Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: aelfgifu    04/10/2013    5 recensioni
Come è nata la strana amicizia tra Stefan Levin e una giovane scrittrice tedesca?
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ritratto estivo di ragazzo svedese

 

2. No man is an island (prima parte)

 

No man is an island,
Entire of itself,
Every man is a piece of the continent,
A part of the main.
If a clod be washed away by the sea,
Europe is the less.
As well as if a promontory were.
As well as if a manor of thy friend's
Or of thine own were:
Any man's death diminishes me,
Because I am involved in mankind,
And therefore never send to know for whom the bell tolls;
It tolls for thee.

 

John Donne

 

Dovrei essere felice per questo evento. La mia ultima raccolta verrà presentata nei locali di una libreria del centro. Il libraio e l’editore hanno chiamato un attore professionista per recitare alcuni brani scelti, avevano anche pronti dei musicisti per l’accompagnamento se io non fossi radicalmente ostile all’idea di far leggere, o leggere io stessa, le mie parole con sottofondo musicale. Hanno creato e stampato e inviato inviti bellissimi, raffinati.

Il presentatore sarà un critico molto severo che ci ha stupiti tutti dedicando quindici righe di recensione a me, e che l’editore ha voluto per forza coinvolgere nella campagna di lancio del libro.

E ancora non sei contenta, direte voi.

Non sono contenta, per nulla. Sono commossa per tutto quello che hanno fatto, editore, libraio, critico, sono grata all’attore per come leggerà – sono sicura che comunque deciderà di leggere, sceglierà un buon approccio – ma eventi di questo tipo mi mettono solo tristezza e un po’ di vergogna.

Perché sono pieni di ipocrisia.

Arriveremo all’evento ben vestiti e profumati, l’editore il libraio il critico e io, prenderemo posto dietro a un tavolo, ci passeremo a turno il microfono per dire i soliti quattro ringraziamenti, introdurremo l’attore, il quale leggerà sei o sette brani, alla fine di ognuno dei quali riceverà un applauso educato da un pubblico costituito di tutt’al più trenta persone. Ve le elenco in ordine di tipologia:

cinque = i ragazzi della libreria

due-tre = fotografi amici di qualche organizzatore

dieci-dodici = intellettuali di varie età appassionati di letteratura

cinque = cooptati dall’editore o dal libraio

cinque = miei amici o parenti,

e se siamo fortunati sarà presente anche un giornalista.

A pochi di loro interessa quello che viene detto; molti verranno per far piacere a qualcuno, o per un do-ut-des morale o materiale (io oggi vengo a far presenza qui, tu domani vieni a far presenza a un mio evento). Perfino i miei amici, se qualcuno di loro verrà, ci saranno per me, non perché gliene importi un fico secco del libro.

Perché del libro non gliene frega niente a nessuno, o quasi.

 

***

 

All’ora stabilita iniziano ad arrivare gli ospiti. Un quarto d’ora dopo, decidiamo di incominciare. La parola all’editore e al libraio; al termine dell’introduzione il libraio, alla mia destra, mi passa il microfono perché lo dia al critico. Io prendo il microfono e lo passo alla mia sinistra, quindi rivolgo lo sguardo verso il pubblico.

E vedo lui.

Dev’essere appena arrivato, perché cinque minuti fa non l’ho notato.

Si è seduto nell’ultima fila, appartato.

Diverso dagli studenti seduti davanti a lui.

Una chioma di folte ciocche colore del lino.

Pallido, lineamenti del viso puliti e armoniosi.

Braccia e gambe lunghe e forti da sportivo.

Che cosa ci fa un tipo del genere qui?

Avrà sbagliato posto?

Non ha sbagliato posto. Ha con sé una copia del mio libro.

Allora è qualcuno che conosco?

Me ne ricorderei se conoscessi un tipo del genere.

Incrocia il mio sguardo e mi fa un sorriso, appena accennato. È come se mi sparassero dritto in faccia. Sento un rossore incoercibile salirmi sulle guance; fingo di aver sete, apro una delle bottigliette d’acqua posate vicino a me, prendo un bicchiere, verso un po’ di acqua e bevo, tanto per nascondere la faccia.

 

***

 

Alla fine alzo gli occhi ed è rimasto solo lui. Si alza lentamente dal suo posto, e lentamente viene verso di me. Quando siamo faccia a faccia, mi rivolge di nuovo quel sorriso di prima, mi tende la copia del libro:

“Posso avere l’onore di un suo pensiero?”

Io cerco di rispondergli con un sorriso che sia bello almeno la metà del suo e prendo il libro dalle sue mani.

“L’onore è mio” dico, e non può sapere quanto veramente ne sono convinta.

Sorride ancora. “Ho scoperto il libro per caso, mi aveva incuriosito il titolo. Nei giorni scorsi ho visto che c’era una presentazione e...”

Parla il tedesco molto bene, ma la cadenza lo tradisce. Non sono sicura della provenienza, perciò provo a fargli dire ancora qualche cosa. Gli indico il libro:

“Ne ha già letto qualche pagina?”

“Qualcosa, ma... sono lento, purtroppo. Non riesco a leggere velocemente”.

La sua cantilena... la sua cantilena.

“Svedese...”

“Sì”, risponde lui; e un’espressione di gioiosa sorpresa gli sboccia negli occhi. “Sì, ma... come –”

“Il suo accento”

“E io che pensavo di riuscire a mimetizzarmi bene”. Esita. “Senta... ha impegni per dopo?”

Non ne ho.

“Posso invitarla a bere qualcosa qui vicino? Così potrebbe pensare con calma a una bella dedica per me”.

“È gentile...”

Lui sembra conoscere bene i dintorni, perché mi guida senza esitare verso un piccolo locale poche centinaia di metri più avanti, un piccolo locale odoroso con i pannelli di legno alle pareti e un profumo di caffè caldo e cioccolato diffuso a mezz’aria.

“Va bene qui?” chiede indicando un tavolino accanto ad una delle grandi finestre.

“Benissimo”.

Ci sediamo, ho ancora tra le mani la sua copia del mio libro, e improvvisamente capisco che non ho nessuna idea per una dedica che non sia anonima, e questo ragazzo, a questo punto, non merita più una dedica anonima.

“Che cosa prendono i signori?”

La cameriera ci coglie di sorpresa, non abbiamo ancora avuto neppure il tempo di pensarci.

“Un caffè, non troppo forte per favore” dico precipitosamente.

“Lo stesso per me”.

È chiaro che abbiamo ordinato tanto per ordinare qualcosa, per mandare via la cameriera.

“Non so ancora il suo nome...”

“Stefan. Stefan Levin”.

“Bene, signor Levin, sono lieta di fare la sua conoscenza... anche perché un ragazzo giovane come lei a un reading è qualcosa che dovevo ancora vedere”.

“Io a dire il vero non sono un frequentatore abituale...”

“E allora come mai...?”

“Come mai c’ero?” annuisce, più a sé stesso che a me. “Vediamo... direi che ero lì per il libro”.

“Allora ama leggere?”

“Abbastanza... ma non me ne intendo molto".

“Che vuol dire non se ne intende molto? Non tutto deve piacere a tutti, per fortuna. Qualcosa è già molto. Se ne occupa per motivi professionali?”

A questo punto lui scoppia a ridere di cuore, con un lampo che gli allarga quegli incredibili occhi cilestrini.

“No no, per l’amor di Dio... il mio lavoro è tutta un’altra cosa!”

“Ah! Un lavoro manuale?”

“Se così si può dire... soprattutto un lavoro per cui bisogna spostarsi, stare lontani da casa”.

Che faccia il modello?

“Il titolo... è quello che l’ha incuriosita?”

“Mi è sembrato che avesse a che fare con me”.

“Per via della nazionalità...”

“No... è che io faccio molte delle cose che fa Lennart”.

“Davvero? Per esempio?”

Comincia ad elencare:

“L’Englischer Garten... i sandwich di salmone e lattuga... la bici...”

“Vuol dire che ho fatto un suo ritratto senza saperlo?”

“A quanto pare”.

Arriva la cameriera con i nostri caffè, la zuccheriera e i bicchieri d’acqua. In silenzio, la aiutiamo a disporre le cose sul tavolino.

“Ha amato molto Lennart?”

“Eh?”

Lui beve il suo caffè lentamente, un sorso alla volta.

“Lennart, è il ritratto di qualcuno a cui ha voluto molto bene, vero?”

“Oh!”

“... un ragazzo svedese?”

“No, no”.

“No nel senso che non è il ritratto di qualcuno a cui ha voluto molto bene, o nel senso che non si trattava di un ragazzo svedese?” riprende lui con un lampo malizioso negli occhi.

“Tutte e due le cose”.

Come faccio a spiegargli che Lennart per un quarto è pura invenzione, per un altro quarto somiglia a una persona che mi è molto cara, e per metà è me stessa?

“... e poi perché proprio svedese?”

A questa posso rispondere:

“Perché a me serviva uno che fosse straniero due volte. E poi... com’è che dite di voi stessi? Jag känner mig ensam?”

Mi guarda.

“Jag känner mig ensam...” ripete tra sé, con un tono astratto, la voce di chi con la testa è chissà dove.

Hai perso qualcuno anche tu, Stefan Levin? Vorrei chiederglielo, ma sono fatti troppo personali, meglio non girare il coltello nella piaga. Forse hai attraversato un grande deserto senz’acqua e senz’ombra, e forse quello che hai letto è stato come avvistare le prime palme di un’oasi? Forse quando hai avvistato le prime palme eri già quasi del tutto disidratato e sconvolto dall’insolazione, e non credevi ci fosse più acqua o ombra sulla faccia della terra? Eppure, sai, anche così, nessuno è un’isola.

Lennart, vorrei spiegargli, è nato perché un tale, qualche tempo fa, ha visto che a casa sua cominciava a mancare lo spazio, e ha deciso di togliere tutto quello che non gli serviva, anche se era ancora nuovo e buono. E mentre lui, a malincuore, portava tutte quelle cose nuove, buone, e inutili, al cassonetto, io l’ho intercettato e gli ho tolto un sacco di roba dalle mani.

Ma è necessario che glielo spieghi?

Quello che qualcun altro aveva destinato alla spazzatura è diventato qualcosa di bello, tu ti ci sei imbattuto per caso, e hai trovato che era bello, hai voluto essere qui oggi, e ora sei seduto davanti a me e bevi con calma la tua tazza di caffè non troppo forte mentre chiedi il perché e il percome di questo racconto.

Ho trovato una dedica per te, giovane Levin.

Mentre lui continua a sorseggiare il suo caffè, tiro fuori una penna dalla mia borsa, apro la sua copia del mio libro alla prima pagina, e scrivo:

 

Al “vero” ragazzo svedese

Prendi laccetta e spacca il ghiaccio – buona fortuna!

J.G.

 

Quindi rimetto il cappuccio alla penna, chiudo il libro e lo spingo verso il mio interlocutore dall’altra parte del tavolo.

 

***

 

Note al testo. 1) Il caffè che i due ordinano è ovviamente preparato alla tedesca, filtrando la polvere di caffè con acqua bollente; a seconda della quantità di polvere usata e di come è macinata, la bevanda può risultare molto leggera o terribilmente forte. 2) Jag känner mig ensam: io mi sento solo, in svedese. 3) La dedica di Julia riecheggia una frase di Franz Kafka: das Buch ist die Axt für das gefrorene Meer in uns ‘un libro è l’accetta per (rompere) il mare ghiacciato dentro di noi’.

 

Disclaimer. Stefan Levin appartiene al maestro Takahashi, Julia Gutenbrunner è mia.

 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: aelfgifu