Il
ragazzo non migliorava
affatto.
Era
tornato in coma da
circa una settimana e i genitori non si capacitavano di come un ragazzo
maturo
e responsabile avesse potuto prendere una decisione così
disastrosa. Buttarsi
in mare. Lasciarsi prendere dalle onde. Affogare perché ne
hai bisogno e non
perché è la corrente a farti scendere. Lasciare
entrare l’acqua nei polmoni,
era questo che Harry voleva fare.
Ma
poi qualcuno l’aveva
notato e i suoi piani erano andati in fumo. Tutto volato via, volati
via, come
gli anni che stava passando in ospedale.
‘Signora, lo capisca, ha subito un trauma.’
Dicevano le dottoresse,
ma in quel ragazzo non credeva proprio nessuno. La verità
era che il ragazzo
non aveva più voglia di vivere. Voglia di uscire da quel
canale di luce bianca,
definito come coma, non ne aveva più. Anzi, cercava di
morire, ma evidentemente
ciò che gli inserivano nelle vene era più forte
della sua forza di volontà. E
poi, le poche volte che si svegliava non mangiava, non parlava,
controllava il
cellulare per vedere se lui gli avesse scritto e si rimetteva a
dormire,
cercando di morire, inesorabilmente.
Era
da tanto che non si
sentivano più. Da quando il padre li aveva scoperti in
camera di Louis a
limonare non era stato tutto così facile. Harry non poteva
più stare con
l’amico, che poi tanto amico non era.
Un
amico diverso, che gli
faceva provare emozioni diverse, che nessuna ragazzina di dodici anni
gli
faceva provare, con nessun seno abbondante o minigonna striminzita. Gli
bastava
un ‘Ehi Harry, stasera vieni da me
per
studiare?’ Tutto cambiava. Il mondo era migliore
per Harry, che di ragazze
al seguito ne aveva a bizzeffe ma che vedeva solo un ragazzo. Ed era
Louis.
L’aveva
preso a schiaffi, e
tirato un pugno in pieno stomaco. La porta era stata chiusa e
dall’altra parte
il ragazzo graffiava il legno per entrare, mentre sentiva la voce di
Harry
affievolirsi sempre di più. Finito il lavoro il padre
aprì la porta e
trascinando Harry per i capelli lo portò fuori, lo
lasciò sulla soglia della
casa sbattendogli la porta letteralmente in faccia.
‘Non farti
più vedere.’ Gli aveva detto.
‘Louis fa finta di
amarti, lui ama solo le ragazze,
non è un frocio come te! Vergognati.’
Harry
piangeva giorno e
notte. Non mangiava e quando, tornato a scuola, Louis lo
ignorò decise di porre
fine alle sofferenze. Il mare gli era sempre piaciuto, era
lì che andava a
leggere con la sorella, sulla spiaggia, ed è lì
che avrebbe voluto che
terminasse tutto.
Ma
niente, non ci era
riuscito e ora palpava con i polpastrelli il tessuto asettico
dell’ospedale
Rouel, che lo accoglieva da tempo.
Aveva
diciassette anni ora.
Tutti lo conoscevano e la gente quando passava chiedeva sempre di lui.
‘Come va con il
ragazzo riccio?’
‘Non
c’è male.’ Così
dicevano, ma entrambi sapevano che il bene era sparito.
Harry
era un ragazzo
sorridente e alto e possedeva una folta chioma di ricci, che
profumavano sempre
e inesorabilmente di fragola, il suo frutto preferito. Louis amava
passarci le
mani, asciugarli dopo una doccia insieme o semplicemente aspirarli e
lasciarli
un bacio sulla fronte coperta dai riccioli. I loro occhi erano qualcosa
di
complementare. Stavano così bene insieme, ridendo, mischiano
due colori, uno
più bello dell’altro, un verde bosco e un azzurro
cielo.
Ma
Harry era stato travolto
da una marea, letteralmente. Nessuna dottoressa voleva averci a che
fare, tutti
sapevano che non voleva vivere. E allora che fare con qualcuno che non
vuole
riprendersi? Che non vuole uscirne? Bisogna lasciarlo andare.
Un
giorno decisero di
affidare il caso di Harry a qualcuno di più esperto, un
ragazzo giovane, da
poco laureato in medicina.
Entrò
nella sala ovattata,
e mantenne il fiato.
Harry
era sveglio, in piedi
vicino al comodino, con gli occhi puntati sul cellulare. Li mosse verso
il
medico e gli si iniettarono di lacrime. Voleva correre, lasciarsi
prendere
dalle sue braccia possenti ma il fisico non gliel’avrebbe
permesso.
‘Sei tu?’
pronunciò a bassa voce Harry, con una voce che non gli
apparteneva, che non
aveva tirato fuori da anni e anni, e che solo un miracolo avrebbe
potuto
riuscire a tirarla fuori.
Era
forse un miracolo?
Il
ragazzo annuì accennando
un sorriso.
Tutto
ciò che riuscì a dire
Harry fu una semplice domanda. ‘Perché?’
‘Scusami.’
Rispose il ragazzo, guardando in basso le punte delle scarpe e
trattenendo le
lacrime che avevano voglia di scendere e tracciare il volto scarno. Poi
lo
guardò fisso negli occhi, era da tanto, troppo che non lo
guardava così, e in
quel momento pensò che probabilmente in tutti quegli anni
non aveva trovato
nessuno che fosse bello quanto lui, anche sul letto di un ospedale.
‘Harry, il destino
sapeva quanto ti ho amato in
questi ultimi anni. Sapeva dei miei tagli sui polsi, del mio svuotarmi
ogni
sera vomitando nel bagno, delle mie notti insonni passate a immaginarti
affianco
a me, dei miei occhi spenti, della mia mente bloccata e del mio cuore
chiuso.
Harry, ti avevo perso, avevo perso la chiave del mio cuore, e ora che
l’ho
ritrovata non la lascerò andare via mai
più.’ quelle parole sembravano far
parte di un’altra
dimensione, Louis sembrava avercele tatuate nell’anima, da
tanto, troppo tempo.
Gli
corse incontro e lo
buttò sul letto poggiando affannosamente le sue labbra sulle
sue. Lo voleva, lo
voleva come mai aveva voluto niente e come mai sarebbe riuscito a
volere
qualcosa.
Harry
sentì che valeva la
pena di vivere in quel momento. Sentì che Louis
l’aveva risvegliato e che
avrebbe fatto di tutto per tornare a vivere, per tornare ad amarlo come
una
volta.