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Autore: ryuzaki eru    05/10/2013    8 recensioni
(Nel cap. 1 scheda in stile "Death Note 13 How to read")
Un lento crescere di strani ed apparentemente trascurabili eventi. Una ragazza comune, preda di una situazione incomprensibile. L’apparente iniziale assenza di tutto ciò che riguarda il mondo di Death Note, così come voi lo conoscete. Ma tutto quell’incredibile mondo c’è! Kira, Tokyo, il quaderno. Ed Elle arriverà… Perché volevo continuare a vederlo parlare, muoversi, ragionare.
Elle era in piedi sul marciapiede e con gli occhi spenti la osservava, mentre strusciava svogliatamente il dorso del piede su un polpaccio...
«Ciao, Ryuzaki…» tentennò Emma «Allora…sai dove vivo… Ed io non te l’ho mai detto! Quindi…»
«Quindi?» le chiese lui vagamente irriverente.
«Quindi immagino tu sappia altro... Il punto è da quanto tempo sai!»
Elle smise di grattarsi il polpaccio e portò il piede a terra «No. Il punto è che da ora la smetterai di giocare da sola a questa partita.» la gelò.
La voce le arrivò dritta alla testa, come una tagliola affilata.
Il suo sguardo impassibile e freddo la trapassò.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Another world'
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Alcuni dei personaggi che appariranno non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

45. La terra
 
(Dal capitolo precedente)
«“Sono assolutamente certo che questa volta quello che voglio fare non avrà alcuna ripercussione su di me…?”» la interruppe bruscamente Elle, con voce fredda e asettica.

Emma aggrottò la fronte, senza capire…
E lui continuò con lo stesso tono non curante «Questo è ciò che ho pensato a luglio, poco prima dell’alba e poco prima di “portarti a letto”. È “portarti a letto” l’espressione che hai utilizzato, giusto?»
Emma trattenne il respiro e con le labbra socchiuse rimase a fissarlo.
Nella sua mente si affastellarono tanti pensieri diversi, discordanti e increduli.
Nel giro di pochi istanti ripeté silenziosamente a se stessa per almeno cinque volte quella frase: “Sono assolutamente certo che questa volta quello che voglio fare non avrà alcuna ripercussione su di me…?”. E ogni volta, esitante, la ricollegò alle successive parole di Ryuzaki e al loro significato. Significato che quasi non voleva vedere. Significato che le faceva paura…
E poi riemersero le immagini e le forti e vive sensazioni percepite in quella notte d’estate.
E rabbrividì appena.
Si sentì di nuovo nuda.
E in un battito di ciglia avvenne qualcosa dentro di lei.
Abbassò lo sguardo…
E poi, finalmente, mormorò «“Portarmi a letto”… Credevi forse di farmi vacillare?» aveva uno strano tono di voce, duro e amaro dietro un’apparenza sterile «È evidente che non mi sono espressa correttamente, se è solo questo che volevi farmi notare. È ovvio che non mi hai “portata” da nessuna parte. È ovvio che ho voluto tutto quello che ho fatto, che non sono stata vittima di nessuna spregevole violenza fisica. E lo stesso vale per te. Io parto dal basilare presupposto che una persona “adulta” e sufficientemente “matura” sotto certi punti di vista - calcò molto su queste ultime parole - sappia perfettamente che determinate cose si fanno in “due”. Ed è anche ovvio che l’atto in sé non abbia più valore di qualunque altra cosa, a differenza di quanto viene invece comunemente ritenuto: io penso che il rilievo sproporzionato che gli viene conferito da alcuni sia forse dovuto a una serie di convinzioni culturali e sociali di cui il mondo si è nutrito a lungo. E dal canto mio sono convinta che sia comunque un rilievo il cui differente peso dipenda da ciascuno di noi e dalle nostre diverse priorità, convinzioni ed esperienze di vita. Ma io non sono di certo più una ragazzina col mito della “prima volta” o del sesso come coronamento di qualunque rapporto. E non sono il tipo di persona che recrimina su queste cose. Sono arrabbiata, sì. Ma non per questo le mie parole andavano lette in questo senso.» aveva una voce calma e ferma, quasi gelida… «Quindi, ti pregherei di non dire sciocchezze, di non dirle più nemmeno per provocazione. È assolutamente inutile portare questo discorso sul piano della donna ferita, perché sedotta e abbandonata. Ho il voltastomaco al solo pensiero.» commentò con un lieve fremito di sdegno, mentre continuava a tenere lo sguardo fermo sul pavimento, calma «Perciò, per favore, se hai ancora intenzione di dire qualcosa, smettiamola di parlare del “nulla” e di questionare sul corretto significato delle parole. Credevo che avessimo passato questo stadio da tempo. E, ti ripeto, non portare la conversazione al livello della donna ferita nel suo intimo, solo perché raggirata e costretta a “concedere” il suo “tesoro più grande”, la sua “femminilità”, al suo aguzzino.» rise con fredda ironia nel pronunciare queste ultime parole e poi proseguì «Prima mi hai mordacemente chiesto se dovevi sul serio credere che io fossi una stupida ad aver pensato che tu non conoscessi la sofferenza. Bene, io ora ti chiedo se devo pensare che non sia tu, lo stupido: veramente non hai capito quello che ti ho detto e lo hai letto in modo così superficiale? Credi sul serio che io abbia voluto questionare sulla facciata di queste cose e, soprattutto, sei così perdente da volermi raggirare con questi discorsi approssimativi? Il punto non è certo fin dove mi sono spinta con te. La mia “femminilità”, e quindi il mio essere una persona, non è certo legata esclusivamente alla mia sessualità, riguardo alla quale non c’è proprio nulla da “concedere”, semmai si tratta di scegliere se seguire o meno un certo istinto e si tratta di rispetto, prima di tutto verso se stessi. E, al di là del fatto che questo tipo di sensibilità umana possa o meno interessarti e toccarti, se non sei nemmeno in grado di capirla, se i tuoi neuroni superiori non sono neppure capaci di leggere le mie parole nel modo corretto…» alzò lo sguardo su di lui e lo fissò con quegli occhi grigi e duri «…be’, allora tutto quello che ho provato per te, compresi il rispetto e la curiosità, svanirà in un istante, senza fatica, né dolore o dubbio, e questo accadrà semplicemente perché la mia stima già vacillante crollerà rovinosamente e in modo irreversibile. Non sono disposta né interessata a parlare con un uomo che non è nemmeno in grado di capire. Non sono curiosa di sapere niente di lui o dei casi che lo interessano. Crolleranno tutti i motivi che mi hanno condotta fin qui. Perché un uomo di questo genere non potrà mai attirare la mia attenzione, né potrà più dirmi nulla di interessante.»
Eccolo, il vero colpo.
Quello cattivo.
Quello che andava a infierire sull’intelligenza di Elle intesa nel senso di sensibilità. Quello che Emma era in grado di affondare sul serio, in modo vincente e senza paura.
La sua durezza era così evidente e a tratti presuntuosa perché la sua forza era reale, così come la sua superiorità.
Ryuzaki era un bambino. Un essere che dal punto di vista emozionale e relazionale era anni luce dietro a lei.
Forse, ciò che più li accomunava erano proprio la sgradevole arroganza e la totale mancanza di interesse nei confronti di coloro che scoprivano essere “indietro” rispetto a loro stessi, seppur sotto punti di vista diversi.
Sotto questo aspetto però l’unica differenza tra loro sembrava essere la presenza o meno di disprezzo: Elle si era sempre limitato a ignorare completamente i “normo-dotati”, senza nessun sentimento; Emma invece dimostrava palesemente di disprezzare, cioè di manifestare con calore il proprio totale menefreghismo verso chi non riteneva essere al suo livello riguardo determinate questioni. E questo forse accadeva perché odiava essere delusa dalle persone, da tutte le “altre” persone, cui lei dava un valore, ma che invece per il distaccato Ryuzaki non contavano niente a priori e dalle quali perciò lui non  rischiava di subire delusioni, barricato dietro il suo solido muro di freddezza.
Ma comunque entrambi, “colpendosi” a vicenda, avevano fatto esattamente la stessa cosa, cioè avevano gettato l’uno sull’altra la cocente allusione di ritenere l’altro non degno, attribuendogli ciò che per loro era la cosa più umiliante: la mancanza di intelligenza, intesa nel suo significato più ambiguo di sensibilità acuta mista a capacità di collegamento.
Quello che Emma non riusciva ancora a vedere era che dietro le parole di Ryuzaki nei propri confronti, dietro le sue trascorse lavate di capo, dietro tutti i suoi test e provocazioni e dietro le sue dure allusioni passate, c’era sempre stata una vaghissima irritazione, in alcuni casi più evidente, in altri magistralmente celata… Era come se, in tutte quelle circostanze, lui si fosse chiesto: “Emma, dannazione, possibile che non ci arrivi? Proprio tu?!”. Ed il punto era senza dubbio quel “proprio”. Quel “proprio” che sembrava aver trasformato Emma in una “persona”, una di cui essere deluso.
Questo era il dettaglio fondamentale che lei non aveva ancora messo a fuoco.
Ryuzaki non rispose subito, ma se la guardò attentamente, tutta, da capo a piedi, quella giovane donna alta e determinata. Per certi versi era molto più simile a lui di quanto non avesse immaginato. Ma soprattutto Emma si stava dimostrando per ciò che lui aveva sempre intuito, o magari sperato…
Tutte le provocazioni e i “test” di Ryuzaki, in fondo, non erano sempre stati tesi a capire “chi” lei fosse veramente? Quanto fosse in realtà ciò che sembrava?
E con tutta probabilità anche quella sua ultima considerazione provocatoria, quella che aveva portato Emma a dirgli determinate cose, era stata dettata istintivamente dal desiderio di sondarla ancora una volta.
Ma lei, come gli aveva già detto con altri toni, si era riccamente stufata di questionare sul “nulla”.
E quindi Elle, calmo, dopo averla osservata per bene, infine disse «Adesso siamo pari. Veramente.»
Poi portò le mani in tasca «…Quindi, effettivamente, ora possiamo parlare senza più fraintendimenti. Io non partirò dal presupposto che tu sia una sciocca e lo stesso farai tu.» si soffermò sui suoi occhi per qualche istante e poi continuò «E visto che il piano sarà un altro, è naturale che io debba dirti una cosa: hai tenuto lo sguardo basso per tutto il tempo. E di ciò che ti ho detto hai voluto affrontare solo una parte, solo quella del “portarti a letto”, con la quale volevo indubbiamente provocarti. E riguardo a questa mi hai chiaramente dimostrato che, con te, continuare su quella linea è ormai un errore. Però…» inclinò appena il capo «…ciò non toglie che tu non abbia voluto affrontare il succo del discorso. E proprio per questo hai abbassato lo sguardo. Lo fai sempre quando menti, perché non sai mentire e perciò non lo fai praticamente mai. Io credo che però, in questo caso, tu non l’abbia fatto perché stavi dicendo una menzogna, ma qualcosa di molto simile. Come tante altre volte, hai voluto omettere qualcosa puntando l’attenzione su altro, solo che stavolta ciò che hai omesso era più importante, ma ti fa paura. Così tanta paura da non volere che questo tuo timore trapeli dal tuo sguardo, esattamente come quando normalmente non guardi in faccia la persona alla quale stai mentendo perché temi che lei possa capire dai tuoi occhi la verità. In questo caso, non volevi che io percepissi la paura. Non volevi che io percepissi ciò che stavi omettendo.»
Quanto era vero.
Lo avrebbe quasi picchiato di nuovo per la facilità con cui riusciva a spogliarla!
E nello stesso tempo lo avrebbe abbracciato perché ci riusciva così bene…
Sensibilità e intelligenza.
Emma si appoggiò con la schiena al muro di quel corridoio, vi si adagiò, come stanca «Sì che ho paura… Quale altra terribile verità si nasconderà dietro l’affermazione che non eri certo delle ripercussioni che avresti ipoteticamente avuto “dopo” avermi sfruttata? A questo penso. Quale rivelazione ci sarà dietro? Quale altro significato oltre le più immediate apparenze? Quale raggiro che adesso non capisco, ma che poi invece mi sconvolgerà e mi farà del male?»
Elle abbassò il capo e con le mani nelle tasche sembrò quasi curvarsi di più di quanto già non lo fosse. Poi, le sue labbra candide si mossero impercettibilmente «Quale raggiro, eh?»
Lei osservò quella bocca e le ciocche di capelli scuri che coprivano lo sguardo di Ryuzaki e disse «Già… Cos’altro devo scoprire ancora?»
Emma si stava difendendo. Aveva paura. Aveva paura di dire ciò che aveva pensato. Aveva paura anche soltanto di pensare a ciò che la sua mente aveva vagamente elucubrato. Nella sua testa non riusciva nemmeno a formulare la domanda a se stessa. Per questo aveva impulsivamente deviato dalla questione più importante, così come le aveva perfettamente fatto notare Elle.
 
Esattamente come per lungo tempo Emma non era riuscita a formulare nella propria testa la semplice e basilare frase di “essere innamorata di Elle”, adesso non riesce a portare alla luce qualcos’altro. Ammettere a se stessi e con parole chiare determinate considerazioni può essere molto difficile.
E dato che lei non ci riesce, dovrò essere io a esplicitarvi quella domanda che Emma allontana, quella domanda che non vuole nemmeno contemplare.
In parole semplici, il quesito che emerge dai più profondi pensieri di Emma sarebbe questo: “Forse che Ryuzaki ha provato qualcosa per me e, per una volta, ha avuto paura di non essere immune alle conseguenze dei suoi comportamenti cinici e spietati?”
Be’, non era così difficile. E perché Emma non riesce nemmeno a pensarla, questa insulsa accozzaglia di parole?

 
La voce ferma di Elle continuò a filtrargli dalle labbra. Quella voce bassa e morbida e quella bocca erano un connubio irresistibile, ancor di più se i suoi occhi erano celati allo sguardo «Il proposito di ottenere le informazioni sfruttando i tuoi sentimenti in quel modo è sempre stata una delle opzioni che ho contemplato. Ho sempre saputo che se ce ne fosse stata la necessità avrei usato anche quest’ultima arma sbrigativa. È un pensiero che ho fatto fin dal primo momento in cui ho capito che eri coinvolta a livello sentimentale.»
Emma ingoiò e serrò i denti.
Era terribile. Sentirglielo dire era terribile.
Le stava svelando i suoi piani.
Ma questa volta conoscerli non risultava eccitante, né tantomeno divertente…
E Ryuzaki proseguì «Perciò, quando è arrivato il momento, ho fatto esattamente ciò che avevo previsto, agendo come tu stessa hai ammesso che ti saresti dovuta aspettare da me, come era logico che agisse Elle.» continuava a tenere il mento chino «Perché infatti non c’era nulla di nuovo. Anche in quel frangente non ho fatto altro che quello che ho sempre fatto.»
Poi alzò lo sguardo, sfilò le dita dalla tasca e andò a grattarsi la nuca, la osservò con ingenuità e le disse semplicemente, con la naturalezza di un bambino «Però il risultato non è stato esattamente come al solito. Qualcosa ha deviato dal consueto e credo di averlo capito proprio perché quel pensiero mi è balenato nella testa, inaspettato. È stata una situazione singolare…» ruotò le pupille enormi verso l’alto, pensieroso, in modo buffo, mentre continuava a massaggiarsi i capelli disordinati dietro la nuca.
Emma rivide davanti a sé l’Elle che aveva visto alla festa di compleanno di Misao. L’Elle buffo che aveva ingurgitato troppa crema di whisky e non sapeva come comportarsi di fronte ad una situazione nuova.
E vide l’Elle che aveva ingenuamente offerto una fetta di torta a Light.
L’Elle disarmante e candido nel suo essere senza filtri, nel suo essere effettivamente un bambino.
Lui era anche così.
Ed Emma trattenne il respiro.
Ryuzaki però non aveva finito «Insomma, io avevo deciso da tempo. Sapevo che, se tutto fosse filato liscio, dopo quella notte ti avrei rivisto. Lo sapevo anche se con la conclusione del caso Kira ho dovuto inscenare la mia finta morte. Ma avevo deciso da tempo che ti avrei rivista, non c’erano dubbi su questo. Eppure mi sono ritrovato a fare quel pensiero.» ritornò a guardarla con quegli occhi profondi, che in quel momento erano quelli di un bambino scobussolato perchè colto impreparato «Perciò temo di aver commesso qualche errore. Il mio piano non era perfetto… E non era perfetto a causa mia.»
In lontananza, si sentì una porta che si apriva.
Emma si guardò intorno, osservò la finestra sul fondo, da dove si vedeva la neve che continuava a cadere, e notò che il corridoio, a quell’altezza, faceva una curva e proseguiva ancora per chissà dove. E con lo sguardo vuoto rivolto da quella parte, non riuscì a pensare. Non poteva ragionare. Si sentiva avvampare e qualunque pensiero sfuggiva inesorabilmente e fugacemente, senza la minima possibilità di fermarsi e collegarsi agli altri.
Era incredula, spiazzata, a tratti percepiva come una sorta di felice eccitazione, ma era anche arrabbiata. Le parole appena pronunciate da Elle le scorrevano nella mente e lei non riusciva a capire dove focalizzare l’attenzione. Si rendeva conto che c’era qualcosa di nuovo, ma non riusciva a parlare e a replicare. Le volò poi nella mente che se anche quello che Ryuzaki le aveva detto fosse stato vero, ciò significava che lui aveva sempre e solo pensato a se stesso… E sulla scia di questa ultima volante considerazione disse  «Tutto riguarda sempre te… Se anche qualcosa era andato “storto” nel tuo ignobile piano, lo hai capito solo perché in te e solo in te c’era qualcosa di diverso…»
Poi però Emma si rese conto che anche quella era una cosa unica, che non poteva continuare a dargli addosso considerato quanto lui le aveva appena detto e che facendo così anche lei si dimostrava incapace di comprendere e percepire lo stato d’animo dell’altro. Pensò che anche lei stava osservando solo se stessa.
Il rumore di passi lenti giunse dalla parte del corridoio che voltava. Il legno scricchiolava sotto il peso di qualcuno che si stava avvicinando.
Ed Emma si ritrovò a pensare che però non poteva non dire quello che pensava, che in effetti Ryuzaki era stato polarizzato comunque solo sulla sua persona.
Quindi, con la mente sovraccarica di tanti e contrastanti pensieri, alzò la mano, in segno di richiesta di un time-out e riportò gli occhi su Elle «Basta così…A differenza tua, io non riesco ad essere lucida o abbastanza senza filtri. Anzi, in effetti potrebbero essere sbagliate entrambe queste due opzioni, perché qualunque cosa io dica, immediatamente dopo penso che potrebbe essere verosimile anche l’esatto contrario… Io non so cosa devo pensare, non so nemmeno più come replicare, non so nemmeno più cosa voglio sapere, a quali conclusioni voglio arrivare, cosa voglio chiederti e cosa vorrei sentirmi dire… Tutto quello che è successo dovrebbe avermi insegnato qualcosa, ma ora tutto si mescola e credo che quello che ho imparato mi stia in parte confondendo, in parte indebolendo, in parte rafforzando… Credo anche di aver innalzato, da qualche parte dentro di me, una specie di barriera… Ma ora non sono in grado di proseguire. Ora devo rimanere da sola. Ora ho bisogno di pensare a tante cose… Perché io non ti credo.»
O forse sì, ti credo? Pensò contraddittoriamente un istante dopo.
E dal fondo del corridoio, davanti alla finestra, comparve la figura di Watari.
Lei lo percepì e si voltò di scatto.
Anche lui era lì.
Quella figura solida le infuse un immediato senso di sicurezza.
Wammy si avvicinò a loro, osservò il volto di Emma rigato dalle lacrime, senza commentare in nessun modo «Miss Emma…» le accarezzò con gentilezza ed in modo paterno una guancia e poi sorrise «…Sono molto felice di averla qui tra noi. Ammetto di aver sempre desiderato di vederla tra questi corridoi. E se non fosse arrivata, se non avesse deciso da sola di intraprendere questo viaggio, sarei venuto a prenderla io personalmente.»
Ed Emma seppe che non doveva avere dubbi su quelle parole.
E capì che forse, se solo gliele avesse dette Ryuzaki, non si sarebbe sentita così.
Ma sapeva anche che, se lui gliele avesse dette in quel modo, lei forse non gli avrebbe creduto o forse, ancora peggio, non avrebbe riconosciuto l’uomo che gliele stava dicendo come Elle.
Forse che, in quel particolare caso, scoprire di contare qualcosa per lui significava essere delusa da lui? Era assurdo… Possibile che la sua mente fosse così contorta e infantile da amare solo l’Elle ignobile e freddo che aveva conosciuto nel manga?
Possibile che veramente fosse ancora così legata ad un’immagine mitizzata di lui, irraggiungibile e profondamente irreale, di plastica, tanto da non riuscire ad accettarlo e ad amarlo se lui diceva cose che lei non avrebbe mai creduto lui potesse dire?
Eppure era lui quello che gliele aveva dette. Erano i suoi notissimi modi infantili e ingenui quelli che aveva appena visto…
Doveva fermarsi. Doveva assolutamente fermarsi…
Watari si chinò a raccogliere il cappello che Emma aveva gettato a terra «È quasi ora di pranzo, Ryuzaki. E non è buona educazione né segno di una consona ospitalità lasciare Miss Emma infreddolita, ancora con il cappotto indosso, senza offrirle il calore di una casa. In più, credo che lei vorrà riposare un attimo e fare luce nella sua mente. Molte novità l’hanno accolta. Perciò, Miss Emma, spero che non le dispiacerà venire con me. La accompagnerò nella stanza che abbiamo sistemato per lei. Spero che vorrà farci il piacere di fermarsi qui da noi qualche giorno.»
«Io…» farfugliò Emma, portando le dita ad asciugare le lacrime dalle sue guance  «Sì…» assentì infine, comprendendo con quel “sì” tutto ciò che Wammy aveva detto e sentendosi improvvisamente salvata da quelle parole di cui aveva percepito il calore e il moto di comprensione.
Wammy sorrise ancora, porgendole il cappello «Vedo che non ha un bagaglio, ma naturalmente avevo immaginato che non ne avrebbe avuto alcuno, quindi ho provveduto per quanto nelle mie disponibilità, attingendo dalla lavanderia dell’istituto.»
«Grazie…» rispose soltanto così, non riuscendo a fare altro che mostrare la sua gratitudine.
«Ryuzaki, la cuoca ha preparato la cheese-cake per il dessert del pranzo, vuoi che ti porti una fetta in stanza?»
Elle, senza guardare né Watari né Emma, fece un passo verso la porta che era rimasta chiusa e che Emma avrebbe dovuto aprire. Poggiò la mano sulla maniglia e disse placidamente, in modo annoiato, come se fino a quel momento non fosse successo assolutamente niente «Sì. Per il momento una fetta può andare bene.» e sparì dietro l’uscio.
Wammy allora sorrise ancora alla ragazza, senza prestare attenzione all’atteggiamento di Ryuzaki, e disse «Bene, mi segua, cara».
Ed Emma si affilò dietro a lui.
Durante tutto il tragitto non fece che pensare a cosa fare e cosa dire.
Non si guardò neppure intorno…
Poi ad un tratto si fermò ed esordì «Signor Wammy… »
Lui si arrestò e si voltò, senza stupore, ed Emma proseguì «…Non so se sono in grado di farle capire quanto io sia felice che lei non sia…»
Sì, con lui non c’era altro che gioia, facile da mostrare, anche senza bisogno di trovare le parole corrette.
«… Io non so cosa pensare… Non so che cosa fare…» gli disse ancora.
«Non potrebbe che essere così, visto tutto ciò che è accaduto in passato e viste le rivelazioni di oggi.» rispose lui con calore «Con ordine, Miss Emma. Una porzione alla volta e riuscirà a fare luce su ogni cosa, compresa se stessa.»
Watari non provava mai a giustificare Elle. Non tentava di difenderlo agli occhi di Emma. Non l’aveva mai fatto, sebbene lui fosse il suo pupillo. Wammy parlava a lei, si preoccupava di lei senza mai cercare di mettere in buona luce Ryuzaki.
E così Emma gli chiese «… Perché nemmeno lei mi ha fatto sapere nulla…? Perché non mi ha avvisata prima del fatto che eravate ancora vivi…?»
«Nessuno più di me è consapevole di quanto lei abbia sofferto, cara… Ma lei, Miss Emma, doveva sapere bene cosa Ryuzaki fosse capace di fare a causa della consueta noncuranza e disattenzione nei confronti del prossimo; lei, purtroppo, doveva essere pienamente consapevole di dove la sua anomala condizione di giovane uomo solo lo potesse portare e di quanto questo potesse fare male. Io non avrei mai potuto camuffare o addolcire questo aspetto di Ryuzaki, aiutandolo di nascosto, evitandogli quindi di affrontare la rabbia e i dubbi che lei sta provando in questo momento. Se avessi fatto così, lei non avrebbe mai saputo fino in fondo. Su certe cose non posso intervenire. Certo, se stiamo lavorando, se c’è un caso delicato in ballo, se si rischia di far saltare i piani per via delle sue scelte ciniche, cerco di tamponare i suoi modi, non sempre con successo… » ed Emma, a questo punto, pensò immediatamente a quando, in Death Note, Watari aveva rivelato ad Aizawa che tutti gli agenti sarebbero comunque stati sostentati e pagati se avessero scelto di abbandonare il loro sicuro posto di lavoro in Polizia per seguire il caso Kira, soli insieme ad Elle; e poi pensò a quando lo stesso Wammy si era rifatto vivo nel laboratorio della Todai, quando Ryuzaki era sparito per giorni, dopo l’aggressione che lei e Misao avevano subito…
Ma Watari continuò «Ma non potevo assolutamente coprirlo in questo frangente. Perché se lei, Miss Emma, doveva sapere, anche lui doveva imparare a conoscere le conseguenze delle proprie azioni quando esse fossero ricadute pesantemente sulle altre persone. E soltanto se queste ultime hanno assunto per lui un valore, Ryuzaki potrà imparare veramente e sulla propria pelle. L’ignoranza, qualunque tipo di ignoranza, anche quella legata a certe scelte di vita o alle proprie esperienze, quella intesa nel senso di “ignorare”, non porta da nessuna parte. L’ignoranza non ha futuro.»
Questa era la pesante e difficile scuola di vita della Wammy’s House. Questa era l’impronta dettata all’istituto dal suo fondatore, un uomo profondamente intelligente, buono, capace di amare, giusto, ma proprio per questo anche molto duro. Una scuola che forse, Emma si chiese fugacemente, non tutti sarebbero stati tanto forti da riuscire a sostenere…
La ragazza però non si lasciò traviare da tali rapidi pensieri e titubante si focalizzò su ciò che Watari le aveva detto riguardo ad Elle «…Mi sta dicendo che lui mi ha trattata in quel modo e che non mi ha fatto sapere nulla del fatto che era ancora vivo semplicemente perché per abitudine porta solo avanti i suoi piani perfetti e non si cura del prossimo né delle eventuali reazioni di questo prossimo dato che esse normalmente non lo toccano…? Insomma, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di me se non lo fa mai con nessun altro?»
«Esattamente.»
Emma abbassò il capo e mormorò quasi fra sé e sé «…Perché non sa fare diversamente…perché non sa nemmeno cosa significhi comportarsi diversamente…» risollevò il capo e rialzò il tono della voce «Immagino che questa sia l’interpretazione più chiara di quanto Ryuzaki mi ha detto poco fa…»
«Miss Emma, quello che le ho appena detto, l’interpretazione, come l’ha definita lei, è umanamente raccapricciante e lei deve conoscerla a fondo.»
Lo sguardo di Emma si addolcì «…Lei non ha cercato di coprire i suoi lati peggiori…»
«Non lo aiuterei, se lo facessi, e lui non imparerebbe. Ma io, conoscendo perfettamente cosa lui sia capace di fare e con la speranza, ogni giorno, che possa imparare anche ciò che ha sempre allontanato, ho scelto di amarlo e di accettarlo comunque...»
…E io invece? Si chiese Emma.
«…Ma io non ci sarò per sempre…» Watari le sorrise «Ma adesso la accompagno nella sua stanza. Invece di aiutarla a chiarirsi le idee, temo di averle ingarbugliato ancora di più la mente già scossa.» e si voltò.
Quando la salutò, sull’uscio della camera, le disse che se voleva mangiare stavano servendo il pranzo al piano di sotto, che se avesse invece voluto pranzare da sola, perché magari non desiderava stare insieme ad una bolgia di ragazzini scalmanati nel loro primo giorno di vacanza, lui le avrebbe fatto servire il pranzo in stanza. Aggiunse poi che di qualunque cosa avesse avuto bisogno, lo avrebbe trovato al piano terra, nella sala grande, adiacente all'ampio atrio d’ingresso. E le diede la chiave che separava quell’ala dell’edificio dal resto dell’istituto.
«…Io non lo so ancora cosa voglio…» rispose lei a tutte le opzioni che lui le forniva e Watari assentì senza commentare, lasciandola libera di fare qualunque cosa avesse voluto.
Emma si ritrovò da sola in quella grande e accogliente camera, calda, tappezzata di tappeti consunti dal tempo.
Si tolse il cappotto e lo adagiò su una poltrona piena di cuscini sistemata al fianco della finestra. 
La neve iniziava a depositarsi agli angoli dei vetri appena appannati, dietro le tende colorate.
Si avvicinò all’antico letto a baldacchino e sfiorò con le dita gli abiti e gli asciugami puliti che vi erano piegati sopra e che Watari aveva preparato per lei. Vi si accostò, per annusarli, e sentì quella fragranza nota di bucato, quella delle magliette di Elle.
E una forte stretta le attanagliò l’addome.
Gli odori riescono a imprimersi molto più delle immagini. Anche dopo anni, riassaporando fugacemente profumi percepiti in un passato lontano e dispersi nella memoria, riaffiorano netti i ricordi e i momenti di vita legati ad essi. E sembra quasi di riviverli, quegli attimi, in un istante, come se si fosse ancora lì.
Ed Emma, catapultata all’improvviso nel mezzo dei momenti in cui era stata più vicina a Ryuzaki, percepì di nuovo quei brividi che mai erano mancati quando gli si era accostata…
Quell’emozione era ancora vivissima.
Si sedette sul letto e sospirò.
Le emozioni le dicevano qualcosa.
La ragione gliene suggeriva altre, contrastanti però tra loro…
Lui era in grado di provare qualcosa?
Doveva credergli?
E se anche così fosse stato, le piaceva ancora quell’Elle?
O voleva il detective come sempre lo aveva visto, incapace di distruggere quella barriera costruita dal tempo? Lo voleva quindi freddo e cinico? Voleva continuare a soffrire, accettandolo così? O voleva che lui facesse crollare quelle difese? Le sarebbe piaciuto allo stesso modo?
E poi, era ancora così immensamente sciocca da amare solo un personaggio di plastica? Anzi, di carta?
E lui?
Il caso Kira era finito.
Il “gioco” era finito.
Quell’obiettivo, che era stato vivo per più di un anno nella sua testa, scalzando i suoi pensieri “sterili”, adesso era svanito. Anzi, era stato raggiunto. Elle era vivo, Light Yagami era stato arrestato e giudicato.
Nel corso di quei lunghi mesi quella meta così delicata e importante aveva sempre allontanato tutto il resto.
Non c’era più niente che giustificasse Emma e anzi la costringesse a tornare con i piedi per terra.
Adesso doveva affrontare di petto se stessa, e basta. Senza scuse, altri argomenti o priorità.
Era giunta alla Wammy’s House con il desiderio di avere delle risposte del tutto diverse da quelle che invece le si erano prospettate ora e che in fondo non sapeva nemmeno quali fossero…
Le iniziava a far male la testa, sopra gli occhi arrossati.
Il pianto e la rabbia fuoriusciti con veemenza stavano dando i loro frutti.
Si sentì esausta.
Si sdraiò sul letto.
Il fisico le stava dicendo che doveva fermarsi, su tutta la linea.
Forse dovrei solo seguire quello che sento, adesso… Non c’è niente di male… Forse devo provare a dormire, se è quello che mi verrebbe di fare, a fermarmi del tutto…
Si sfilò le scarpe e si rannicchiò sotto il plaid che era ripiegato ai piedi del letto, e poi chiuse gli occhi…
Quando li riaprì, le sembrò di riemergere da un abisso. La luminosità nella stanza era cambiata. Aveva smesso di nevicare e dal giardino provenivano le voci e le grida entusiaste dei ragazzini.
Si alzò e andò a sbirciare dalla finestra. Il parco era interamente ricoperto da un soffice manto di neve. Il cielo era ancora bianco e la luce di quel pomeriggio di dicembre iniziava a smorzarsi. Dozzine di bambini imbacuccati erano impegnatissime a lanciarsi palle di neve e a modellare incerti pupazzi.
Emma sorrise.
Poi, infreddolita cercò tra gli abiti che le aveva dato Watari qualcosa da poter indossare sopra il suo maglioncino di lana.
E così, dopo essersi rimessa le scarpe e con indosso una felpa azzurra con la stampa un po’ consumata della “S” di Superman, uscì dalla stanza, diretta alla porta dietro la quale avrebbe dovuto trovare Elle.
Il suo corpo aveva avuto ragione. Aveva avuto bisogno di dormire.
Adesso non era più confusa. I mille pensieri avevano cessato di affastellarsi, ma solo perché si erano placati.
Una cosa per volta. Senza fretta… Una domanda per volta, così come la mente e l’istinto mi suggeriscono al momento, senza ripensarci su…
Ma quando provò a bussare a quella porta, nessuno rispose.
Così Emma decise di andare nella sala grande. Scese le scale, aprì la porta chiusa a chiave e si ritrovò su quel ballatoio affacciato sull'atrio tappezzato di libri.
La sala doveva essere lì sotto.
E dopo poco infatti Emma varcò silenziosamente la soglia di una grandissima camera illuminata, con un ampio caminetto acceso. Rimase sull’uscio e ne esplorò l’interno, senza che nessuno si fosse accorto della sua presenza.
Al momento la sala era quasi deserta. I bambini erano praticamente tutti fuori a giocare. Seduto su una poltrona davanti al caminetto, Watari leggeva.
Sopra al tappeto era comodamente stesa sulla pancia una bambina di massimo otto anni, che agitava allegramente le gambe per aria, tutta intenta a disegnare e circondata delle matite colorate che le rotolavano intorno, sul pavimento.
In un angolo distante da tutti, sempre sul pavimento e dietro un’alta e perfetta torre di fiammiferi, era raggomitolato un ragazzino minuto, col capo chino e i folti capelli candidi. A primo impatto si sarebbe detto che non potesse avere più di dieci anni, ma in realtà ne aveva tredici.
Emma fece solo un passo all’interno della sala, quando la bambina esclamò soddisfatta «Ho finito!» e si alzò di colpo, sorridente e col foglio tra le mani.
Watari sollevò il capo.
Ma la bambina non lo degnò di uno sguardo, spostando invece l’attenzione verso il ragazzino nell’angolo, che naturalmente non si mosse, né mostrò di essere stato in alcun modo distratto, ma continuò a costruire la sua torre di fiammiferi a capo chino, completamente indifferente.
Così la bambina fece un grosso sospiro e le guance le si imporporarono appena. Sembrò farsi forza e piano si avvicinò a lui.
Quando gli fu davanti, allungò timidamente la mano che stringeva tra le dita il foglio col disegno, per porgerglielo. Con la voce un po’ tremante e gli occhi che brillavano, gli mormorò «…Guarda…Sei tu… L’ho fatto per te…»
Lui alzò finalmente il capo e due occhi gelidi e spenti si soffermarono sul foglio. Solo su quello e non su di lei. E poi, senza interesse, quegli occhi ritornarono alla torre. Non una parola.
Lei rimase col disegno teso davanti a lui «…Non lo vuoi…?»
E il ragazzino, sempre a capo chino, le disse con una voce glaciale, tremendamente passiva «È probabile che ti possa sembrare che siamo coetanei, visto che non sono molto alto e visto che sono qui a giocare, ma non lo siamo. È naturale che a me non interessino i tuoi mediocri disegni.»
Cattivo. Antipatico. Ma non perché volesse fare scientemente del male o provocare o sondare le capacità del prossimo. Quel ragazzino era distruttivo e basta, perché inutilmente sincero e privo di qualunque tipo di interesse che esulasse da se stesso.
La luce che fino a poco prima aveva brillato negli occhi della bambina si spense all’istante.
Wammy si alzò «Near…» disse con una lievissima punta di rimprovero nella voce, come per richiamarlo, come per ricordagli qualcosa di cui avevano già parlato tra loro e che quindi lui doveva sapere.
Il ragazzino allora alzò stancamente lo sguardo su Watari e poi si rivolse alla bambina, allungò le dita sul disegno e le disse in modo asettico «Grazie.»
Lei sembrò appena riacquistare un po’ di coraggio «…Ti piace?»
«Sì.» rispose Near lapidario e senza calore.
Allora la bambina sorrise felice, si chinò e lo baciò sulla guancia per poi trotterellarsene via.
E lui non si mosse, non si allontanò, non la scansò, ma soprattutto non ebbe alcun fremito di fastidio o disagio.
Quel gesto, quel contatto, non lo aveva raggiunto in nessun modo. Nemmeno in senso negativo…
Quel gesto non era stato niente.
Il volto di Watari si oscurò e poi si posò amaro su quello di Emma, che era rimasta lì dov’era.  
L’anziano inventore mormorò «…Per quanti semi o acqua si potranno gettare, nulla potrà mai germogliare senza terra…»
Emma corrugò la fronte, scossa da quell’affermazione così triste e in parte oscura.
Così Wammy, con calma, si avvicinò ad uno degli scaffali che occupavano una parete, prese un cd e lo inserì su uno stereo, in alto.
E le note di un organo riempirono la stanza.
Poi invitò gentilmente Emma ad entrare nella camera, si avvicinò a lei e con un tono di voce basso, ma udibile a lei, iniziò a fare luce su quanto aveva appena affermato «…Forse erroneamente, ho sempre paragonato i loro animi alla terra e ai suoi cicli…» si voltò verso Near e lo osservò per qualche istante mentre lui continuava a costruire la sua torre di fiammiferi, poi tornò a guardare Emma «…È stato cresciuto da sua madre, prima di giungere qui. Lei era incapace di provare e dare affetto a causa di una grave psicopatologia che, purtroppo, non fu riconosciuta prima che potesse fare danni al bambino che lei portava in grembo. Così, in lui, quel terreno immacolato che ogni essere umano possiede alla nascita e che, grazie a lei e al suo amore, avrebbe dovuto nutrirsi e crescere per poter diventare fertile ed essere quindi in grado a sua volta di far germogliare i suoi frutti, è stato lasciato morire, si è lentamente inaridito, seccato, ha perso tutte le caratteristiche che in potenza avrebbero potuto renderlo accogliente e prolifico. È diventato polvere. E poi è scomparso…E se non c’è terra che possa accogliere, non c’è seme che possa essere piantato, non c’è affetto che possa essere ospitato.»
Emma tentennò appena «… Perché mi ha raccontato questo…?»
«Perché lei, Miss Emma, non poteva saperlo.» rispose semplicemente Wammy.
 
 
 
 
 
 
Come sapete, questo capitolo non avrebbe dovuto essere pubblicato con questo ritardo, ma problemi personali e al lavoro mi hanno completamente staccata da questa storia e da voi e sono sparita ovunque, senza nessun avviso, apparendo arrogante, maleducata e ingrata. Me ne dispiace moltissimo, perché non sono così.
Non sono al mio massimo, anche se adesso va molto meglio, tant’è che sono qui, ma sono ancora meno capace di giudicare questo capitolo e la piega che sta prendendo la fine di questa storia. Ma devo lasciarla così. So per certo che a qualcuno magari piacerà e a qualcun altro no, che qualcuno la troverà noiosa e scontata, qualcun altro no (ormai “conosco” molti di voi e a volte mi ritrovo a ragionare su cosa non piacerà all’uno e cosa all’altro, indovinando o sbagliando clamorosamente). Forse ci sono troppi pensieri, troppe elucubrazioni, troppi psicologismi inutili, ridicoli e campati in aria. Ma per come sono fatta io, non c’era modo di affrontare la Wammy’s  ed L ed il loro impatto con Emma diversamente da così. Le dinamiche di relazione non sono mai facili, per nessuno, e in questa storia ogni cosa, liberata dal caso Kira, acquista un valore e un peso diverso. Ed è probabile che io per questo abbia perso di vista Death Note ed L, ormai fagocitata soltanto dalla mia storia e dalle mie personali interpretazioni. Se è così, spero possiate almeno apprezzare quel qualcosa di diverso che ho provato a esprimere, non so con quali risultati.
Chiedo scusa a voi, che tanto mi sostenete con meravigliose parole, e chiedo scusa al personaggio originale di L, che tanto amo.
 
Sono stata un po’ più concisa e seriosa del solito con queste note finali, ma sono sempre la stessa ^_^
 
Ci vediamo qui fra due settimane,
 
Un bacio grande e grazie,
 
 
Eru

 
 


 
   
 
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