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Autore: dreamlikeview    05/10/2013    3 recensioni
Il Dottore, una ragazza, due cantanti, due studenti, un medico, un 'consulting detective', due agenti del Torchwood, un principe, un servitore mago, due maghi, un supereroe e una comune minaccia. Cosa spingerà questi personaggi ad incontrarsi? Come fermeranno la minaccia imminente? Riuscirà il Dottore a salvare la situazione?
[Crossover: Doctor Who, One Direction, Merlin, Torchwood, Glee, Sherlock, Harry Potter, Smallville]
[Larry, Merthur, Janto, Johnlock, Klaine]
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Doctor - 10, Jack Harkness, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu (che mi amerà per aver pubblicato subito anche la terza parte) per il banner. Quell'angelo è figo, ma anche inquietante.
 
Avviso: Contiene fangirling. (lo ripeto sempre, perchè... meglio avvisare sempre. LOL)
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock.)

 
 
Allons-y!
P.s come nelle parti precedenti sul banner trovate il link della colonna sonora. 

 
Il giorno dopo, era stato annunciato loro che Uther fosse impegnato, e che l’esecuzione sarebbe avvenuta solo quel pomeriggio e non la mattina come avevano saputo qualche ora dopo essere stati imprigionati. Il Dottore non poteva usare il cacciavite sonico, recuperato grazie a Charlotte, perché avrebbe solo fomentato i sospetti di Uther. Dovevano solo aspettare che Jack tornasse e che Arthur lo aiutasse ad uscire da quella situazione scomoda, e poi dovevano studiare un piano per distruggere gli angeli, ed essere di nuovo liberi.
“Dunque” – esordì il Dottore, iniziando a guardarsi intorno, per cercare una soluzione. Non potevano uccidere materialmente dei sassi, e non potevano nemmeno affrontarli ad occhi chiusi, era categoricamente impossibile. Quindi dovevano ragionare e trovare una soluzione plausibile, fattibile e rapida, perché gli angeli erano velocissimi. – “dobbiamo sconfiggerli, e dobbiamo essere rapidi quanto loro, insomma dobbiamo trovare una soluzione.”
“Ma non mi dire” – fece sarcasticamente Sherlock guardandolo con superiorità – “evidentemente il suo cervello è troppo limitato per trovare una soluzione, Dottore.”
“Oh ma certo!” – esclamò sarcastico il Dottore – “abbiamo un altro Time Lord tra noi e non lo sapevo. Come si fa chiamare? Il Maestro già esiste, chi vuole essere… uhm… il Professore, le piace?”
“No, io sono un Consulting detective, non un Time Lord, o quella roba lì” – rispose prontamente l’altro, guardandolo in cagnesco. John guardava il compagno preoccupato, sapeva cosa stava per accadere.
Sherlock indicò Ianto, seduto sconsolato in un angolo della cella e: “E’ un agente segreto, ha un’arma nascosta nella tasca posteriore dei pantaloni, sotto la giacca, ama vestirsi in modo ordinato, è visibilmente preoccupato, e… credo abbia una relazione con il povero deceduto.”
“Jack non è morto” – scosse la testa il Dottore – “primo errore Sherlock Holmes, vede Jack non può morire, è un punto fisso nello spazio e nel tempo, non può morire, ritorna sempre in vita, e… credo che quando farà buio verrà a prenderci, o anche prima.” – spiegò il Dottore, tranquillamente.
“Non le credo. E una persona non può tornare in vita!” – esclamò indignato Sherlock – “il suo cervello non è più sviluppato del mio.”
“Vogliamo provare?” – chiese il Dottore.
“Dottore, Sherlock!” – sbottò Charlotte, alzandosi in piedi, stufa di quel battibecco insensato – “dovremmo pensare a come liberare Camelot e il nostro secolo da quelle… cose infernali, non litigare come ragazzini!”
“Ragazzina, nessuno…” – iniziò il Consulting detective, guardandola. Aveva interrotto un battibecco tra geni. Tutti gli altri ridevano , John compreso che gli batté una pacca sulla spalla.
“Non. Chiamarmi. Ragazzina. Signor Holmes.”
Sherlock spalancò gli occhi, come poteva quella ragazzina parlargli in quel modo? Non era modo, non si confaceva alla buona educazione, beh, nemmeno lui era stato molto educato, ma lui non se ne accorgeva nemmeno quando feriva qualcuno, figurarsi quando toccava tasti dolenti come quello…
“Mai mettersi contro una donna, Sherlock, ricordalo.” – lo canzonò John, ridendo ancora.
“Charlotte ha ragione” – concordò il Dottore, facendo tingere le guance della ragazza di rosso acceso – “dobbiamo trovare una soluzione, e in fretta.”
Sherlock prese a camminare per la cella. Sfiorava di tanto in tanto i piedi di Harry, Louis, Kurt e Blaine, seduti ancora per terra, mentre Ianto era scattato in piedi, insieme a Draco e Potter, che guardavano quell’uomo che camminava per la cella riflettendo, avanti e indietro. Un po’ faceva venire il mal di mare.
“Tranquilli, fa sempre così.” – li rassicurò John.
“Angeli assassini, assassini solitari, se si guardano restano immobili, se chiudi gli occhi sono veloci, e terrificanti” – mormorava tra sé e sé, poi si fermò, improvvisamente prese a gesticolare in modo stranissimo. Nessuno capiva cosa volesse fare, a parte John che lo guardava sempre più… affascinato?
“Statue assassine, angeli terrificanti…” – pensò ancora ad alta voce – “cosa mi manca? Cosa mi manca?”
Tutti avevano il fiato sospeso, Sherlock stava per avere uno dei suoi lampi di genio. Chi non conosceva Sherlock Holmes, alla fine?
“Ci sono!” – esultò – “specchi, abbiamo bisogno di specchi!”
“Specchi?” – chiese il Dottore.
“Sì, specchi, posizionandoli davanti ai nostri visi, nel momento in cui non guardiamo, ciò che vedranno sarà il loro riflesso, cioè la loro specie, e quindi rimarranno fermi per tutta l’eternità, come aveva detto lei, Dottore. – spiegò il Consulting detective, fiero della sua idea.
Il Dottore sorrise ed esultò anche lui. Era la soluzione, finalmente avevano la soluzione, potevano sconfiggerli. Era bastato solo quell’uomo e il suo genio.
“Lei è un maledettissimo genio, Sherlock Holmes!” – urlò esultando – “lei è il mio nuovo migliore amico.” – rise, guardando gli altri, dicendo loro di attendere Jack, così da poter attivare il piano in seguito.
“Mi dispiace, Dottore” – disse sorridendo e girandosi verso l’amico – “ma John è il mio unico migliore amico.”
Charlotte li osservò, quasi in preda ad una crisi di lacrime, e si lasciò sfuggire un singhiozzo di felicità. Quei due insieme erano troppo carini, dolci.
“Sicuri che non stiate insieme?” – chiese Harry alzandosi dal suo posto vicino a Louis – “Insomma, siete così affiatati. Un po’ come me e Louis”
“Non sono gay!” – esclamò John, arrossendo. Perché tutti li scambiavano per coppia? Che ciò che provava per Sherlock fosse troppo evidente?
“No, nemmeno Louis lo è per i mass media, ma… tecnicamente sta con me.”
Il castano seduto per terra rise coprendosi il viso con le mani. Harry riusciva sempre ad imbarazzarlo, qualsiasi fosse la situazione. E quindi, per smorzare l’imbarazzo, si sentì in dovere di accontentarlo con la stessa moneta.
“Beh, tu per i mass media sei etero, e non solo, hai una sfilza di ragazze incredibile nel tuo letto, ma… ops. Tu sei mio.” – lo punzecchiò ridendo. Harry non riuscì a fermarsi e avvolse un braccio attorno alla vita del ragazzo, abbassandosi alla sua altezza, e regalandogli un delicato bacio sulla guancia.
Quei due urlavano ‘dolcezza’ da tutti i pori, fin da quando erano arrivati. Potevano vederli tutti, e non se ne importavano del resto, rischiavano solo di morire, almeno per le ultime ore della loro vita, avrebbero vissuto da ragazzi liberi e non costretti a fingere. Erano solo loro stessi, un diciannovenne e un quasi ventiduenne che si amavano. Harry stringeva Louis per dargli coraggio e salvarlo, e Louis cercava smaniosamente la protezione di Harry, come se egli fosse un’ancora di salvataggio. Chiunque avrebbe voluto un amore come il loro.
“Beh, è vero” – confermò Blaine alzandosi afferrando la mano di Kurt che lo seguì immediatamente – “si può fingere di essere chi non siamo. Ma alla fine la nostra natura viene fuori.” – ridacchiò, coinvolgendo il fidanzato che annuì.
“Oh certo, come quella volta in cui credevi di essere etero e volevi baciare Rachel?” – chiese sarcastico, guardandolo male. Era stato geloso come non mai quella volta, e non stavano ancora insieme. La sua era gelosia senza limiti, a tutti gli effetti, e non poteva farci nulla, non poteva fermarla.
“Beh, sono riuscito a farti ingelosire. È un buon risultato.”
“Sì, lo ammetto.” – ridacchiò.
L’aria si era notevolmente alleggerita, avevano un piano, qualcosa con cui sconfiggere quelle creature e liberarsi dal problema, inoltre tutti gli arrivati, fatta eccezione per pochi, superato il momento di paura e terrore, si erano notevolmente sciolte, diventando tutte loquaci, eccetto Ianto, che continuava a fissare un punto oltre la minuscola finestrella della cella.
“Ianto, c’è qualcosa che non va?” – gli chiese John, guardandolo. Era l’unico che si fosse accorto della sua assenza, certo era quello che aveva partecipato meno a tutte le discussioni, forse era solo più timido rispetto a tutti gli altri, o forse…
“E’ che… sento parlare così tanto voi di amore, e… felicità. Tra me e Jack non c’è futuro, insomma… lui vivrà per secoli, per sempre.” – sospirò – “io morirò, prima o poi.” – si bloccò per un attimo, deglutendo – “e lui si dimenticherà di me. Non mi amerà mai quanto lo amo io.”
“Oh…” – a Charlotte gli occhi diventarono subito lucidi, e corse verso il moro abbracciandolo forte. – “tranquillo, sono sicura che Jack ti amerà, anche tra un milione di anni.”
“Ne sei sicura?”
“Sì. Te l’ha giurato, no?”
“Quando?”
“Oh, ehm… Spoiler!” – esclamò imbarazzata, grattandosi la nuca. Non doveva esporre così tanto tutte le sue conoscenze di quei mondi paranormali. – “l’importante è che Jack ti ama. E tu ami lui.” – sorrise felice – “l’amore è una cosa bella e anche brutta” - brontolò – “ma quando vedo tutto questo fluff, tra le mie OTP il mio cuore impazzisce!” – esclamò iniziando a saltellare per la cella. Tutti i presenti ignorarono le parole strane appena dette dalla ragazza, a parte il Dottore, che scoppiò immediatamente a ridere. Quella ragazza era una forza della natura, divertente, carismatica, timida, dolce, ma anche coraggiosa. L’elemento mancante in quel puzzle, in quel mix di persone così diverse tra loro, unite da qualcosa che non ancora era ben chiaro a tutti.
“Avete finito di fare i sentimentali?” – la voce del capitano Jack riecheggiò nella cella, facendo sorridere immediatamente tutti, Ianto per primo, sollevato per sentirlo di nuovo tra loro, alzarono immediatamente lo sguardo verso quella che era la voce, proveniva dalla finestra in alto.
“Jack!” – fu l’urlo unanime – eccetto per pochi elementi – che si elevò, prima che il capitano riuscisse a dire loro di non urlare. Si lasciò scappare una risata, prima di spiegare tutto il piano.
“Allora, Merlin addormenterà le guardie, Arthur aprirà tutte le porte, e io farò da guardia per non permettere ad altri di interferire, tutto chiaro?” – spiegò brevemente. Tutti annuirono, e lui diede le ultime disposizioni. Dovevano uscire in coppia, una coppia alla volta, senza fare rumore, e senza permettere a nessuno di dare l’allarme. Una mossa del genere sarebbe stata deleteria per tutta la squadra.
Il sole stava calando, l’ora dell’esecuzione era vicina, l’aria un po’ più tesa di quella mattina, quando Merlin riuscì ad addormentare le guardie, permettendo ad Arthur di aprire la cella in cui tutti erano rinchiusi. Jack fuori dal castello controllava la situazione, mentre Merlin dopo aver svolto il suo ruolo prendeva i cavalli dalle stalle.
Non si seppe quale fu il passo falso. L’allarme fu dato da qualcuno.
“Correte!” – urlarono in coro il Dottore ed Arthur. Tutti velocemente iniziarono a correre per i cunicoli delle segrete, in lungo e in largo, in quelle piccole gallerie oscure che diventavano man mano più strette, fino ad arrivare ad una grata, un vicolo cieco. Nessuno riusciva ad aprirla, era impossibile.
Dopo l’ultima volta che era stata distrutta, erano state prese misure efficaci.
“Oh toglietevi di mezzo.” – fece il Dottore estraendo il cacciavite sonico, e puntandolo contro gli angoli della grata, riuscendo a toglierla del tutto. Afferrò la mano di Charlotte, aiutandola ad uscire e poi corse veloce come non mai verso la cittadella, dove c’era il suo TARDIS. Harry fu il secondo ad uscire, e tenendo per le mani Louis, lo aiutò ad uscire fuori, stringendogli la mano, corse nella direzione in cui era corso il Dottore.
Li seguirono Sherlock e John, che stranamente si diedero la mano, ed iniziarono una corsa forsennata all’inseguimento degli altri. E ancora, Kurt e Blaine furono fuori, e corsero, corsero fino a raggiungere gli altri.
Jack, corso alla grata, aiutò Ianto ad uscire. Regalandogli un caloroso abbraccio non appena questi fu fuori, e poi anche loro corsero alla volta del TARDIS. Potter e Malfoy invece facevano a gara a chi sopravvivesse per primo, quando riuscirono ad uscire anche loro, seguirono tutto il gruppo, infine Arthur si riunì a Merlin e anche loro corsero via, veloci contro il buio che iniziava a scurire il cielo. Una volta arrivati al TARDIS, però lo trovarono letteralmente circondato dagli angeli. Tutti restarono con gli occhi spalancati.
“State calmi. Non battete le palpebre. Indietreggiamo lentamente… e non battete le palpebre.” – fece il Dottore, invogliandoli a stare calmi. Quelli annuirono tutti, e indietreggiarono lentamente. C’era poca gente per le strade a quell’ora. I passi dei cavalli erano veloci, li stavano raggiungendo, non avevano più scampo, quando Merlin pronunciò delle parole antiche, strane, e fece volare a terra alcune statue, posizionò i cavalli portati davanti ad essere, e più veloci della luce, corsero via tutti insieme, verso il bosco.
Li sarebbero stati al sicuro per un po’.
Una volta raggiunto il bosco, si fermarono solo quando Merlin indicò loro la presenza di una grotta, dove avrebbero potuto passare la notte. Vi entrarono e subito tutti si guardarono intorno. Era abbastanza spaziosa, abbastanza da contenere quattordici persone in fuga.
“Se solo avessi avuto la mia bacchetta, avrei distrutto quelle statue!” – esclamò Malfoy adirato, lasciandosi scivolare contro una delle pareti – “invece quell’imbecille di Merlin l’ha distrutta!”
“Ehi, biondino, modera le parole” – lo rimproverò Arthur guardandolo male, nessuno poteva permettersi di offendere Merlin davanti a lui, da quel momento avrebbe definito come oltraggio anche le offese  rivolte al suo servo, al suo mago. Il servitore alzò lo sguardo su di lui, e gli sorrise.
Arthur non poteva capire cosa significasse per Merlin il fatto che lui l’avesse difeso in quel momento.
Charlotte li guardava con i cosiddetti occhi a cuoricino, Louis ed Harry erano quasi commossi, e tutti gli altri discutevano su come risolvere quella scomoda situazione. Non avevano aiuti da Uther, quindi nemmeno sotto ordine di Arthur i cavalieri li avrebbero aiutati, inoltre erano dei fuggitivi, nessuno li avrebbe aiutati, rischiando di inimicarsi il re in persona, che aveva persino tentato di giustiziarli, giudicandoli tutti degli stregoni.
“Cosa mi faresti, stupido babbano?” – sbottò Malfoy, guardando Arthur, che spalancò gli occhi vista l’insolenza di quel giovane dai capelli biondi. Come osava parlargli così, dopo che gli aveva salvato la vita? Ma soprattutto come osava parlare così al futuro re di Camelot? Era così che sarebbero diventati nel futuro? Così irrispettosi verso le autorità?
“Bada a come parli, Malfoy, lui è il principe Arthur!” – intervenne Charlotte, prima che chiunque altro potesse dire qualsiasi cosa.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca babbana.”
La ragazza spalancò gli occhi e dopo veloci passi giunse vicino a lui, e gli regalò un sonoro schiaffo sulla guancia, che si arrossò lasciando intravedere il segno visibile delle cinque dita sulla pelle diafana del ragazzo. Mai insultarla chiamandola ‘babbana’, era un insulto che non accettava, nemmeno da un mago.
“Malfoy, ti fai mettere i piedi in testa da una ragazza?” – rise Potter guardandolo. Okay, forse Charlotte aveva esagerato con lo schiaffo, ma dannazione se quel tipo era irritante. Subito dopo essersi ripreso dallo schiaffo, la guardò in modo torvo, e se non fosse intervenuto Potter, allontanandola da lui, probabilmente le avrebbe fatto del male. Quel tipo era imprevedibile, ecco, imprevedibile e irritante. Merlin, sentita la mancanza di rispetto per Arthur comunque, non resisté a vendicarlo e con parole silenziose, lo fece sollevare in aria e scontrare contro una parete.
Minacciosamente si avvicinò a lui, e lo alzò per la maglietta.
“Abbi rispetto del futuro re, colui che ti ha salvato la vita” – sibilò. Mai mancare di rispetto al principe davanti a lui, era una cosa che non tollerava da nessuno… che lui l’avesse fatto per primo, anni prima, non contava.
“Basta, smettetela di litigare” – intervenne il Dottore – “dobbiamo trovare una soluzione, come diceva il signor Holmes, possiamo usare degli specchi, ma… da dove li prendiamo? E soprattutto chi è così veloce da usare degli specchi contemporaneamente per tutti? Noi non ce la faremo mai.” – sospirò sconsolato, lasciandosi scivolare contro una parete di roccia della caverna. Si passò una mano sul viso, fino ai capelli, pensando. Come avrebbe risolto quella scomoda situazione?
“Ci… sarebbe Clark Kent.” – disse ad un certo punto Charlotte.
“E chi sarebbe?” – chiese Jack, guardando verso di lei.
“Uhm… diciamo che è un alieno. Superman? Vi dice niente?” - tutti la guardano perplessi, come se stesse dicendo una delle idiozie più grandi dell’intero universo. – “oh andiamo! Smallville? Niente?” – si girò verso il Dottore – “andiamo! Non sei mai stato su Krypton?”
“Oh sì!” – esclamò – “ma il pianeta è stato distrutto.”
“Il pianeta. Ma c’è un superstite, Clark, appunto, o come è stato chiamato dai genitori Kal-El.” – spiegò la ragazza, mentre il Dottore annuiva quasi convinto.
“Vuol dire che conoscerò davvero Superman?” – chiese Louis eccitato – “no dai, è il mio eroe fin da bambino, lo conoscerò davvero?!”
“Beh, se il Dottore accetta la mia proposta di andare a Smallville e chiedere aiuto, sì.”
“Fantastico!”
“Io lo sapevo che eri un nerd convinto.” – ridacchiò Charlotte.
Sherlock sembrava su un altro pianeta, ascoltava, ma era come se si rifiutasse di accettare la situazione, John al contrario era curioso di sapere come sarebbero andate a finire le cose, Merlin ed Arthur avevano imparato ad accettare tutte quelle stranezze, Harry e Louis speravano di tornare a casa presto, anche se il castano voleva conoscere Superman, quindi l’avventura stramba in cui era capitato gli stava piacendo, Kurt e Blaine capivano poco di tutto quello, ma come Harry e Louis speravano di tornare a casa, Potter e Malfoy battibeccavano in un angolo su chi avesse dovuto usare l’unica bacchetta loro rimasta.
“C’è solo un problema” – disse il Dottore. – “il TARDIS è nella cittadella, io non posso prenderlo.”
“Nessun problema, ci penso io!” – esclamò Merlin, facendo spalancare gli occhi ad Arthur.
“Non se ne parla, tu non vai da nessuna parte da solo!” – lo rimproverò – “andrò io.”
“Arthur, voi non avete un drago.”
“Un… cosa?”- chiese strillando il principe, mentre il servo correva fuori dalla caverna e urlava a gran voce parole antiche, magiche di richiamo.
Un “cosa?!” – si elevò da tutti, che corsero fuori a guardare, tranne Sherlock che si rifiutò di accorre e vedere tale stranezza. Lui sapeva che quello fosse tutto un brutto incubo, non potevano davvero esistere quelle creature strane, quelle statue… uomini veloci, maghi, draghi. No, non era possibile, si rifiutava di accettarlo.
“Fantastico, quello è un drago vero!” – urlò il Jack, non ne aveva mai visto uno vero.
Arthur tremò improvvisamente. Non era lo stesso drago che lui aveva ucciso tempo prima? Perché era vivo? Merlin gli aveva mentito di nuovo, perché Merlin lo comandava, e quello rispondeva ai suoi ordini?
“Cosa ti serve, giovane mago?” – chiese il drago, guardando Merlin che l’aveva chiamato.
“Merlin, c’è qualcosa che vorresti dirmi?”
“No!” – esclamò – “oh beh… non l’avete proprio ucciso, diciamo che…io sono un signore dei draghi.” – tossicchiò – “l’ultimo.”
“C-Cosa?” – Arthur spalancò gli occhi senza capire. Il mago non gli rispose, e salì a bordo del drago, dicendogli dove andare e cosa fare. Poco importava che Uther l’avesse visto, poteva rischiare per una volta al fine di salvare Camelot.
“Aspetta!” – esclamò il Dottore, lanciandogli due chiavi – “usale per te e il drago, vi faranno passare inosservati.”
Merlin ringraziò e ne mise una attorno al collo, e l’altra con un po’ di fatica la legò ad un’estremità di un orecchio del drago, sotto le sue proteste.
“Merlin!” – urlò il principe, guardandolo preoccupato e apprensivo – “sta’ attento, per favore” – lo supplicò con lo sguardo – torna da me – aggiunse mentalmente. Merlin annuì e gli mostrò il pollice, per fargli capire che avesse inteso il messaggio nascosto tra le sue parole, e poi riuscirono a spiccare il volo, il drago spiegò le ali, e si alzò in cielo con maestosità, fierezza e imponenza. Tutti erano a bocca aperta, e guardavano la scena con ammirazione e timore.
Potter e Malfoy non potevano crederci che un drago potesse essere così accondiscendente, che rispondesse ai comandi di un mago, l’esperienza di Potter, soprattutto, aveva insegnato che i draghi non erano poi così amici degli umani o dei maghi, non c’erano più dubbi, quello era senz’altro il grande Merlin, il leggendario mago, che aveva servito il principe Arthur. Erano quelli originali, nessun impostore o altro.
John tornò all’interno della grotta, e andò subito da Sherlock per dirgli quanto accaduto, ma lo trovò riverso per terra, svenuto.
“Sherlock, ehi, Sherlock” – lo scosse – “mi senti, Sherlock?”
“Mmh…” – mormorò l’altro aprendo gli occhi – “dove sono?”
“A Camelot”
Non appena sentì quel nome una serie immensa di cose senza senso – per lui – gli giunsero alla mente, gli annebbiarono il cervello, rendendolo incapace di ragionare in modo normale, e svenne di nuovo, stavolta tra le braccia di John, che si intenerì a vederlo in quello stato.
Dopo mezz’ora, Merlin fece ritorno con il TARDIS. Il drago teneva la macchina spazio-temporale tra gli artigli e il Dottore appena vide quella scena agghiacciante, si preoccupò subito che la sua macchina subisse dei danni irreparabili, ma niente avvenne, e il TARDIS atterrò insieme al drago e a Merlin, che sceso dal suo dorso, dopo aver rimosso la chiave. Il mago ringraziò il grande drago per l’aiuto, e quello spiccò il volo velocemente. Il giovane mago sorrise vittorioso agli - ormai - compagni di avventura, e si affrettò a tornare nella caverna per dire ad Arthur che fosse tornato, si aspettava una paternale lunga e piena di parole, si aspettava di litigare con lui, di essere trattato male, come al solito, ma nulla avvenne. Arthur gli corse incontro e lo avvolse con le sue forti braccia, facendogli perdere l’energia nelle gambe. Merlin tremava, mentre Arthur lo abbracciava, e dopo un attimo di esitazione ricambiò l’abbraccio. Quella era la sensazione migliore che avesse mai provato in tutta la sua vita: stretto tra le braccia di Arthur, nessun luogo era migliore.
“Bentornato.” – gli sussurrò con dolcezza, mentre Merlin – letteralmente – si scioglieva tra le sue braccia.
Intanto, fuori il Dottore faceva delle raccomandazioni a tutti  i rimanenti, soprattutto a Jack e Ianto.
“Mi raccomando, voi due, vi affido tutti gli altri, non fate accadere nulla durante la mia assenza.”
“Conta su di me, Dottore, andrà tutto bene.” – lo rassicurò Jack, sorridendo.
“Conti anche su di me, signore, non la deluderò!” – esclamò Ianto, unendosi al compagno.  
I due maghi erano rientrati, mentre i quattro giovani, erano ancora lì fuori, impauriti ed emozionati. Mai avevano ammirato tanta bellezza in una sola volta.
“Occupatevi anche di quei ragazzini, sono ancora terrorizzati.”
“Sì, capo!” – esclamarono i due agenti del Torchwood, recandosi da Harry, Louis, Kurt e Blaine, riportandoli dentro la caverna per farli stare al sicuro, prima di uscire di lì e mettersi di guardia. Alzarono un pollice nella direzione del Dottore, che annuì e si recò al TARDIS, seguito da Charlotte, che era elettrizzata. Stava passando tutto quel tempo con il Dottore, stava vivendo una delle avventure più strane di tutta la sua vita, ed era con le persone che ammirava e seguiva, meglio di così non poteva andarle, decisamente.
“Sei pronta?”
“Lo chiedi anche?” – ridacchiò, mentre il Dottore scuoteva la testa e rideva con lei. Già, era imprevedibile quella ragazza, ed era strano che non si spaventasse dopo tutto quello che aveva visto. Forse un po’ di paura l’aveva, ma non lo mostrava per non apparire debole. Quello era più probabile.
“In questo caso… Allons-y!” – esclamò, prima di partire.
Prossima tappa: Smallville.
 
Dopo essersi assicurati che all’esterno la situazione fosse tranquilla, Jack e Ianto rientrarono nella caverna, sedendosi più verso l’esterno, in modo da percepire immediatamente il pericolo. Non si erano ancora parlati da quando si erano ritrovati, anzi forse non si erano ancora parlati fin dalla partenza da Cardiff. Nel TARDIS non avevano parlato, anche perché Ianto appariva sempre pensieroso. Jack non riusciva a spiegarsi come mai quell’atteggiamento, così inaspettato, così all’improvviso. Un’altra cosa che ugualmente non riusciva a spiegarsi, era l’apparente freddezza nei suoi confronti, sì, l’aveva seguito ma non gli aveva rivolto la parola, certo non era strano, Ianto era un tipo silenzioso, ma con lui non aveva mai fatto così.
“Tutto bene, Ianto?” – chiese preoccupato.
Il moro non rispose, si guardò solamente intorno studiando le ‘coppie’ che avevano intorno. C’era John che lasciava che Sherlock dormisse appoggiato su di lui, stringendolo appena; dall’altra parte c’erano Harry e Louis che si sussurravano parole dolci, inascoltabili; accanto a loro, Blaine tentava di tranquillizzare Kurt, che era quasi vicino alla crisi di nervi; e infine Arthur che discuteva su cosa fare con Merlin, il quale pendeva dalle sue labbra, fissandogliele quasi in trance.
“Sì, tutto bene” – fu la risposta sussurrata dell’agente, che non osò distogliere lo sguardo dall’esterno della grotta. Iniziava a calare la notte, il freddo a gelare le ossa e la paura ad entrare in ognuno.
Tutti erano persi in loro stessi. Chi aveva un compagno, si stringeva a lui, tutti erano in ansia per il Dottore e Charlotte, che non erano ancora tornati. Non sapevano cosa fosse potuto accadere, magari non avevano trovato quel luogo, o magari il tipo si era rifiutato, o magari erano stati attaccati dagli angeli, o forse ancora avevano sbagliato epoca… non lo sapevano, ma tutti erano in ansia per loro, per il loro non ritorno.
“Sarà meglio andare a cercare della legna, si gela qui dentro” – disse ancora, alzandosi, e lasciando Jack in uno stato di stranezza e incomprensione. Che era preso al suo dolce e timido Ianto Jones? Perché questo era così freddo con lui?
“Ianto, aspetta!” – esclamò, raggiungendolo. Se c’era qualcosa nella loro… poteva chiamarla relazione? Doveva saperlo. Non poteva ignorare questi segnali di una… crisi?
“Non c’è bisogno di avere una balia, qui non ci sono pericoli.” – disse freddamente, avanzando a passo svelto tra le frasche. Il bagliore della luna lo illuminava, rendendolo agli occhi di Jack bellissimo.
Da quando sono diventato così sdolcinato? Bleah.
Nella grotta, i rimasti non si accorsero dell’assenza dei due.
Sherlock aveva da poco ripreso conoscenza, ma non osava muoversi dalle braccia di John, era… piacevole.
E da quando lui provava sensazioni del genere? Soprattutto, da quando le provava verso John?
No, non poteva provare sensazioni simili, sentiva le mani formicolare, e quasi le gambe tremare. Era una sensazione stranissima per lui, non voleva che John si accorgesse di quel martellio intenso proveniente dal suo petto. Non poteva essere il suo cuore, cos’era? Un infarto in corso? No, i suoi segni vitali erano buoni, giusto?
Che diavolo gli stava facendo John?
La stessa cosa era per l’ex soldato. Provava una strana sensazione piacevole tenendo Sherlock tra le braccia. Aveva da sempre avuto l’istinto protettivo accentuato verso di lui, fin da quando si erano conosciuti, e non voleva che gli accadesse niente di male, soprattutto in quella situazione. Si era reso conto che fosse sveglio, l’aveva sentito tremare lì tra le sue braccia, e il suo primo pensiero era stato quello di stringerlo forte.
No, non sono affatto innamorato di lui, è solo il mio migliore amico.
Poco più in là, Louis se ne stava placidamente appoggiato contro il petto di Harry, e lasciava che il riccio lo cullasse e rassicurasse. Insomma, aveva paura certo, ma… avrebbe conosciuto il suo Eroe, tutta quella paura, ne valeva la pena, e poi aveva Harry con sé, di cosa doveva aver paura? Sorrise al riccio, dandogli un bacio sulla guancia, mentre questo gli sorrideva incerto, come per trasmettergli sicurezza, ed incoraggiarlo, insieme ce l’avrebbero fatta.
E Louis si fidava ciecamente di lui.
Giuro, che quando tutto questo finirà, faremo coming out e ci sposeremo.
Kurt e Blaine invece erano incerti. Non avevano ancora ben capito la situazione, non capivano perché fossero lì, perché ci fossero tutte quelle persone strane, perché c’era un uomo che usava una cabina telefonica per spostarsi… tutto quello era troppo irreale, non potevano crederci. Kurt, poi, era letteralmente terrorizzato, soprattutto a causa di quelle statue, a quel punto, Blaine sperava che quell’uomo con la cabina blu tornasse presto, e portasse via tutti, riaccompagnandoli a casa. Dovevano solo aspettare, o risvegliarsi dal sogno, una cosa era certa, avrebbe protetto Kurt da qualunque cosa fossero quelle statue.
Non batterò mai gli occhi, e lo farò anche per te, Kurt.
Arthur guardava Merlin, che senza battere ciglio si preoccupava di accendere un fuoco anche debole tra le rocce, con scarsi risultati, ma ci provava. Non sapeva cosa pensare, quel servo gli aveva fatto qualcosa, non sapeva bene cosa, ma l’aveva fatto. Forse un incantesimo, era uno stregone dopotutto, no?
No, Merlin era un tipo leale, anche se aveva mentito, in fondo, Arthur poteva capirlo. Come fidarsi del figlio di un re che giustiziava senza un giusto processo chiunque usasse la magia? Ma Arthur era diverso dal padre, perché Merlin non l’aveva capito subito? Perché gli aveva mentito?
Lo uccideva sapere che Merlin non provasse lo stesso per lui. Era una cosa che lo mandava in bestia.
Arthur si fidava ciecamente di lui, avrebbe affidato a lui la sua stessa vita, anche se era uno stregone, perché lui conosceva il vero Merlin, gli aveva salvato la vita tante volte, e continuava a farlo, se avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo la prima volta che si erano incontrati/scontrati.
Fidati di me, ti prego, fidati di me.
Improvvisamente, la quiete fu interrotta da Potter e Malfoy, che correvano di spalle all’indietro verso la grotta.
“Uscite fuori, ci hanno trovati! Sono troppi, aiutateci, non possiamo battere gli occhi!” – urlò Potter, risvegliando tutti dallo stato in cui erano. In un attimo, tutti i presenti all’interno della grotta uscirono, Jack e Ianto di ritorno, udirono le urla, accorsero immediatamente, tutti spalancarono gli occhi: davanti a loro un intero esercito di Weeping Angels.
Era quella la fine di tutto?
Dottore, torna presto, ti prego. – fu il pensiero generale di tutti.
 
Sherlock era saltato dal suo ‘sonno’, a causa di John che l’aveva chiamato a ripetizione.
Non aveva udito le urla, era troppo impegnato a dedurre a che ritmo battesse il cuore di John, insomma, era il suo più bello che avesse mai sentito. Era una sinfonia perfetta, era… la canzone più bella che avesse mai sentito, ed era felice di poterla udire, ma il richiamo di John lo destabilizzò, e fu costretto ad alzarsi, a chiedere cosa accadesse. Il medico glielo spiegò rapidamente, e lui fu come preso dal terrore, che solo gli occhi di John – che gli dicevano che sarebbe andato tutto bene - riuscirono a placare. Aveva paura, sì. Una paura così forte da non riuscire a farlo respirare, ma lo sguardo del medico era come curativo, riusciva a farlo sentire meglio.
L’uomo gli prese la mano, e lo guidò verso l’esterno della grotta. Le statue erano lì, con gli occhi coperti. Non potevano battere ciglio, non potevano girarsi, né guardare se gli altri fossero arrivati.
Volevano sopravvivere, ovviamente, e dovevano ancora aspettare che quell’uomo con la cabina tornasse.
“Sherlock” – disse improvvisamente, facendo sobbalzare il Consulting detective che dovette far forza su se stesso per non girarsi e rispondergli. – “li fisso io, tu va via, okay? Scappa!”
John voleva salvarlo?
John voleva rischiare da solo, per salvarlo?
Sherlock si sentì andare a fuoco, e scosse la testa. Non avrebbe permesso a John di fare tutto da solo, avrebbero vinto, insieme. Quella era la battaglia di tutti, tutti contro gli angeli, e lui non avrebbe mai lasciato il suo blogger, il suo medico, il suo assistente, il suo John da solo. No, non lo avrebbe lasciato solo, avrebbe lottato con lui.
Magari astuzia e intelligenza, li avrebbero salvati. Sperare non costava nulla, in fondo, no?
Doveva ragionare. Doveva riuscire a trovare una soluzione temporanea. Non poteva rischiare così tanto…
D’istinto, gli venne di afferrare la mano di John e stringerla forte.
“Sherlock, cosa fai? Ho detto scappa!” – tenere gli occhi aperti iniziava a diventare faticoso, non poteva resistere a lungo, non poteva farcela. Doveva riuscire a fare qualcosa. La presa di Sherlock divenne sempre più salda, ma non decideva di dare una risposta a John, forse aveva un piano. Forse qualcosa iniziava a frullare bene nella sua testa, da quando era arrivato in quel luogo dimenticato da tutti. – “per le terza volta, Sherlock, va via.”
“Ho un’idea, sta’ zitto, non ti lascio solo.” – disse il Consulting detective tenendolo ancora per mano. – “diciamolo a tutti. Facciamo a turno. Uno ha gli occhi aperti, l’altro batte le palpebre. Ci alterniamo. Dovrebbe funzionare, ma dobbiamo coordinarci bene.”
“Sherlock, tu…” – iniziò il medico, ma il Consulting detective non lo fece finire, che concluse per primo la frase.
“… sono un genio, lo so.”
“Stavo per dire che ti amo, ma va bene lo stesso.” – ridacchiò John, senza accorgersi di aver appena confessato ed ammesso i suoi sentimenti per Sherlock, che si imbarazzò oltremodo. Iniziava ad amare l’imbarazzo, ma non troppo, insomma, doveva mantenere sempre un certo contegno.
“M-Mi ami? Ma…”
“Come genio, ovvio.” – si corresse subito, rendendosi conto della gaffe appena fatta. Non voleva apparire totalmente idiota ai suoi occhi, per aver detto una cosa del genere. – “attuiamo il tuo piano?”
Sherlock ci rimase un po’ male. Ma solo un po’, no, non aveva sentito un vuoto enorme dentro di sé, non aveva provato per un attimo la voglia di urlare e piangere, ma respinse tutto. Era una sensazione davvero irritante, e fastidiosa, non adatta a lui, ovviamente, poiché John l’aveva detto in un momento di eccitazione, tutto era lecito in quelle situazioni particolarmente emozionanti.
Riuscirono a coordinarsi, comunque, e ad alternarsi con il battito degli occhi.
Sembrava funzionare, ma Sherlock non lasciava la mano di John, e la cosa iniziava a diventare troppo intima. Erano così… vicini. Così… i loro cuori aumentarono di battito, le mani intrecciate iniziarono a sudare, e tenere gli occhi aperti diventava faticoso. Forse anche il sonno stava prendendo il sopravvento su di loro.
Non sapevano che fare. Erano persi. Continuavano con il piano di Sherlock, perché era l’unica arma a loro vantaggio. Non potevano andare via, non potevano muoversi, né potevano fare qualsiasi altra cosa.
“Sherlock… non è vero che ti amo solo come genio.” – disse John, ad un certo punto.
Il Consulting detective si ghiacciò sul posto, lo stava prendendo di nuovo in giro come prima? Era duro, freddo e cinico fino ad un certo punto, il suo cuore aveva una piccola breccia, quella breccia aveva il nome di John Watson.
“Mh… quindi?” - cercò di ostentare durezza, e freddezza, ma non riuscì molto bene, perché la sua voce tremò.
“Volevo che lo sapessi.” – disse apparentemente imbarazzato – “tutto qui. Volevo che lo sapessi.”
“Mi sembra di avertelo detto, non sono interessato, insomma… alle relazioni.”
“Certo, lo so.” – annuì il medico, senza poterlo guardare. Se l’avesse fatto, avrebbe letto tutta l’insicurezza del Consulting detective, tutta la sua paura e il suo cinismo a pezzi.
Sherlock sorrise per un attimo. John lo amava nonostante lui fosse così maledettamente insopportabile?
Era possibile? Insomma… sì, lo era. John l’aveva appena detto.
Intrecciò le dita con le sue, e gli strinse forte la mano.
John non riuscì subito ad interpretare quel gesto, probabilmente era positivo visto che Sherlock non aveva dato ancora di matto. Restò in attesa di un segno dall’altro, che pareva perplesso.
Certo, John aveva voluto che lui lo sapesse, perché probabilmente avevano poche possibilità di sopravvivere, quindi poche probabilità di vedersi ancora, di parlare, di uscire, di…
“John?” – disse improvvisamente, facendo saltare il medico dalla sorpresa.
“Sherlock?” – chiese di rimando, mentre l’altro arrossiva, senza che lui lo vedesse, o lo percepisse. La mano sudava tremendamente ora, segno che era nervoso, molto nervoso, era davvero irritante, ma come facevano i normali a resistere con quelle… emozioni? – “sei in crisi di astinenza da fumo?” – chiese.
“No, niente astinenza” – replicò, non riuscendo a trovare le parole adatte per dire quello che voleva dire.
“Allora, cosa?” – chiese curioso il medico, guardandolo, mentre il cuore di Sherlock faceva le capriole, e batteva all’impazzata, insieme a quello di John, che non ne voleva sapere di smettere di martellare all’interno del suo petto.
“Se sopravvivremo… ricordami di baciarti.” – e allora il cuore di John smise di battere per un attimo.
Poco più in là c’erano Harry e Louis.
Avevano ascoltato il consiglio di Sherlock, ed anche loro si alternavano con il battito degli occhi. Erano coordinati alla perfezione, fino a quando una folata di vento non sollevò dei granelli di terriccio, infastidendo la vista dei ragazzi. Nell’attimo in cui si sfregarono gli occhi, permisero alle statue di avanzare, e se le ritrovarono ad un palmo di distanza. Louis tremò inevitabilmente e mantenere gli occhi aperti fu ancora più difficile di prima. Sperava che il suo turno di tenere gli occhi chiusi arrivasse più in fretta, e finisse il meno rapidamente possibile. Non riusciva a tollerare la vista di quelle… creature, ne aveva il terrore. Tremava, aveva paura, ma non osava dirlo ad Harry, sapeva che avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, per farlo stare al sicuro. Non poteva dirglielo, sarebbe stato egoista, e… no, era tremendamente terrorizzato, ma non avrebbe fatto l’egoista facendo fissare solo ad Harry quei mostri. Era il suo ragazzo, dopotutto, no?
“Tutto bene, amore?” – chiese il riccio, preoccupato. Conosceva Louis come le sue tasche e sapeva bene che doveva essere terrorizzato. Quelle creature erano in grado di spaventare persino lui stesso, che non aveva paura di nulla, figurarsi un ragazzo sensibile come il castano, doveva essere fin troppo spaventato.
“S-sì…” – fu la risposta tremolante del castano, che ancora tremava, ma non osava toccare Harry per farglielo capire, né osava dirgli come stesse davvero. Lui non era egoista. Lui avrebbe aiutato Harry, e avrebbe finto di non aver paura, in fondo, erano anni che fingeva di essere chi non era, poteva farlo per una volta per il bene di Harry, no?
“Non dire cazzate, lo so che non stai bene.” – gli disse, afferrandogli la mano, e accarezzandogli il dorso di essa – “lo sento che tremi, anche se ti sforzi di non toccarmi per non farmelo capire.”
“Non ti si può tenere nascosto nulla, eh Styles?”
“Quando si tratta di te, Tomlinson?” – chiese retorico – “nulla.”
Louis sorrise impercettibilmente. Amava quando Harry si preoccupava per lui, ed amava il sesto senso del riccio nei suoi confronti, era inquietante che sapesse sempre come stesse, anche attraverso dei messaggi. Ricordava bene quella sera di tre anni prima, subito dopo X-Factor, quando stando in camere diverse avevano iniziato a mandarsi messaggini, ed Harry aveva preso a fargli complimenti su complimenti, per tutto il tempo, e lui poi era arrossito. Quando gli aveva detto di smetterla, ormai era rosso in viso, ed Harry gliel’aveva detto, rendendolo ancora più in imbarazzo. Com’era possibile che sapesse tutto in quel modo? Erano tre anni, e Louis ancora non l’aveva capito.
L’unica cosa chiara era che amasse Harry Styles. Lo amava più di qualsiasi altra cosa.
“B-Beh, stavolta non puoi fare nulla.” – disse il castano. Continuavano ad alternarsi con il battito degli occhi e Louis non ne poteva più di guardare quelle statue che, in quel momento, non avevano più gli occhi coperti. Erano terrificanti.
“Vedrai che il Dottore arriverà e ci salverà.” – lo rassicurò il riccio, accarezzandogli ancora la mano – “e poi verrà Clark Kent, renditi conto.” – ridacchiò. Louis sembrò sollevarsi e annuì energicamente. L’unica cosa positiva di tutta quell’avventura, era questa: avrebbe incontrato il suo eroe d’infanzia. E questo non poteva che fargli piacere.
“Già… dici che se gli chiedo un autografo, me lo fa?”
“Sei il solito nerd, amore.” – rise il riccio – “ma ti amo anche per questo.”
“Smettila di essere così perfetto, e dolce, e… bellissimo.” – Harry ridacchiò arrossendo appena, e avvicinò il castano a sé, avvolgendogli un braccio attorno ai fianchi. Il castano continuava a tenere gli occhi fissi davanti a sé, lasciando ad Harry il tempo di riposare. Tremava sempre di più, sembrava che quelle cose fossero sempre più vicine. Era sempre più terrorizzato, e non voleva farlo pesare ad Harry, che lo stringeva forte a sé, per rassicurarlo un po’, per farlo stare meglio, e non fargli avere troppa paura.
“E tu smettila di mentirmi, Louis.”
“C-Cosa?”
“Hai paura, e vuoi nasconderlo. Perché?” – chiese, non duramente, accarezzandogli il fianco. Louis aveva le lacrime agli occhi, ormai la paura era troppo forte, sentiva gli occhi pizzicare e sentiva di non poter reggere la visione di quelle statue ancora per molto.
“N-Non voglio… che tu ti senta obbligato a fare qualcosa per me.” – disse – “e non dire che non è vero, ti conosco troppo bene, so che lo faresti.” – Harry sentendolo ridacchiò e gli baciò la tempia con dolcezza. Fece risalire la mano che aveva sul fianco del ragazzo fino alla sua testa, e l’appoggiò contro la sua spalla, nascondendogli la vista di quegli orrori. Non meritava di star male, se aveva paura, lui avrebbe fatto di tutto per ridurla in qualche modo.
“Che fai…?” – chiese.
“Non sopporti la vista delle statue, no?” – chiese, e Louis si ritrovò ad annuire terrorizzato, ancora tremante. – “chiudi gli occhi, non guardare. Ti proteggo io.” – sussurrò stringendolo contro la sua spalla. Louis non avrebbe guardato quelle statue un secondo di più, non poteva permettersi di farlo star male, né di fargli avere paura, ormai era chiaro tutto. Avevano già affrontato tutto quello, dovevano solo aspettare ancora un po’, la soluzione sarebbe giunta in breve tempo. Poi sarebbero saliti nella cabina blu, e sarebbero tornati a casa, insieme, sani e salvi.
“Andrà tutto bene, amore, tutto.” – sussurrò baciandogli la guancia, rassicurandolo. Mantenere lo sguardo fisso senza battere gli occhi era difficile, troppo difficile. Le palpebre stavano per abbassarsi, gli occhi erano pesanti, stanchi… non avrebbe retto, non ce l’avrebbe fatta.
“Harry…”
“Ce la faccio, tranquillo.”
Louis gli era grato, ma sapeva che Harry non avrebbe resistito tutto quel tempo con gli occhi spalancati. Doveva aiutarlo in qualche modo,doveva essere forte, ma non ce la faceva, non poteva aiutarlo.
E se fossero morti? Se non ce l’avessero fatta?
Sarebbero stati liberi.
No, quella non era la soluzione, dovevano lottare, insieme. Insieme ce l’avrebbero fatta, come sempre. Dovevano essere forti, loro lo erano. Si strinse al fianco di Harry, e poi alzò lo sguardo verso la creatura. Era ancora più terrificante di quanto ricordasse, ma no importava. Doveva lottare, insieme ad Harry.
“Ce la faremo insieme, Haz.”
Appena usciti, Merlin ed Arthur erano rimasti con gli occhi spalancati.
Quelle statue erano arrivate fin lì, li avevano raggiunti, come avessero fatto era un mistero. Come potevano delle statue muoversi? Erano di pietra, non potevano muoversi, vero? Era impossibile, la pietra non poteva muoversi da sola, non… Arthur dovette chiudere per un attimo gli occhi – e per fortuna che Merlin li avesse tenuti lui aperti per entrambi – per rendersi conto di ciò che stesse accadendo.
Il consiglio di Sherlock arrivò anche a loro, e dopo un attimo di incertezza e non coordinazione, in cui le statue si era mosse e avevano scoperto gli occhi, avevano iniziato anche loro a battere gli occhi in sincrono.
I dubbi di Arthur erano ancora lì, radicati in lui. E anche se non voleva dirlo a Merlin perché non voleva costringerlo a fidarsi di lui, non poteva affatto farlo, se gliel’avesse detto, detto da lui sarebbe suonato come un ordine, e non voleva affatto che Merlin pensasse che lui gli ordinasse di fidarsi di lui. Non era moralmente ed eticamente corretto.
“Cosa avete, Arthur?” – chiese il giovane servo, avendo visto il suo principe perplesso.
“Niente, Merlin, ce la fai a mantenere gli occhi aperti? Vuoi chiuderli un po’?” - nella mente di Merlin passarono troppi pensieri contrastanti.
Perché Arthur si preoccupava per lui? Perché lo trattava bene, e non male come al solito? Perché diventava sempre così maledettamente perfetto? Perché lui era emozionato da morire, a trovarsi a pochi centimetri da lui? Nonostante condividessero lo stesso destino, fossero le due facce della stessa medaglia, Merlin non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione di… vicinanza così estrema al principe. Non che non ci fossero stati contatti tra loro, ma qualcosa gli suggeriva che quella volta tutto fosse diverso, qualcosa che li avrebbe cambiati radicalmente. Ma soprattutto, perché si era preoccupato poco prima con il drago, e appena era tornato l’aveva abbracciato in quel modo – cosa non aveva mai fatto prima – stringendolo, senza il minimo segno di arrabbiatura? E perché lui si era sentito… bene?
“No, state tranquillo, piuttosto, voi?”
“Sto bene, non preoccuparti per me.” – sorrise incerto. Doveva fare qualcosa, doveva far capire a Merlin che poteva affidargli la sua stessa vita, ignaro che il servitore l’avrebbe fatto ad occhi chiusi, senza rimpianti, senza paura, senza fermi. L’avrebbe fatto e basta, perché ogni cellula di lui, urlava che si fidasse di Arthur.
“Merlin, visto che potremmo finire male, che ne dici di darmi del tu?” – chiese. Se stavano per morire, voleva almeno che Merlin non si sentisse come suo servitore. Era una sensazione strana quella che provava in quel momento, ma sperava davvero che il ragazzo comprendesse le sue intenzioni. Non era un obbligo, ma una tacita richiesta.
“S-Seriamente, sie/sei capace di chiedermi una cosa del genere in un momento… così?” – fece girandosi, senza rendersene conto. Arthur spalancò gli occhi, e lo spinse dietro di sé. Non poteva permettere certe distrazioni, non in quella situazione, non poteva permettere che le statue facessero del male al suo Merlin.
Lo stregone, quando sentì di essere stato spostato dietro al principe, tentennò per un momento. Arthur voleva proteggerlo, quindi ci teneva davvero a lui, non era solo perché fosse un servo, poteva permettersi servi migliori di lui, non c’era altro.
“Arthur, io posso respingerle, ti prego.”
“Non se ne parla, resta lì.” – parve un ordine, ma non lo era davvero. Il principe voleva solo proteggerlo, preservarlo da qualunque male. Voleva che lui stesse bene, che vivesse altri mille anni, non perderlo quel giorno, non per colpa delle statue, non senza aver almeno tentato di fare qualcosa per lui. – “fidati di me.” – eccola, la richiesta nascosta, finalmente esplicata, finalmente detta, dichiarata. Ce l’aveva fatta, la lunga lotta contro se stesso era giunta al termine, gliel’aveva detto. Ma Merlin si sarebbe fidato di lui? L’avrebbe ascoltato?
Il mago appoggiò una mano sul suo fianco e lo accarezzò lentamente. Avvicinò il viso all’orecchio del principe, e con la voce bassa, sussurrata, lenta, come mai l’aveva usata nei suoi confronti…
“Mi fido.” – confessò il mago, deglutendo. Stava per rivelargli qualcosa di troppo, stava per… dichiararsi, e non poteva, non in quella situazione,non in quel momento, non poteva. – “ma tu devi fidarti di me.”
Arthur fu perplesso. Perché lo chiedeva, perché non accettava quella semplice richiesta, e cercava di fare di più? Perché rendeva tutto più difficile?
“Perché?” – chiese il principe, ancora perplesso.
“Sono un mago, sono un signore dei draghi, ti ho mentito per tutto questo tempo, ma a fin di bene, pratico magie sotto il tuo naso, per salvarti la vita, ho fatto fuggire un drago, che ha giurato che non sarebbe mai tornato a Camelot, altrimenti l’avrei ucciso, sai che il cuore di un drago è a destra e non a sinistra? Sì, avevi sbagliato a colpirlo. E… poi dannazione, sai quante volte ti ho salvato la vita? Come minimo devi fidarti di me, insomma, siamo una bella squadra, non è colpa mia se quando ti guardo mi vengono i brividi e…” – Arthur non gli fece finire la frase, voltò il capo verso di lui e lo baciò sulle labbra. Non importava nulla, né le statue, né la loro velocità, né altro. Loro due erano importanti in quel momento. Se quello era l’ultimo momento che passavano insieme, lo avrebbe vissuto a pieno, senza ripensamenti. Allora appoggiò la mano sulla sua guancia, e ne tracciò il contorno con un dito. Merlin dischiuse lentamente le labbra, e allora Arthur approfondì il bacio, sorridendo contro le sue labbra. Il bacio più bello di tutta la loro vita. Quello di Merlin con Freya? Nulla. Quello di Arthur con Gwen? Il nulla più assoluto.
“Arthur, Merlin!” – urlò il ragazzo occhialuto dietro di loro – “non distraetevi!”
“Romanticismo, puah.” – brontolò Malfoy, affiancando Potter.
I due risero, arrossirono, e si voltarono di nuovo verso le statue per osservarle, mentre gli altri due correvano a dare una mano agli altri. L’altro mago aveva ragione, non dovevano distrarsi, era stata tutta fortuna la loro, che i due stregoni stessero uscendo in quel momento dalla grotta. Forse era il destino, che da sempre li univa che quel giorno, proprio in quella situazione, li avesse uniti in quel modo, e li avesse salvati dalle statue, ed era stato il destino a mettere sulla loro strada il Dottore e i suoi amici strani.
Le loro dita si intrecciarono come per magia, il principe e il mago sorrisero, uniti da qualcosa di diverso, che non ancora riuscivano a spiegare bene, ma c’era e dovevano solo accettarlo.
“Cosa sarà?” – chiese Arthur, e il servo apprese subito a cosa si riferisse.
“Il destino.”
Intanto, Kurt non voleva uscire dalla grotta. Aveva troppa paura, non aveva ancora capito come facessero a trovarsi secoli addietro, con due membri degli One Direction, un tipo con una cabina blu, due tipi armati, un tizio che guardava una persona e capiva chi fosse, cosa facesse nella vita, quale trucco usasse per sapere tutte quelle cose era sconosciuto, ed era accompagnato da un tipo altrettanto strano, che pendeva praticamente delle sue labbra, poi c’erano i due che litigavano sempre, quello con gli occhiali e il biondo, e poi una ragazza che sembrava quasi normale, a parte loro due, ovviamente.
Blaine cercava di convincerlo ad aiutare gli altri, ma Kurt non si convinceva, non ci riusciva, era troppo spaventato da quella situazione.
“Ce la faremo, lo prometto, ma andiamo a dare una mano, okay? Te lo prometto, Kurt.” – disse prendendogli il viso tra le mani e baciandolo delicatamente sulle labbra. Kurt sembrò convincersi, e giunsero quando Sherlock suggerì a tutti di alternare il battito delle palpebre. Quando affiancarono gli altri notarono anche loro il numero esagerato di quelle statue, e Kurt non riuscì a non trattenere un urlo.
“Non ce la faccio, non ce la faccio…le statue, no…” – mormorò coprendosi gli occhi. Blaine sorrise appena intenerito vedendo la sua reazione. Gli prese delicatamente una mano e lo appoggiò contro il suo petto, facendolo abbassare un po’, vista la differenza d’altezza. Kurt subito lo abbracciò, e lasciò che Blaine lo abbracciasse.
Non voleva che il suo ragazzo guardasse da solo quelle statue orrende, ma era più forte di lui. Ne aveva il completo terrore, non riusciva a guardarle per più di trenta secondi, senza averne la paura più completa. Si erano posizionati alla destra di Merlin ed Arthur, e alla sinistra di Harry e Louis. Li sentivano parlare, consolarsi a vicenda, dichiararsi silenziosamente l’amore, e l’unica cosa che riusciva a fare Kurt era tremare e sperare che Blaine lo riportasse nella grotta. Cosa che accadde realmente. Quando i due ragazzi che sostenevano di essere maghi uscirono, loro cedettero il posto a loro, mettendosi dietro.
Blaine riuscì a riposare un po’ gli occhi e a far calmare Kurt.
Non poteva biasimarlo, aveva paura anche lui. Erano in una situazione del tutto sovrannaturale, e non sapevano nemmeno loro come uscirne. La paura era tanta, ma non potevano davvero scappare.
Mentre Kurt pensava che fosse tutto vero, e che sarebbero morti lì, da soli, a causa delle statue di pietra, Blaine era convinto che fosse un incubo. Uno dei peggiori della sua vita, ma pur sempre un incubo finto, frutto della sua fantasia, e del suo subconscio, molto fantasioso, ma pur sempre subconscio, probabilmente condizionato dal racconto di Kurt.  Non aveva creduto ad una parola di quel Dottore, non potevano esistere alieni, né statue che vivevano milioni di anni, addirittura dalla nascita dell’universo. Da quale libro di fantascienza aveva letto quella cosa?
Doveva solo svegliarsi, e contemporaneamente rassicurare Kurt.
Odiava vederlo così piccolo ed indifeso, odiava vederlo tremare e non voleva che lui stesse male in quella situazione, per questo doveva svegliarsi in qualche modo.
“Blaine… lo sai che ti amo tanto?”
“Ma cosa…?”
“Da quando ci siamo conosciuti alla Dalton, disegnavo cuori con il mio nome e il tuo nome uniti…” –  confessò tremando sull’orlo delle lacrime. Aveva paura di morire, paura di restare bloccato in quel posto, e Blaine ancora non voleva credere a niente. Ancora era così scettico ed odioso, persino Sherlock si era convinto che quella fosse realtà e che ne sarebbe uscito solo grazie al suo intelletto (o forse era ancora convinto che fosse opera di Moriarty, ma fingeva di aiuto convincersi che fosse vero per dare il meglio di sé, questo era ancora sconosciuto) – “e-e io… Blaine…”
“Kurt…” - ridacchiò – “lo sapevo. Ma sta’ tranquillo, non morirai.”- gli baciò la guancia – “non moriremo. Lo prometto.”
“Tu credi a tutto, vero? Non credi che sia un sogno…”- lo guardò implorante con gli occhi pieni di lacrime, e il moro non riuscì a dirgli di no. Non riuscì a dirgli la verità. In fondo, una mezza bugia poteva dirla, poteva omettere i suoi veri pensieri, rassicurando Kurt, era il suo sogno, dannazione, poteva sopravvivere se lo voleva.
“Ovvio che ci credo…” – sussurrò baciandogli la guancia. – “e ti prometto che ce la faremo, ma ora vieni con me.” – gli disse con il sorriso sulle labbra – “aiutiamo gli altri.”
“Va bene, va bene… ma non riesco a guardarle quelle statue, sono terrificanti…”
“Facciamo così” – mise le mani a coppa intorno al suo viso, facendolo sorridere appena – “quando non riesci più a guardare, lo dici a me, e metti gli occhi contro la mia spalla. Così le guardo da solo, mh?”
“O-Okay…” – mormorò il castano. Allacciò le braccia attorno al collo del moro e lo baciò intensamente sulle labbra, facendolo sorridere. Finalmente iniziava a sciogliersi, proprio come aveva voluto lui, quindi era vero. Era un suo sogno e tutto andava come voleva lui. Si alzarono da terra dopo un ennesimo bacio sulle labbra, e si diressero dagli altri affiancandoli. Anche loro iniziarono a battere gli occhi in sincrono, prima uno e poi l’altro, alternandosi in modo da tenere sempre quelle annate statue sotto controllo.
Kurt aveva paura.
Blaine credeva fosse tutto un sogno.
Uno tremava ed era terrorizzato.
L’altro era tranquillo, e sorrideva.
Blaine avvolse le spalle di Kurt con un braccio, e l’altro allungò il braccio dietro la sua schiena, cingendogli i fianchi. Si strinsero in quel modo. Potevano osservare tutte le altre coppie, chi stringeva le mani, chi con la coda dell’occhio si trasmetteva amore…
Chi implorava mentalmente il ritorno del Dottore, e chi temeva che si fosse perso, fosse morto da qualche parte.
Tutti temevano che non tornasse più, tranne Blaine, che era convinto che appena l’avesse pensato, sarebbe tornato.
Torna, torna, torna…
Ma quando aprì gli occhi il Dottore non c’era, le statue erano più vicine, avevano avanzato verso di loro, e fu allora che la paura pervase anche Blaine facendolo ghiacciare sul posto.
Kurt si accorse del suo irrigidimento, e la situazione mutò. Stavolta fu Kurt a tranquillizzare il moro e a dirgli che ce l’avrebbero fatta. Dovevano essere forti, ed uniti. Dovevano salvarsi insieme ed andare a casa.
Insieme.
“Blaine, andrà tutto bene.”
Jack e Ianto erano andati a cercare della legna, e durante la ricerca non si erano parlati. Jones aveva tenuto il broncio tutto il tempo, e Jack non aveva voluto insistere, gli avrebbe parlato solo se avesse voluto, anche se la situazione era diventata opprimente. Solo quando ritornarono, avendo udito le urla vicine, su un attacco degli angeli, e si ritrovarono a fissarne due che si erano posizionate davanti a loro.
Non dovevano battere gli occhi. Dovevano tenere duro, e non battere mai gli occhi. Era quella l’arma vincente, ma avrebbero dovuto tenere gli occhi fissi sulle creature per tutto il tempo.
Jack non aveva paura, dopo aver affrontato tutti gli alieni possibili, compresi i Daleks, ed essendo lui immortale, non correva alcun rischio, e non poteva di certo aver paura di affrontare un sasso. La cosa difficile era tenere gli occhi spalancati davanti a sé, e non battere mai le palpebre. Inoltre, l’unica paura che aveva, era il pensiero che capitasse qualcosa a Ianto. Certo, poteva apparire freddo. Istintivamente gli afferrò una mano, lo sentì fremere, e mollare subito la presa.
Okay, era chiaro. Era arrabbiato con lui per chissà quale motivo.
Beh, dovevano aspettare il Dottore, e non battere gli occhi, non muoversi, non voltarsi e restare fermi, avevano il tempo necessario per parlare e chiarire tutta la questione. 
“Allora, Ianto, come mai sei arrabbiato con me?” – chiese Jack, appoggiandosi contro un albero, tenendo lo sguardo sulla statua di fronte a lui.
“Non sono arrabbiato con te, Jack.” – rispose Ianto, fissando anche lui quella statua. Era davvero terrificante, e lui ne aveva affrontati tanti di alieni, fin dallo pterodattilo affrontato insieme a Jack quando si erano conosciuti, eppure non aveva mai sentito quei brividi lungo la schiena, quei brividi di terrore, che lo spingevano ad avere sempre più paura, paura di qualsiasi cosa. Era vero, allora, che ci si sentiva in quel modo, in una situazione di terrore?
“Avanti, ti conosco bene. Cosa ti tormenta?” – insisté il capitano, senza poter guardare il suo compagno negli occhi per constatare se mentisse o meno, ma sapeva riconoscerlo anche dalla voce, era addestrato a capire quando qualcuno mentiva o meno, e l’aveva già fatto in passato.
“Niente, davvero.” – la voce di Ianto si incrinò sul ‘davvero’, e allora Jack comprese che c’era davvero qualcosa che non andasse, ma cosa? Non ricordava di aver fatto qualcosa di male, anzi nell’ultimo periodo era anche più dolce con lui, cosa doveva fare ancora? Portarlo all’altare o cosa?
Oh, no, gli era già bastato vedere Gwen sposarsi con Rhys per terrorizzarsi in modo assurdo, forse più di quanto non lo fosse davanti ai Weeping Angels. Odiava i matrimoni, e poi… beh, lui avrebbe vissuto per tutta la vita, mentre Ianto no. Lui era immortale, Ianto no.
“Ianto?” – appoggiò una mano sulla sua spalla, e lo senti rabbrividire. – “Ianto. Cos’hai? Dimmelo.” – duro, freddo, tagliente, quello era un ordine, un ordine perentorio.
“No.”
“Sono il tuo capitano, il capo, ora me lo dici.”
“Sei insopportabile!” – sbottò – “non puoi usare la tua autorità per farmi confessare come sto!”
Forse era un buon segno la sua perdita di pazienza. Forse avrebbe confessato tutto, erano in una situazione di pericolo, l’insistenza e la paura potevano portare a certi scatti, soprattutto su un tipo sensibile come Ianto.
“Io non ti sopporto, quando fai così!” – urlò – “sei uno stronzo con me, fai finta che io non esista e davanti a me flirti con qualsiasi cosa respiri.” – confessò.
E’ geloso? Sul serio?
Ianto tremava. L’arrabbiatura, la paura avevano preso il sopravvento su di lui e allora Jack lo abbracciò, facendogli nascondere il viso sulla sua spalla, come quando avevano ballato al matrimonio di Gwen.
“Ianto… sei geloso?” – chiese con una risata nella gola – “è una scenata di gelosia, questa?” – chiese ancora, accarezzandogli la schiena, senza scostare lo sguardo dalle due creature, mentre stringeva il ragazzo tra le braccia.
“Anche… mi dà fastidio che non vuoi ammettere che abbiamo una relazione.”
“Noi non abbiamo una relazione.” – freddezza, nuovamente la freddezza che lacerò il cuore di Ianto per la… aveva perso il conto di quante volte le parole di Jack avessero spezzato il suo povero cuore, ogni volta era una nuova pugnalata.
“Ma…” – provò a dire, le parole gli morirono in gola – ho bisogno di te, tanto bisogno di te, Jack.
“Ianto, io sono immortale, tu un giorno morirai.”
“Goditela per ora, ti prego…” – lo supplicò anche con lo sguardo. Jack non resisteva ai suoi occhi, che tuttavia erano rivolti alle statue, che immobili scrutavano i due ragazzi con i loro occhi famelici. Volevano la loro energia, e lui non avrebbe mai permesso che prendessero quella di Ianto, del suo Ianto.
“Io ho una figlia, che ha avuto un figlio. Sono nonno, capisci?” – cercò di dire, comunque, per non rendere le parole dure che gli aveva rivolto più comprensibili.
“Mi sono sempre piaciuti gli uomini più grandi.”
“Cosa devo fare con te, Ianto Jones?”
“Amami, ti chiedo solo questo, per ora, amami. Puoi?”  - chiese supplichevole. Restò tra le sue braccia, e si girò verso le statue, fissando lo sguardo su di esse, e guardandole intimò al capitano di riposare un po’ lo sguardo, riusciva a guardarle, soprattutto se restava tra le sue braccia. Era così bello e forte…e  trasmetteva  così tanta protezione da far sentire Ianto fortissimo e pieno di volontà.
Tuttavia non sapeva la risposta, era ignaro, sperava che Jack lo ascoltasse.
Tanto prima o poi sarebbe finita, lo sapeva, ne era consapevole.
Ma lo amava, cosa poteva farci?
Assolutamente nulla, era una cosa che era accaduta, non rimediabile. Si era innamorato di Jack, e nemmeno la sua immortalità l’avrebbe fermato dall’amarlo con tutta la sua anima fino alla fine.
“Allora, puoi?” – chiese nuovamente, sentendo un sospiro rassegnato da parte di Jack, voleva dire sì? Accettava? Lui non si faceva false speranze, sapeva di vivere una relazione del tutto atipica… ma l’amore era imprevedibile, no?
“Posso.”
 
Intanto qualche secolo più  avanti, Charlotte e il Dottore viaggiavano nel TARDIS verso Smallville.
La ragazza sembrava preoccupata, era come se non avessero pensato ad un dettaglio, un piccolo dettaglio che avrebbe cambiato definitivamente le cose. C’era una cosa ancora da chiarire, una cosa… che non riusciva ad afferrare, ma qual era?
“Tutto bene?” – chiese il Dottore, fissandola.
“Sto pensando ad una cosa.” – confessò – “c’è qualcosa a cui non abbiamo pensato. Una cosa che ci sfugge.”
“Forse hai ragione, ti riferisci agli specchi, vero?”
Come faceva? Leggeva nel pensiero?
No… lui non era in grado di fare quello, lei lo sapeva. Forse era solo un sesto senso, o il cervello molto sviluppato, o… era solo un Time Lord, sapeva tutto sempre e comunque.
“Come… come hai fatto?” – chiese lei sorpresa.
“Sono il Dottore, ovvio.”
Charlotte alzò gli occhi al cielo ridendo. Decisamente era un tipo fuori dal comune, era un tipo meraviglioso, era tutto ciò che lei aveva sempre desiderato. Chi non avrebbe desiderato viaggiare insieme all’ “uomo dello spazio”?
Gli colpì scherzosamente la spalla, e lui rise insieme a lei.
Discussero riguardo gli specchi, dove prenderli, e lui le disse che ci avrebbe pensato lui, che a Smallville avrebbero avuto degli specchi e lì li avrebbero presi. La ragazza era sempre più affascinata da lui, e desiderava con tutto il cuore che niente di tutto quello smettesse, che lui restasse sempre lì  a renderle le giornate migliori. I fantasmi della sua quotidianità sembravano svaniti, lei sembrava un’altra persona, meno timida, più spigliata, allegra, dalla battuta pronta. Il Dottore la stava cambiando in meglio, la stava rendendo quella che non era mai stata, conservava dentro di sé la vecchia se stessa, ma si migliorava, diventava più matura, meno irascibile. Era molto meglio in quel modo, era più solare. Persa com’era nei suoi pensieri, non si accorse che fossero arrivati a Smallville, solo quando il Dottore aprì la porta del TARDIS e fu investita dall’aria fredda di lì, si accorse che fossero arrivati. Brontolò qualcosa sul freddo, e il Dottore le appoggiò il suo cappotto lungo sulle spalle. Lei scoppiò a ridere di nuovo, era davvero troppo lungo per lei, ma non importava, era del Dottore, e quello era un gesto che faceva raramente. Si strinse di più il cappotto addosso, e lo seguì. Erano atterrati nel giardino della fattoria Kent.
Appena fuori dal TARDIS, infatti, notarono la figura di un ragazzo alto e muscoloso, che doveva per forza essere Clark. Dopo una breve occhiata, si accorsero che il giovane aveva corso verso di loro, in un batter d’occhio, e aveva scaraventato il Dottore contro la porta del TARDIS.
Era senza dubbio Clark Kent.
“No, no!” – urlò Charlotte, cercando di staccarlo dal Dottore. Con la forza che si ritrovava avrebbe potuto fargli del male, provocargli qualche grave danno, e spingerlo già alla rigenerazione.
Charlotte rabbrividì.
A parte che non voleva che ciò accadesse, non era ancora il tempo di farlo, era presto, lei sapeva.
“Cosa volete? Cosa ci fate qui?!” – chiese con la voce alta il ragazzo dalla casacca rossa e la t-shirt blu. Non aveva freddo? Ah, lui era immune a tutto, anche al freddo, giusto.
“Io sono Charlotte, Charlotte Ellis” – si presentò – “e lui è il Dottore. E abbiamo bisogno di te.”
Clark lasciò andare il Dottore, e annuì.
Non rifiutava mai delle richieste d’aiuto, e non poteva quella volta, era un sano principio della sua vita.
Il Dottore rivolse uno sguardo riconoscente alla ragazza, che ammiccò nella sua direzione.
“Di cosa avete bisogno?” – chiese allora, il ragazzo guardandoli. Il Dottore si schiarì la voce, e scostò Charlotte, dicendo che quella era area di sua competenza. Doveva spiegare per filo e per segno cosa serviva, e cosa dovesse fare, e vista l’indole un po’… aggressiva di quel ragazzo, doveva stare attento a ciò che diceva, e attento che non facesse del male alla ragazza, che lui aveva preso sotto la sua ala protettiva. Non poteva rischiare di metterla in pericolo a causa sua, no? Aveva già commesso quest’errore con Rose, con Martha, con Astrid, con tantissime altre persone, e con la stessa Donna, che ancora non si arrendeva, e lo seguiva ovunque, di certo non avrebbe permesso anche a Charlotte di avere dei problemi a causa sua, né di rischiare la vita.
Spiegò a Clark degli angeli, delle persone bloccate nell’altra dimensione, e del piano degli specchi. Senza che arrivasse a fargli la domanda, Clark intuì il motivo della loro visita, e corse in casa recuperando quanti più specchi poteva, grandi, piccoli, medi. Charlotte aveva ragione, quel ragazzo era altruista e disponibile, aveva sbagliato a giudicarlo male.
“Certo che vi aiuterò, avevo sentito delle sparizioni, volevo essere d’aiuto in qualche modo.” – disse il ragazzo, quando i due chiesero stupefatti se davvero avesse accettato con tanta facilità.
“Bene, allora ripartiamo. Non abbiamo molto tempo.” – disse seriamente il Dottore.
“In che senso?” – chiese Charlotte perplessa.
“Gli altri potrebbero aver bisogno, sai… gli angeli. Si muovono se non sono osservati. E a Camelot di notte nessuno li osserva” – spiegò il Dottore.
“Dannazione, è vero!” – esclamò la ragazza. Clark intuì che dovessero partire subito, e il Dottore guidò tutti verso la cabina blu.
“Ma ci entreremo in tre?” – chiese Clark. Come potevano entrare tre persone in una cabina tanto piccola.
“Entra e guarda.” – replicò il Dottore, aprendo la porta. Il ragazzo entrò e spalancò gli occhi.
Non poteva essere, era… irreale. Ne aveva viste di cose strane, ma non come quella cabina.
“E’ più grande dentro!” – urlò. Charlotte rise e lo seguì subito, stessa cosa fece il Dottore, chiudendosi la porta alle spalle. Il ragazzo ancora non quantificava la grandezza intera di quella cabina. Potevano entrarci anche eserciti.
“Già, fa quest’effetto.”  - disse il Dottore, avvicinandosi subito ai comandi. Impostò di nuovo le coordinate di Camelot e ripartirono verso il posto da salvare.
Tutti speravano che il piano di Sherlock funzionasse.
Durante il viaggio, venne spiegato a Clark nel dettaglio cosa avrebbe fatto, come avrebbe dovuto muoversi, come avrebbe dovuto agire. Doveva essere abile, a non battere gli occhi, posizionare gli specchi e correre veloce. Ovviamente tutti avrebbero aiutato, fissando da angolazioni diverse le creature.
Il ragazzo parve capire il suo ruolo.
Charlotte gli batté una mano sulla spalla, incoraggiandolo. Tutto sarebbe andato per il verso giusto, ne era sicura.
Si fidava soprattutto del Dottore, con lui lì niente sarebbe andato nel verso sbagliato, tutto sarebbe risultato giusto.
Stavano per atterrare, quando lei gli si avvicinò e lo guardò. Pareva preoccupato per qualcosa, e non era un buon segno, se il Time Lord si preoccupava… c’era qualcosa che non quadrava.
“Che hai?”
“Niente, andrà tutto bene.” – disse, cercando di convincere prima se stesso e poi lei. C’era qualcosa che non quadrava, qualcosa che non andava. Ma non doveva farlo capire, doveva trovare il problema e risolverlo da solo.
“Se lo dici tu… ma non preoccuparti, okay?” – lo guardò sorridendogli. Adorava quella ragazza, riusciva a fargli vedere il lato positivo anche nella situazione più drammatica. Forse aveva bisogno di qualcuno, non poteva stare da solo. Certo, aveva ancora Donna, e sarebbe dovuto tornare a prenderla, altrimenti chi l’avrebbe sentita con le sue lamentele? Doveva ammetterlo, gli mancava, ma quella Charlotte era una forza della natura, nonostante fosse timida, era diversa, era in grado di sollevare i morali. E a lui serviva in quel momento qualcuno così. Dopo ciò che gli avevano detto gli Ood, soprattutto. Non voleva che la sua canzone finisse.
Le baciò la guancia, facendole battere il cuore, giusto un secondo prima che il TARDIS atterrasse e lei rimasse imbambolata lì, dentro alla macchina spazio-temporale. Le ci vollero almeno un paio di minuti prima di riprendersi. Il Dottore e Clark erano già usciti.
Quando anche lei uscì, notò che tutti fossero all’erta, con gli occhi spalancati.
Istintivamente chiuse la porta del TARDIS, e appena si voltò si ritrovò davanti uno degli angeli. Erano più terrificanti dal vivo che in foto, doveva ammetterlo.
“Dottore!” – urlò – “Dottore! Dottore!”
Lui non appena la sentì, corse nella sua direzione e la vide in pericolo. Sapeva perché quella creatura si fosse avvicinata al TARDIS, ma non avrebbe permesso a quella né di far del male a Charlotte, né di prendere possesso della cabina. Era troppo importante davvero.
“Non battere gli occhi, non farlo!” – le urlò.
“Non li batto… no…” – tremò cercando di tenere gli occhi aperti, la creatura era a pochi centimetri da lei, poteva vederla perfettamente: gli occhi vuoti, la bocca aperta, i denti appuntiti, le mani già protese verso di lei – “ma è terrificante…” – mormorò.
Il Dottore fece uno scatto veloce, correndo nella sua direzione, e si posizionò tra la ragazza e la statua.
“Va’ nel TARDIS!” – esclamò, quando lei fu al sicuro dietro la sua schiena. Charlotte solo in quel momento, quando non vide le spalle del Dottore coperte dal cappotto, si rese conto di averlo ancora lei. E allora sorrise, recuperando un po’ di coraggio.
“No, non ti lascio solo.” – gli disse cercando di affiancarlo, ma lui la stoppò,  con un braccio. Non l’avrebbe permesso.
“Va’ nel TARDIS!” – ripeté – “Clark sta per agire, ti raggiungiamo tutti tra poco, lo prometto, ma ora nel TARDIS, lì sarai al sicuro.”- le disse con fermezza, velata da leggera dolcezza. Senza che lui potesse vederla annuì e indietreggiò verso il TARDIS, entrando velocemente e chiudendosi la porta alle spalle. Non poteva far nulla, non poteva aiutarli.
Intanto fuori erano tutti impegnati a tenere gli occhi aperti. Clark aveva iniziato a correre veloce, talmente veloce che nessuno poteva vederlo. Sistemava gli specchi davanti a tutte le statue, nessuna esclusa. Ne avevano recuperati altri nel TARDIS, quella nave spaziale era così grande da contenere anche una stanza con degli specchi. Continuò a posizionare specchi sotto gli occhi sorpresi ed ammirati di tutti, soprattutto quelli di una persona.
Louis Tomlinson fissava Clark con somma ammirazione. Certo, era appena un ragazzo, e magari non aveva nemmeno scoperto tutti i suoi poteri, ma cavolo, quello era Clark Kent in persona.
Per Sherlock invece quello era l’ennesimo fenomeno paranormale. E… iniziava ad accettarli, un po’, forse.
Quando ebbe finito, intimò a tutti di allontanarsi, di togliersi da lì. Allora tutti si spostarono, corsero verso il TARDIS e Clark si accorse dell’ultima statua. Corse velocemente e posizionò lo specchio davanti a quella, liberando il Dottore.
L’ansia era palpabile. Non sapevano se aveva funzionato, in quel momento tutti stavano guardando, quindi non avrebbero potuto muoversi.
“Chiudete gli occhi.” – disse il Dottore.
Tutti parvero spaventati da questo. Dovevano chiudere gli occhi? E se quelle si fossero mosse?
“Dobbiamo capire se abbiamo fallito o no.” – spiegò ancora. Tutti annuirono, convinti. Avevano ragione loro, no? Avevano vinto, le statue erano state sconfitte, non avrebbero mai più dato fastidio, no?
“D’accordo allora, lentamente, tutti. Chiudiamo gli occhi.” – disse ancora il Dottore.
Harry Styles, Louis Tomlinson, Sherlock Holmes, John Watson, il Dottore, Clark Kent, Kurt Hummel, Blaine Anderson, Arthur Pendragon, Merlin, Harry Potter, Draco Malfoy, Jack Harkness e Ianto Jones chiusero gli occhi in contemporanea. Per un primo momento, non accadde niente. Pensarono tutti di aver vinto, gli angeli ormai erano fermi, immobili. Niente poteva rimetterli in moto. Si stavano fissando, no?
“Shhh… non aprite gli occhi.” - disse il Dottore – “non ancora, non ancora…” – tensione, ansia, tremore, paura. Tutto ciò scorreva nelle vene delle persone presenti che tenevano gli occhi chiusi e tremavano, in attesa di qualcosa di cui non avevano idea se fosse arrivata o meno.
Poi accadde. Il rumore di vetri rotti riecheggiò per tutta la radura e la sua eco si espanse a macchia d’olio. Il Dottore spalancò gli occhi, ritrovandosi faccia a faccia con l’angelo e, che protendeva le mani in avanti.  
“Tutti nel TARDIS!” – urlò, facendo in passo indietro – “veloci!”
Tutti aprirono gli occhi velocemente. L’ansia non permetteva loro di tenere gli occhi aperti e fissi, battendoli vedevano man mano gli angeli avvicinarsi, allunga le mani, tentare di afferrare qualcosa davanti a loro.
Gli specchi si erano rotti. Secondo le superstizioni popolari erano sette anni di sciagura, per loro significava solo una cosa: Fallimento.
Una volta che furono tutti dentro, il Dottore indietreggiò ancora lentamente tenendo lo sguardo sulla creatura, attento a non perdere di vista le altre che aveva intorno, e raggiunta la porta del TARDIS vi entrò. Violenti scossoni mossero la cabina, segno che alcuni degli angeli l’avevano accerchiata. Appena dentro, il Dottore corse ai comandi. Il TARDIS volò tra le stelle, lì dove gli angeli non potevano raggiungerli.
Erano al sicuro, ma per quanto lo sarebbero stati?

 
To be continued...
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Hi everybody!
Sono puntuale come un orologio svizzero, e strong, quindi vi propino anche la terza parte del cross-over.
Allora qui ritroviamo...
Il Dottore e Sherlock che litigano.
Johnlock
Ancora tanto fluff e un po' di suspance.
L'idea degli specchi di Sherlock non era male, ma ovviamente era troppo presto affinchè decedessero quelle malette statue.
E' arrivato anche KEEENT, quindi il nostro cast è al completo finalmente.
Ho raggiunto l'OOC con Ten, ma mia storia, miei personaggi, mie scelte, ew, tanto non voglio offenderlo in nessun modo, lo amo çç
So di abusare dell'Allons-y, ma lo amo, quando lo dice è troppo çç
Forse saranno sei parti, la prossima è di 17 pagine, e forse la divido ulteriormente, non lo so lol
A parte questo...
Spero che il crossover vi piaccia, e...
Scappo. 
Alla prossima, sweetie. <3


 
   
 
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