Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Aule    04/10/2013    1 recensioni
[Questa storia partecipa al Contest APH: OC!Antichi stati italiani indetta sul forum di EFP da darllenwr]
La storia di Lucca raccontata in prima persona, dalla misteriosa scoperta del Volto Santo passando per Castruccio Castracani, fino a giungere alla morte con la campagna di Napoleone in Italia.
Una donna, seguendo il consiglio di un' "amica" da tempo morta, decide da aspettare la morte riflettendo sugli avvenimenti della sua vita.
[Presenza "massiccia" di Oc!Repubblica di Lucca, Oc!Repubblica di Firenze, Oc!Repubblica Marinara di Pisa. Accennati Oc!Garfagnana, Oc!Luni, Oc!Longobardia, Oc!Viareggio, Oc!Milano, Oc!Venezia, Oc!Parma, Oc!Pistoia, Oc!Verona, Paesi Bassi, Svizzera, Francia e Nord Italia]
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quarto capitolo


Come divenni merce e Giovanni I mi salvò da Firenze




«Nel 1330 li lucchesi, vedendosi cosi assediati, e vedeansi perdere lo contado, deliberarono di non voler essere sotto lo Comune di Firenze; ma di darsi a qualche signore che gli aiutasse, e difendesse dai Fiorentini»

[Anonimo Pistoiese, Istorie pistoiesi, dal MIII al MIIIXLVIII.]









Castruccio morì il 3 settembre del 1328 nella sua Fortezza Augusta, passato poco tempo dal suo ritorno da Roma dove aveva assistito all'incoronazione del suo imperatore (Ludovico il Bavaro), nel suo studio, febbricitante tra le carte di una nuova guerra contro Firenze. Era invecchiato, non era più il giovane condottiero di una volta e mai come in quegli ultimi suoi giorni mi fu chiaro il peso della mortalità umana e, di riflesso, del destino di pressoché immortalità che attende, a metà tra una benedizione ed un maleficio, tutte noi nazioni.
Mi dissero che era stato colto da febbri malariche nella notte; più probabilmente fu avvelenato.
Non voglio sapere la verità di questo avvenimento, giacché una fine infame guasterebbe il suo onore che io voglio mantenere per sempre puro, bianco e rosso del sangue versato nelle nostre vittorie.
Ricordo che dopo la sua morte rimasi giorni come persa, invischiata in un sogno da cui stentavo a risvegliarmi. Nella mia mente di giovane donna, ancora invasa dagli incerti desideri dell'adolescenza, immaginavo che Castruccio avrebbe potuto guidarmi per sempre sulla via della potenza, che al suo fianco avrei raggiunto la bellezza di Firenze per andare oltre, dritta verso lo splendore dell'immensa Roma. Invece lui era morto, come ogni uomo, ed ogni mio sogno si era risolto in polvere fra le mie mani tremanti.
In realtà non ebbi tempo di lamentarmi troppo e di portare adeguatamente il lutto, dato che lo scorrere del tempo tornò subito a sommergermi, e nel peggior modo possibile.

Nei primi giorni della morte avevamo deciso in via cautelare, sotto consiglio dello stesso defunto prima della sua dipartita ,di tacere sul doloroso avvenimento fino a che quel testardo di Pisa non si fosse arreso al fatto che io sarei stata la sua Padrona per lungo tempo a venire ed avesse accettato come suo signore il figlio di Castruccio, Arrigo(nome che all'epoca però utilizzavo poco, preferendogli il soprannome di “il Duchino”).
Il piano era buono e avrebbe potuto compiersi senza troppi inghippi, senonché accadde (come spesso accade nei momenti più delicati) l'imprevedibile; lo stesso imperatore che aveva tanto amato Castruccio, Ludovico il Bavaro, messo a conoscenza della morte di Castruccio, calò su di noi e prese possesso di Pisa con grande piacere nella disgrazia di quest'ultimo, poi si abbatté su di me come un fulmine, non dando tempo né a me, né agli anziani che avevano tanto ben consigliato Castruccio nel governo, né ad alcun altro di decidere il da farsi.

Gli anni che seguirono furono talmente tanto ricchi di avvenimenti, scontri, sotterfugi, rivolte e battaglie che stento a discernerne una cronologia; le date si accalcano davanti ai miei occhi sempre più miopi, ballano, ora più vicine, ora più lontane, si accavallano in un mare di grida, denaro e sconvolgimenti. E' la prima volta che cerco di trovare davvero un ordine a quello che è successo e spero di riuscirci, ma anche se l'accuratezza storica venisse sommersa dalle sensazioni che si affollano sempre numerose nell'operazione di riesumare ricordi lontani chi potrebbe avermene a male? Nessuno leggerà quello che sto scrivendo ed anche se qualcuno lo facesse in un futuro categorizzerebbe tutto questo come il diario di una pazza, e nessuno si è mai occupato dell'ordine mentale di una povera pazza.

Dicevamo: L'imperatore, dopo avermi conquistato, sotto la spinta dei suoi cavalieri fedeli ai Castracani, permise ad Arrigo di aver parte alla mia vita politica ma egli si mostrò incapace di sedare le lotte tumultuose che si erano sollevate alla morte del suo illustre padre.
Ricordo l'opprimente senso di già visto che mi aveva colto in quei giorni, come fossi tornata ai non troppo lontani tempi dei Bianchi e dei Neri; con nomi ed idee diverse, quello sì, ma con il medesimo odio ed gli stessi morti, ora in nome dei Castracani e dei Di Poggio-
Fu quasi con sollievo che quella prima volta mi feci vendere dall'Imperatore, gli occhi ben saldi in quelli azzurri dell'Impero bambino ed il pensiero alla pace che avrei riottenuto mentre Ludovico porgeva 22.000 fiorini a Francesco Castracani, fratello del mio defunto signore.
Inginocchiata di fronte alla magnificenza dell'Impero Germanico in cuor mio speravo che la cupidigia che muoveva il mio cuore sempre in nuovi e più proficui affari e la cupa testardaggine che spesso mi aveva impedito di agire realmente per il bene dei miei concittadini e della mia bottega non animassero nel medesimo modo l'animo di Arrigo e pregai a lungo per questo, perché la sua umiltà alle autorevoli decisioni dell'Imperatore significavano vita e pace nelle mie contrade.

Purtroppo il Duchino aveva troppo ben assimilato l'essenza del mio carattere e, incurante di cosa realmente mi avrebbe portato giovamento, totalmente preso dall'opera di recupero del potere che gli era stato tolto, fino alla morte impedì la mia pacificazione, anche sotto le dominazioni straniere. Non che le stesse città e signorie a me vicine non tenessero alla mia conquista!
Nello stato precario in cui mi trovavo ero divenuta una pregiata mercanzia in balia del miglior offerente e non passò molto tempo prima che anch'io me ne rendessi conto.


Ad ogni modo, in aiuto di Arrigo accorse Marco Visconti, fratello del più noto Galeazzo.
Egli era stato da sempre un valente alleato di Castruccio e non si era fatto pregare per correre in aiuto del figlio del suo compagno, anche perché questo equivaleva ad allargare l'influenza dell'emergente Milano in Toscana.
Scese in Toscana quasi nello stesso momento in cui l'Imperatore se ne andava, portando con sé il rappresentante della sua città, e riuscì a penetrare facilmente attraverso le mie mura grazie alle amicizie che aveva allacciato con la guarnigione tedesca di stanza nella Fortezza Augusta.

Era il 15 Aprile 1329 quando il Visconti prese il potere, portando al suo fianco il piccolo Milano.

Il suo nome umano era Francesco Castelli e a quei tempi dimostrava qualche anno in meno rispetto a me, ma già era visibile il suo carattere preciso ed ombroso sotto alla patina di gentile reverenza che mi accordava per la mia doppia differenza di essere più grande di lui e per di più donna. Da piccolo doveva essere stato un bel bambino, di quelli intelligenti e restii alle coccole e gli abbracci, nel momento in cui lo conobbi aveva lo sguardo attento e duro di un adulto nonostante le guance ancora piene dimostrassero che era poco era passato dalla sua entrata nell'adolescenza, gli occhi non particolarmente grandi brillavano però di una luce particolare quando leggeva certi enormi tomi che si era portato dalla sua patria. Erano verdi come l'erba nuova in primavera, di un verde intenso che credo possa essere pari solo a quello delle iridi di Inghilterra -solo per questo posso comprendere l'amore distorto che Francia prova per il Regno Unito; è difficile vedere occhi di tal fatta e non rimanerne abbagliati.
Il resto in lui era piuttosto comune d'altro canto; aveva capelli corti e castani, ordinati con un attenzione eccessiva persino per una donna (almeno una donna poco interessata alla cosmesi come me, non certo per Firenze), una corporatura non massiccia come quella di Pisa né dinoccolata come quella di Genova (che ebbi l'occasione di scoprire fosse sua cugina), modi di fare attenti e rispettosi.

Condividevamo la miopia e questa comunione nell'odioso difetto di vista ci avvicinò molto, nel poco tempo in cui condividemmo casa mia senza litigi.
Contrasti che sopraggiunsero non molto tempo dopo, quando Marco palesò finalmente i suoi intenti: voleva vendermi a Firenze con la clausola del suo impegno a non maltrattare i parenti del Castracani.
Rimasi esterrefatta a quell'annuncio, immobile e tremante come se mi avesse colpito una pugnalata.
Poi, infuriata come solo ero stata con Pisa, assalii Francesco ed il suo signore.
Come avevano potuto dare un annuncio così senza nemmeno chiedere il mio parere? Con che onore sarei potuta andare a testa alta per la strada dopo essere stata venduta alla mia peggiore nemica? Con che coraggio, dopo averla tanto duramente umiliata, avrei potuto consegnarmi a lei umile e sottomessa?
Mi vedevo già perduta, trattata come la peggiore delle serve, io, sempre orgogliosa e restia ad un governo diverso da quello che io stessa mi imponevo, usata come straccio, costretta alle peggiori umiliazioni. Passarono giorni prima che la risposta di Firenze circa la mia cessione arrivasse ed ogni minuto che passava mi era doloroso, lo passavo nel più ostinato mutismo nei confronti di tutti, passeggiando ansiosamente da un capo all'altro della mia stanza; solo contare il denaro riusciva a rilassarmi. Poi una mattina arrivò l'agognata lettera: Angelica, nella sua bella scrittura svolazzante, disdegnava un' offerta così incresciosa e la rispediva al mittente con tanti saluti. Leggendo meramente le sue parole vi si poteva leggere un disprezzo per il vile denaro che gli veniva offerto dai milanesi, io dentro di esse vidi però l'orgoglio di una città che avrebbe conquistata la sua vendetta solo tra il fuoco di una battaglia. Un brivido come di felicità e paura allo stesso tempo mi attraversò tutta mentre con fare sprezzante consegnavo la missiva al fratello del signore di Milano, che con rabbia la gettò nel camino.

Mi avrebbe venduto comunque a qualcun altro, dato che non poteva trattenersi più a lungo nella mia città, già lo sapevo, ma sono sempre stata dell'idea che il proprio onore possa ben essere venduto con i lontani se è preservato intatto per i vicini. Con questo spirito venni venduta ad un genovese, tale Gherardino Spinola, e ciò mi permise di conoscere la Repubblica di Genova direttamente e non solo attraverso i racconti distorti di Pisa.
In realtà vidi solo una volta quella ragazza, da lontano e dal mare vicino Luni, il giorno in cui mi portò il mio futuro signore, ma fu un momento significativo per me, tant'è che ne conservo un distinto ricordo. Era in piedi sulla poppa della nave, il volto fieramente alzato verso di me con occhi beffardi, le vesti macchiate dal salmastro e maschili che poco si confacevano ad una signora, pur tirchia che fosse; l'unica nota di femminilità era composta da una semplice spilla che a stento raccoglieva i lunghi capelli neri in una crocchia non curata. A quella vista toccai istintivamente la mia lunga treccia ed il mio vestito semplice ma decoroso, sentendomi un'immensa stupida. Cosa me ne facevo della mia presentabilità ed attenzione di fronte ad un essere che da ogni poro pareva gridare “questa è libertà”?
In confronto a lei mi sentii piccola piccola, misera e gretta come poche volte nella mia vita.

Subito però mi avvidi dei segni che l'avarizia avevano lasciato su di lei, gemelli ai miei: le vele della nave sdrucite ai bordi, la polena scrostata in più punti, i marinai non così solari ed impegnati come mi erano sembrati, ma più accigliati e poco soddisfatti del lavoro che gli toccava di fare (o più probabilmente del salario che gli sarebbe arrivato da questo), l'aria poco rispettabile e signorile di quel Gherardino che pure aveva fama di essere un grande capitano di ventura. Quei piccoli difetti che come crepavano l'immagine di cristallina imperturbabilità che in un primo momento mi ero fatta di Doria mi fecero sentire meglio e potei tirare un sospiro di sollievo; con nuova grazia e decisione, poi, la scrutai dall'alto con i miei occhi d'ossidiana.
Tra di noi nulla ci fu di più che uno scambio d'occhiate, eppure non posso fare altro che ricordarla caramente, come un'amica di un tempo ormai andato, tutto in virtù della nostra comune passione e croce; l'accumulare tesori e lasciare che mettano polvere nella nostra adorazione.
Anche per questo fui subito ben disposta verso il mio nuovo capo e riuscimmo in poco tempo a riportare la mia città ed il contado ad un aspetto perlomeno apprezzabile: i commerci riebbero fiato ed i mestieri del banchiere e del mercante (di conseguenza) un nuovo impulso; in quei tempi la famiglia dei Guinigi prese piede più di altre ed ottenne il mio favore, il che mi fa sorridere perché da essa sorse poi l'ultimo che può vantarsi del fatto di avermi governato: Paolo Guinigi.

Quel periodo fu buono, rispetto a quelli precedenti, e Firenze colse subito il momento in cui ero ancora debole eppure più fiduciosa e quindi meno attenta. Quando mi accorsi dei suoi piani già aveva invaso il mio contado ed inutilmente progettai piani di difesa ed inviai lettere di aiuto a varie mie conoscenze; avrei persa per sempre quella parvenza di indipendenza che possedevo se non avessi saputo cogliere al volo la possibilità di essere mercante di me stessa, cosa che riuscii a fare altrimenti, credo, sarei morta già da un pezzo.

Fu così che, mentre l'assedio alle mie mura era già in stato avanzato e le vivande iniziavano a scarseggiare ed ondeggiavo tra il desiderio di suicidarmi per aver salvo l'orgoglio o consegnarmi ai nemici per salvare più vite possibili, un certo Giovanni I re del Lussemburgo si trovava a passare in Toscana per sbrigare certi affari a Brescia ed io colsi l'occasione al volo per inviare la mia ultima e più accorata richiesta di aiuto. Giravano voci che il rappresentante del Lussemburgo, un tale Raymond, fosse uomo di una certa lussuria e per questo tentai l'ultima mia carta: in cambio di aiuto vendevo me stessa. Con orrore per quello che stavo facendo, sentendomi sporca come se fossi stata immersa nello sterco fino al collo, inviai quel messaggio e grazie a Dio il re venne e ruppe l'assedio, liberandomi.

Mi vergogno di quello che feci quella sera, alla luce dei fuochi negli accampamenti regi posti tutt'intorno la mia cinta muraria, ma non me ne pento, come non penso faccia la maggior parte delle città e dei paesi che hanno il piacere di essere del gentil sesso; le puttane sopravvivono quando le vergini vengono sacrificate e quel Raymond era bello come un principe delle fiabe.

Cose ben peggiori di queste attendevano l'Europa e quante volte ritornai a quella sera con nostalgia!

[2307]



NOTE: Come al solito tutto è reperibile sulla Treccani e su Wikipedia (anche se meno dettagliatamente). La treccani in particolare alla voce Arrigo Castracani degli Antelminelli. Ammetto che ho fantasticato sul motivo per cui l'Imperatore del Lussemburgo abbia voluto intervenire per salvare Lucca ed ho trovato che hetalianamente parlando questo sarebbe potuto andar bene :).

L'ultima frase prefigge l'arrivo della Peste Nera e Milano si chiama Francesco in onore di Francesco Sforza.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Aule