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Autore: summers001    05/10/2013    5 recensioni
[Everlak!] [post-Mockingjay; pre-epilogo]
Mi culla mentre io urlo e piango ancora. Mi fa sedere accanto a lui sul divano. Lascia che gli sporchi la sua camicia celeste con le mie lacrime. Mi addormento così quando le mie palpebre sono così gonfie che a mala pena riesco a tenere gli occhi aperti.
Apro appena gli occhi quando sento un rumore in casa. E' Haymitch, è venuto forse per la prima volta a controllarmi dopo mesi, me o le scorte d'alcol che avevo sempre pronte per lui. Tempismo perfetto. Lo scruto nella penombra del sonno, ride di noi e se ne va stringendo qualcosa, una bottiglia, mentre io crollo di nuovo sul braccio di Peeta che arrangio a cuscino.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi sveglio di colpo tremando. Non ricordo cosa ho sognato, è già svanito. C'era buio però ed una paura furiosa che mi prendeva in petto e mi tiene ancora adesso. Ho il respiro affannoso e mi batte forte il cuore. Due braccia mi stringono da dietro, sobbalzo, poi lo riconosco. E' Peeta che mi culla e mi tiene stretta, almeno penso. Mi dice che va tutto bene, che non è niente. L'onda del sonno mi suggerisce che Peeta e mia figlia sono il sogno, mentre la paura è quella che proverò quando mi sveglierò e scoprirò di essere sola. La ragione prende il sopravvento e forse ci credo. Sono sposata, è davvero Peeta che mi sta stringendo. Mi calmo e respiro un po' meglio, allora chiudo gli occhi e cerco di avere pensieri positivi per allontanare gli altri, che costantemente giocano coi miei sensi. L'illusione del sogno se n'è andata, ma la paura resta, viva, calda, pulsante, accecante. E mi insegue, è veloce, mi prende ovunque. Il mondo fa schifo, non sopporto la gente. Ci cadremo di nuovo, me lo sento dentro, nei giochi e nella dittatura.
Pochi minuti ed i piedini saltellanti di mia figlia risuonano lungo il corridoio. Corre verso la nostra camera, apre, sbatte la porta ed entra. La chiamiamo peperina, è diversa da tutti qui dentro, da me, da Peeta, da Haymitch. Saltella sul letto, piega il materasso e le coperte ed io scivolo un po' verso di lei. Peeta lascia me e lei si getta tra le sue braccia. Dormicchia ancora ed allora sbanda un po' per incassare il colpo del suo peso.
"Che è successo, peperina?" le chiede mio marito con la voce dolce che usa solo per lei. Sento la schiena di Serena strusciare contro il petto del suo papà. Sbuffa e gli parla del temporale che l'ha spaventata stanotte e di quanto è stata brava a dormire da sola, come un'adulta. Io spero che adulta non ci diventi mai.
"Perché mamma non si sveglia?" La sua voce stridula ed orgogliosa si offende perché non sono lì a gioire con lei. Non ancora, non me la sento. Non riesco a provare felicità neanche per le sue vittorie.
"Vogliamo aiutarla, peperina? Cosa ti ricordi?"
Vorrei quasi aprire gli occhi, girarmi verso di loro e vederli, ma ho ancora paura di non trovarli, che quei due secondi di confuso terrore prima di incrociare le loro sagome solide, reali, possano sembrarmi un'eternità.
"Zia Annie e quel ragazzo alto alto che mi hanno portato le caramelle!" biascica Serena. Mi ricorda ogni volta di quel ragazzo alto alto, che io ho conosciuto molti anni fa, poco più che bambino che mi arrivava alle ginocchia.
"Benissimo Annie e il ragazzo di Finnick, poi? Magari Leo, il giovanotto che ti riporta sempre a casa quando la mamma ti perde?"
"Sì!! Anche lui..." comincia pensando "E' gentile!" conclude soddisfatta. Mia figlia nomina altre persone che le danno sempre una mano, quando vuole portarsi a casa le ceste di fiori, a riordinare per colore i sassolini che tiene nel barattolo di vetro, le maestre che le hanno regalato qualche libro di favole che neanch'io conoscevo. Non le piace leggere, ma quando si tratta di principesse può fare uno strappo. Serena continua a contare sulle dita. Poi conto anch'io. Annie, Haymitch, Peeta, Leo, le maestre, la vecchia Sae, il ragazzo dello spaccio, quella del giornale. Ora abbiamo anche un giornale, le persone hanno riscoperto il piacere della carta stampata fresca sotto le dita, i confini si sono estesi, le materie prime sono aumentate.
Mi sento meglio, prendo un respiro profondo, mi giro.
"Ciao tesoro!"

 

Peeta ha deciso di rinnovare la panetteria, era ora di stuccare gli angoli, ricolorare le pareti, aggiungere una mano di novità. Da quando ho avuto Serena le mie giornate a caccia sono diminuite ed ora per aiutare con le ristrutturazioni, si sono fatte rarissime. Eppure nonostante non porti arco e frecce con me, nei boschi ci vado sempre, con una bambina al mio carico ed è fantastico vedere che almeno in questo ha preso da me: nei boschi ride sempre.
Purtroppo il nostro da farsi in negozio ci tiene anche lontani dalla nostra bambina, che nonostante sia con noi a giocare sulla piazza dove possiamo sempre vederla s'è fatta triste. Sta passando i giorni accigliata sul ciglio della strada. Non basterebbe nessun giocattolo che s'è portata da casa per sollevare le pieghe delle sue labbra. Mollo la calce e la paletta che ho in mano, mi pulisco le mani sui jeans sporchi di bianco e grigio, varco lo stipite della porta di vetro aperta per poter correre meglio da lei se succedesse qualcosa e la raggiungo. Mi siedo accanto a lei sul marciapiede, la guardo agitare i piedini con le scarpe sporche di terra sui bordi mentre fa muovere come un serpente la corda che usa per saltarci dentro, la fa oscillare a destra e sinistra, creando strani disegni sinuosi tra i ciottoli.
"Ti senti sola, piccola?" Guardo quel punto indefinito lungo la strada insieme a lei.
"Papà non vuole giocare con me!" dice con voce triste. E' abituata ad essere al centro dell'attenzione in qualunque momento. Peeta la porta con se quando non è con me, giocano insieme, dipingono, si divertono sempre un mondo, ridono sempre entrambi. Ride anche con me, ma con lui di più. Ha un qualche potere speciale, qualcosa di estremamente coinvolgente.
"Papà non può giocare," sottolineo perché capisca che ci sono anche doveri a cui suo padre a volte non può sottrarsi "e poi hey hai sempre me, guardami! Sono qui!" scherzo con lei e spero che basti perché mi trovi simpatica, perché mi accetti, perché la paura di non essere abbastanza per la mia peperina mi prende sempre. Mi sento sempre sotto esame con lei.
"Tu non giochi come lui!" sbuffa. E questo lo so, non mi offende, l'ho sempre saputo prima ancora che nascesse.
"E chi gioca come lui?" le chiedo e le sposto una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio. Scopro la guancia paffuta ed i suoi lineamenti regolari. Ha il naso di mia madre, le labbra di mio padre, il mento come il fratello più grande di Peeta e la fronte di sua madre. Avere lei è come avere un collage di tutto quello che ci è mancato in questi anni solitari.
Per un attimo ho paura che resti sola, che non si faccia degli amici, proprio come me, che mi somigli in uno dei miei lati peggiori. Ma poi fa quella smorfia col viso, quel broncio e quei gesti con le mani che mi ricordano Peeta e mi ricordo che per quanto possa somigliarmi nell'aspetto, i loro cuori sono uguali. Serena avrà tanti amici, ha già tanti amici nonostante non sappia ancora parlare bene.
"Mi ha detto Angela che ha un fratellino e che adesso che è cresciuto e sta in piedi giocano insieme!"
Forse mi sbaglio, forse è solo uno stupido sogno, ma credo di ricordare mio padre che mi faceva la stessa domanda che sto per fare io a lei, una vita fa forse due o anche tre. "E vuoi un fratellino anche tu?" 
Serena fa sì con la testa. Annuisce silenziosa, ma senza speranza. Tira un sospiro ed alza gli occhi verso di me "Ma papà mi ha detto che i fratellini li portano le cicogne e che le avete detto di non venire più da noi!" Quando Peeta parla di noi, in realtà parla di me. Ma non vuole che Serena abbia pregiudizi verso di me, nonostante sia la sua mamma. Peeta deve ripetermelo sempre, sono la sua mamma, non mi odierà mai, mi amerà sempre. Mi protegge ancora, mi proteggerà sempre.
Ed ora sono io che proteggo lei, dalla solitudine forse, da una vita diversa che non voglio le appartenga; scelgo una cosa che cambierà la nostra vita di nuovo, che ci renderà forse migliori ancora, che aiuterà lei. E voglio insegnarle due cose adesso: non smettere mai di sperare ed amare qualcuno, come io ho amato Prim. "Va' da papà e digli che la mamma ha detto che potrai avere un fratellino o una sorellina!" mi libero il cuore di un peso che non sapevo di avere finché non se n'è andato.
Serena sgrana gli occhi, non ci pensa due volte, lancia via la cordicella che teneva futilmente in mano, fugge urlando verso il suo papà e li vedo bisbigliare. Li fisso. Peeta si china su di lei ed ascolta prima curioso poi stupito, parla, forse le chiede qualcosa. Poi alza gli occhi verso di me con ancora le mani sulle ginocchia. E' serio, mi guarda e basta da lontano, forse l'ho stupito ancora. Gli sorrido, alzo la mano e piego le dita come a salutarlo.
Mi rendo conto che non gli ho mai detto grazie per avermi fatto questo regalo, per aver insistito così tanto negli anni. Né lui è mai venuto a riscattare da me la sua porzione di ragione e di scuse. Gli devo tutto, devo tutto a Peeta per aver scelto me per creare quello che abbiamo e devo tutto anche a lei, al mio pulcino, perché solo adesso è passato, quel groppo che mi portavo dietro, solo adesso la nuova Katniss si è trasformata in un'altra Katniss. Sono viva solo adesso, sono sicura di poter amare solo adesso, che la fortuna questa volta, forse, sia davvero a nostro favore. E devo tutto a lui ed a lei, alla mia famiglia.
Guardami adesso, Prim.

 

Le camere nella mia casa sono sempre state tre. Una è quella dove una volta viveva mia madre. La prima volta che entrai qui le sue cose erano già sparite. C'era solo polvere ed un grande specchio, l'unico che non avevo ancora distrutto all'epoca. Oggi uso quello specchio per controllarmi il profilo della mia pancia, di mio figlio che mi cresce dentro, ho imparato ad accettarle i cambiamenti del mio corpo almeno questa volta, anche se a tratti muoio ancora di paura come non mai. Nell'altra c'erano ancora i miei vestiti quando l'abbiamo trasformata in una cameretta rosa confetto per Serena. L'ultima è quella. L'ho sempre tenuta chiusa a chiave, ho impedito a Peeta ed a mia figlia di muovere qualunque cosa ci fosse dentro. Vivo con una tomba in casa, che nonostante tutto il tempo che è passato non voglio disfare. Non sono mai stata così affezionata alle cose, ma queste sono diverse. Ricordo quando anni fa andavo a caccia, poi passavo di sopra prima di fare la doccia e mi sporgevo da questa porta per controllare che stesse facendo, se aveva mangiato. Era sempre a questa scrivania, scriveva e colorava. Dopo che anche Ranuncolo se n'è andato mi sembrava di farle un torto cancellandola da casa mia, nostra.
Ora questa camera mi serve, ora non posso farne a meno. Dovrò ridipingerla di azzurro. Apro la finestra, disfo il letto, cambio le lenzuola. Mi fermo tenendomi la pancia e ricomincio. Raccolgo tutte le sue cose, pennarelli ormai secchi, quaderni, vestiti. Li sfoglio anche se li conosco a memoria, leggo gli appunti di medicina un'ultima volta e poi metto tutto in uno scatolo. Ci scrivo sopra il suo nome ed aspetto Peeta che lo porti in soffitta, perché da sola non ce la faccio.
C'è un leggero venticello che alza il profumo di detersivo e fiori. La sento nell'aria, un sussurro o l'onda di un sussurro che se ne va. Quello che resta di lei è ormai accanto a me. Vive nel coraggio che mi ha dato nel confessarmi a Peeta, nel nostro matrimonio, nei nostri figli. Vive nella mia vita ancora. E so che questo basta.

 

Quando nasce mio figlio, Peeta è di nuovo con me. Lo prende lui per primo questa volta, li guardo insieme e già se lo conosco appena so quanto si somiglino loro due. Sorrido e piango perché sono proprio due gocce d'acqua. Peeta me lo avvicina, lo prendo e gli strofino l'asciugamano tra i capelli biondi. Rido pensando che Serena ne aveva meno dei suoi.
Peeta si allontana qualche secondo da me, apre la porta ed entra qualcun altro insieme a lui. Siamo tre generazioni nella stessa stanza, tutti uniti per festeggiare la famiglia che non avremmo mai creduto di riuscire a vedere, quella che se ce lo avessero detto non ci avremmo creduto.
"Nonna, nonna! Forza vieni!" Serena tira la mano di mia madre che non ha più lo stesso passo veloce di una volta, cammina lentamente ed arranca ogni tanto quando nessuno la vede, ma è venuta e credo proprio voglia restare questa volta. Peeta solleva la piccola e la fa sedere accanto a me sul letto. Guarda il suo fratellino con gli occhi lucidi e la boccuccia schiusa. Allunga le mani, perché è così che fa con tutto. Gli prende le manine e vediamo il nostro secondo figlio aprire gli occhi e scrutare la nuova arrivata.
Lei gli agita le braccine così piano, come se volesse giocare ma non lo volesse rompere mai. "Ciao! Io sono Serena. Questo è papà," gli tira le mani per portarlo davanti alla sua vista, "la mamma ti sta tenendo e" allunga la mano e cerca di far avvicinare mia madre "quella è la nonna!"
"Come si chiama?" chiede poi a me.
"Decidilo tu!" le fa Peeta e mi guarda per chiedermi se va bene così ed io faccio solo sì con la testa, va bene così.
"E come faccio a scegliere?" piagnucola lei agitando le braccia tozze sopra la testa. Porta i capelli sciolti, perché le trecce come le portavo io non le sopporta, dice che le tirano la testa. Così quando si agita coma adeso si muovono anche ciocche scure.
"Puoi dargli il nome di qualcosa che ti piace." gli propongo io sporgendomi verso di lei.
"Tipo le caramelle o gli alberi o i muffin?"
"Così lo prenderanno tutti in giro, tesoro mio!" le sussurra Peeta ridacchiando. Io abbozzo un sorriso con loro.
Serena ci pensa un attimo, non capisce perché. Agita la testa ed i ricci scuri le si muovono ancora come avessero vita propria. Poi il nostro bambino fa un verso e poi ancora un altro. Serena lo scruta con un dito sulla guancia tonda e rosea.
"Mamma!!" mi chiama, mi urla ed io stringo gli occhi sulle guance in una smorfia infastidita dalle sue urla troppo acute. Si tappa la bocca con le mani da sola e mi guarda con gli occhi da furbetta. Di nuovo ci facciamo catturare dal frugoletto che agita le mani e piagnucola con lo stesso tono della sorella.
"Jay!!" urla di nuovo Serena, forse pensando agli uccelli nel bosco o ad una mia vecchia foto che ha visto qualche mese fa dove indossavo una spilla dorata. Io mi sento gelare (*) perché tra tutti i nomi, non poteva scegliere nulla che mi ricordasse di più il mio passato. Mi ricorda qualcosa che sembra ancora troppo vicino, rendendo tutto questo nient'altro che un sogno. Peeta le si avvicina e le sussurra che forse neanche quello è il caso. Ma io gli faccio no con la testa, va bene così, devo superarlo, l'ho superato da tempo, da quando gli ho detto di sì per la prima volta, o da quando Serena è arrivata da noi. Non lo so, non me ne sono neanche resa conto. E' solo successo. La ghiandaia non mi disturba più. Ora non è altro che un uccello che vive in pace insieme agli altri, come me con la mia famiglia.
"Che dici, ti piace Jay-jay?" gli chiedo io chinandomi su di lui. Fa un altro verso e si nasconde dietro le mani, è timido. Ma credo che gli piaccia.
"Ora sappiamo da chi ha preso!" parla mia madre per la prima volta da quando è entrata qui. Sembra che sia rimasta in silenzio in rispetto al nostro momento, forse ci guardava e ricordava di qualcosa. Forse le sue lacrime non sono solo di felicità per noi. Passo il bambino a Peeta che capisce al volo, raccoglie Jay-jay dalle mie braccia e lo porta da mia madre. Serena li segue con lo sguardo piegando la testa verso l'alto.
Mia madre prende suo nipote in braccio e comincia a dondolare e cullarlo. Guarda me e poi guarda lui. Piange e ho paura di sapere cosa ha notato.
"Ha gli occhi di tuo padre!" cioè grigi, cioè i miei.
Nessuno potrebbe dirlo con certezza. Quando nacque Serena eravamo tutti convinti che sarebbero stati come i miei, una mia copia sputata. Io avevo sempre sperato che non lo fossero, volevo che avesse qualcosa di Peeta, che fosse una metà visibile anche di lui. I suoi occhi si sono trasformati infatti in un azzurro cielo spettacolare. Sono entrambi bellissimi e spero che anche Jay possa essere così, come anche quelli di Prim. L'idea che mi ricordi mio padre mi riporta all'infanzia. Siamo le loro radici, io, Peeta, i miei genitori, i suoi.
Solo il tempo le darà ragione.
"Vieni peperina, lasciamo dormire la mamma!" Peeta la solleva e la porta giù dal letto, rimettendole i piedi a terra. La esorta poi con una mano sulla spalla, la spinge contro voglia verso la porta mentre Serena si agita.
"Ma io non voglio!" piagnucola lei.
"Forza!" Peeta lascia che faccia qualche passettino lento, la segue, poi si ricorda di qualcosa, corre da me, mi da un bacio tenero sulle labbra e mi sussurra "A presto!" prima di scomparire con la mia famiglia.



"Nonno!!" Serena urla verso Haymitch, che anche se non ha nessuna parentela di sangue con la mia famiglia, è diventato suo nonno fin da subito. E di Jay-jay ovviamente. Io e Peeta ci divertiamo a prenderlo in giro, ricordargli l'uomo burbero che era, che è, che nasconde agli occhi dei bambini. L'abitudine all'alcol è andata, ora al massimo mangia qualche dolce di troppo, cosa che non ci preoccupa più di tanto.
Haymitch afferra Serena che gli corre incontro, la fa girare in aria mentre lei ride. Poi arruffa la testa di Jay-jay e gli promette il prossimo giro.
E' domenica, ho in mano una pila di piatti bianchi che poso velocemente sul tavolo e mi allontano verso la cucina quando so che i miei figli ed il loro surrogato di nonno si siedono sul divano aspettando di poter accendere la televisione, cosa che in genere succede solo quando me ne sono andata. C'è una sorta di comune accordo ormai tra noi. Aspetto pazientemente in cucina, dando una mano a Peeta qui e lì. A volte si ferma, si avvicina e con le mani sporche di farina o patate o zucchero mi strofina un dito sulla guancia, poi disegna cerchietti e mi guarda intensamente.
Sono talmente abituata ai suoi occhi che non so se riuscirei a vivere senza. Il più delle volte è lui a fermarsi verso di me, a stare lì impalato a fissarmi come fece una volta in una caverna diverse arene fa. Poi io mi avvicino, mi alzo sulle punte e lo bacio e basta. Sono movimenti automatici che hanno il piacere dell'abitudine.
Stranamente in questi ultimi mesi, dopo essermi ripresa dall'ultimo parto, il nostro rapporto sembra diverso. Abbiamo riscoperto una cosa che avevamo mille volte riapprezzato con stupore, dimenticato e voluto di nuovo. Sembriamo ritornati alle nostre prime prove, quando all'alba dei nostri vent'anni abbiamo scoperto di volerci in modo diverso, lo stesso modo che è amplificato e triplicato di volte in volta. Ogni volta che ci rincontriamo la sera sembra una vita dall'ultima. E sono felice con lui. Ricordo di qualche mese fa in cui, i bambini erano andati con Haymitch in una specie di gita che s'era inventato per farli felici, Peeta ed io rimanemmo per la prima volta dopo anni in casa da soli. Ci sedemmo al tavolo e ci guardammo. Avevo una maglietta bianca che mi lasciava le braccia scoperte ed una scollatura verticale verso il seno. Avevo già notato Peeta che cercava di sbirciarmi tra i capi del tessuto, allungava gli occhi ed a volte quando mi credeva distratta stendeva il collo, credendosi furbo. Ricordo che poggiai il braccio sul tavolo, che rabbrividii per il contatto freddo credevo, che allungai inconsapevolmente la mano verso di lui e che improvvisamente ci trovammo con le dita incrociate. Guardammo le nostre mani unite ed i nostri sguardi stupiti. Avevo il fiatone. Mi morsi il labbro così forte da sentire il sangue sporcarmi la bocca ed i denti, un vizio che credevo bruciato insieme a qualche centimetro di pelle e capelli. Peeta mi tirò per il polso scivolando con le dita sul dorso della mia mano e trascinandomi tra le sue braccia. Mi lanciai con la mia bocca sulla sua aspettando il contatto con la sua lingua. Mi sollevò ed io intrecciai le mie gambe alla sua vita, facendomi trascinare in camera da letto. Peeta da quel giorno mi prende in giro ogni volta, dice che non ho mai urlato tanto! A volte mi offendo e mi ritraggo nel mio guscio fatto di vergogna, altre volte sorrido con lui. Forse ha ragione o forse ci siamo solo dimenticati com'era essere giovani. A volte mi sorprendo a pensare che siamo sopravvissuti a tutto. Dobbiamo amarci molto più di quel che crediamo.
Riemergo dai miei pensieri scuotendo il capo, sposto Peeta portandogli le mani sui fianchi e mi avvio verso l'altra stanza. Spunto di nuovo in salotto quando non sento più le voci delle persone in televisione. I miei figli non sanno ancora cosa non mi piace della TV, anche perché loro la trovano semplicemente fantastica.
"Ragazzina, qualcosa non va?" Haymitch con un braccio sui cuscini del divano, la mano che penzola oltre lo schienale, il volto disinvolonto, i capelli bianchi riavviati dietro le orecchie, la voce tranquilla di qualcuno che si trova perfettamente a suo agio, mi chiama. Faccio no con la testa. Lui solleva solo le sopracciglia in una smorfia confusa. Si guarda in giro, cerca entrambi i bambini e poi fa loro segno di avvicinarsi e comincia a raccontare una storia.

 

Domani ci sposiamo davvero, in comune questa volta, perché i nostri figli ce lo chiedono.
Quando la notizia è arrivata a Capitol City abbiamo ricevuto una strana chiamata. E' la voce di una donna con l'accento strano invariato che ci ricorda di tragedie lontane nel tempo per i nostri figli, ma vive ai notri occhi. Squilla dall'altro capo della cornetta e vorrei trovare le parole per dirle che risentirla dopo così tanto mi mette le lacrime agli occhi. Devo avere gli occhi lucidi o qualcosa del genere, perché mio figlio mi tira per la stoffa dei pantaloni. Peeta mi si avvicina, gli lascio la cornetta mentre prendo il piccolo in braccio.
"Effie!!" esulta lui.
"Chi è, mamma?" mi chiede Serena alzando la testa dai suoi fogli e dalle sue tempere.
Peeta mi indica la tv. L'ultima volta che la accendemmo per noi, non per i bambini, più di cinque anni fa, Effie non era in televisione. C'erano programmi istruttivi provenienti dal distretto Due, alcuni di loro scherzavano sui giochi. A noi non va di farlo, a nessuno degli altri distretti va di farlo. Siamo rimasti sconvolti e preoccupati. Poi ci siamo ricordati di un ragazzo che abita nel Due che li odia forse più di quanto li odiamo noi. La trasmissione fu sospesa dopo poco, a distanza di qualche minuto. Dobbiamo ringraziare Gale per questo. Ora invece la nostra vecchia amica ha una trasmissione tutta sua, parlava ai bambini. Io non la guardo mai, sono sempre fuori a caccia, nei boschi, al forno o con Peeta quando Effie compare in tv, mi rifiuto di ricordare ancora gli annunci per il quale ci obbligavano a tenerla accesa.
"E' la signora che vedi sempre in televisione, peperina!"
"Quella con i vestiti rosa e scintillanti??" chiede con voce emozionata e pimpante. Crescere non le ha ridimensionato affatto l'allegria.
Sorrido. A nessuno di noi sono mai piaciuti quei vestiti e mi chiedo come facciano a piacere a lei, che è ancora una bimba così semplice. Faccio di sì con la testa, guardo verso Peeta che mi alza il pollice mentre continua a parlare.
"Che dice?" gli chiedo appena appende la cornetta.
"Che aveva scommesso su noi due dall'inizio."
Sorrido. Non è vero, non l'ha mai fatto, ma accetto la bugia e basta.
"Katniss," comincia con quel tono che ha quando vuole dirmi qualcosa che non mi piacerà "ha detto anche che la prossima settimana registreranno nel nostro distretto."
La mia paura folle che certe mattine non mi fa alzare dal letto mi prende di nuovo e mi irrigidisce sul posto. E questa volta sono sveglia, non sto sognando. Effie torna al Distretto 12.
"Non è la mietitura!" deve ricordarmi Peeta sussurrandomi in un orecchio mentre mi abbraccia perché i nostri figli non lo scoprano. Non vogliamo che lo sappiano già ora. Impareranno, avranno tempo, almeno così spero.
Sorrido e gli strofino la mano lungo il braccio.

 

Rivederla ci ha portato indietro di almeno venti anni. E' diversa lei, siamo diversi noi, ha riso persino ricordando l'ultimo caduto di questi anni, la bottiglia di liquore che Haymitch ormai non si porta più dietro. Ci ha abbracciati con i suoi modi di fare ancora invadenti di Capitol City. Mi afferrato una guancia, ha preso Peeta per mano perché ci considera ancora ragazzini. E' quando ci giriamo verso i nostri figli, seduti su delle poltroncine blu in piazza tra il pubblico del suo show, che capisce che siamo cresciuti e ci sorride e si congratula con noi per tutto, perché è davvero felice per noi. Sorrido anch'io ed anche Peeta, la ringraziamo e stavolta sono io ad avvicinarmi a tenerla stretta. Usa ancora quei tacchi vertigginosi che porta con eleganza. E' bello rivederla, è bello vedere che lei nonostante tutto, il tempo, le rughe, sia sempre la stessa. Provo uno strano senso di nostalgia che non mi aspettavo nel ripensare a quegli anni. Chiudo gli occhi ed i nostri momenti con Effie mi scorrono davanti come un video o un pass pro: la volta che ci ha fatti stringere la mano davanti a lei sul palco del nostro distretto, il gridolino di stupore che lasciò quando accanto a me seguì la prima confessione di Peeta in diretta, la meticolosità con cui ci preparò al tour, lo sguardo triste e la lacrima che stava per piangere quando dovette estrarre per la seconda volta il mio nome, lo stupore nel rincontrarci dopo tutto quell'orrore.
Si allontana da noi e sale sul palco ancora. Io e Peeta ci disponiamo dietro attorno alla piazza, guardiamo i bambini e facciamo ciao con la mano, come facevano una volta mia madre ed i suoi genitori. Piangiamo anche noi come loro, ma siamo felici, perché loro lo sono.
Effie inizia a presentare, fa vedere qualche filmino divertente, delle storie educative che hanno animato giusto per loro e poi arriva il momento che tutti aspettavano. Estrae un grande libro da una cassa di legno maestosa e bellissima, perfettamente intarsiata con disegni di fiori ed insetti, che le hanno portato. Chiede usando il microfono se c'è qualche bambino o bambina che si offre volontario per leggere al posto suo. Nessuno si alza. Per un breve attimo guarda verso di noi e poi cerca tra il pubblico. Riconosce Jay-jay ed i suoi capelli biondi e lo chiama.
Mi stupisco e sorrido. Ho le mani davanti alla bocca e non riesco a respirare, curiosa in sospeso per quello che mio figlio potrebbe fare. Lui si gela, non si muove, lo vedo fare solo no con la testa rigido. E' un bambino timido, non ama il pubblico, la compagnia di molte persone insieme. Mi rivedo in lui più di quanto faccia con la nostra peperina, perché nonostante i capelli chiari ed i lineamenti appena accennati ma già decisi, so che è proprio come me. Non lo proteggerò, non l'ho fatto né lascerò che Peeta lo faccia. So che vorrà fare i passi più importanti con le sue gambe. E se avrà troppa paura ha già un piccolo angelo custode.
Serena si alza, gli prende la mano. "Mi offro volontaria con lui!" urla. Ora ha dodici anni e Jay-jay solo sette. Mi scivola una mano al petto, mentre con l'altra cerco Peeta trattenendo un singhiozzo che sa di lacrime. Peeta è già dietro di me, con le mani sulle mie spalle a tenermi stretta. Mi bacia tra i capelli, chiudo gli occhi per un attimo minuscolo per afferrare tutto il calore che può darmi e li riapro subito per non perdermi un secondo.
Salgono le scalette insieme, raggiungono Effie. Serena è allegra, tiene l'attenzione alta, scherza con Effie, incita gli altri bambini aspettando che loro completino le sue frasi. Sorrido tra le lacrime.
Ci stringiamo mentre ci indica e con suo fratello fa ciao con la mano. Tutti si girano verso di noi. Alcuni ci conoscono per le nostre mansioni in città, i meno ricordano la ragazza di fuoco ed il ragazzo innamorato, gli sfortunati amanti del distretto Dodici, altri invece solo come genitori dei loro amichetti. Siamo di nuovo su uno schermo, facciamo ciao anche noi. Questa volta però il merito non è nostro, non è di Capitol City, siamo gli ospiti delle nuove star. Questa volta il palco scenico è loro.

 


 

(*) Jay in inglese è ghiandaia o anche "chiacchierare" o semplicemente un nome proprio ;) Beh mi spiego, progettavo di scrivere la storia in inglese (il gioco di parole!), ma poi non s'è fatto niente. Volevo cercare un altro nome significativo e geniale ma nulla!

 

 

Angolo dell'autore:
Passo la vita a giustificarmi per capitoli lasciati in ritardo. C'è stato l'ultimo esame del semestre a rompermi l'anima, poi di nuovo i corsi, poi il tempo di scrivere e correggere.
Quindi!! Spero davvero che vi sia piaciuta! Spero che chi sia arrivato fin qui sia soddisfatto, ma mi accontento anche di un sorriso! Io ho pianto, lo ammetto xD
Alla prossima ;) (ci sarà, ci sarà mhuahuahua!)

  
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