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Autore: y3llowsoul    04/10/2013    1 recensioni
Le quattro mura grigie, il vuoto della stanza, l'umidità, il freddo – tutto gli faceva, in modo inquietante, pensare a un carcere. Il fatto che non sapesse che cosa intendevano di fare di lui non migliorava il suo stato e non sapeva neanche che cosa dovesse pensare del fatto che per quanto sembrasse non lo sapevano neanche loro. Sembrava che l'avessero semplicemente spostato lì finché il problema non si fosse risolto da solo. Per esempio tramite Charlie se si fosse deciso a lavorare di nuovo per loro. Oppure se avessero concluso i loro affari. Oppure se Charlie si fosse suicidato.
Charlie collabora a una missione segreta. Don cerca di venire a sapere qualcosa della faccenda, ma quando finalmente ci riesce, non è una ragione per rallegrarsene, e per la famiglia Eppes cominciano periodi brutti.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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33. Punti deboli

 

Another mother’s breaking, heart just taking over.

And the violence caused silence. We must be mistaken.

It’s the same old team since 1916.

In your head, in your head they’re still fighting

With their tanks and their bombs and their bombs and their guns.

In your head, in your head they are dying.

(The Cranberries, Zombie)

 

«Ne hai bisogno urgentemente?»

Rosenthal guardò in alto. Alla sua porta c'era Cedric Patter e per qualche ragione era un bene vederlo. «Hai trovato qualcosa?»

«Credo di sì. Non ho potuto esaminare le conversazioni in ogni dettaglio per ora, ma penso che il suo migliore amico sia un obiettivo adeguato».

Esitò per un attimo aspettando una prima reazione. Venne: Rosenthal inarcò le sopracciglia. «Sto ascoltando…»

«Si chiama Lawrence Fleinhardt; il professore però lo chiama Larry. Sono colleghi e a quanto pare si conoscono da sempre, non ho ancora approfondito la cosa. Ma a quanto ho capito dalle conversazioni, questo Fleinhardt sembra essere una sorta di figura paterna per Eppes. E' possibile che sbagli, comunque si conoscono benissimo, sono amici da anni e sono molto stretti. Inoltre quel professore probabilmente sarebbe facile da assalire in qualche modo; in ogni caso più facile del fratello, per esempio. E con Fleinhardt colpiremmo il professore probabilmente dove meno se l'aspetta».

Rosenthal annuì. Sembrava un piano promettente. Poteva semplicemente aver fiducia in Patter, soprattutto considerando che gli aveva dato quell'incarico solo il giorno prima. Mancava solo un piano. Ma Rosenthal aveva già un'idea...

 

- - -

 

Mentre Don e Megan erano andati in aereo a Jackson per continuare le loro indagini lì e investigare su Anna Silverstein, David e Colby erano rimasti in Nebraska per continuare a controllare il personale. Avevano considerato più intelligente non puntare tutto su una sola carta, ma lasciare aperte altre piste.

Don e Megan erano atterrati circa da un'ora appena fuori Jackson e adesso si trovavano in una zona poco lontana del centro. Stavano davanti ad una palazzina un po' vecchia ma in buono stato e controllavano i nomi dei campanelli. Alla quarta riga in basso, infatti, c'era "A. Silverstein".

Quando una donna anziana con un sacchetto della spesa vuoto uscì dalla casa, loro entrarono e salirono le scale verso l'appartamento della loro sospetta.

Don e Megan non suonarono finché si furono assicurati che non ci fosse un'altra via d'uscita dall'appartamento eccetto la porta d'ingresso. E siccome l'appartamento si trovava al terzo piano, speravano che quell’Anna Silverstein non sarebbe mai stata così matta da saltare dalla finestra. Se aveva una buona spiegazione e poteva aiutarli alla ricerca per Charlie, non avrebbe avuto una ragione per un atto così disperato.

La porta venne aperta e Megan e Don tesero i loro distintivi verso una trentenne. Don fu un po' sorpreso di vedere due bambini dietro la donna, un ragazzo e una ragazza, di circa dieci anni – Doris Conrad non aveva detto niente che lasciasse pensare che Anna Silverstein avesse dei bambini –, ma fu ancora più sorpreso delle numerose scatole di cartone che si intravedevano, l’una sull’altra. La Signorina Silverstein si stava preparando per fuggire da loro?

«Signorina Silverstein? FBI. Avremmo qualche domanda per lei».

La donna spalancò gli occhi. «FBI?» Ci mise un po' prima che il suo cervello sembrasse di nuovo pronto a connettere. «Un attimo». Si girò verso i suoi bambini. «Piccoli, perché non andate a giocare in camera vostra? La mamma deve parlare da sola con i signori della polizia».

«Ma mamma–» protestò il ragazzo.

«Andate in camera vostra!» strillò la madre con una violenza vistosa. I suoi bambini si ritirarono mettendo il broncio, chiusero la porta dietro di loro con un botto inequivocabile e la donna si girò di nuovo verso gli agenti federali. «Che posso fare per voi?»

«Siamo qui a causa del periodo che ha passato nella Clinica Alessio-di-Roma, signorina Silverstein».

La donna deglutì e si voltò indietro verso la porta del dormitorio. «Non sono la signorina Silverstein» disse a bassa voce, fece un passo verso gli agenti e si tirò dietro la porta, stringendola fino ad una fessura alle sue spalle.

Don inarcò le sopracciglia. Lui e Megan si guardarono. «E allora chi è lei?»

«Judy Spark. Anna Silverstein abitava qui prima di me».

«Ma sul citofono c’è scritto Silverstein».

«Non l'ho ancora cambiato. Ci siamo trasferiti solo ieri».

«Possiamo vedere la sua carta d'identità?»

Senza dire altro si ritirò nel corridoio. Don e Megan le tennero d'occhio e fecero attenzione che la porta fra loro rimanesse aperta.

«Ecco» disse la donna infine tendendo loro una carta d'identità che recava, in modo inconfondibile, una sua foto. E il nome accanto era Judy Spark, non Anna Silverstein.

«Sa dove possiamo trovare la signorina Silverstein?» continuò a chiedere Don. Non aveva ancora perso parte della sua diffidenza. La carta d'identità poteva essere falsificata e comunque il comportamento sospettoso di questa donna gli dava da pensare.

Di nuovo lei lanciò uno sguardo sulla porta dietro di sé prima di rispondere bisbigliando: «E' morta. E' stata uccisa».

Don e Megan si guardarono. Megan aveva aggrottato la fronte. «Come lo sa?»

«La signora Marroway, dell’appartamento di fronte, me l'ha raccontato. Non lo sapevo, altrimenti non avrei mai preso questo posto! Ma abbiamo fatto tutto così in fretta, avevamo urgentemente bisogno di un appartamento e poi ho saputo per caso che qui ce n’era uno a buon mercato... non ho nemmeno pensato a fare altre domande! E adesso... è talmente... Sono così felice che i bambini non ne sappiano nulla; è già abbastanza difficile così. Posso dirvelo, sarò felice quando potrò abbandonare questo posto!»

«Quando è stata uccisa?» chiese Don senza far attenzione alle chiacchiere della donna.

«Lunedì scorso, il ventitré».

Don si allarmò immediatamente. Charlie era scomparso proprio quel giorno.

Non ebbe tempo però per collegare i due eventi logicamente, perché Judy Spark continuò: «I vicini hanno detto che è stata pugnalata, nella cucina. Riesco a malapena a mangiare lì. Non si vede più niente, ma quando immagino che giusto al nostro tavolo da cucina un tizio raccapricciante l'ha pugnalato semplicemente così...»

Ammutolì e così non poté sfuggire loro che dietro alla porta chiusa che dava nella camera dei bambini, qualcosa sembrava esser caduto a terra.

Solo in quel momento si accorsero di quanto insolitamente silenzioso fosse l’appartamento. Nella camera dietro la porta c’erano due bambini di dieci anni, ma finora nemmeno il suono più piccolo ne era emerso.

Judy Spark sbarrò gli occhi, si girò repentinamente e aprì la porta della stanza dei bambini. Guardò i due paia d'occhi che erano pieni d'orrore quanto i suoi. Sul pavimento rotolavano due bicchierini. Don poteva ben immaginare cos'era successo; era solito farlo qualche volta anche lui da bambino. I bambini dovevano aver origliato la conversazione mettendo i bicchieri come amplificatori contro la porta. Un metodo d'intercettazione semplice ma molto efficiente.

Don sentì lo sguardo di Megan su di sé e capì. Dovevano andarsene adesso. La signora Spark non sembrava poterli aiutare, tanto più che probabilmente era altrove con i suoi pensieri.

Non avevano fatto progressi. L'unica cosa che sembravano aver ottenuto erano gli incubi di due bambini su una donna senza faccia che nella loro cucina, sotto il loro tetto, al tavolo dove finora avevano solito mangiare, veniva pugnalata al petto.

 

- - -

 

Charlie ne era semplicemente stufo. Voleva andarsene da lì, voleva andare a casa, voleva vedere i suoi amici e la sua famiglia.

«Ha già progettato altri attentati?» Questa volta non era seduto di fronte a Rosenthal, ma ad altri due uomini che anche durante i giorni passati l'avevano interrogato qualche volta, un biondo sulla trentina e un bruno che aveva superato i quaranta.

«No, non ho progettato altri attentati» rispose, esausto. «Voi sapete che sono innocente. Lasciatemi andare, per favore».

«E' un terrorista» gli rammentò il bruno.

«Non lo sono e lei lo sa molto bene. Conosco i miei diritti. Non potete fare questo».

«Eppure lo facciamo».

Charlie deglutì. Non aveva neanche osato sperare di influenzare i terroristi della CIA con le sue parole, ma il fatto che adesso stessero cominciando a smettere di far mistero dell'illegalità dei loro atti a lui faceva correre brividi lungo la schiena. Perché lo facevano? Aveva già altri progetti per lui? Avevano finalmente deciso cosa fare di lui?

L'avrebbero ucciso?

La gola di Charlie fu immediatamente secca – una reazione tremendamente controproducente. Perché adesso doveva difendersi, più che mai: doveva impedire loro di andare fino in fondo.

«Sicuramente... mi staranno cercando».

Il biondo fece apparire un sogghigno derisorio sulle sue labbra. «Chi la sta cercando? Non penserà sul serio di avere qualche amico lì fuori!»

Charlie istintivamente pensò a Larry, ad Amita, suo padre, Don e la sua squadra. Sì, aveva degli amici fuori, ne era certo. E probabilmente lo stavano già cercando.

«Sì. Mi cercheranno».

«Ah sì, certo. Però si è accorto che la cosa potrebbe diventare piuttosto rischiosa per la salute dei suoi amici, no?» Il biondo si sporse un po' in avanti abbassando la sua voce e facendo rabbrividire Charlie. «Suo fratello l'ha già provato». Charlie deglutì. A quell’uomo di certo non era sfuggito quanto lui fosse problematico. «Vorrebbe che rivivesse quell’esperienza?»

La respirazione di Charlie diventò più veloce. No, non avrebbero osato farlo, non avrebbero... vero? Aveva già pensato, sperato una volta che non sarebbero arrivati fino a quel punto, che non avrebbero fatto niente a loro, e si era sbagliato.

Don...

No, Don non sarebbe dovuto venire a cercarlo. No, no, no. L'aveva già desiderato una volta e sperato e l'aveva detto ai suoi avversari. E Don era arrivato ed era morto ed era la colpa sua. E lo sapeva.

«Beh, Dottore? Allora che succederà? Chi altro la cercherà adesso? Uno è già morto, quanti amici fedeli ha ancora?»

Immagini dei loro visi emersero dentro Chralie, di suo padre, di Amita, di Larry, di Megan, Colby e David e di Don, sempre di nuovo di Don...

«Nessuno» rispose a voce aspra. Il suo campo visivo era sfocato, ma almeno quei volti rimanevano distinti. No, non aveva più nessuno che lo avrebbe cercato, non poteva più avere nessuno. Era già assai difficile con Don... No, non conosceva più nessuno lì fuori.

E neanche Don. Non conosceva Don. Non aveva un fratello. Non poteva averne uno, perché altrimenti tutto questo sarebbe stato insopportabile. No, non conosceva Don. La morte di suo fratello non era colpa sua perché non aveva nessun fratello.

Charlie si sentiva meschino, profondamente meschino. Ma si diceva che non stava tradendo le persone che per lui erano importanti fintantoché lui stesso sapeva la verità. Stava solo tentando di proteggerli. Doveva solo fingere con gli altri di non avere più nessuno lì fuori. E forse un pochettino anche con se stesso per non farsi spezzare dal pensiero della morte di Don...

No, nell'intimo del suo cuore Charlie avrebbe sempre saputo che non era da solo. Non si sarebbe mai scordato di loro.

Tremava. Quello... ecco com’era andata! Quella doveva essere stata la ragione per cui non aveva potuto ricordarli. Non aveva voluto qualcos'altro. Li aveva tolti dalla sua vita. Li aveva rinnegati, e questo in un modo talmente profondo che li aveva cancellati completamente dalla sua coscienza.

Era stato un mezzo di protezione, un tipo di protezione doppio, come si stava accorgendo ora, che avrebbe difeso loro e lui. Perché se taceva ai suoi avversari, loro non avrebbero più tentato di eliminare i suoi potenziali salvatori. Ed era stata una protezione per sé stesso perché non avrebbe potuto sopportare di metterli in pericolo. E non avrebbe potuto sopportare la colpa della morte di suo fratello.

Il problema era che voleva che Don lo cercasse. Era come se non avesse imparato niente da tutti gli incubi, sia veri sia immaginari. Perché che cosa sarebbe successo se Don fosse di nuovo venuto a liberarlo? L'avrebbero di nuovo aspettato, gli avrebbero teso una trappola, l'avrebbero ucciso, solo a causa sua, tutto solo a causa sua...

Ma non c’era un "di nuovo", non doveva dimenticarlo, doveva mantenerlo fisso nella testa! All'epoca, Don non era venuto, non l'avevano aspettato, non gli avevano teso una trappola, non l'avevano ucciso. Tutto questo era successo solo nella sua testa. Don era vivo. Don era lì fuori. Don poteva ancora trovarlo.

Ma chi gli diceva che non l'avrebbero ucciso questa volta...? Anche se l'ultima volta... E comunque l'ultima volta c'era stato un cadavere. Qualcuno era morto. Che fosse stato ucciso solo per farlo collaborare con loro oppure se l'estraneo, il finto Don, fosse morto da prima – Charlie non lo sapeva. Ma sapeva che – chiunque fosse il morto – lo avevano umiliato anche dopo la sua morte. Avevano disonorato il suo corpo, l'avevano privato della sua dignità. L'avevano maltrattato per assicurarsi l’aiuto di Charlie e infine ci erano riusciti. Erano senza scrupoli.

E Charlie era stato uno di loro.

  
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