piace scrivere, il rossore sulle gote dice che ora è in imbarazzo, ma affascinata e… sta per emettere un verso non conosciuto al genere umano, probabilmente per l’emozione. Una studentessa in viaggio, molto emotiva.”
Lei e il Dottore spalancarono gli occhi, ma ebbero reazioni differenti.
“Cosa?!” – esclamò il Dottore, guardandolo.
“Oh mio dio!” – urlò la ragazza – “ha fatto una deduzione su di me!” – esultò allegramente.
“Cosa?!” – ripeté il Dottore. John guardava la scena a metà tra il sorpreso, l’incredulo e il divertito. Non credeva di poter mai incontrare persone più strane di Sherlock, e invece…
“Oh, non si preoccupi, signor Dottore, fa sempre così, dopo un po’ si fa l’abitudine.” – spiegò John tentando di calmare il Dottore, che sembrava metà terrorizzato e metà sorpreso. Nella stessa giornata aveva incontrato una ragazza che sapeva tutto di lui, e poi un uomo che aveva capito chi fosse con uno sguardo. Era tutto… fantastico.
“Sono solo il Dottore, niente signore” – borbottò – “e poi il mio è un cacciavite sonico, non un cacciavite normale!” – protestò il Dottore, scatenando l’ilarità generale. Poi si sentì il trottare di un cavallo in lontananza, qualcuno stava per entrare nella cittadella, e loro dovevano spostarsi da quel punto, per non farsi vedere. Prima di tutto, tutti avevano bisogno di un cambio d’abito. Non potevano circolare vestiti come persone del ventunesimo secolo, in una città che era della fine del quinto secolo, o inizio sesto secolo, circa. Poi avrebbe chiarito con i due personaggi appena arrivati come fossero giunti lì. Forse si era aperto un varco spazio-temporale da qualche parte, o forse c’era qualcosa che collegava le due epoche. I cavalli si avvicinavano sempre di più, fino a che le figure non furono identificate. Uno sembrava essere un principe, e l’altro un servitore, forse potevano parlare con loro per delle ‘informazioni’.
“Ma quelli sono Arthur e Merlin!” – esclamò Charlotte, indicando le due persone a bordo dei cavalli. Il Dottore spalancò gli occhi, perché Arthur era un ragazzino, o cosa? Non era il Re che ricordava di aver conosciuto, forse aveva impostato male qualcosa, ed erano finiti all’epoca in cui era un ragazzino e non era ancora re, sì, molto probabile.
Probabilmente i due sentirono ciò che la ragazza aveva detto, e fermarono i cavalli. Il ragazzo biondo scese per primo e guardò verso di loro.
“Sì, sono il Principe Arthur Pendragon, voi chi siete, milady?” – fece un breve inchino, incitando il suo servo a scendere da cavallo, lasciando dietro ai loro cavalli i due ‘prigionieri’.
“Oh, lei è Lady Charlotte di Ellis. E’ un regno molto lontano da qui, io sono John Smith, cavaliere di Ellis” – tirò fuori dal cappotto la sua carta psichica, che mostrò ad Arthur che lui avesse ragione.
“E’ un vero onore ospitarvi nel nostro regno, permettetemi di scortarvi fino al castello” – fece il principe facendole il baciamano, mentre Charlotte arrossiva e Merlin lo guardava disgustato. La notte prima stava per baciarlo, e... adesso faceva la corte ad una donna? Cosa aveva quell’idiota – regale – di sbagliato nel cervello? E no, non era geloso.
“Come mai non avete un cavallo, Lady Charlotte?” – chiese il servitore, e la ragazza spalancò gli occhi guardando il Dottore supplichevole. Lei non sapeva mentire, ed era evidente, mentre il Dottore era capace di farlo, era un mago?
“Siamo stati aggrediti” – annuì e indicò John e Sherlock che non avevano aperto bocca. Il medico era intento a fissare l’amico che rischiava una seria crisi di nervi a causa di tutto quello stress accumulato quel giorno fatidico, in cui stavano solo indagando. – “e loro due ci hanno salvati e condotti qui.”
“Siete anche voi di Ellis?” – chiese Arthur, guardando Sherlock e John.
“Sì!” – rispose prontamente il medico – “sì, veniamo da lì, venivamo qui per un viaggio di…”
“…nozze? Siete sposati?” – chiese Merlin impertinentemente, guadagnandosi un’occhiataccia da Arthur, che lo incitava  a stare al suo posto e non parlare a sproposito come suo solito.
“No, no. Non stiamo insieme.”
“Sembrano una coppia, vero…?” – chiese la ragazza, fingendo di non sapere chi fosse il servitore, anche se moriva dalla voglia di stringergli la mano.
“Merlin, sono Merlin, Lady Charlotte.” – le disse facendo una riverenza, e rivolgendole  un caldo sorriso, le prese la mano baciandogliela. Arthur gli diede uno schiaffetto sulla nuca, facendo storcere il naso al mago, che lo guardò torvamente. Si rialzò e lo guardò negli occhi, rivelandogli con quelli tutta la gelosia che aveva provato.
“Suppongo che ad aggredirvi siano stati i due tipi pericolosi che stanotte hanno turbato la quiete del lago?” – chiese Arthur indicando i due tipi legati ai cavalli, che si erano ritrovati disarmati e senza difese a causa della magia di Merlin, che aveva agito indisturbato prima che Arthur lo raggiungesse. La notte prima, infatti, quando aveva sentito qualcuno urlare il suo nome era accorso, trovandosi di fronte i due ragazzi che, con dei pezzi di legno in mano, quasi non si ammazzavano a suon di fasci colorati. Aveva quindi provveduto a far schiantare uno dei pezzi di legno contro un albero distruggendolo, e tenere l’altro per sé, per farlo studiare da Gaius, e quando Arthur era arrivato, aveva dovuto dire lui che erano stregoni – dannazione, li aveva visti compiere magie che anche per lui erano strane, davanti a lui. Non poteva rischiare, non quella volta. Non quando stava per rivelare tutto ad Arthur.
Il principe li aveva arrestati, e legati ai cavalli. E durante la notte, quando tutti dormivano, Merlin aveva provveduto a bloccare i loro poteri per un po’, per renderli innocui. Non poteva rischiare che qualcuno facesse del male ad Arthur in sua presenza e quella mattina, tornando un giorno prima dalla gita nel bosco, li stavano conducendo al palazzo.
“Eh sì!” – esclamò il Dottore, mentre la ragazza rimaneva spiazzata nel riconoscere altre due persone che lei credeva facessero parte solo della sua fantasia. Quelli erano Harry Potter e Draco Malfoy. Doveva essere per forza un sogno, non c’era altra risposta a tutti quegli eventi.
“Allora vi scorterò personalmente al mio castello, e vi darò qualcosa con cui cambiarvi… avete una moda strana ad Ellis.” – ridacchiò il principe invitandola a salire sul suo cavallo, e invitando il Dottore a salire su quello di Merlin, mentre il servitore restava a terra, e seguiva a piedi i cavalli insieme a Sherlock e John, che sembravano ancora turbati per tutta quella storia. Non era reale, non poteva esserlo. Insomma, principi, servitori… sparizioni improvvise, loro che si ritrovavano in quella realtà…? Da cosa poteva dipendere?
Un incubo generato dall’assenza di nicotina e di adrenalina per nuovi casi. Ecco qual era la causa di quell’incubo per Sherlock. Non c’erano altre spiegazioni plausibili.
“Quella è una spada vera, John” – borbottò tremando per un solo attimo, indicando la spada che penzolava dal cinturone di Arthur; recuperò subito il contegno, ma questo non fermò John, che gli prese la mano e ne accarezzò dolcemente il dorso con il pollice.
 
Una volta giunti al castello, subito Charlotte fu affidata ad alcune serve, tra le quali c’era Ginevra, una ragazza dai capelli scuri, come gli occhi, e la carnagione, serva de castello, e futura moglie di Arthur, e questo provocò un’espressione disgustata sul viso della giovane Charlotte, che la seguì, fino ad una stanza, dove le furono concesse le cure di cui necessitava. Intanto il Dottore era rimasto solo con Sherlock e John, in un’altra e si apprestava a scoprire qualcosa sull’arrivo misterioso di quelle persone, ed aveva richiesto espressamente di interrogare i due prigionieri, per capire anche loro da dove provenissero. Era impossibile per lui capire cosa fosse accaduto, non se lo spiegava, non ancora, almeno.
Tutti spiegarono cosa stavano facendo prima di ritrovarsi lì, e il Dottore spalancò gli occhi, non potevano essere loro, non di nuovo quell’incubo.
“E c’erano statue nei dintorni?”
“Che c’entrano le statue?!” – chiese sbottando Sherlock, non aveva senso, non esistevano statue in grado di spostare persone nel tempo e nello spazio.
“Sì… ora che ci penso, c’erano delle statue simili a degli angeli, che si coprivano il viso, ai Kensington Gardens.” – rispose John, ignorando le proteste di Sherlock, che non si capacitava di tale cosa.
“Sì, anche da noi… gli angeli che piangono, li ho visti, vicino alla statua della Strega.” – rispose Malfoy, precedendo Potter che si era fermato a riflettere su cosa fosse successo mentre stavano duellando.
“Oh no, no, no!” – esclamò il Dottore, passandosi una mano sul viso.
“Anche qui a Camelot stanno sparendo le persone misteriosamente” – disse Merlin entrando nella stanza, Gaius gli aveva detto che c’era qualcosa che non andava ed erano arrivate persone da altri tempi, Merlin l’aveva capito subito che fossero estranei anche alla sua epoca, non era stupido.
“Ci sono statue?” – chiese subito il Dottore, e Merlin prontamente annuì.
“Sì, ce ne sono tante, ma recentemente il re ne ha acquistate alcune… di angeli che hanno il viso coperto. Devo ammettere che sono inquietanti.”
“I Weeping Angels.” – disse subito il Dottore, ecco la spiegazione. La gente spariva dalle città, si ritrovavano persone di altri tempi nel quinto secolo, e nuove statue erano state acquistate in quel periodo specifico. Era evidente, perché non ci era arrivato subito? Si erano risvegliati.
“Cosa sono?” – chiesero tutti contemporaneamente, tranne Sherlock che voleva restarne fuori. Statue? Non era possibile, erano robot, ovvio. Opera di Moriarty, lui lo sapeva. Prima o poi avrebbe ricevuto un messaggio..
“Sono... creature di un altro mondo, ovvio, vengono chiamati gli assassini solitari.” – spiegò il Dottore, e allora Sherlock sentì di dover intervenire, perché era… assurdo.
“Sono statue!” – esclamò – “statue di roccia!”
“Solo quando le guardate. Basta battere ciglio e allora possono ucciderti, cioè, non ti uccidono davvero, diciamo che ti spostano in un'altra dimensione spazio-temporale. E la città ne è piena.”
“E perché si coprono gli occhi?” – chiese ancora, non voleva crederci, non poteva crederci.
Il Dottore alzò le spalle. – “Perché se si guardano, sono morti.”
“Allora abbiamo la soluzione!” – esclamò John – “basta che si guardino, no?”
“Non è così facile, non possiamo distrarci, se ne abbiamo uno davanti non dobbiamo battere ciglio, né voltare le spalle. Dobbiamo fissarli perché altrimenti… siamo morti.”
“Ma da dove vengono?” – si intromise Merlin.
“Nessuno lo sa, ma sono vecchi quanto l’universo, più o meno.” – rispose prontamente il Dottore. E fece così per tutte le domande che gli venivano poste ‘perché non possono essere uccisi?’ ‘come fanno ad ucciderti?’ ecc… fino a che Sherlock non perse la pazienza, non ne poté più di tutte quelle assurdità, di quelle cose non reali, di quelle parole che non stavano né il cielo né in terra.
“Ma lei chi è? Come fa a sapere tutte queste cose?” – sbottò – “non sono reali, non è possibile! Angeli piangenti, assassini solitari, questa è un’assurdità, sono tutte assurdità!”
“Sherlock…” – fece John cercando di calmarlo – “non è il momento.”
“Lasciami stare!” – alzò la voce, sembrava sottoshock, o qualcosa del genere, ma era solo frustrazione per non poter dare una soluzione razionale a tutto quello, era una situazione totalmente irrazionale, e non era per lui.
“Sono un Time Lord, l’ultimo Time Lord, sono del pianeta Gallifrey, nella costellazione di Kasterborous, ho novecentoquattro anni, e sono colui che riporterà tutti voi a casa, e libererà questa città da quella minaccia.” – disse pacato il Dottore, mentre Charlotte entrava nella stanza, e si fermava con un sorriso idiota sul viso, a fissarlo ammirata.  – “ti basta?”
Sherlock boccheggiò, e John lo prese per le spalle, dicendo che l’avrebbe portato a riposare, nella stanza affidatagli da Arthur. Sherlock sperava di svegliarsi la mattina dopo al 221B di Baker Street.
“Cosa succede, Dottore?” – chiese Charlotte entrando.
“Weeping Angels, Charlotte. Volevi un’avventura? Eccola servita su un piatto d’argento.” – sorrise, contagiando anche lei. Era eccitante per lui trovare alieni ovunque.
“Proprio loro?” – borbottò – “non potevano essere Daleks? O Vashta Nerada?” – chiese sconsolata – “o i Cybermen?”
“No, purtroppo.” – ridacchiò il Dottore.
“Oh Dottore, ci aiuterete, vero?” – chiese Merlin, guardandolo. Lui annuì e decretò che avrebbe chiesto aiuto al Torchwood. Jack gli doveva ancora un favore, e sarebbe stato propenso a mandare qualcuno dei suoi uomini a dare una mano a tutti gli altri. Era notte fonda, e non potevano rischiare di incontrare una statua e finire morti.
“Domani mattina io e te, Charlotte, andremo a Cardiff. Ti va di incontrare Jack Harkness?”
“Oh… sì, sì!” – esclamò – “andiamo pure!”
Il Dottore rise. Adorava quella ragazza, riusciva a trasmettergli allegria – non come Donna, ma ci riusciva – ed era incredibilmente preparata quasi su tutto. Se non fosse stata umana, quindi con un solo cuore, l’avrebbe scambiata per una della sua specie per quanto fosse intelligente, stessa cosa valeva per quello Sherlock, anche se aveva la mente fin troppo chiusa per essere un possibile viaggiatore del tempo.
 
Quando la mattina dopo albeggiò, Charlotte e il Dottore, già pronti, con l’aiuto di Merlin uscirono dal castello, recandosi in fretta nella Cittadella, dove avevano lasciato il TARDIS. Sherlock e John dormivano ancora, mentre Malfoy e Potter, i due prigionieri erano stati scortati nelle prigioni da Arthur stesso la notte prima.
Era meglio per il momento che il giovane Pendragon non sapesse ancora niente delle statue, né della loro vera identità. A Merlin era stato affidato il compito di tenere Arthur lontano dalla Cittadella, in modo da non permettergli di entrare in contatto con esse, che avrebbe significato solo ‘morte’ per lui.
Una volta arrivati al TARDIS, il Dottore e la ragazza vi entrarono velocemente, chiudendosi la porta alle spalle, stavano per ripartire quando il Dottore ricordò di dover dare a Merlin degli avvertimenti, per tanto riaprì la porta e lo guardò.
“Oh… dimenticavo. Non battere ciglio, cerca di non farlo, se lo fai sei morto, non voltare le spalle, non distogliere lo sguardo, e non battere ciglio. Buona fortuna.” – disse velocemente, prima di ritornare dentro, lasciandosi alle spalle un Merlin spaventato, con gli occhi spalancati, sotto lo sguardo affascinato di Charlotte, che ormai non sapeva più come tessergli le lodi. Lo ammirava davvero tanto, ma vederlo all’opera era pazzesco, non ci si poteva abituare a tutto quello.
“Lo hai terrorizzato, lo sai?”
“Bisogna essere prudenti.” – annuì velocemente a sé stesso, mettendo in moto il TARDIS, impostandolo nella Cardiff del ventunesimo secolo, quasi vicino la base del Torchwood.
“Siamo tutti in pericolo, vero?”
“Sì… credo di sì. Insomma, credo si sia aperto un tunnel spazio-temporale a causa degli angeli, devo capire la situazione anche nella nostra epoca e… speriamo vada tutto bene” – disse stranamente serio. Fin dalla sera prima era stato allegro, divertente… e in quel momento era così serio da far quasi spavento.
Charlotte lo guardò mordendosi un labbro, non era brava a rassicurare le persone, né tantomeno poteva farlo con il Dottore, insomma, era il Dottore, non aveva bisogno, ma l’indole della ragazza la spinse ad avvicinarsi a lui e a sorridergli in modo rassicurante e dolce.
“Dottore, io mi fido di te, ce la faremo. Tu ce la fai sempre.” – gli disse con gli occhi che brillavano di ammirazione, fiducia e qualcosa che il Dottore non afferrò subito, ma che lo spinse a sorridere ed annuire. Sembrava aver recuperato la carica di quel pomeriggio e Charlotte non poteva esserne più felice.
“Hai ragione, io posso fare tutto.” – sorrise – “al Torchwood, allons-y!”
La ragazza sorrise, vedendo che il Dottore aveva riacquistato il comportamento di sempre e dopo un rapido scossone, finalmente la macchina spazio-temporale partì, arrivando in breve tempo a Cardiff. Il silenzio aveva regnato, però, nella nave fino all’arrivo lì. Probabilmente il Dottore stava valutando la situazione, stava cercando di capire come fare, come risolvere tutto come al solito, e Charlotte non aveva parlato, era stata buona e in silenzio al suo posto, per tutto il tempo, osservandolo ammirata ed estasiata dalla sua abilità.
Una volta arrivati lì, uscirono entrambi dalla cabina. Era notte, dovevano essere intorno alle undici di sera, e Charlotte non era ancora abituata, era come se non fossero passate le ore in Gran Bretagna, quando a Camelot era passata una notte. Era tutto strano, ma allo stesso tempo, fantastico. Il Dottore la chiuse a chiave, affidandola alla ragazza, e insieme si avviarono alla sede del Torchwood, dove lavorava Jack Harkness, un ex compagno del Dottore, che innumerevoli volte lo aveva aiutato nelle situazioni più complicate. Nessuno dei due però, incamminandosi si era accorto che la chiave, mentre Charlotte cercava di metterla in tasca, fosse caduta per terra ed ignari si erano allontanati.
La biondina non lasciava mai il braccio del Dottore, per paura di perdersi, e dopo qualche metro, arrivarono alla sede Torchwood. Si bloccarono esattamente lì fuori. Il Dottore prese il suo cacciavite sonico, ed aprì la porta d’ingresso, giustificandosi con “lo faccio solo per l’effetto sorpresa!”, poi lenti, con passo felpato, arrivarono all’interno, e trovarono tutti in agitazione. C’erano tre persone, e tutte e tre sembravano alquanto presi, fino a che Jack non si rese conto dell’ “intruso”.
“Dottore?” – chiese stranito. Come aveva superato le difese? Ma non importava, era sempre il Dottore – “Dottore!” – urlò correndo verso di lui e abbracciandolo. Si erano lasciati mesi prima, dopo aver sconfitto il Master, e non si erano più incontrati, fino a quel giorno. Jack lo strinse forte sotto gli occhi gelosi di Ianto, quelli sorpresi di Gwen, e quelli felici di Charlotte, che espresse il suo apprezzamento per la scena scattando una foto con il suo cellulare e lanciando un urletto tipico di una… fan.
Dopo l’abbraccio dei due, seguirono le presentazioni di tutti, e la ragazza non poté fare a meno di abbracciare Jack e da lui lasciarsi abbracciare, che lo fece solo perché quando stava per tirarsi indietro il Dottore lo aveva fulminato con lo sguardo, suggerendogli con quello di accontentarla per ogni cosa che volesse fare.
“Allora, Jack, succedono cose strane qui?”
“Sì. Strane sparizioni, ma nessun alieno in circolazione.”
“Dannazione, lo sapevo. Sono i Weeping Angels. Devi venire con me, e risolvere la questione all’origine.”
“Lo sai che ti seguirei anche fino alla fine dell’universo.”
“L’hai già fatto.” – sottolineò il Dottore, lasciandosi scappare una mezza risata, seguito dal capitano.
“Perfetto, dove si va?” – chiese immediatamente.
Amava viaggiare con lui, ogni volta era una nuova avventura, ogni volta c’erano cose diverse da vedere, ogni volta era un brivido di adrenalina in più, e niente poteva essere meglio di quello.
“Camelot.” - rispose prontamente il Dottore, mentre Jack spalancava gli occhi. Quell’uomo era formidabile, non c’era un momento in cui fosse fermo, da quando lo conosceva, Jack non l’aveva mai visto fermo a non fare nulla.
“Allora, quando si parte?” – chiese entusiasta.
“Ora.” – fece lapidario il Dottore, mentre l’altro esultava internamente.
“Io vengo con voi.” – finalmente la voce di Ianto fece capolino, si guadagnò un’occhiataccia da Jack, che stava per ribattere quando il Dottore:  “Fantastico, due mani in più fanno sempre comodo, signor…?” – si intromise.
“Jones, Ianto Jones.” – rispose l’altro, con un leggero sorriso sul viso.
“Bene, allora… Allons-y!”
 
Harry e Louis erano sfiniti. Stavano correndo da circa mezz’ora da quando avevano lasciato la macchina, si erano rifugiati in un vicolo e quasi addormentati lì, per fortuna dopo un attimo di buio si erano ripresi, ed avevano ricominciato a correre, ma forse qualcuno si era accorto che fossero spariti nel nulla, e aveva tentato di rintracciarli, e avevano il presentimento che Paul, la guardia del corpo, li stesse già cercando. Louis stringeva fortissimo la mano di Harry, per paura di perderlo. Correvano nei vicoli, in modo da non essere visti dai paparazzi. Non era previsto che si trovassero senza auto, e arrivare ai mezzi di trasporto a quell’ora di sera, senza essere visti, era pressoché impossibile.
“E’ stata una pessima idea, Harry, pessima!” – urlò Louis fermandosi per recuperare fiato, e rimproverando il fidanzato che aveva avuto la brillante idea di fuggire via per riposare, invece di riposare stavano correndo come forsennati.
“Dai, amore, è divertente!” – ridacchiò – “sembriamo due furfanti.”
“Appunto, ed è colpa tua!” – sbottò Louis, isterico come al solito. Non sopportava quando Harry lo prendeva in giro.
Harry scoppiò a ridere, adorava quando Louis diventava leggermente isterico perché si era trovato in una situazione scomoda, non affatto conveniente per lui. Gli baciò le labbra dolcemente e lo guardò negli occhi con il sorriso sulle labbra, Louis perse un battito del cuore, come ogni volta che Harry gli riservava qualche attenzione particolare.
“Perdonami… ma c’è una cabina telefonica, chiamiamo un taxi e andiamo a casa.” – indicò con il dito un paio di metri più avanti a loro, dove una cabina telefonica svettava. Era un posto un po’ strano dove mettere il telefono, ma… non importava, c’era una via d’uscita, non avrebbero dovuto dare spiegazioni, potevano andare a casa e riposare.
“Ma ci riconosceranno…” – cercò di obiettare Louis, senza successo.
“Fingerai di star male, sei bravo a recitare, no?” – Louis odiava le frecciatine di Harry, ma il riccio era fatto così, ogni tanto doveva sottolineare acidamente quanto fosse contrario alla relazione finta di Louis con la Calder. Non la sopportava, era la gelosia a parlare per lui, ma era arrivato ad un punto in cui non sopportava più nulla. Louis si ritrovò costretto ad annuire, e con Harry si avvicinò alla cabina. Il riccio tentò di aprire la porta, ma sembrava bloccata. Forse era vecchia, e quindi inutilizzata. Poi notò un piccolo luccichio per terra, e notò la chiave.
Perché qualcuno sano di mente, avrebbe dovuto chiudere a chiave una cabina del telefono?
La raccolse da terra, e notò che la cabina avesse davvero una serratura. La cosa era sempre più strana, ma avevano bisogno di quel taxi, subito. Inserì la chiave nella serratura e aprì la porta. Una volta dentro, spalancò gli occhi.
“Oh mio dio, è più grande all’interno!” – urlò, e iniziò a girare per ‘la cabina’, guardando ogni piccolo angolo, ogni centimetro di essa. Era un piccolo patrimonio tecnologico, anche se Harry non capiva affatto come si utilizzasse.
Louis non capì subito, ma sentendo l’urlo di Harry si preoccupò non poco, e corse all’interno della cabina abbandonata, spalancando anche lui gli occhi.
Com’era possibile?
Uscì fuori per capire come fosse possibile, ma poi dei passi vicini lo spinsero a chiudere in fretta la porta. Doveva dirlo ad Harry, dovevano nascondersi. Erano finiti in qualcosa di più grande di loro, e non potevano scappare.
Perché quella cabina era enorme all’interno?
Perché era chiusa?
E perché la chiave era per terra?
E se li avessero rapiti?
“Harry!” – urlò al compagno, terrorizzato. Non sapeva cosa stava accadendo e quelle persone si avvicinavano, aveva una brutta sensazione, davvero tremenda, e doveva sbrigarsi ad avvisare Harry, erano in pericolo, qualcuno poteva fargli del male, e lui non voleva che ad Harry avessero fatto del male, ne era sicuro, il riccio avrebbe lasciato che ne facessero a lui, piuttosto che permettergli di farne a Louis. Il castano ne era certo.
“Cosa c’è, amore?” – chiese Harry – “mio dio, hai visto che figata questo posto? C’è anche un computer!” – esclamò indicando con il dito uno schermo su cui comparivano dei segni strani.
“Harry, siamo in pericolo, ci sono persone che si avvicinano, e se fossero i padroni di questa… cosa?” – chiese allarmato, facendo distaccare il giovane Styles da tutto ciò che stava osservando.
Dovevano nascondersi, ma dove? Quella ‘cabina’ era tanto grande, ma non aveva nessun posto utile per potersi nascondere, e… dove dovevano andare?
Louis tremò ed Harry si premurò di abbracciarlo e stringerlo forte. Non potevano nascondersi, e qualcuno si stava avvicinando. Non sapeva se sarebbero sopravvissuti o no, quindi fece la prima cosa che gli venne in mente di fare. Lo afferrò per i fianchi e lo baciò dolcemente. Louis parve sorpreso, invece di cercare un riparo, lo baciava?
Forse era vero, non dovevano preoccuparsi troppo, forse era l’ultima occasione, aveva ragione Harry, dovevano solo stare insieme. Si erano cacciati in un guaio con le loro stesse mani, e ormai non potevano far nulla.
Le voci erano vicinissime.
“Charlotte, la chiave?” – chiese una voce maschile. Louis si irrigidì tra le braccia di Harry, che lo strinse più forte a sé, come per proteggerlo da coloro che stavano per entrare.
“Ehm… non ce l’ho.” – disse una voce femminile. Il castano si lasciò leggermente andare, tra le braccia di Harry. Avevano una possibilità per farcela, per non farsi male. Dovevano solo stare tranquilli, loro non potevano entrare, la chiave l’avevano loro.
“Come non ce l’hai?” – strillò l’altra voce – “okay, okay. Sarà qui intorno, da qualche parte. Jack, cercala!” – esclamò.
“Scusa… io… non lo so, l’avevo messa in tasca.” – sospirò la ragazza – “m-mi dispiace, i-io non volevo… oh cavolo, sono inutile… io…”
“Ehi, tranquilla. Ho sempre lo schiocco di dita per aprirlo, d’accordo?” – le disse con la voce inclinata alla dolcezza, e i due ragazzi all’interno della cabina sbiancarono. Cos’era, uno strano sogno in cui erano piombati?
Cabine all’interno più grande, un uomo che poteva aprirla con uno schiocco di dita…
Tic.
La porta si spalancò, rivelando i due ragazzi, che davanti al pannello di controllo del TARDIS si abbracciavano. Uno tremava, l’altro cercava di rassicurare l’altro.
“Harry Styles e Louis Tomlinson!” – urlò la ragazza, guardandoli estasiata. Erano loro, erano davvero loro.
Si portò una mano tra i capelli, ridendo. C’erano anche loro in tutta quella storia, era… fantastico, davvero fantastico.
“Ecco, abbiamo capito chi ti ha rubato la chiave, Charlotte.” – disse l’uomo con i capelli scuri, rivolgendosi alla ragazza, mentre i due ragazzi spalancavano gli occhi. Louis iniziò a tremare, mentre l’altro lo spinse dietro di sé, proteggendolo. Anche se erano stati riconosciuti, quelle persone potevano avere cattive intenzioni, e lui non avrebbe mai permesso a nessuno di far del male a Louis.
“No, noi…”
“Silenzio!” – proruppe l’altro uomo, quello grosso, con un fucile enorme in mano, mentre un altro moro dietro di lui, gli faceva abbassare l’arma. – “anzi ditemi. Di che razza siete? Perché volete rubare il TARDIS?”
Louis sbiancò. Erano dei neonazisti?
Ci mancava solo quello.
Avrebbe preferito un esercito di fan agguerrite pur di avere un autografo, piuttosto che quel tipo di fronte. Era inquietante.
“N-non vogliamo ru-rubare nulla, d-davvero…” – balbettò il riccio, leggermente a disagio. Voleva solo proteggere Louis, a lui potevano fare di tutto, ma non dovevano toccare Louis.
“Da che pianeta venite?” – chiese l’altro uomo con il fucile.
“Jack, Ianto, posate i fucili!” – urlò la ragazza, mettendosi davanti ai due. – “sono due cantanti, li conosco! Li state spaventando a morte, suvvia!”
“Parleranno durante il viaggio, dobbiamo andare via, subito” – interruppe l’altro, il primo che era entrato. Tutti gli altri annuirono, e finalmente quelli che si chiamavano Jack e Ianto abbassarono le armi, posandole per terra, ed andarono ad aiutare il Dottore a mettere in moto il TARDIS, mentre la ragazza si avvicinava a Harry e Louis per tranquillizzarli. Porse gentilmente la mano al riccio sorridendo.
“Io sono Charlotte Ellis, loro sono Jack Harkness” – indicò il castano che fece un gesto veloce con la mano in direzione dei due nuovi arrivati – “Ianto Jones” – indicò l’altro, che fissando Jack ammirato, non notò che si riferissero a lui – “e il Dottore” – indicò l’ultimo che fece un sorriso esclamando un “Eeehi!” e i due sorrisero leggermente più rilassati. Nessuno voleva fargli del male allora. – “Jack fa solo paura, non è in grado di far del male ad una mosca.”
“Questo lo dici tu, dolcezza, posso fare molto male se lo voglio.”
“Jack, non ora.” – sbottò il Dottore, riportandolo all’attenzione – “piuttosto vieni a darmi una mano”
“Agli ordini, capo!” – esclamò il capitano, andando accanto al Dottore, che gli diede le indicazioni da seguire.
La ragazza prese per le mani i due ragazzi e li fece appoggiare contro una parete dell’interno della cabina, scrutandoli intensamente. I due non avevano aperto bocca da quando erano entrati, ed erano leggermente spaventati. Spiegarono velocemente a lei cosa ci facessero lì, e perché avevano pensato di nascondersi nella cabina.
“Quindi state insieme?” – chiese. Il suo animo da Larry shipper, prese il sopravvento, facendole fare quella domanda fatidica, a cui sicuramente sarebbe seguito un ‘no’, ma lei ci aveva provato.
“Sì.” – rispose immediatamente Harry, sbalordendo il fidanzato, che si strinse a lui – “se morirò almeno mi sarò tolto questo peso. Sì, stiamo insieme, amo Louis, lo amo tantissimo.” – confessò, mentre sul viso del suo ragazzo spuntava un sorriso dolcissimo, e incantato. Harry aveva fatto centro di nuovo.
La ragazza esultò, abbracciandoli entrambi, felice che lei avesse da sempre ragione, quei due si amavano ed era ovvio. Ora ne aveva la certezza assoluta.
“Sono contenta per voi, davvero tanto.” – sorrise guardandoli. Harry si voltò verso Louis, scrutando il suo viso. Era perplesso, felice e… qualcosa che non ancora capiva, dopo tre anni, Louis era ancora un mistero per lui.
“Lo dici tu al neonazista che siamo innocui?” – chiese Louis, ancora spaventato da Jack. E allora Harry sorrise, perché sapeva che quello era il modo di fare di Louis felice ed imbarazzato, cambiare argomento.
Anche se, tutto sommato, aveva fatto bene, quel tipo era davvero inquietante, soprattutto con quei fucili tra le mani. Non che Harry si lasciasse spaventare facilmente, ma… doveva ammettere che quello l’aveva spaventato parecchio. Non si vedevano tutti i giorni fucili di quelle dimensioni.
“Neo cosa? Chi?” – chiese la ragazza alzando lo sguardo verso gli altri – “intendi Jack?” – chiese a Louis, che annuì immediatamente. Jack, quel tipo inquietante, con il fucile enorme che aveva chiesto delle razze. Non si incontrava mica tutti i giorni una persona del genere, dannazione. Charlotte scoppiò a ridere. Jack neonazista? Quella era un’assurdità bella e buona.
“Oh, no, no!” – esclamò – “lui non è un nazista, tranquillo, vero capitano?!” – urlò nella sua direzione.
“Oh li ho conosciuti i nazisti, gente non raccomandabile, non sono uno di loro mi dispiace!”
“Già…” – concordò il Dottore – “che brutta persona Hitler, io l’ho conosciuto, sapete?” – chiese, guardando espressamente Charlotte, che parve pensierosa. L’aveva beccata, una cosa su di lui che non sapeva, finalmente.
“Okay, mi beccata. Questa non la sapevo. Ma è l’unica!” – sbuffò incrociando le braccia al petto, mentre il cosiddetto Dottore si lasciava andare in una sonora risata insieme al capitano Jack e il ragazzo silenzioso, Ianto.
I due cantanti spalancarono gli occhi. Che assurdità erano mai quelle? Come avevano potuto quelle persone incontrare Hitler se non sembravano essere così anziani? Anzi, erano giovani e… Jack maneggiava bene i fucili, un vecchietto non ce l’avrebbe mai fatta. Rabbrividirono di nuovo, e si schiacciarono contro la parete, cercando di sparire. Come potevano trovarsi in quella situazione, perché non li avevano lasciati andare?
“Io lo sapevo che dovevamo restare con gli altri…” – mormorò Louis con il volto affondato nel collo di Harry, mentre il riccio lo stringeva per un fianco, e lo rassicurava dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che l’avrebbe salvato a qualsiasi costo. Era pronto a tutto pur di salvare Louis, e non avrebbe permesso a nessuno di nuocere alla salute del suo fidanzato, era una promessa che faceva a se stesso e a Louis, l’avrebbe protetto, costasse quel che costasse.
“Dov’è che andiamo?” – chiese Harry, spaventato appena.
“Camelot.”
 
Intanto a Camelot, Merlin, rimasto fuori dalla cabina, ancora non capiva cosa dovesse fare. Insomma, gli aveva detto di non battere ciglio, non davanti alle statue, perché se quelle erano fissate da esseri viventi, allora erano immobili. Forse era per questo che agivano solo di notte, quando tutti dormivano e nessuno li guardava, ecco perché la gente spariva di notte, non perché – come sosteneva Uther – potenziali stregoni fuggivano dalla città, ma perché sventuratamente venivano uccisi da quelle statue.
Dovevano stare attenti, molto attenti.
Ritornò velocemente al castello, sperando che Arthur dormisse ancora, ma quando entrò nelle sue stanze, lo trovò già in piedi, con le braccia conserte al petto e un’espressione adirata sul viso.
“Dove. Sei. Stato?” – sibilò – “perché Lady Charlotte fuggiva con te stamane?” – chiese afferrando la spada, e avvicinandosi minacciosamente a lui – “perché Merlin, perché?!” – urlò brandendo la spada, spingendo il povero servitore ad indietreggiare.
“Arthur, Arthur calmatevi!” – urlò parandosi il viso con le mani terrorizzato. Non aveva mai visto il principe così furioso, almeno non di prima mattina. La mattina Arthur era docile, quasi dolce, e a Merlin faceva sempre tanta tenerezza, ma quella mattina qualcosa aveva fatto scattare la sua ira, qualcosa che nemmeno il servo comprendeva.
“Allora sarà meglio per te che mi risponda.” – sussurrò minacciosamente ad un palmo dal suo viso. Lo sguardo di Merlin si spostò dalla spada al petto nudo del principe, e inevitabilmente il giovane mago arrossì visibilmente, notando la spaventosa vicinanza con il suo stramaledettissimo principe.
Perché la sua vicinanza gli faceva quell’effetto disastroso?
“Lady Charlotte… voleva fare una cavalcata… le ho mostrato la strada sicura e John Smith l’ha accompagnata, tutto qui…” – deglutì, e poi sospirò vedendo che la spada di Arthur si allontanava da lui, aveva temuto il peggio per un attimo.
“Smettila di mentirmi, Merlin, tu non dovresti farlo.”
“I-Io non vi mento affatto, i-io…”
“So tutto!” – urlò – “so tutto, tu sei un mago, sei un mago e mi hai mentito per tutto questo tempo, e io odio chi mi mente, come odio quelle persone che mi hanno ingannato!” – urlò furioso, brandendo la spada che sfiorò la testa del mago e si conficcò nel muro. Il respiro del servo era accelerato, come il suo battito cardiaco, tutto stava prendendo la piega sbagliata quella mattina, tutto stava andando male.
“D’accordo, i-io vi ho mentito, è vero, sono un mago, uccidetemi pure, m-ma la ragazza no, lei non ha mentito.” – deglutì il mago, spaventato a morte dall’atteggiamento del suo principe. Il giorno prima era la dolcezza fatta uomo, quella mattina sembrava una furia, aveva più paura di lui quella mattina più di qualsiasi altro giorno. – “da-da quanto tempo sapete della magia…?”
“Da sempre.” – sospirò – “ti ho sentito una volta, hai pronunciato delle parole strane. Io… credo che fossi stato avvelenato. Mi hai salvato la vita, quella volta.” – posò la spada, facendola cadere per terra, odiava vedere Merlin terrorizzato, soprattutto a causa sua. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro profondo. Non sapeva cosa l’avesse spinto a comportarsi così, ma sapeva che era qualcosa di strano, proveniente da lui stesso, dal suo… cuore.
E’ una scenata di gelosia, davvero? – pensò il mago, guardando sbalordito il principe che afferrava una camicia e la indossava. – “scusa, non volevo urlare. Ero solo… infastidito.”
Merlin annuì e ringraziò di cuore chiunque esistesse che quel giovane si fosse calmato. Dopo averlo aiutato a vestirsi, si recò con lui dai due prigionieri e portò loro qualcosa da mangiare. Qualcosa gli diceva che non fossero pericolosi, ma prevenire era meglio che curare, anche a quei tempi. Subito dopo, passarono dai due ospiti, a cui furono dati degli abiti di ricambio e fu servita loro la colazione. Siccome tutti a corte, avevano notato che quell’uomo fosse particolarmente dotato per scoprire le cose impossibili – quella notte, infatti, preso da un attacco di insonnia e noia, aveva smascherato una serva che rubava dei viveri dalle cucine, preso un ladro entrato a palazzo e sventato un crollo di una pila di sacchi di grano, pareva che avesse sentito nelle mura che qualcosa fosse instabile nelle fondamenta, e le sue teorie furono tutte veritiere – fu chiesto lui di indagare sulle misteriose sparizioni.
Sherlock, invece, cercava ancora di dare una spiegazione logica a ciò che stava vivendo. Non era possibile trovarsi in quella situazione, o era un sogno o un brutto scherzo di Moriarty che non si era ancora fatto vivo. Solo quelle potevano essere le soluzioni, lui non era stupido, lo sapeva.
“Sherlock, per favore, ragiona.” – lo implorò John seguendolo – “hai fatto tutte le teorie possibili e stanotte per la noia hai aiutato il re.” – sbuffò esasperato – “appena torna quel tipo, il Dottore, gli chiediamo come tornare a casa, fine della storia, ma ti prego, ha detto che non è sicuro, ci sono delle statue assassine!”
“Oh, per favore, John, ragiona tu!” – sbottò Sherlock – “non possono esistere statue assassine, saranno robot, e io devo scoprire chi c’è dietro.”
“Quando fai così sei davvero insopportabile, lo sai?”
“E tu sei il solito che non capisce quando è il tempo di smettere di fantasticare come i bambini.”
John sbuffò e si arrese.
“Bene, indaga da solo” – sbuffò allontanandosi – “ma non battere ciglio!”
Sherlock lo ignorò e continuò a camminare, prima di trovarsi davanti una statua. Aveva gli occhi coperti e sembrava innocua, per un attimo si voltò per cercare John, fu un solo attimo, perché quando si girò di nuovo quella era cambiata, diventando spaventosa. Le mani erano protese in avanti, la bocca spalancata, i denti aguzzi…
“J-John… John!” – urlò. Cercò di tenere gli occhi aperti, non doveva battere le palpebre né girarsi. Lui era abituato alle sfide estreme, ma quella cosa era davvero inquietate. – “John!” – urlò ancora, sperando che l’amico arrivasse in tempo, che lo aiutasse. – “John! John!”  
John non arrivò, ma la città si popolò di nuovo, e l’angelo restò in quella posizione, mentre Sherlock ne approfittava per correre via, a cercare John. No, non sarebbe rimasto più da solo con quei… mostri intorno a lui. Oh, no. Non l’avrebbe fatto mai più.
Quando trovò John, lo trovò impegnato in una conversazione fitta con quattro ragazzi.
Due erano il principe e il servo incontrati il giorno prima, e gli altri due?
“Quindi siete di Lima in Ohio?” – chiese John guardando i due, che annuirono – “e vi siete trovati qui, a causa di una statua.”
“Sì, signore.” – confermarono i due.
“John!” – urlò di nuovo Sherlock, correndo verso di lui. – “l’ho visto…” – deglutì sussurrando, senza essere sentito da nessuno, era strano, lui non aveva mai paura di nulla, ed avere paura era una sensazione nuova, come il fastidio che provava vedendo John con i ragazzini vicino.
“Sherlock, cosa c’è?” – chiese il medico, non avendolo sentito esprimersi, ma avendo sentito solo il suo nome.
“Sono due studenti” – spiegò brevemente – “dal fatto che si tengono per mano, direi che siano fidanzati. Vi siete conosciuti a scuola, vero?” – chiese, senza permettere a nessuno di replicare – “a giudicare dal battito cardiaco, avete molta paura, e… oh avete avuto una discussione da poco.” – completò la sua deduzione, terrorizzando ancora di più i due ragazzi appena giunti.
“Io sono Kurt” – disse quello più alto, con gli occhi azzurri – “Kurt Hummel…”
“E io sono Blaine Anderson” – si presentò quello con i capelli scuri e gelatinati. I presenti annuirono, e capirono che anche loro erano vittime delle statue a forma di angelo con gli occhi coperti.
Com’era che li aveva definiti il signore che si faceva chiamare Dottore? Ah sì, Weeping Angels.
“Quindi siamo in sei ad essere arrivati qui a causa delle statue. Noi due” – fece indicando sé stesso e John – “voi due” – indicò i due ragazzi di fronte a sé – “e i due rinchiusi nelle prigioni.” – decretò.
Iniziava a capire di trovarsi in un contesto completamente irrazionale?
Forse la vista di quella cosa gli aveva dato l’input che serviva per ragionare non-normalmente, o forse si era convinto che quello era il piano di Moriarty, chi lo sapeva, ma non avrebbe dato la soddisfazione a nessuno di batterlo, nemmeno in un contesto del genere. Forse era proprio di quello che aveva bisogno per non annoiarsi totalmente a casa, come aveva fatto fino a quel momento. Oh, forse era anche Mycroft che cercava di metterlo in difficoltà, non importava, chiunque fosse, non l’avrebbe spaventato, lui era Sherlock Holmes.
“Come è successo? Che stavate facendo?” – chiese subito ai due.
“Eravamo in strada.” – disse Blaine – “Kurt quel pomeriggio aveva visto una cosa strana ed era spaventato…” – disse il primo, guardando gli altri che gli ponevano le domande con una strana espressione sul viso, quasi terrorizzata.
“… Blaine voleva confermarmi che non fosse vero quello che avevo visto, e siamo tornati lì…” – continuò l’altro, visibilmente terrorizzato, per Sherlock non ci volle molto a capire chi fosse l’anello debole tra quei due.
“… poi non ricordo nulla, avevo visto la statua ferma, e gli stavo dicendo che non era vero e poteva stare tranquillo…” – continuò ancora Blaine, stavolta tremando un po’ di più, perché c’era stato quel momento di vuoto totale di cui non ricordava nulla, ed era un’orribile sensazione.
“… poi era tutto buio, e ci siamo risvegliati qui.” – completò Kurt, ora terrorizzato a morte, quasi quanto Blaine, che però lo abbracciò immediatamente per tranquillizzarlo. Kurt era decisamente l’elemento più fragile secondo Sherlock, e non si sbagliava, ne era assolutamente certo.
“Ma che diavolo di storie sono?” – sbottò Arthur – “non ha senso, Merlin!”
“Lo so, nemmeno per me ne ha, ma è successo, dobbiamo risolverlo.” – sorrise verso il principe, che sembrò più rilassato. Ed annuì. Dovevano parlare con i prigionieri, anche loro si erano trovati lì a causa di una statua. Dovevano capire il più possibile su quella specie di avvenimenti strani che stavano accadendo nella città. Non potevano più starsene con le mani in mano, se era vero che da altre epoche si spostavano persone nella loro epoca, e viceversa, dovevano salvaguardare il popolo. Merlin aveva fatto bene a parlarne con lui, era sicuro che il principe quella volta sarebbe riuscito a trovare una soluzione.
Una volta tornati al castello, Arthur andò nelle segrete, mentre lui, prima scortò Sherlock e John nelle loro camere, e poi ne concesse una delle altre ai due appena arrivati, diede loro degli abiti consoni al secolo in cui si trovavano, e poi si diresse da Gaius a chiedere se per caso avesse scoperto qualcosa riguardo quei pezzi di legno usati come armi dai due stranieri.
“Meraviglioso, questa contiene la piuma di una fenice.” – spiegò il cerusico, quando Merlin gli pose la domanda – “è un esemplare molto raro di una specie magica, questo strumento dev’essere molto raro.”
“E… quindi i due stranieri sono…?”
“Maghi, come te, sì. Ma di un altro secolo.”
A Merlin brillarono gli occhi. C’erano dei maghi giovanissimi del futuro e lui perdeva tempo in chiacchiere? Doveva subito parlare con loro, ma non avrebbe detto niente ad Arthur, per non metterlo davanti ad una scelta difficile. Aveva accettato lui, ma ciò non implicava che avrebbe scelto anche gli altri. Non era possibile, era comunque figlio di Uther e detestava la magia. Chissà perché aveva accettato lui…
“Io vado a parlare con loro, Gaius, ci sono tante cose che mi piacerebbe sapere!”
“Certo, capisco la tua voglia di conoscenza, ma attento…” – ma non finì la frase, Merlin esultò di gioia sorridendo.
“Arthur sa tutto, non devo più nascondermi con lui, ha detto che sapeva già tutto, e non mi denuncerà a suo padre, mi ha ringraziato!”
Gaius sorrise rilassato e gli diede la sua ‘benedizione’ così Merlin prontamente corse nelle segrete, dov’era anche Arthur e lo trovò impegnato in un’accesa discussione con i due maghi. Gli stavano spiegando come si fossero trovati lì, e lui probabilmente aveva parlato loro delle statue assassine.
“Ma erano solo una leggenda i Weeping Angels, non esistono davvero.” – protestò il ragazzo dai capelli biondi – “e poi tiratemi fuori da questa gabbia, mio padre lo verrà a sapere.”
“Potrà anche venirlo a sapere, ma non potrà portarti via da qui.” – si intromise Merlin, facendo spuntare un sorriso irrazionale sulle labbra di Arthur, che lo invitò a sedersi accanto a lui di fronte la cella. Il ragazzo dai capelli scuri non parlava, era in silenzio.
“Tu chi sei?” – chiese il mago all’altro mago. Era quello a cui aveva sottratto la bacchetta durante lo scontro la notte precedente.
“Harry Potter, signore.” – rispose subito, mentre l’altro storceva il naso e andava a sedersi in un angolo della cella. Doveva fare qualcosa per andarsene da lì, lui era un Malfoy, non poteva essere rinchiuso. – “una domanda, signore.” – fece poi Potter. Merlin annuì e lo incitò a continuare.
“Da quando Merlin era un ragazzo?”
Merlin spalancò gli occhi, mentre Arthur scoppiava a ridere.
“Cosa dovrebbe essere, una donna?” – chiese con sarcasmo, mentre il mago con gli occhiali arrossiva vistosamente.
“Potter, non ne fai una giusta, ti trovi davanti un grande mago come lui e dici una cosa così stupida?”
“Io ho letto di lui che era un vecchio, cosa vuoi da me?” – sbottò l’occhialuto, scusandosi subito dopo con Merlin per l’infelice domanda portagli. Arthur si alzò e afferrò il suo mago per una spalla, aiutandolo ad alzarsi. Le guardie avevano annunciato il ritorno a palazzo di Lady Charlotte e del suo fidato cavaliere, per questo loro dovevano andare ad accoglierli. Quando Arthur però uscì fuori dal palazzo, trovò Lady Charlotte scortata da ben cinque persone, magari avevano mandato dei cavalieri a riprenderla? Probabile.
La salutò con il baciamano, come al solito e poi la scortò all’interno del castello.
“Dobbiamo parlare con il re” – disse il Dottore, arrivando subito al sodo. Ma Arthur disse loro che quella mattina, il re non fosse presente, quindi avrebbero dovuto aspettare il pomeriggio.
Tutti annuirono, e concordarono anche sul liberare i due prigionieri, si riunirono nella sala da pranzo del palazzo del principe Arthur, e fu discussa tutta la questione prima con lui, che sembrava di larghe vedute e disposto ad aiutarli. Il Dottore disse lui tutta la verità, e spiegò brevemente cosa fossero i Weeping Angels, Sherlock confessò di averne visto con orrore uno da vicino e anche Kurt diede la sua versione dei fatti. Di nuovo furono fatte le raccomandazioni da parte del Dottore, e tutti concordarono che lui avesse ragione, in fondo, era il più anziano – letteralmente – e quindi quello con più esperienza, ergo tutti dovevano fare ciò che diceva lui, e ascoltare ogni sua parola. Per Charlotte e Jack non era un problema, loro lo avrebbero ascoltato parlare a macchinetta per tutto il tempo necessario.
Fu eletto anche come portavoce presso il re, perché quello era il compito più arduo, far capire al re che non erano stregoni che volevano portare la magia a Camelot per distruggerla, ma solo aiutarla.
“Solo una domanda… Dottore.” – fece Arthur. – “voi siete uno stregone?”
“No. Un Time Lord.”
 
Quando la sera Uther fece ritorno, fu chiesta l’udienza.
L’aria era a malapena respirabile tant’era l’ansia che circolava tra tutti. Nessuno era tranquillo, tutti avevano paura che tutto andasse male tutti temevano il peggio, che effettivamente arrivò.
“Sono il Dottore” – si presentò – “parlo a nome di tutti i presenti, noi sappiamo la causa delle sparizioni.”
“Ebbene?”
“Sono Weeping Angels, sire, una razza antica quanto l’universo. Non si sa da dove vengano, ma si nutrono di energia che accumulano quando una preda viene mandata indietro nel tempo.”
“E’ stregoneria!”
“No, non è stregoneria, sono le statue, sono alieni!”
“Padre, forse sarebbe il caso di ascoltarli...” – tentò Arthur, forse se il padre avesse visto che non c’era niente di male, che suo figlio si fidava degli stranieri, forse c’era qualche speranza, ma l’odio verso la magia di Uther, era talmente radicato, che anche in passato non aveva creduto al figlio, e aveva portato Camelot quasi alla disfatta.
“No! Lui e i suoi amici sono degli stregoni, li farò giustiziare!” – lo interruppe subito, e Jack già stufo di sentirlo urlare ‘stregoneria’, si fece avanti, facendo avanzare subito le guardie che gli puntarono le spade addosso.
“Woh, calma belli, non voglio fare niente al vostro re” – sbuffò infastidito, poi si rivolse ad Uther, che lo guardava oltraggiato. – “in quanto a voi, re Uther, ascoltate il Dottore, lui ha sempre ragione.”
“Jack, ti prego” – cercò di farlo ragionare il Dottore, senza risultato. Jack continuò imperterrito, fino a che stufo non afferrò il cacciavite sonico del Dottore, e con esso si avvicinò alla porta, aprendola subito.
Uther saltò in piedi, e urlò che quella fosse stregoneria. Jack fu preso dalle guardie e messo in ginocchio davanti ad Uther. Nel portarlo via, le guardie fecero cadere accidentalmente il cacciavite, afferrato poi da Charlotte, e nascosto sotto il suo vestito.
“Giustiziatelo, ora!” – urlò Uther fuori di sé, mentre una guardia perforava il costato del capitano con una spada. Tutti dietro di lui inorridivano, a parte il Dottore, Ianto e Charlotte, che sapevano cosa sarebbe accaduto successivamente a lui. Fu portato via e gettato in strada, come ‘pasto per gli avvoltoi e i cani’ – così aveva detto Uther, e tutti gli altri furono spostati nelle segrete.
Erano spacciati. Il Dottore non aveva avuto successo con Uther, ma senza l’intervento di Jack non avrebbero avuto il modo di organizzare un piano degno di quel nome per sconfiggere le statue.
“Vi farò scappare, promesso.” – mormorò Arthur ai prigionieri, mentre li chiudevano dentro, poi sparì insieme a Merlin. Doveva per forza trovare un modo per farli fuggire, ne andava della salvezza di Camelot. Non ce l’avrebbe fatta da solo con Merlin, non quella volta, necessitavano dell’aiuto di qualcuno.
Ianto sospirò, sentendosi incredibilmente solo. Sì, Jack aveva salvato il Dottore, ma ora lui si trovava dannatamente solo, e odiava sentirsi così. Stava bene solo quando Jack era nei paraggi, e in quel momento non c’era.
Kurt era terrorizzato, e si stringeva forte a Blaine, cercando un po’ di coraggio e sicurezza in lui, che a sua volta era spaventato, leggermente meno di Kurt, per la sorte che li avrebbe attesi.
Louis era completamente schiacciato su di Harry, e più lo stringeva, più sentiva di perderlo, non voleva, aveva paura anche lui. Odiava trovarsi in quelle situazioni, e non poteva farci nulla, il riccio invece cercava di aiutarlo a mantenere la calma più che poteva, l’aveva promesso, l’avrebbe difeso da tutto.
Sherlock era in piedi a riflettere, e a guardare fuori. La luna stava spuntando, il primo giorno in quella situazione così strana era appena passato, e ancora non aveva capito perché provasse quel fastidio ogni volta che qualcuno era con John, che era addormentato per terra, appoggiato ad una parete.
Draco ed Harry – Potter – battibeccavano come al solito, ma entrambi erano tremendamente spaventati, non avevano le loro bacchette, e non sapevano come difendersi. Merlin aveva distrutto quella di Draco e ‘rubato’ quella di Harry.
Infine, il Dottore, appoggiato ad una parete con una gamba piegata all’insù, e l’altra distesa in avanti, ospitava sulla sua spalla la testa della giovane Charlotte, placidamente addormentata e rinchiusa senza che avesse fatto nulla.
Li avevano anche fatti mettere nella stessa cella, grazie alla saggia scelta del futuro erede al trono.
Merlin ed Arthur invece erano nelle stanze del principe, che non aveva voluto restare solo. Erano placidamente appoggiati entrambi sul grande letto di Arthur e Merlin si lasciava accarezzare senza protestare. Forse era così che doveva andare, forse dovevano scoprire di provare qualcosa l’un per l’altro.
Forse mi sono innamorato. – pensò sorridendo il mago, prima di addormentarsi, quasi con la testa sul petto del principe, che appena lo notò, sorrise dolcemente, prima di seguirlo tranquillamente nel mondo dei sogni.
Quella fu la notte più lunga per tutti. 
 
To be continued...
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Ben ritrovati signori e signore lettori/lettrici.
Visto come sono veloce? E no, Lu non voleva per niente che pubblicassi oggi, lei voleva direttamente ieri. LOL
Allora, facciamo la conoscenza di Uther, che è odioso, as always.
I Larry si intrufolano nel TARDIS perchè Charlotte ha perso la chiave e... beh, siamo pieni di fluff da qualche parte.
Piccola parentesi per Charlotte... è me. Praticamente, solo con nome nazionalità ed età diversa LOL 
Sherlock ... è semplicemente stupendo.  Quanto sono carini tutti a ricordare a lui e John che sono una bella coppia? Aw, aw. 
Arthur è l'unico che ragiona decentemente qui, a parte il nostro amato Ten. Che voi non avete idea di quanto mi manchi, okay Eleven è simpatico, ma Ten.. era perfetto.

Jack muore, ma non muore realmente, chi segue Torchwood e DW sa cosa gli succede. 
Blaine è stupido, e un po' detestabile, ma non avevo ancora visto la 5x01. Ew, tenetevelo così.

Sono tutti imprigionati.
E non voglio spoilerarvi nulla, ma ne vedremo delle belle.
Ringrazio le poche persone che seguono questa cosettina e spero che piaccia a chiunque legga. 
Ciao dolcezze (sto abusando delle citazioni di DW nei saluti, ma ehi, siamo nel fandom di DW)
Alla prossima 'puntata'!

 
   
 
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