Film > The Phantom of the Opera
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Autore: ErikaDanielle    05/10/2013    2 recensioni
Sono passati quattro anni dal terribile incendio del Don Juan. L'Opèra Populaire di Parigi è stata ricostruita e cantanti e ballerine si affannano a ricominciare gli spettacoli. Christine felicemente sposata è tornata a Parigi, rimpiangendo la sua passata carriera musicale e preda dei fantasmi del suo passato. Tutto sembra tornato alla normalità, almeno finché una misteriosa ragazza incappucciata non giunge all'Opèra. Chi è lei? Perché tutti la scambiano per il fantasma dell'Opèra? E Erik è davvero morto? Nell'oscurità sfavillante dei sotterranei dell'Opèra la musica della notte è pronta a divampare un'ultima volta, feroce e sublime, travolgendo ogni singola cosa. Eppure solo i fantasmi sono in grado di sentirla, e di leggere oltre la sua straziante maschera...
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Meg Giry, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1

I Fantasmi del Passato
Quattro anni dopo
 
 
Quell’anno l’inverno era giunto in fretta, più di quanto chiunque si aspettasse. Per giorni Parigi era stata sommersa da un vento gelido. L’acqua si era ghiacciata, le carrozze erano arrancate con fatica sotto le sferzate d’aria fredda e i Parigini erano stati costretti ad imbottirsi in enormi pellicce e scialli di pregiata lana.
Nessuno, neppure la giovane e allegra Meg e sua madre, era preparato ad un clima tanto insolito. A quel cielo nero che da innumerevoli giorni oscurava il sole e a quel vento secco, impetuoso e spietato, che alzava le gonne e portava via i cappelli degli incauti che si arrischiavano ad uscire anche solo per una passeggiata.
Nonostante il tempo pessimo, infatti, sembrava che Parigi non avesse mai conosciuto un traffico tanto intenso come quello che si verificava in quei giorni. Era un via vai continuo di persone, mezzi, cavalli, gendarmi che dispensavano consigli inutili ai cittadini e operai che tentavano di riparare i danni causati dal vento.
A tutta questa gente, poi, si aggiungeva anche la moltitudine impressionante di aristocratici, borghesi, musicisti e amanti d’arte che intendevano partecipare all’inaugurazione dell’Opèra Populaire della settimana successiva.
Richard Firmin e Gilles Andrè, infatti, avevano finalmente ultimato la ristrutturazione della loro Opèra e dopo quattro anni di abbandono e disfacimento la grandiosa Accademia della Musica sarebbe di nuovo tornata a splendere.
O almeno questo era ciò che Firmin aveva proclamato durante una festa in suo onore tenuta proprio qualche giorno prima in Rue Auber.
Quella sera, tuttavia, al contrario delle precedenti, non c’era nessuno in giro per Parigi e il vento freddo che aveva soffiato per tutto il giorno si era acquietato, lasciando il posto ad una insidiosa brezza invernale.
Dalla volta bianchissima del cielo cominciavano a cadere lenti fiocchi di neve che volteggiavano e planavano sulle strade deserte.
La ragazza avvolta nel pesante mantello nero come la notte camminava piano, quasi quanto la soffice neve e a tratti si guardava preoccupata alle spalle come se temesse di scorgere qualcuno. Ma quella notte non c’era anima viva in tutta Parigi e la città francese giaceva sepolta sotto l’attutito silenzio della prima nevicata dell’anno.
Lei, invece, ancora non riusciva a credere di essere arrivata tanto in fretta nella grande capitale e i suoi occhi continuavano a spostarsi da un palazzo signorile all’altro, pieni di meraviglia e sbigottimento.
Nell’ultima stalla abbandonata in cui si era rifugiata aveva pensato di avere davanti a sé  almeno un’altra settimana di viaggio prima di raggiungere la meta. Poi, però, era giunto l’inatteso e quanto mai straordinario colpo di fortuna. Se così lo si poteva chiamare, visto che inizialmente l’aveva considerato l’ennesima brutta sorpresa del destino.
Era appena uscita dalla stalla che costituiva il suo fortuito riparo e stava già raccogliendo le poche cose che possedeva per riprendere il viaggio, quando aveva sentito un gran trambusto, seguito da urla e dal nitrire spaventato di un cavallo.
Di solito non amava immischiarsi nelle zuffe o nei litigi in generale, perché aveva imparato a proprie spese che questo comportava solo altri guai, ma in quell’istante si era sentita colta così di sorpresa da non poter evitare di precipitarsi sulla strada.
Quello che aveva visto, però, le aveva fatto rimpiangere la sua avventatezza.
Una carrozza era ferma a qualche metro di distanza, sul ciglio del sentiero, ma non si poteva certo dire che si trattasse di una sosta programmata. I due giovani e apparentemente ricchi viaggiatori, un uomo e una donna, erano stati legati insieme al cocchiere alle ruote della diligenza e quattro banditi dal viso coperto discutevano animatamente su cosa rubare e cosa lasciare ai malcapitati.
Non era di certo una bella situazione e lei non aveva alcuna intenzione di piombarci dentro. Perciò indietreggiò lentamente, soppesando fra sé le strade alternative per raggiungere Parigi, ma ancor prima che avesse compiuto qualche passo uno dei due nobili assaliti la vide e lanciò uno strillo spaventato.
“Dannazione” pensò fra sé serrando i denti.
Non era la prima volta che qualcuno la scambiava per una malintenzionata e il mantello color pece che le copriva il volto non contribuiva certo a dare agli altri un’idea migliore di sé. Ma quella semplice esclamazione l’aveva appena gettata in un incubo. L’ennesimo scherzo del destino.
Vide i briganti voltarsi contemporaneamente verso di lei e trattenne a stento un’imprecazione. Non sarebbe stata di certo la mossa migliore nella sua situazione.
Intanto la sua mente tentava disperatamente di elaborare una via di fuga. Ma anche se avesse cominciato a correre in quell’esatto istante non sarebbe mai riuscita a scappare da quegli uomini agili e scattanti, abituati all’inseguimento, e la possibilità che la lasciassero in pace sembrava quanto mai remota.
Non aveva via di scampo.
- Che ci fai qui, Denise? È accaduto qualcosa al campo? – le domandò all’improvviso uno dei briganti, scrutandola perplesso.
Ma lei era ancora più confusa dell’uomo.
Denise? Si riferiva a lei il brigante?
L’aveva sicuramente scambiata per qualcun’altro, e non era certa che fosse un male.
Avrebbe potuto stare al gioco, rassicurarlo e andarsene lentamente, oppure aiutarli nel loro saccheggio per chiedere qualcosa in cambio. Era quello che faceva di solito. La vita le aveva insegnato in fretta a pensare prima di tutto a sé stessa, anche se l’egoismo era uno di quegli atteggiamenti che detestava maggiormente negli altri. Ma qui non si trattava solo di ego, era la legge dura della vita, i più forti vincevano, i più deboli soccombevano e lei non poteva permettersi di fare l’altruista.
Qualcosa, però, la fece tentennare dal suo proposito, e gettò un rapido sguardo ai viaggiatori imbavagliati alla vettura e subito dopo al brigante che attendeva una sua risposta.
Agì d’istinto, senza sapere neppure lei cosa stesse veramente facendo.
- Stanno arrivando i gendarmi! – singhiozzò recitando la sua parte di “Denise” in un modo che avrebbe fatto invidia anche ad un’attrice dell’Opéra – Sono arrivata fin qui di corsa, ma loro avevano anche i cavalli. Saranno qui a minuti... – continuò, e per dare credibilità alla sua voce aggiunse un respiro affrettato come se avesse effettivamente il fiatone.
I briganti rimasero zitti un lunghissimo istante, tanto che lei temette di essersi tradita da sola, poi la voce dell’uomo che le aveva rivolto la parola tuonò da sopra la carrozza.
- Avete sentito, imbecilli? Lasciate tutto, andiamocene!
E obbedendo a quello che doveva essere il loro capo i briganti si sparpagliarono nella campagna circostante fino a scomparire del tutto.
Lei sospirò di sollievo e avvicinandosi al cocchiere lo slegò con un gesto teatrale, sotto gli occhi allibiti e sospettosi dei due nobili.
- Siete liberi, signori. Quei briganti devono avermi scambiato per qualcuno della loro compagnia...
La giovane donna, che doveva essere la moglie dell’uomo biondo al suo fianco, la scrutò sorpresa e forse anche sollevata.
- Non siete un brigante? – le chiese con una voce soave mentre il marito l’aiutava ad alzarsi.
Lei scosse la testa.
- No, Madame. Sono solo una viandante capitata qui per caso e...
- E per nostra fortuna! – esclamò il giovane sorridendole – Altrimenti ce la saremo vista molto brutta...
- Se permettete un parere Monsieur – cominciò lei incoraggiata da quella gentilezza – La gente di queste campagne è ancora scossa da gli ultimi disordini politici e molte persone sono state costrette dall’eccessiva povertà a commettere...
- Oh, sì certo! – la interruppe il nobile sbrigativo – Ma voi meritate di essere ricompensata per il vostro provvidenziale aiuto. Vi darò del denaro, o dei gioielli, quello che voi preferite!
Improvvisamente la simpatia che aveva nutrito per quei due giovani scomparve e d’istinto cercò di nascondere ulteriormente il volto nel cappuccio nero che indossava.
Quell’uomo pensava davvero che lei avrebbe anche solo accettato di sentir parlare di carità? Che potesse avere una totale mancanza di dignità personale?
Lei che in tutta la sua vita si era sempre guadagnata ciò di cui aveva bisogno, che non si era mai abbassata al livello di chiedere soldi alla gente? E quel damerino cucito nel suo abito elegante osava farle l’elemosina?
Non l’avrebbe permesso. Mai. Aveva ancora abbastanza orgoglio da rifiutare una simile proposta che, a suo parere, era praticamente un’offesa personale.
- Non ho bisogno di niente, Monsieur – sibilò con quanta più educazione riusciva ad esprimere – Vi auguro una buona giornata.
E con un lieve cenno del capo fece per allontanarsi, ma la donna dalla voce soave la trattenne per un braccio.
- Aspettate – le disse in un modo tanto premuroso da sembrare ansiosa – non volevamo arrecarvi offesa in alcun modo e se lo abbiamo fatto vi prego di accettare le nostre più sentite scuse: Cercavamo soltanto di ricompensarvi in qualche maniera.
- Non ho bisogno della carità, Madame. – esclamò lei piccata.
Cosa faceva ancora là? Doveva riprendere subito il viaggio, altrimenti avrebbe sprecato un intero giorno di cammino e non avrebbe trovato alcun rifugio per la notte.
- Avete assolutamente ragione! Ci siamo sbagliati e vi rinnoviamo le nostre scuse. Ma se potessimo aiutarvi in un qualche modo... Ci avete salvato la vita dopotutto e sembrate molto sola... Se avete bisogno di qualcosa, di qualunque cosa, non esitate a dircelo, perché saremo estremamente lieti di farvi del bene...
C’era una nota incredibilmente premurosa nella voce della giovane e nel suo modo di scusarsi e offrirle il suo aiuto. Come se le stesse veramente a cuore la sua felicità e si sentisse impaziente di alleviare i suoi turbamenti, per quanto le fosse possibile.
Infondo aveva detto “qualsiasi cosa” e a lei avrebbe fatto comodo un passaggio in carrozza.
I suoi piedi erano doloranti per il continuo camminare degli ultimi giorni e la sua testa sfinita dalle numerose ore insonni. Non era poi così semplice dormire su un suolo ghiacciato dal gelo, senza una coperta e un tetto meno precario di una stalla.
Inoltre era da parecchio che non metteva niente di consistente sotto i denti e la fame cominciava a farsi sentire.
Almeno per quella volta era il caso di mettere da parte il suo ingombrante orgoglio e decidersi a chiedere aiuto a quei giovani viaggiatori, che infondo sembravano non aspettare altro che darle una mano.
- Una cosa ci sarebbe forse – mormorò vergognandosi immensamente per la richiesta e promettendosi di chiedere solo il minimo indispensabile – Io sto andando a Parigi e...
Ma prima che potesse esporre il suo problema la ragazza la interruppe con una esclamazione di gioia.
- A Parigi?! Hai sentito, Raul?! Anche noi stiamo andando lì. Che fortunata coincidenza! – esclamò, di colpo estremamente allegra.
Aveva avuto un cambiamento di espressione così improvviso che lei abbozzò qualche passo indietro, più confusa che intimorita.
- Potete venire con noi. – continuò quella – Vero che può venire con noi? – domandò al giovane battendo le mani, entusiasta come una bambina.
Suo marito sorrise ad entrambe e poi si rivolse a lei, che era rimasta immobile a guardarli.
- Ma certo, Mademoiselle... come vi chiamate?
Lei fece uno strano sorriso a quella domanda e inclinò la testa.
- Potete chiamarmi Sarah.
 


Il sole era da poco calato all’orizzonte e il vento freddo trasportava raffiche di neve bianca sulle strade e sui palazzi dall’aspetto antico e solenne.
Quella neve soffice, fredda, che si scioglieva non appena toccava il suolo e sembrava illuminare la notte di un chiarore accecante le ricordava altri momenti, altri luoghi, altre emozioni che aveva da tempo celato dentro di sé. Eppure le era bastato rivedere la facciata di Parigi, respirare di nuovo quell’aria satura di energia e mondanità per vedere gli argini che si era fissata nella mente crollare in pezzi e la marea dei ricordi travolgerla come un’onda.
Aveva cercato inutilmente di dimenticare, ma non era servito a nulla. Anzi, aveva l’impressione che più tentava di farlo e più quelle immagini si scolpivano nella sua testa. Così alla fine aveva smesso di provarci e il suo cuore aveva capito che quel passato sarebbe vissuto per sempre dentro di lei. E l’aveva accettato, forse proprio perché ormai faceva parte di lei.
E per quanto la sua mente continuasse a rifuggirne non aveva potuto rifiutare a Raul di tornare a Parigi. Infondo era lì che si trovava la famiglia di suo marito, ed era lì che lui aveva la sua reputazione e la sua vita sociale.
Quando era divenuta la viscontessa De Chagny aveva inconsapevolmente accettato tutto questo, compresi quei vincoli che la sua nuova posizione le imponeva e che lei detestava con tutta sé stessa. Come quello di non cantare. Mai più.
Eppure ora era così vicina a quella che era stata la sua casa per così tanto tempo, tanto vicina che dal balcone dell’albergo in cui alloggiavano lei e Raul poteva vederne la sommità. Certo, era leggermente diversa da quella che aveva conosciuto, perché la ricostruzione aveva necessitato anche alcune modifiche, ma lei l’avrebbe riconosciuta fra mille.
L’Opèra Populaire. In tutta la sua imponente grandezza.
Non poteva negare che spesso i suoi sogni avevano indugiato su quel luogo, che non era stato solo teatro di orribili vicende, ma anche l’amabile culla in cui per anni era cresciuta.
E ora era così vicina, così a portata di mano...
Sarebbe stata davvero una grave colpa andarci un’ultima volta? Anche soltanto per dire addio ai suoi amati ambienti?
No, non lo era. E se avesse prestato particolare attenzione Raul non se ne sarebbe mai accorto. Forse poteva chiedere aiuto a Meg...
Le sembrava un piano così allettante e innocuo...
Sì, lo avrebbe fatto. E finalmente avrebbe potuto liberarsi da quei ricordi che la assillavano da tanto tempo e vivere senza rimpianti la vita che aveva così ardentemente desiderato.
Christine Daée avrebbe affrontato i fantasmi del suo passato una volta per tutte.
 


Meg Giry attraversò di corsa l’incrocio fra le due strade principali e superò un passante infagottato nel suo mantello nero mentre la neve cominciava a cadere e l’oscurità piombava sopra la città come una scure.
Non era bene per una ragazza della sua età passeggiare da sola per Parigi di notte, ma lei non aveva molta scelta.
Da quando era stata annunciata la riapertura dell’Opèra le prove per ballerine, cantanti e attori si erano intensificate, e visto che non potevano ancora esercitarsi nel teatro stesso Monsieur Firmin aveva affittato un palazzo decadente dall’altro lato della città che sarebbe servito allo scopo.
Si trattava di un edificio piccolo e angusto, troppo vicino a Montmartre per i suoi gusti e decisamente lontano dalla casa in cui abitava.
Ma non poteva farci nulla. Se voleva continuare la sua carriera di ballerina dell’Opèra doveva necessariamente partecipare alle prove e prepararsi al meglio per l’imminente rappresentazione.
“Ormai non manca molto”, si disse mentre passava davanti alla famigliare facciata dell’Accademia della Musica.
Ed era vero. Mancava soltanto una settimana alla riapertura dell’Opèra Populaire di Parigi e nell’atrio immenso del teatro campeggiavano già le locandine del “Faust” per il venerdì successivo. A quanto aveva sentito dire dalle altre ballerine i biglietti per lo spettacolo erano andati a ruba e tutti, in città, sembravano ansiosi di rimettere piede all’Opèra.
Cosa che invece lei trovava incomprensibile. Detestava l’Accademia della Musica con tutta sé stessa, e se non fosse stata per la sua passione in fatto di danza l’avrebbe abbandonata già da un pezzo.
Sentiva, e a quanto ricordasse aveva sempre sentito, che c’era qualcosa di incredibilmente malvagio e doloroso in quella struttura marmorea, oscura e insidiosa come un labirinto. E dopo ciò che era accaduto alle persone che le erano più care non poteva dire di essersi sbagliata. La notte di appena quattro anni fa aveva visto il suo mondo di ragazzina crollarle addosso e si era ritrovata costretta a fare il passo successivo, a diventare un’adulta con tutte le responsabilità e i doveri che questa situazione comportava.
E non si trattava solo del fatto che Christine fosse fuggita insieme al giovane visconte e che da ormai quattro anni non avesse più sue notizie. C’era anche la storia di sua madre.
Madame Giry era sempre stata una donna forte, con la testa sulle spalle e la capacità di gestire con fermezza anche le situazioni più critiche. Ma dal giorno della tragedia anche quello era cambiato.
Improvvisamente era diventata incapace di fare qualsiasi cosa, e da quando aveva lasciato il posto di insegnante di danza a quella  ingenua e sciocca ragazza che era Mademoiselle Sorelli passava le sue giornate a fissare il paesaggio da una finestra del palazzo dove abitavano lei e la figlia.
Nessuno sapeva dire cosa le fosse capitato. Né i medici incipriati, né le domestiche fin troppo premurose, e Meg, che era l’unica ad averne una mezza idea, si era vista bene dal dirla in giro e aveva accettato passivamente la situazione.
D’altronde, la leggenda del Fantasma dell’Opèra non era qualcosa che si potesse raccontare a chiunque, e pure lei, che aveva vissuto la vicenda di tre anni prima come protagonista, faticava a crederci.
Non era semplicemente possibile che il fantasma delle storie che le avevano narrato fin da quando era bambina esistesse seriamente. Sarebbe stato come ammettere che anche i personaggi delle fiabe e dei detti popolari fossero reali.
Eppure aveva visto con i suoi stessi occhi l’essere che si nascondeva nei sotterranei dell’Opèra, e aveva visto anche il lago, l’organo sulla riva, gli specchi rotti e la maschera. Ci doveva pur essere un motivo se sua madre si era ridotta in quello stato catatonico.
E il motivo lo conosceva bene.
Sua madre sapeva. Questa era la verità. Madame Giry aveva sempre saputo del fantasma e di quello che era successo a Christine. Meg era l’unica che per anni era rimasta all’oscuro di tutto, e anche ora, anni dopo la tremenda vicenda, ne sapeva poco più di prima.
Ma non osava chiedere nulla a sua madre. L’ultima volta che aveva menzionato Christine e la tragedia,  la donna aveva avuto un attacco di isteria che non si sarebbe mai scordata. E poi, in fin dei conti, si era anche rassegnata a quell’ignoranza.
Allora perché ora tutti quei dubbi e ricordi avevano ripreso ad assillarla?
Forse era semplicemente il fatto che presto avrebbe dovuto rimettere piede in quel labirinto che era l’Opèra Populaire. O forse, invece, era una sensazione strana e allarmante, una voce che continuava a sussurrarle che la vicenda del fantasma non era per nulla conclusa. Anzi, era solo al prologo.
 


Quando Meg giunse a casa trovò Charlotte, la badante di sua madre, che la aspettava con ansia all’ingresso.
- Charlotte! – la salutò entrando nell’atrio e togliendosi velocemente il soprabito – Perché sei qui?
La vecchia donna si torse le mani con fare nervoso – Mademoiselle io...
Un terribile presentimento serrò la gola della ragazza.
- Parla Charlotte, cos’è accaduto? Qualcosa a maman, vero?
La badante annuì con fare colpevole e Meg sentì il cuore balzarle nel petto.
- Madame se ne stava tranquilla nella sua stanza come il solito, e io ho pensato di scendere a farle quella tisana ai gelsomini che le piace tanto...Ma quando sono salita di nuovo...
- Cosa? – mormorò Meg senza voce dalla tensione che le serrava lo stomaco.
-...non so cosa sia accaduto, Mademoiselle...ma ora, ecco...Madame chiede di voi urgentemente.
Cosa? Aveva sentito bene? Sua madre chiedeva di lei dopo anni di totale silenzio?
- Oh – balbettò irrequieta – vado subito da lei...
Corse più veloce che poteva su per le scale e socchiuse la porta alla sua destra.
Maman era lì, seduta sulla vecchia poltrona di suo padre, la testa rivolta verso la finestra spalancata, le cui ante sbattevano al vento e alla neve.
Avrebbe dovuto sgridare Charlotte per l’ennesima volta. Perché, nonostante le sue raccomandazioni, aveva lasciato di nuovo la finestra aperta?
Si avvicinò alle ante di vetro e spiò di sottecchi l’espressione di sua madre.
- Chiudo le imposte, Maman, avrai freddo.
- Fai pure – mormorò Madame Giry in tono vago, come se ritenesse le sue parole qualcosa di irrilevante – Tanto lui è già uscito.
Meg lasciò perdere all’istante le finestre e per poco non inciampò sui suoi stessi piedi.
- Uscito, Maman?? Chi è uscito? – balbettò confusa e spaventata.
Ma l’espressione di Madame Giry era tornata quella di un tempo, quella enigmatica e incomprensibile che conosceva anche troppo bene.
- Vai a prendermi il mantello e il bastone, Meg. Devo fare una visita ai nostri cari impresari dell’Opèra...ora.
 


Sarah camminava lenta in mezzo al brulicare incessante di neve e scrutava sorpresa e intimorita l’ampio viale di palazzi signorili. Non aveva mai visto nulla di simile. Anzi, in realtà non era mai stata in una città tanto grande e moderna in vita sua. Tanto meno a Parigi. Qui ogni cosa sembrava gigante, solenne e austera. Le finestre sigillate dei palazzi, la strada larga e dritta che stava percorrendo, perfino il vento che aveva ripreso a soffiare.
L’unica cosa che l’aveva lasciata sbalordita era la totale assenza di persone. Aveva sempre sentito descrivere Parigi come il centro degli incontri mondati e della gente, ma ora dove erano tutti?
Subito dopo, però, si diede la risposta da sola.
I nobili non andavano di certo a passeggio in una tormenta di neve, come invece stava facendo lei.
L’unica persona che aveva incontrato era stata una giovane ragazza bionda che le era passata di fianco, imbottita nel suo soprabito caldo e confortante.
A quel pensiero cercò di stringersi ulteriormente nella mantella nera, ma senza risultati. Le sembrava che il freddo le fosse entrato nella carne come un ago e che ora scavasse sotto pelle.
Ma era solo una stupida impressione, e mentre una raffica di vento travolgeva il viale e il suo corpo, affrettò il cammino, passandosi la lingua sulle labbra viola.
Tuttavia  non fece in tempo a fare molti passi che vide una carrozza di gendarmi venirle incontro, trainata da due grossi cavalli neri.
Si nascose in fretta nell’ombra di un palazzo vecchio e attese immobile fin quando la vettura scomparve in mezzo alla neve e all’oscurità.
Non c’era motivo per il quale avrebbe dovuto essere tanto preoccupata che la vedessero, ma era passato solo un anno dagli ultimi disordini e probabilmente la polizia sarebbe stata più sospettosa del solito.
E lei non aveva intenzione di rispondere a domande sul suo conto.
Si passò una mano sul viso cercando di risvegliarsi e decise di allontanarsi dalla strada principale, dove chiunque avrebbe potuto accorgersi della sua presenza.
Il vicolo che aveva imboccato era stretto  e umido, fra le pareti gocciolanti di due edifici enormi e riusciva a malapena a scorgere la striscia di cielo sopra la sua testa.
Per un attimo fu tentata di tornare indietro. Perché diavolo si era infilata in quel buco tetro e isolato? Poteva esserci qualche malintenzionato che...
Ma prima che potesse girare sui tacchi e andarsene intravide qualcosa  di grosso che ostruiva il passaggio davanti a lei.
L’oscurità era talmente fitta che ci mise qualche istante a mettere a fuoco l’oggetto, e di colpo la voglia di fuggire scomparve.
Era una giovane donna vestita di stracci con una bambina piccola fra le braccia. Sembrava che entrambe stessero morendo di freddo e Sarah sentì un nodo di commozione e pietà serrarle la gola.
Si avvicinò cautamente per evitare di spaventarle e quando fu a qualche passo vide la donna sollevare la testa e sorridere stancamente.
- Ehi, Marie – mormorò la donna alla bambina – guarda chi è venuto a trovarci...
- State bene? – le domandò Sarah avvicinandosi ulteriormente. La risposta era ovvia. Non stavano affatto bene e la bambina non piangeva neppure più.
“È un brutto segno” pensò la ragazza grazie a quel poco che sapeva sui bambini.
La donna, però, scosse le spalle con un sorriso mesto.
- Stiamo come possiamo permetterci. Cioè come tutti qui...
Sarah continuò a scrutarla e di colpo si rese conto che doveva fare qualcosa per loro, anche se poco, anche se non sarebbe servito a niente.
- Volete che vi dia il mio mantello? – domandò cautamente, cercando di non far sembrare quel gesto un atto di carità – Forse non basterà per proteggere entrambe, ma riparerà la bambina dal freddo.
La donna alzò gli occhi di scatto e la  guardò perplessa.
- E voi? – chiese – Se rinunciate al mantello morirete anche voi...
- Oh no... – mormorò lei in risposta con un sorriso – Ne ho un altro nella sacca, mi basterà quello.
La donna ora la guardava di nuovo, ma questa volta Sarah intravide solo lacrime di gratitudine.
- Grazie, grazie...- mormorò infatti stringendo la bambina a sé.
Lei si tolse la mantella lentamente e la porse con gentilezza alla donna, ma come si aspettava lei era rimasta a fissarle il volto con gli occhi spalancati.
Sapeva esattamente perché la donna la stesse guardando il quel modo e non l’avrebbe biasimata se avesse deciso di rifiutare il suo dono.
Al contrario di quello che pensava, però, la donna afferrò la stoffa calda del mantello e vi avvolse la piccola.
- Grazie... – mormorò ancora nella sua direzione.
- Di nulla. – sussurrò Sarah indietreggiando nel buio e allontanandosi lentamente, con le braccia che le tremavano dal freddo – Mi sapete dire dove si trova l’Opèra Populaire?
La donna annuì e le indicò la strada davanti a loro.
- Girate a destra e poi andate sempre dritto. Vi ritroverete proprio sotto la facciata principale del teatro.
Sarah la ringraziò con un cenno del capo e le voltò le spalle, ma nell’esatto istante in cui lo fece sentì la bambina svegliarsi e chiedere qualcosa alla madre.
- Chi è quella signora, maman? – domandò la sua vocina impacciata e curiosa.
Lei affrettò il passo e girò l’angolo, desiderando con tutta sé stessa di non sentire la risposta, ma mentre lo faceva la voce della donna le giunse alle orecchie trasportata dal vento.
- Un angelo, Marie. Un bellissimo angelo venuto ad aiutarci...
Sorrise mestamente a quelle parole, ma subito dopo pensò di essersele solo immaginate.
Parigi sembrava un deserto bianco e l’unico rumore attorno a lei era il sussurro della neve che planava ovunque.
Si mosse in quell’oscurità, seguendo la strada che la giovane le aveva indicato e rabbrividì ancora di freddo. La notte ora sembrava più buia e all’improvviso ci fu uno sfarfallio sfocato dietro di lei.
Una figura nera sbucò dalla voragine scura che era la strada e la sorpassò di corsa, sbattendole contro e svanendo più avanti nell’ombra di alcuni palazzi bianchi.
Prima che potesse accorgersi di ciò che era accaduto, però, la sagoma era già scomparsa e l’unica cosa che era riuscita a scorgere era un volto che la fissava sorpreso e qualcosa di bianco, sulla parte destra di quel volto.
Si guardò attorno perplessa e spaventata, ma ora c’era di nuovo soltanto la neve e la notte e lei riprese a camminare, guardandosi ogni tanto alle spalle.
La sua mente elaborò perplessa ciò che aveva visto.
Cos’era? Un uomo?  Sì, le era sembrato un uomo. E la cosa bianca che aveva intravisto?
Ma prima che potesse rispondere alle sue stesse domande il vicolo terminò e lei si immobilizzò quando vide ciò che c’era oltre.
L’Opèra Populaire, in tutto il suo enorme splendore.
Colonne su colonne, con gigantesche locandine colorate e il fregio di marmo simile a quello dei templi romani.
Era molto più grande di quanto si fosse immaginata. E straordinariamente più bella.
Trattenne il fiato e si avvicinò lentamente per assaporare ogni minuscolo particolare.
Sull’ingresso principale accanto alla pubblicità del “Faust” c’era un enorme cartello dove si avvisava che la riapertura era prevista per la prossima settimana e guardando molto più in alto scorse le famose parole in rilievo nel marmo:
ACCADEMIA NAZIONALE DELLA MUSICA
“Ci sono Maman, ce l’ho fatta...” pensò con le lacrime agli occhi dalla gioia stringendo il ciondolo che portava al collo.
Allo stesso tempo però, una pressante agitazione le stava crescendo in petto. Ora che aveva raggiunto la sua meta doveva trovare un posto dove riposare in pace.
Dormire all’aperto  in quella tormenta di neve era impensabile, così aggirò la facciata principale dell’Opèra e si incamminò in una strada stretta che costeggiava le pareti laterali dell’edificio.
“Rue  Scribe” lesse in alto e procedette con lentezza osservando con attenzione la facciata del teatro.
Doveva pur esserci un’entrata posteriore o qualcosa del genere.
Infatti, qualche metro più avanti, distinse una vetrata al piano terra, che cigolava da sola. Si avvicinò e la socchiuse guardando dentro. Era una piccola cappella tetra, probabilmente a disposizione del personale dell’Opèra, ma a giudicare dalle ragnatele nessuno vi metteva piede da un paio d’anni.
Scivolò all’interno e scrutò quasi con timore la gigantesca vetrata di un angelo davanti a lei. C’era qualcosa di severo e intransigente nel volto del celeste raffigurato tanto bene. Ma lei era stanca, e pensò che dopotutto l’angelo non le avrebbe impedito di dormire là per una notte soltanto.
Si accasciò in un angolo e tirò fuori con fatica dalla sua sacca un pezzo di pane vecchio e la mantella color vermiglio.
Era appartenuta a sua madre, ed era vecchia e sfrangiata ormai, ma se l’avvolse lo stesso attorno al corpo e immediatamente si sentì meglio.
Percepiva  ancora il vento e la neve, oltre la finestra e chiuse gli occhi cullata da quei suoni diventati familiari.
Da qualche parte nell’Accademia della Musica ci fu uno sciabordio di acqua, lo squittio irritato di un topo, ancora il suono del vento e lei si addormentò di colpo, senza neppure accorgersene.
Era giunta a Parigi, aveva trovato l’Opèra Populaire, il resto non contava. Le cose si sarebbero sistemate in qualche modo e i fantasmi del suo passato sarebbero scomparsi per sempre. In mezzo al mormorio nebuloso della neve.
  
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