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Autore: Chemical Lady    06/10/2013    1 recensioni
Crossover delle tre serie CSI: Las Vegas, Miami e New York.
La stanza era silenziosa, totalmente scura se fatta eccezione per una lamina di luce che sembrava provenire da sotto ad una porta.
Le faceva male la testa, ogni osso del suo corpo come se si fosse improvvisamente presa una brutta influenza.
Era confusa, spaventata, ma non sola.
Sentiva qualcuno muoversi accanto a lei di tanto in tanto e, a quei fruscii, seguiva un mugugno acuto, femminile e sofferente. Non poteva scoprire chi ci fosse lì, con lei, poiché i polsi e le caviglie legati le impedivano di spostarsi, ma quella persona non doveva passasela meglio di lei.
In un certo senso, il pensiero di avere qualcuno accanto la rinfrancò. Almeno non era sola, aveva una speranza di scappare. Solo, come?
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Greg Sanders, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: The Best I Ever Had.
Raiting: Arancione
Personaggi Principali: Greg Sanders; Don Flack; Ryan Wolfe; Tre nuovi personaggi.
Ambientazione: CSI Las Vegas: tra la tredicesima e la quattordicesima stagione. Ho risparmiato a chiunque non avesse visto gli avvenimenti della 14x01, così da non creare spoiler. Per quel che riguarda New York e Miami, la fine di tutte le stagioni.
Avvertenze:  Potrebbero esserci scene di violenza, che verranno opportunamente segnalate.
Discriminate: Non posseggo ne la trama di fondo ne i personaggi principali, eccezione fatta delle tre protagoniste femminili. Ho inventato io stessa il caso trattato. Il resto è proprietà esclusiva della CBS. Non scrivo a scopo di lucro.
 
Buona lettura.
 





 

 
 


 
 
Dodici anni prima.
World Trade Center,
New York.
 
 
Flack assaporò con lentezza il primo caffè della giornata, rimanendo saldamente appoggiato all’autopattuglia con i fianchi.
Era un normale martedì mattina di inizio settembre, l’aria era umida ma ancora parecchio calda, tenendo conto del fatto che non erano ancora scoccate le otto. Hank, seduto al posto passeggero, sfogliava svogliato una copia un po’ stropicciata del New York Times che aveva di certo preso al distretto e digrignava i denti, commentando di tanto in tanto con acidità una particolare manovra del governo Clinton che lui non trovava opportuna.
Se non ce l’aveva con il Presidente, allora passava a commentare tutto ciò che il Sindaco Giuliani aveva detto o fatto quella settima , per la città.
Don lo ascoltava divertito, scrollando di tanto in tanto il capo e domandandosi perché la gavetta di pattuglia dovesse proprio passarla con quel vecchio brontolone di Hank Atman. Certo, era più un favore a suo padre che altro, visto che ciò che il tenente Atman non aveva avuto in senso dell’umorismo, era compensato da una grande esperienza. Era il classico uomo nato con il distintivo appuntato al petto, così come lui, dopotutto.
Controllò l’orologio da polso, notando che stavano per scoccare le otto. Forse avrebbe fatto in tempo a prendere anche una ciambella, prima dell’inizio del solito giro di ronda. Alzò gli occhi, guardando tutta Liberty Street, sino ad incontrare il profilo delle Torri Gemmelle, che si stagliavano alte davanti a lui.
Sì, qualcosa nello stomaco sarebbe stato utile.
Non sapeva perché, ma era solito fidarsi delle sue sensazioni.
 
 
“Patricia, lo sai vero che sto rischiando grosso per te?”
“Santo cielo, Andrea, che vuoi che sia? Non si sono nemmeno accorti che ci siamo allontanate dal gruppo!”
Due ragazze, una biondina e l’altra mora, si aggiravano nei pressi di Fulton St. come delle ladre attorno ad una banca. Mentre la prima, Patricia, sembrava particolarmente eccitata all’idea di aver abbandonato il gruppo del loro liceo, che stava sicuramente continuando a dirigersi verso il MoMa, l’altra, Andrea, non sembrava condividere questo sentimento.
Aveva acconsentito a seguire l’amica in quella sua folle idea solo perché, per lei, era al pari di una sorella;  nonostante vivessero a Hoboken, per loro erano rare le occasioni in cui potevano aggirarsi per Manhattan, così la giovane di Maio aveva accettato di staccarsi dai professori e dagli altri studenti.
“Se siamo alla fermata della metro alle undici e mezzo, non se ne accorgeranno nemmeno” aveva detto vaga Patricia, mentre tenendosi per mano si incamminavano lungo la strada, passando in rassegna ogni negozio “Questa è una bella occasione per poter fare una comparsata da Howard a lavoro! Sai che faccia farà vedendomi lì!”
Andrea si limitò a sorridere all’amica. Howard era il fidanzato ventenne della bionda  stava svolgendo il suo apprendistato come avvocato  al Word Trade Center, nello studio di suo padre.
“Va bene, ma solo dieci minuti.” Le disse la morettina, facendola gioire “Dopo voglio arrivare sulla 5th e passare in rassegna ogni negozio da Soho a Plaza Square!”
Si scambiarono uno sguardo complice, entrambe entusiaste all’idea, prima di avviarsi verso la fine della via, fino alla grande piazza che già si intravedeva dall’angolo con la Gold…
 
…. Dopo di che, i ricordi di quella mattina si fecero confusi per la giovane di Maio.
Non ricordava con precisione dove si trovasse, anni dopo aveva provato a ricostruire quella tragica giornata, ma aveva ancora la prospettiva distorta e non ricordava da che angolazione avesse visto il primo aereo schiantarsi contro la torre nord del Word Trade Center. Ricordava solo lei che stringeva con entrambe le mani il polso di Patricia per impedirle di correre verso i palazzi e di come un gruppo di persone in fuga le avevano separate, per sempre.
Non l’aveva più rivista, nonostante l’avesse disperatamente cercata, incurante dei pompieri che le ordinavano di andarsene, del cellulare che non riceveva il segnale, della seconda torre colpita.
Non riusciva nemmeno a ricordare esattamente dove si trovasse quando il mondo che conosceva era crollato insieme ai due giganteschi grattacieli.
I ricordi ripresero, come un fiume in piena, solo nel momento in cui si ritrovò sola, sotto alla cenere e alla polvere, con qualcosa di caldo a colarle dalla fronte. Non avrebbe più dimenticato gli attimi successivi alla tragedia.
Era seduta in terra con la schiena appoggiata ad un palazzo che pareva cigolare sempre più forte, incapace di vedere attorno a sé a causa della ferita alla testa e dello stordimento. Una nube di polvere l’aveva investita e lei era riuscita in qualche modo a ripararsi dietro a quel muro, nonostante l’aria attorno a lei si fosse fatta satura, si era protetta la bocca e il naso con il  suo foulard bianco.
Sentiva urla in lontananza, ma giungevano alle sue orecchie ovattate, come se molte, moltissime persone stessero urlando dentro a dei bicchieri di vetro. Che pensiero stupido, chi avrebbe mai potuto fare qualcosa di così folle?
Folle come abbattere due palazzi in piena città.
Tentò di alzarsi, ma ci riuscì solo al quarto tentativo, facendo leva sulle braccia e contro quel muro ruvido. Uscì, trovandosi di fronte il nulla più assoluto. Rischiò di cadere nuovamente, mentre cercava di orientarsi o di capire quanto meno come fare per raggiungere lo sbocco della metropolitana. Ironicamente, credeva che se si fosse ricongiunta a tutti i suoi compagni di scuola, sarebbe andato tutto bene.
Forse anche Patricia era la con loro.
Si aggrappò a questa falsa speranza, continuando  a girare piano su se stessa per cercare una qualsiasi indicazione.
Nulla.
Stava per arrendersi, quando notò qualcuno venirle incontro. Una figura alta, vestita di scuro ma anch’esso totalmente ricoperto di polvere.
Un poliziotto.
Quando le fu di fronte, riuscì a vederlo per bene. Era giovane, sembrava un cadetto con la divisa  che ancora sapeva di cellofan.  I suoi occhi erano due frammenti di limpido cielo, grandi e ricolmi di spavento. Riusciva, però, a mantenere un certo controllo.
Andrea lo invidiò molto.
“Signorina? Signorina mi sente?” le chiese, deciso ma con il tono ammorbidito dalla tensione. Le appoggiò una mano al braccio, guardandola in volto e constatando che era solo una ragazzina. “Perdi molto sangue.” Decretò, mentre Andrea lo guardava ancora con espressione del tutto persa. Le prese il foulard dalla mano, appoggiandolo contro il taglio, e lei sussultò per il dolore “Dobbiamo allontanarci, velocemente.”
“Devo raggiungere la metro.” Si limitò a dire la giovane, opponendo una scarsa resistenza quando lui le passò un braccio attorno alla vita, per portarla via “La mia classe ora è al MoMa…. Io e Patricia ci siamo allontanate…. Era una bravata, non pensavamo di-“ alcuni singhiozzi le spezzarono la voce “D-devo trovare P-Patricia…”
“Non possiamo fare nulla per nessuno, ora” le disse il poliziotto, mantenendo quel tono morbido ma sicuro. Lei lo lasciò fare, portando un braccio attorno alle spalle del ragazzo per sostenersi a lui mentre iniziavano a camminare lentamente verso un qualsiasi luogo in cui Andrea avrebbe ricevuto cure mediche. La mora si aspettava di vedere altri agenti di polizia e pompieri correre verso le macerie, sfidando la polvere e un fumo nero dall’aria tossica che si alzava dalla carcassa del grattacielo, ma ciò non avvenne.
Tutto sembrava essersi bloccato, come se qualcuno di molto abile avesse deciso di fermare il tempo.
Si sentiva sospesa…
Camminarono per diverso tempo, mantenendo un passo lento e cadenzato, poi fu il ragazzo a proporre ad Andrea di fermarsi “Devi riposare, siediti qui”disse, indicandole un paio di blocchi di cemento di forma quadrata, sui quali la aiutò a sedersi. Per quanto ci provasse, lei non riusciva a smettere di singhiozzare. Non aveva fatto altro, per tutto quel tragitto, più per lo spavento che per il dolore alla testa “Stai tranquilla, te la caverai…”
Quella voce la rassicurò, calmandola appena. Una volta aiutata la giovane, anche lui si abbassò, inginocchiandosi accanto a lei e controllando la ferita. Sembrava davvero brutta, ma almeno non sanguinava quasi più. Tenne ancora il foulard premuto su di essa, anche quando Andrea si sporse per abbracciarlo. Oltre la sua spalla, la ragazza vide due pompieri, seduti contro un’auto. Sembravano sfiniti così come lo sembravano loro due.
Si strinse in quell’abbraccio, cercando di soffocare i singhiozzi nel petto, ma con scarso risultato. Lui la strinse a sua volta, accarezzandole la schiena e staccandosi solo quando vide arrivare qualcun altro.
“Hey fermo! Non puoi andar avanti!” Quando il poliziotto si staccò, Andrea sentì molto freddo. Tenendo premuta la ferita, guardò quello scambio di battute davanti a lei.
“Tranquillo, sono un collega!” disse l’altro, basso e biondino, mentre si abbassava una bandana dalla bocca e mostrava un distintivo.
“Come ti chiami?”
“Messer, Danny Messer”
“Ascolta, Messer, non serve che tu vada la-“
“No, io voglio andare-“
“No, aspetta-”
“Voglio andare ad aiutare!”
“Sono tutti morti!”
Andrea non riuscì ad impedirsi di singhiozzare più forte, perché lo sapeva. Lo sapeva che erano tutti morti, che lei era viva per volere del Signore e che molti altri non avevano avuto la stessa fortuna.
Sentirlo dire dal poliziotto dagli occhi di cielo, però, fu come una pugnalata per lei.
“Sono tutti morti… Lei è ferita e mi serve una mano per portarla da un medico.” Tornò da lei, inginocchiandosi e appoggiando piano una mano sul suo ginocchio “Vieni, adesso troviamo qualcuno che possa darti un’occhiata.”
Anche il biondino le andò vicino, scostandole  il foulard per guardare il taglio “Si sta infettando, va lavato in fretta.” Insieme al collega, aiutarono la giovane ad alzarsi e ripresero la loro marcia, sorreggendola insieme.
“Come ti chiami?” le chiese di punto in bianco il biondino, sorridendole incoraggiante con tutto l’entusiasmo possibile, vista la situazione.
Lei deglutì un paio di volte, cercando di umettarsi le labbra secche. “Andrea di Maio”
“Vivi qui vicino, Andrea? Perché non eri a scuola?”
“No, sono di Hoboken.” Rispose lei, oscillando appena e appoggiandosi meglio contro il poliziotto moro. Le girava la testa, fortissimo “Sono qui con la mia classe, eravamo diretti al MoMa, ma io e la mia migliore amica ci siamo allontanate e ritrovate qui…”
“Ora sai dove si trova lei?” chiese gentile il biondino, ma l’altro ragazzo scrollò il capo, come a chiedergli di fermarmi. Andrea trattenne le lacrime, decisa a lasciarsi andare solo una volta riabbracciati sua madre e suo padre.
Arrivarono fin davanti all’albergo Excelsior e lì, un pompiere molto giovane, li fece entrare dicendo che c’erano ben quattro medici ad aiutare.
“Io mi chiamo Danny” disse il biondino ad Andrea, mentre la aiutava a stendersi sulla barella. “Sarò qui intorno, se hai bisogno per qualsiasi cosa, chiedi pure di me.”
Lei si limitò ad annuire, così lui le appoggiò una mano sulla spalla scambiando un ultimo sguardo con il poliziotto più alto. Poi uscì, lasciandoli soli in quell’angolo della gigantesca hall dell’hotel.
Andrea si aspettava quasi di vedere il poliziotto che l’aveva trovata scomparire, andare ad aiutare gli altri o semplicemente a cercare di contattare i suoi parenti, ma non accadde. Il giovane prese uno sgabello dal bancone del minibar e si mise accanto a lei, sorridendole appena. I suoi occhi si stavano pian piano spegnendo, come se tutta la stanchezza e la paura iniziassero a consolidarsi in lui insieme ad una lenta consapevolezza di ciò che era avvenuto.
Il braccio iniziava a dolerle, così lo abbassò e immediatamente lui portò una mano sul foulard ormai saturo di sangue, affinché continuasse a tamponare la ferita.
Lei sorrise, massaggiandosi il bicipite “Posso sapere il nome del mio salvatore?” domandò, ingenuamente.  Non sapeva bene come atteggiarsi, dopotutto era un agente, ma era anche il suo salvatore.
“Flack.” Rispose lui, prima di correggersi “Beh, Don. Tutti però mi chiamano sempre per cognome e alle volte tendo a dimenticarmi il mio nome di battesimo.”
Lei ridacchiò appena, ma si irrigidì di colpo. Anche le costole le facevano male, sicuramente erano una conseguenza di una caduta che non ricordava. Non si lamentò però, c’erano tante altre persone che avevano più bisogno di lei in quel momento. Riprese a parlare con il ragazzo, Flack, per non addormentarsi “Anche mio padre è un poliziotto.” Disse, stupendolo “È lo sceriffo di Hoboken e conoscendolo sarà spaventatissimo. Sa che sono in città oggi.”
“Allora sarà meglio cercare di contattare il suo distretto, posso uscire a chiedere a qualcuno se mi da una radio e-”
“No, ti prego!” per puro istinto, Andrea aveva portato una mano sul polso del ragazzo. Costringendolo a rimanere seduto. “Non mi lasciare qui, da sola…”
Gli occhi cangianti della giovane si riempirono di paura al punto tale da renderla quasi concreta, palpabile.
Flack non ebbe il cuore di far nulla.
Avrebbe chiesto ad un collega.
Si limitò a sistemarsi meglio sullo sgabello, prendendo una garza sterile che un’infermiera aveva portato loro, per sostituirla al foulard sporco “Non vado da nessuna parte. Aspetterò con te il medico e verrò in ospedale, nel frattempo mi sarò procurato una radio.”
“Rimarrai con me fino a che mio padre non mi troverà?”
Lui si guardò alle spalle, notando un gran via vai di colleghi fuori dalle vetrate della struttura. La città aveva bisogno di lui, ma poteva iniziare da lei. Un cittadino per volta.
“Non mi muoverò da qui” Le promise.
…. E a ciò si attenne.
 
 
 
 
 
 
 
July, 12 2013.
In una strada di Manhattan (New York).
Ore 02.05 am.
 
 
 
La navata della chiesa era come esplosa in un boato, quando gli sposi, finalmente, si erano scambiati il primo bacio.  Se l’ansia prima della cerimonia aveva dilatato i tempi sino a renderli insopportabili, dopo il fatidico sì tutto si fece più veloce e frenetico.
C’erano state le foto, il lancio del riso, altre foto e poi il ricevimento in quel piccolo ristorante italiano che a stento li conteneva tutti, ma che aveva quella bellissima pista per danzare e il menù più buono di tutta la città. Christine aveva scongiurato Mac di scegliere quel posto e lui aveva deciso di accontentarla, a costo di far dannare ogni cameriere che doveva passare fra i tavoli stipati.
Quando meno gli invitati sarebbero stati tutti vicini.
Ne era valsa la pena, visto che tutti avevano ballato, riso e celebrato la sua ritrovata felicità. Non credeva che sarebbe mai successo, non ci sperava nemmeno, ma era riuscito ad innamorarsi di nuovo. Dimenticare Claire non sarebbe stato mai possibile, sarebbe per sempre rimasta una sorta di tassello incompleto nel suo cuore, ma Christine per lui era importante. Unica e sua.
Solo, in modo diverso.
La festa era andava avanti per quasi sette ore, ma ormai la maggior pare degli invitati era tornata a casa. Gli sposi si erano appena ritirati, quando anche il resto della squadre decise che era ora di tornare a casa.
“Una gran cerimonia!” aveva esordito Danny, reggendosi alla spalla di Lindsay, che a stento riusciva a reggere il peso del marito. Del marito sbronzo, per la precisione. Lui e Adam avevano alzato di molto il gomito e non avevano fatto altro che costatare quanto fosse ben riuscita la cerimonia. O quanto fosse bello l’abito di Christine.
“Credo sia ora di andare a letto” Lindsay sembrava lapidaria, così tanto da strappare sorrisi e sbuffi. “Niente sbuffi, Adam! Come pensi di tornare?”
“Ci penso io.” Si propose Jo, aprendo la mano sotto al naso del collega ubriaco “Però sono arrivata fin qui con Sid, quindi mi servono le chiavi dell’auto.”
Adam prese a frugare dentro alle tasche dello smoking, estraendo poi vittorioso le chiavi del suo suv. “Eccole!”
“E anche questa è fatta” disse ridacchiando Hawkes, passando un braccio attorno alle spalle di Sid, che si era sfilato gli occhiali da vista per massaggiarsi gli occhi stanchi “Possiamo dividerci. Andrea, ti serve un passaggio?”
La ragazza, che si era tenuta lievemente in disparte durante la conversazione, annuì energicamente “Sarebbe perfetto, Sheldon.”
“Ci penso io.” Andrea si voltò, incontrando lo sguardo tranquillo di Flack “Sono di strada, inutile far fare un giro così lungo a Hawkes.”
Il ragazzo di colore guardò la giovane detective, che annuì. “Allora va bene, ci vediamo domani sera!”
“Buon ritorno a tutti.” Li salutò con gentilezza Jo, mentre cercava di far camminare Adam in linea retta.
Andrea si avviò dietro a Flack, reggendo il cappotto nero tra le braccia, in silenzio. Non che le desse fastidio passare del tempo con il collega, ma qualcosa dentro di lei moriva ogni qualvolta gli occhi chiari dell’uomo incontravano i suoi.
Entrò in auto, allacciandosi con un gesto automatico le cintura, mentre Don metteva in moto e si apprestava a risalire la Madison, in direzione Harlem. Rimasero in silenzio per un pochetto, poi fu lui a rompere il ghiaccio; iniziarono a parlare delle solite cose, come il caso appena concluso, la stupidità abissale con la quale ogni tanto Adam si poneva, a quanto Lucy stesse crescendo…
Don, però, non prestava molta attenzione. Aveva la testa altrove…
La loro storia era ormai finita da qualche mese, dopo moltissimi tira e molla.
Certo, non era la prima volta che decideva di chiudere con Andrea e, puntualmente, ci ricascava, ma quella volta gli era sembrata più definitiva che mai.
Sapeva che non sarebbero tornati insieme e, anche se in lui era maturata la consapevolezza che per Andrea sarebbe stato meglio così, non riusciva a lasciarsi tutto alle spalle.
L’aveva vista crescere, prima come cadetto, poi come agente. Le aveva insegnato tutto quello che sapeva sul mestiere da detective e doveva ammettere di aver fatto un ottimo lavoro.
Andrea era tutto quello che si potesse ricercare in una donna: bella, molto intelligente, con un buon carattere. Era timida, introversa per certi aspetti ma incredibilmente decisa al lavoro.
Poteva beccare un francobollo al buio, quando sparava. Le invidiava la mira e il modo in cui riusciva a non far tremare mai le mani quando impugnava la sua nove millimetri, mentre le bastava un non nulla per arrossire quando le si rivolgeva un complimento.
Soprattutto se era lui a farlo.
Che lei stravedesse per Flack non era di certo un segreto per nessuno. Si vedeva dal modo in cui lo guardava o gli sorrideva, nei suoi gesti sempre più accorti quando si trattava di lui.
Gesti che non sempre avevano trovato un riscontro.
Soprattutto in quell’ultimo periodo, Don si era fatto più scostante e anche questo non era un mistero. Per questo Hawkes voleva essere certo che lei volesse davvero un passaggio dell’amico.
I motivi erano tanti, troppi, stupidi presi uno ad uno ma enormi se sommati fra loro.
Quando imboccarono la 73th, Don si accorse di essere rimasto zitto per troppo tempo.
Voltò appena il capo, guardando con la coda dell’occhio Andrea, che fissava fuori dal finestrino con in insistenza.
Oh, bel lavoro…
Stava per dire qualcosa, ma delle transenne in mezzo alla strada lo costrinsero ad inchiodare.
“Scusa, non le avevo viste.” Disse, cercando di capire perché la vita fosse chiusa a quell’ora di notte “Ti avevano anticipato nulla circa dei lavori sulla strada?”
Andrea corrugò le sopracciglia “No, è strano in effetti. Però da qui posso andare a piedi, saranno si e no due minuti.”
“Insisto per accompagnarti” decretò l’uomo, facendo marcia in dietro per poter parcheggiare l’auto a lato della strada “Non vorrei che tu facessi brutti incontri.”
La mora sorrise appena, scendendo quando il motore venne spento “Un  vero cavaliere” gli disse, iniziando a camminare accanto a lui sul marciapiede.
Don cercò di dire qualcosa, ma tutto quello che gli sovveniva sembrava incredibilmente banale o stupido.
Andrea se ne accorse “Vuoi salire a prendere un caffè?” domandò candidamente, tanto che Flack non si sentì di insinuare nulla.
Però non gli parve il caso “A dire il vero preferirei tornare a casa.” Le rispose mentre svoltavano l’angolo e imboccavano la Lexington, la via dove la giovane viveva in un monolocale piccolo ma carino.
Si fermarono davanti alla porta d’ingresso e lei prese a frugare nella borsa in cerca delle chiavi “Sicuro? Mia mamma mi ha spedito una qualità nuova di caffè italiano. Ha un gusto tostato che non puoi nemmeno immaginare se non lo provi”
Quando rialzò il capo sorridente, Flack fece davvero molta fatica a dire di no di nuovo “Non questa sera.” rispose al sorriso “Cascasse il mondo io giuro che….” Si bloccò di netto, facendo corrugare le sopracciglia della ragazza.
Il suo sguardo si fissò su un punto imprecisato oltre la spalla della collega e tacque d’improvviso. Ma non pensieroso come prima, sebbene preoccupato. La bocca si aprì appena mentre gli occhi rivelavano un’irrequietezza che stonava molto che il solito modo di porsi del detective.
“Don?” Andrea lo chiamò incerta prima di voltarsi e trovare, puntata al suo viso, una pistola. La giovane si irrigidì mentre sentiva la mano di Don stringersi attorno al suo braccio e tirarla a sé.
“Via le pistole, tutti e due. Tu, donna, metti giù la borsa.” disse pacato l’uomo mentre altri due arrivavano da dietro FLack, anche loro pistole alla mano.
“Chi diavolo siete voi?!” chiese con grinta il detective mentre Andrea si stringeva a lui, del tutto spiazzata dallo spavento.
“Via le pistole, ho detto, o facciamo fuoco” Con riluttanza Flack prese dalla fondina alla caviglia la pistola di scorsa che portava sembra con sé, mentre la mora appoggiava a terrà la borsa che conteneva a sua volta l’arma di riserva della poliziotta. Uno dei tre uomini levò quegli oggetti dalla strada “Ora a terra, detective Flack, veloce.”
Lentamente, Don si abbassò subito imitato da Andrea, ma l’uomo sulla sinistra si avvicinò afferrandola per un braccio e tirandola a sé  “No! Lasciami!”
“Lasciatela andare!” scattò Flack rialzandosi e tentando in qualche modo di affrontare l’uomo, come dimenticandosi che era armato e lui no.
Il terzo elemento, quello sulla destra, si avvicinò a lui sferrandogli un colpo alla nuca con il calcio della pistola.
“DON!”
Il detective cadde a terra mentre Andy prendeva a strattonare il braccio per liberarsi. Non lo sapeva nemmeno lei come ci riuscì, ma prese la pistola al uomo che la tratteneva e riuscì a sparargli, beccandolo in pieno. Non si avvertì alcun suono, segno che in qualche modo dovevano aver installato un silenziatore interno alla canna. L’uomo cadde ma appena la giovane si voltò pronta a puntare l’arma anche contro gli altri due vide che quello di destra aveva l’arma puntata alla desta di Flack in ginocchio.
“Buttala o gli apro un foro per dar aria ai neuroni” disse con lo stesso tono apatico del primo e la mora non esitò a lasciar cadere l’arma a terra. Il primo uomo le si avvicinò dandole uno schiaffo in pieno viso e facendole così perdere l’equilibrio.
“Figlio di puttana! Non osare!” urlò il Don, che però non poteva far molto se non osservare con impotenza la scena.
“Vediamo di sbrigarci, stiamo facendo troppa confusione” disse l’uomo che teneva sotto tiro Flack al compagno e quello annuì
Nello stesso istante uno assestò un altro colpo a Flack, che cadde a terra privo di sensi mentre il secondo prendeva dalla giacca una piccola custodia di alluminio contenente una piccola siringa.
“Don…” la mora singhiozzò guardando il ragazzo svenuto a pochi metri da lei.
Si sentì tirare per i capelli all’indietro e poi uno dei due uomini le infilò la siringa diritta nel collo mentre l’altro controllava cosa fosse successo al loro terzo.
Tutto cessò, Andrea non sentiva più nemmeno i suoi singhiozzi.
Doveva essere un potente anestetico, visto che non si accorse nemmeno di quanto tempo ci mise per crollare.



Nda.
Eccomi qui con la fine del prologo!
Anche la nostra eroina di New York è stata presa dai cattivi.
Chi saranno?
Si scoprirà solo leggendo u.u

Adesso che ho concluso le introduzioni, proseguirò con la storia alternando i pezzi al passato tra un csi e l'altro, mentre la parte narrativa del 'presente' sarà mista. Un po' Las Vegas, un po' Miami, un po' New York.
Come sempre, ringrazio chi mi legge, ma gradirei davvero molto un parere ^-^
Chi delle protagoniste vi piace di più?Quale storia secondo voi è più interessante? Quale meno?

A presto, un abbraccione
Jessy

 
  
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