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Autore: Firelight_    06/10/2013    5 recensioni
“Sei sempre così bravo a mentire?” lo prende in giro Nell, guadagnandosi da parte sua una spintarella scherzosa – un toccarsi leggero di corpi che li fa sussultare entrambi, mentre un brivido caldo le cola addosso.
“Sono un aspirante scrittore” ribatte dunque Zayn, sfregandosi i polpastrelli sulla barba non rasata “Essere un bugiardo è pressappoco un mio dovere”.
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Zayn/fem!Niall; accenni Louis/Harry e altri pairing; het e accenni slash, tematiche delicate, gender bender.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Niall Horan, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
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Breakdown
 


Just came to say goodbye
I didn't want you to see me crying
I'm fine:
but I know it's a lie





 






Nell Horan ha diciotto anni e tre settimane, pochissimi amici, troppi tatuaggi e dice un sacco di parolacce. La prima volta che la preside della scuola ha pronunciato contro di lei le parole “sanzione disciplinare” si è sentita elettrizzata e ha fatto subito in modo che qualunque altro studente venisse a sapere che era stata sospesa; a partire dalla seconda volta l’evento ha fatto già meno scalpore, e dalla terza in poi Nell ha smesso di pensare che rischiare l’espulsione fosse divertente.
In realtà, sua madre non l’ha mai trovato divertente: le ha sputacchiato addosso insulti mentre cercava di accendersi una sigaretta – tutta impiastricciata dalla saliva, raggrinzita fra le labbra sottili e aride – senza peraltro accorgersi che la figlia aveva nelle orecchie le cuffie aggrovigliate dell’i-pod, ascoltando a tutto volume della musica punk che in realtà detesta. L’unica cosa che a Nell piace della scuola, sono i suoi amici e i momenti in cui si ferma a suonare la chitarra in cortile – un po’ per farsi notare dagli allievi dell’ultimo anno, un po’ perché la fa sentire bene. Harry la prende sempre in giro – dice che sbaglia tutti gli accordi, ma lei sa bene che è una bugia perché il ragazzo di musica non se ne intende affatto – e, non appena glielo fa notare, lui si limita a stringersi addosso a Louis e baciarlo lascivamente sotto il mento, bisbigliandogli cose indecenti sulla pelle accaldata. Nell vuole bene a entrambi, così come vuole bene a Liam; ormai non le dispiace più che fra loro sia finita, anche se le manca baciarlo sulle labbra asciutte e tenerlo stretto a sé mentre lui le accarezza piano la schiena. Ma, forse, la verità è che si sente sola.
 
 
 
 
 
 

Nell odia le lezioni di letteratura: il professore è terribilmente noioso – davvero, non dovrebbero permettere a un rudere del genere di insegnare in una scuola superiore – e non fa altro che cianciare sciocchezze riguardo agli imminenti esami del diploma. E: “Stia più attenta, signorina Horan!” è l’unica cosa che lei riesce a ricordare distintamente dopo esser frettolosamente uscita dalla porta, perdendosi fra centinaia di discorsi che non le interessano. Avrebbe voglia di dirgli che non c’è niente di reale, in tutto questo: a chi importa, se un matto ubriacone nato due secoli prima scriveva deliranti storie su gatti fantasma? Nell avrebbe una gran voglia di dirgli che là fuori c’è il mondo intero, un mondo che sfreccia veloce e che non aspetta mai nessuno, pieno di treni in corsa che si fermano sempre alle stazioni sbagliate. Lei sa solo che vuole imparare una nuova canzone da suonare alla chitarra, che ha voglia di fumare e che forse vorrebbe un piercing al labbro e questo sì, questo sì che è vero. Se lo sente addosso, fra le dita, sotto la pelle chiarissima: brucia, ma la fa sentire viva.
Fruga nelle tasche bucherellate dei jeans, per poi estrarne un foglio di carta spiegazzato e macchiato d’inchiostro blu, sul quale ha scarabocchiato poche parole con la sua pessima grafia goffa e disordinata.
Stupido professore di letteratura, stupida scuola, stupida lei: il denaro che le rimane è appena sufficiente per poter comprare il libro che le è stato assegnato, e non può davvero concedersi l’ennesima insufficienza. Nell pensa che forse potrebbe tornare a casa e sottrarre poche sterline dal portafogli di sua madre ma, al solo pensiero dell’odore di muffa e stantio che regna costantemente nel loro minuscolo appartamento, si ritrova a storcere il naso. Non vuole rivederla. Non vuole annusare i suoi vestiti impregnati di alcol e cibo precotto in ogni fibra, né vuole vederla indossare larghe t-shirt di uomini sconosciuti come se fosse ancora un’adolescente in cerca di avventure. Non sa da quanto tempo sua madre non si presenti a lavoro – anche se, a dire il vero, le buste di plastica gialla sigillate che si ammonticchiano nella cassetta della posta non sembrano essere un buon segno – e, probabilmente, nella sua borsa di cuoio sdrucito non riuscirebbe a trovare delle banconote, ma solo vecchi rossetti consumati, forcine per capelli ormai arrugginite e dei preservativi imboscati sotto il piccolo specchio ovale.
Con un paio di sterline e qualche moina, Nell riesce a comprare qualcosa da mangiare al fast food più vicino, poi si lascia cadere sulle panchine scricchiolanti del parco e si avventa affamata sul suo panino al formaggio, masticando lentamente. Scaccia via gli insetti fastidiosi con una mano e le sfugge uno sbadiglio: non si ricorda più quando sia stata l’ultima volta che ha passato la notte a casa senza sgattaiolare fuori dalla porta sul retro dopo poche ore, ma che importa? Sua madre non lo nota neanche più. Ogni mattina la ritrova sempre al proprio posto, a ridosso del divano cigolante mentre si lascia catturare dallo schermo luminoso del televisore, gli occhi stanchi e le ciglia impiastricciate dal mascara che le è colato fin sugli zigomi. Le chiede se stia bene, lei dice sempre di sì, poi dice anche: “Hai fatto i compiti?” e Nell risponde ogni volta con una nuova bugia; sua madre se ne accorge e tace. Rimane sempre in silenzio.
Durante gli ultimi mesi, l’unica volta in cui l’ha sentita alzare la voce è stata quando ha trovato il test di gravidanza che aveva gettato via nel cestino del bagno. Le aveva dato della puttana – Nell se lo ricorda bene, perché aveva fatto male, un vuoto enorme e divorante al centro del petto – e, quando la figlia le aveva assicurato di non essere rimasta incinta, la donna si era messa a piangere e aveva cominciato a scagliare oggetti. Dopodiché, Nell aveva aggiunto: “Non avrei potuto tollerare un altro peso morto in questa casa” e sua madre l’aveva colpita forte, uno schiaffo in pieno viso con le unghie laccate di rosso acceso. Lei aveva sputato a terra. Aveva detto: “Ti odio” in un tono così serio e sicuro di sé che sua madre aveva cominciato a tremare forte e poi aveva ripreso a singhiozzare, rannicchiandosi su se stessa come un fantoccio di cartapesta. Nell se n’era andata via. Ad occhi asciutti, piangeva anche lei.
 
Ha finito di bere la sua soda e ha gettato la lattina vuota fra l’erba alta – sotto l’occhiata severa di una sconosciuta in tailleur scuro, che se n’è andata via col naso per aria e i tacchi a spillo ad affondare nel terriccio umido. Ora Nell si sta allontanando piano, malferma sulle gambe, lo sfinimento che le scivola addosso passo dopo passo: le lancette dell’orologio che porta al polso si sono fermate già da un pezzo, ha il cellulare scarico sul fondo della sacca e i piedi stanchi infilati nelle scarpe da ginnastica. C’è il sole, e non le è mai piaciuto.
 
 
 
Nell sa che, all’incrocio fra la Kenton e Handel Street, si trova una piccola libreria: lo sa perché Liam le aveva regalato un libro per il suo diciassettesimo compleanno – che lei, naturalmente, non ha mai letto. Si ricorda di aver visto l’indirizzo stampato sul sacchetto di plastica colorata e adesso sta camminando in direzione dei sobborghi senza alcuna voglia di arrivare a destinazione, fumando con indolenza la dodicesima sigaretta della giornata e strofinando via con i polpastrelli una traccia di eye-liner che le è sbavato sulla guancia.
Non appena raggiunge la libreria, varca la soglia con aria schizzinosa e comincia a rovistare timidamente fra gli scaffali, guardandosi intorno di continuo con la sgradevole sensazione di essere osservata. Legge tutte le etichette applicate sulle mensole con il nastro adesivo e, quando scorge Shakespeare - William segnato sul bigliettino verde spento, fa scorrere le dita sul dorso liscio dei libri, picchiettando appena fino a che non trova ciò che stava cercando. Lo sfoglia appena, smozzica poche parole fra le prime pagine che incontra e si dice che le sembra già noioso da morire; non ha voglia di perdere il suo tempo leggendo certe sciocchezze, ma non vuole neppure ricevere l’ennesima F.
Controlla il prezzo sulla retrocopertina, fa una smorfia piegando le labbra rosse all’ingiù e poi prende a frugare fra le edizioni economiche, sino al momento in cui la cifra non le sembra diventare più appropriata per le sue – decisamente modeste – finanze. Si passa una mano tra i capelli biondi che le solleticano le orecchie e le scivolano mollemente fin sulle spalle magre, poi fa un lungo respiro e si avvia verso il bancone di legno pesante che troneggia in fondo al locale, con il libro sottobraccio.
Si ferma solamente dopo pochi passi e, non sa perché, sta sorridendo. Il ragazzo seduto dietro al registratore di cassa sembra non averla udita, poiché continua a leggere con espressione concentrata, una matita rossa e blu fra le dita e gli occhiali scivolati sul naso. Nell pensa che ha qualcosa di bello, qualcosa che le fa venir voglia di ridere di cuore e stringersi le ginocchia al petto mentre guarda il cielo: non sa se siano le ciglia lunghissime che gli accarezzano il viso, o forse quegli occhiali buffi che gli danno un’aria un po’ tenera da intellettuale, o ancora l’espressione corrucciata disegnata sulle labbra carnose, ma le piace. Le piace da morire.
“Scusa, ti disturbo?”
Lui sobbalza, spalanca gli occhi – Nell non sa ancora di che colore siano, ma sono scuri e chiari insieme, cerchi d’oro brunito – e si affretta a chiudere di scatto il volume, la copertina rigida a sbatacchiare contro la superficie del tavolo.
“Nessun problema, devi…?”
Non lo lascia neppure terminare, perché non riesce a distogliere lo sguardo dal modo in cui la sua bocca avvolge dolcemente le parole, e: “Che cosa stavi leggendo?” gli chiede, con un sorriso leggero che non è da lei. Il ragazzo si stringe nelle spalle, la maglia di cotone che gli ricade sul petto.
“Nulla d’interessante” minimizza, palesemente a disagio “Sto solo cercando di passare un esame, anche se in realtà non credo che ci riuscirò”.
“Oh” lei si dondola un po’ sui talloni, poi annuisce “Frequenti l’università?”
“Sì”.
Lui sembra essere piuttosto imbarazzato, ha le labbra strette e non sa più che altro dire, così Nell gli tende una mano – il suo sorriso a farsi più largo e affascinante – e: “Mi chiamo Nell” si presenta, sentendosi un po’ sciocca mentre il cuore le batte forte.
“Uhm” ricambia la stretta e lei trattiene più del dovuto le dita fra le sue, ammiccando impercettibilmente “Sono Zayn” fa una pausa, sfila la mano dalla presa e se la preme nervosamente sulle gambe fasciate dai pantaloni “Suppongo che tu sia qui per, insomma, comprare un libro”.
“Certamente” Nell ride, getta i capelli all’indietro e lascia che sia il suo sorriso ad abbagliarlo – è sempre efficace, ma per buona misura strattona la scollatura ancora un po’ più in giù “Ecco qui”.
Lui si rigira fra le mani il volumetto rilegato, un lampo luminoso negli occhi mentre commenta a voce alta: “Shakespeare? Non li compra quasi più nessuno. O, quantomeno” stavolta le sorride per davvero, con gli occhi stretti e una risata muta “nessuno che non assomigli a un vecchio professore in pensione”.
“Bé, ci sei andato vicino” ridacchia lei civettuola, sporgendosi verso di lui come se fosse sul punto di confessargli un segreto “È stato precisamente un professore a obbligarmi a leggerlo e sì, credo che abbia ormai più di cent’anni, quindi dovrebbe sicuramente essere già in pensione”.
“Non sembri esserne particolarmente entusiasta” butta lì Zayn, digitando i numeri sulla tastiera mentre lo scontrino esce fuori a singhiozzo, scattando a ogni riga.
“No” ribatte “Vado più d’accordo con gli spartiti musicali che non con i romanzi”.
“È un peccato” accarezza le pagine del libro quasi con rammaricato affetto, le lenti degli occhiali che riflettono il neon ronzante sul soffitto “Amleto vale la pena d’esser letto. Dico sul serio”.
“Ti credo” gli assicura subito Nell, strappandogli un’occhiata scettica “Dico sul serio” motteggia poi e, per un istante, lo vede sorridere un’altra volta. Confusamente, pensa che ha un bel sorriso: ride come se non avesse mai smesso di essere un ragazzino.
Schiaccia una banconota sulla scrivania e poi ripone il libro all’interno della borsa gualcita, lo scontrino piegato fra le pagine ancora lisce e profumate, incuneando il volume fra i quaderni di chimica e il documento falso che Louis è riuscito a procurarle poche settimane prima.
“Allora… buona giornata” Zayn si schiarisce la voce, il suo accento marcato da West Yorkshire che rotea attorno alle sillabe e le avvolge in una rete appiccicosa “Spero che il libro ti piaccia”.
“Quando avrò finito di leggerlo, sarai il primo a saperlo” gli promette Nell, con una risata rumorosa che ondeggia fra gli scaffali ricolmi “Sono certa che il tuo esame andrà bene. Ci vediamo presto, Zayn!”
Lui non riesce neppure a darle una risposta, ma semplicemente rimane a guardarla frastornato, come travolto da quell’energia talmente scoppiettante e piena di domande, di errori e di certezze. Quando Nell torna all’aperto, nel pomeriggio stagnante e appesantito dalla primavera già invecchiata, corre. Corre sui marciapiedi e sulle strade asfaltate, corre a perdifiato fino a che non è tanto stanca che inciampa di continuo, la mano su un fianco dolorante e il respiro ghiacciato che le spalanca la gola riarsa. Non ricorda di essersi mai sentita tanto male e tanto bene in vita sua.
E, insieme alle corde tese della chitarra, al filtro bagnato delle sigarette e al piercing al labbro, le sembra che al mondo ci sia finalmente qualcos’altro di reale. Non sa perché, ma improvvisamente le sembra che Zayn sia ancor più reale di tutto il resto.
 
 
 
 
 
 
“Il commesso di una libreria?” Danielle fuma, le offre un tiro e poi getta indietro il capo, la schiena invasa da una pioggia di riccioli lucenti “Mi prendi in giro, Nell?”
Lei solleva gli occhi al cielo e giocherella con l’accendino scarico dell’amica, mentre l’altra si china a ruotare le chiavi e accende il motore dello scooter, per poi tornare a voltarsi verso di lei.
“È carino” sbuffa allora “E intelligente. Studia all’università e conosce Amleto”.
“Pensi che questo sia sufficiente, sunshine?” soffia fuori una risatina sottile e pesta il mozzicone di sigaretta a terra, schiacciandolo con la suola delle scarpe consumate “Scommetto che porta gli occhiali e la camicia abbottonata fino al collo”.
“Non indossa le camicie!” sbotta Nell, irritata e già pentita di aver deciso di parlarne con Danielle “Lascia perdere. Non ha importanza”.
“No, tu dovresti lasciar perdere” le consiglia lei, addolcendosi e dandole una spintarella giocosa, facendola barcollare “Piuttosto, mi avevi promesso che avresti convinto Liam a chiedermi di uscire, finalmente. Perché non l’ha ancora fatto?”
“Gliene parlerò presto” le promette, pensierosa. Coglie il suo sopracciglio inarcato e: “Giuro che stasera gliene parlerò”.
“Non sei più innamorata di lui, non è vero?” Danielle arriccia le labbra, poi calcia via il cavalletto della motocicletta e: “Ah, dimenticavo, tu hai una cotta per un libraio squattrinato che passa la sua vita col naso immerso fra i libri. Se sei tanto decisa ad andarci a letto, almeno stavolta ricordati di prendere precauzioni”.
Nell la odia un po’ mentre la vede allontanarsi sullo scooter fuori dai cancelli della scuola, dicendosi ostinatamente che non si merita affatto che la aiuti con Liam, anche se sa che lo farà comunque – perché, in fondo, forse le vuole bene. E poi Danielle vende la migliore erba di tutto l’istituto, ed è certa che – se riuscirà a far sì che Payne che le chieda un appuntamento – la settimana dopo potrà ottenere uno sconto.
Si allontana con le mani affondate nelle tasche, i capelli legati sulla nuca e il lucidalabbra rosa che sa di fragola: Amleto è ancora sigillato nella sua sacca. Non ne ha letta neppure una parola, anche se dal manuale manca già la prima pagina, perché Harry l’ha strappata via e ha tentato di usarla per farsi uno spinello. Comunque, a giudicare dalle risatine incontrollabili che provenivano da parte di Louis, l’esperimento non dev’essere andato a buon fine.
 
 
 

Nell si sta nascondendo fra gli scaffali da ormai dieci minuti – li ha contati sulla pendola d’ottone che, irritante, ticchetta alla parete – e comincia a sentirsi ridicola, mentre si finge interessata ai saggi di storia naturale sotto gli sguardi curiosi e perplessi di alcuni avventori.
Zayn saluta educatamente quella che dev’essere l’ultima cliente di quella giornata, poi comincia ad armeggiare col proprio cellulare – un modello così vecchio che Nell deve costringersi a trattenere una risata – e lo incastra fra la spalla e l’orecchio, gli occhi persi sul tetto debolmente illuminato.
“Mi avevi chiamato?” lo sente dire, in un tono sconfitto che la rattrista “Stavo lavorando, Perrie, non puoi pretendere che io… d’accordo” sospira, si passa una mano sul viso e sembra incredibilmente stanco “Stasera non posso, aiuto Danny a studiare per i suoi esami. No che non ti sto evitando!” la sua voce barcolla e lui batte un pugno sul bancone, per poi respirare a fondo tentando di calmarsi “Ascoltami, cerco solo di dirti che…”
Nell non ne può più di continuare a starlo a sentire in silenzio: non sa chi sia Perrie – e una parte di lei non ha alcuna voglia di saperlo – ma è chiaro che parlare con lei mette a dura prova i nervi di Zayn, e detesta vederlo così nervoso. Sbuca fuori dalla fila di mensole e comincia a camminare verso di lui con estrema disinvoltura, vedendolo spalancare gli occhi sorpreso e guardarsi velocemente intorno, mentre lei si accovaccia sul bordo del tavolo e gli lancia un sorriso carico di sottintesi.
Zayn scatta in piedi come se gli avesse appena dato la scossa, tossicchia e balbetta: “Perrie, c’è un altro cliente in negozio, ti richiamo dopo” per poi chiudere bruscamente la telefonata e rivolgere a Nell un’occhiata di rimprovero, le sopracciglia aggrottate che gli scavano un solco profondo sulla fronte.
“Ciao” lo saluta lei, battendo le ciglia dorate e schiudendo le labbra “Hai l’aria stanca”.
Lui fa un gesto frettoloso e noncurante, come se non avesse voglia di parlarne, poi: “Hai bisogno d’aiuto per un nuovo acquisto, Nell?” le domanda, il tono gelido ma sempre cortese.
“Dovremmo bere qualcosa” prosegue la ragazza, ignorando quell’interruzione “Credo che sia già troppo tardi per offrirti un caffè, quindi che ne diresti di una birra?”
“Devo lavorare” borbotta lui, contrariato “ancora per venti minuti. E poi, lo sai bene, devo studiare insieme ad un amico. O vuoi continuare a fingere di non aver origliato la mia conversazione?”
Zayn sembra esser davvero di cattivo umore e, offesa, Nell arriccia il naso e gli lancia uno sguardo risentito, che però pare non sortire alcun effetto.
“Non ho origliato nulla” si difende, poco convinta “Ero nei paraggi e ho pensato di fare un salto per vedere come stavi e per… comprare qualche libro”.
“Comprare qualche libro?” ripete lui, non sa se divertito o irritato.
“Com’è andato il tuo esame?” cambia discorso la bionda, rigirandosi un anello di metallo ossidato fra le dita ed evitando di guardarlo in faccia.
“Male” la risposta di Zayn è secca e infastidita e, dispiaciuta, lei si pente all’istante di avergli rivolto quella domanda “Ascolta, ho avuto una giornata veramente pessima: non vorrei sembrarti sgarbato, ma preferirei che tu…”
“Ecco perché sono qui” lo frena lei, stampandosi sul viso un sorriso luminoso che lo lascia per un attimo senza parole “Per tirarti su di morale, no?” smozzica le parole in tutta fretta, incollandole insieme senza cura in una continua ricerca.
Si sistema meglio sulla scrivania, lasciando le gambe a penzolare giù e facendo sì che la gonna le scopra le cosce snelle, mentre Zayn la ammonisce con gli occhi e le fa segno di ricomporsi. Lei, con un mugugno esasperato, non può far altro che dargli ascolto.
“E, comunque sia” commenta lui, sedendosi al suo fianco con un’aria di quieta rassegnazione “non è mai troppo tardi per una tazza di caffè”.
“Ho per caso a che fare con un caffeinomane?” sogghigna Nell divertita, dandogli una gomitata nel fianco e strappandogli una smorfia “Adesso comincerai a straparlare e a fare gesti convulsi? Avrai un crollo di nervi da un momento all’altro?”
“Lo trovi tanto spassoso?” sbuffa lui, incrociando le braccia sul petto come se stesse tentando di ridurre al massimo i contatti fra loro.
“Sai che c’è, invece?” prosegue, strizzando gli occhi azzurri e piegando il capo su una spalla, lasciando che una ciocca dei suoi capelli sfiori il viso di Zayn “Muoio di fame. Letteralmente. Sarà che ho dimenticato di pranzare”.
“Non si può dimenticare un pasto” obietta lui, confuso.
“Okay, l’altra spiegazione possibile è che avevo finito i soldi” confessa Nell, ridendo e sfregandosi i palmi contro lo stomaco. Per un attimo teme che lui le proponga di mangiare qualcosa insieme per cena – non vuole vedere la compassione nei suoi occhi, non vuole che quell’ambra luccicante si sciolga in una pietà da palcoscenico – ma Zayn la sorprende ancora una volta, gli occhi che brillano.
“Non sei l’unica a dover saltare il pranzo perché è al verde” la rincuora, rilassandosi appena e studiandola in un modo che minaccia di farla arrossire.
“Oggi non porti gli occhiali” gli fa notare Nell, chiedendosi come possa riuscire a sostenere quello sguardo che la fa sentire come in alto mare – senza aver alcuna idea di come si faccia a nuotare “Erano sexy”.
Lui soffoca una risatina, le guance che si colorano di rosa, e punta risolutamente lo sguardo sulle piastrelle lucenti incastonate nel pavimento della libreria.
“Bugiarda” la accusa “so che mi fanno sembrare stupido”.
“È la verità” ribadisce lei con convinzione “Io li trovo carini”.
Zayn osserva le sue gambe che ondeggiano giù nel vuoto, le mani piccole e pallide aggrappate alla sponda robusta del tavolo, i capelli in disordine – biondi sulle punte e più scuri attorno alle orecchie. Poi, pensa che non ha mai visto degli occhi come i suoi.
“Ti va una sigaretta?”
La voce di Nell interrompe quei pensieri irrazionali e, disinteressata, la ragazza sta già cercando nelle tasche della sua borsa colorata quando lui la ferma con un gesto, le dita avvolte attorno ai suoi polsi sottili. Lei sente un brivido correrle piano lungo la schiena, annidarsi fra le ossa e ripercuotersi migliaia di volte nella sua testa, mandando in tilt tutte le sinapsi e spezzando in due ogni apparente coerenza.
“Le regole” farfuglia Zayn, ritraendosi immediatamente “Non si può fumare, qui dentro. Se così non fosse, probabilmente i miei nervi sarebbero molto meno tesi e la mia dipendenza notevolmente peggiorata”.
“D’accordo” alza gli occhi verso il soffitto, spazientita “Ho un’idea migliore per impedirti di tenere il muso”.
“Io non…” rinuncia a contraddirla e, passandosi una mano sul volto, le rivolge un cenno col capo “Avanti, di che parli?”
Nell sorride soddisfatta poi, per un solo istante, esita. C’è qualcosa di immenso che le arde dentro, che le fa tremare convulsamente le dita mentre prende fiato, le serra il respiro e lo riduce a schegge affaticate che graffiano a sangue le corde vocali. E lo sa, che Zayn aspetta una risposta; le sembra che davanti a lei ci sia ogni cosa, che ci sia sua madre – esattamente com’era una volta, la treccia color del pane che le ricadeva ordinatamente sulla schiena e le giacche sempre ben stirate che odoravano di bucato. Le sembra che ci siano Harry e Louis abbracciati strettissimi sul sofà scolorito, la testa sulla spalla dell’altro, le bocche vicine, addormentati e immobili nella calma notturna; c’è Danielle che le vende erba a basso costo nel cortile della scuola e c’è Liam che la bacia sulla porta di casa la sera del loro primo appuntamento, a fior di labbra, come se avesse paura di mandarla in pezzi.
Alza gli occhi e c’è Zayn, c’è solo Zayn e ha paura, ha paura e non sa che fare.
“Vuoi uscire con me?”
Nell spera e in quella speranza c’è tutta una vita, c’è suo padre che è avviluppato in un lenzuolo di ombre e non torna più indietro, ci sono i pessimi voti a scuola e le ore passate in punizione col professore di francese, c’è l’assistente sociale che la guarda tanto a lungo che le fa venir voglia di scoppiare a piangere.
“Mi dispiace, Nell” quasi non lo sente, Zayn. Danielle ha ragione, sta solamente perdendo il suo tempo, sta solamente annegando e va giù giù giù e non sa risalire. “Non posso. Mi dispiace”.
Quella voce si perde in un vortice. I suoi passi sono vuoti fino alla porta, la sua pelle è spenta mentre lui cerca di fermarla e di darle una spiegazione – ma non la vuole, quella spiegazione, adesso non la vuole più. E non sa perché, Nell non sa nulla se non che sta galleggiando su una marea d’acqua gonfia e livida di ricordi, ruotando su se stessa fino ad avere la nausea, fino a che il mondo intero non diventa una massa indistinta di colori crudi che le brucia dentro come fame e delusione. Qualcosa che divampa corrosivo come dolore su legna bagnata di pioggia e su visi inzuppati di lacrime.
Vuole andare a casa.
 
Zayn non cerca neppure di fermarla: teme di aver fatto qualcosa di irreparabilmente sbagliato. L’ha vista fuggire via come fa una preda in trappola, l’ha vista respingerlo come un cacciatore accecato dalla sete, facendo schiantare la porta contro l’uscio sino a far tremare i vetri.
Sospira sconfitto, poi inforca gli occhiali e incastra le ciglia nere e fitte fra loro; ripensa a quella volta in cui Perrie l’ha trovato nel suo appartamento in affitto, come sempre chino sui libri, gli occhiali sul naso e la mente così lontana da esser divenuta invisibile. Lei aveva modulato una risata di cristallo fragile e l’aveva lasciata ad arricciarsi deliziosamente a mezz’aria, poi gli aveva sfilato gli occhiali chiudendoli nel pugno, agitandolo e continuando a ridere. Gli aveva assicurato che sarebbe subito andata a procurarsi per lui delle lenti a contatto – ma ti prego, Zayn, non farti più vedere con questo ridicolo aggeggio addosso!
Ripensa a Nell, ai suoi occhi aperti e al suo profumo che sa di legno e di musica. Di colpo, vorrebbe aver detto di sì.
 
 
 
È notte e Rosie Horan non è in casa. Nell si sente ancora più sola mentre gira il chiavistello nella serratura e scalcia le scarpe vicino all’appendiabiti, per poi sfilarsi la giacca e abbandonarla sul pavimento sporco. Si trascina a piedi scalzi fino in cucina, guardandosi intorno scoraggiata fra le persiane abbassate e la televisione sempre accesa, lasciando impronte lucide sulle mattonelle: sua madre ha abbandonato un pacco di pasta ammaccato sul ripiano, ma lei è troppo stanca per fare qualunque cosa. Sospira fra sé e sé, si stropiccia gli occhi e pensa che i suoi capelli sanno di erba e che ha ancora la sensazione ruvida della pasticca sul palato inaridito, come se vi fosse rimasta incollata; a dire il vero, le gira la testa.
Nell incespica su per le scale lungo la moquette spelacchiata, fino a che non raggiunge la porta della sua camera e si lascia cadere a peso morto sul materasso, le molle che cigolano sotto il suo peso. Ha gli occhi spalancati e fissi verso l’alto.
In fondo alle tasche, il cellulare squilla incessantemente: sa già che deve trattarsi di Liam che le chiede preoccupato perché sia sparita in quel modo dal pub, perciò si limita a girarsi su un fianco e a schiacciare il viso contro il cuscino bitorzoluto, gli orecchini appuntiti che le premono contro il collo bianco e pungono la pelle con insistenza. Il telefono continua a trillare, ma Nell non risponde.
 
 
 
 
 
 

Nell si è chiusa fra i cubicoli dei bagni delle ragazze ormai da diverso tempo – i suoi amici devono essere a mensa, forse senza neppure essersi accorti della sua assenza – la nuca che sfrega contro le mura lerce, gli anfibi premuti sulla porta e il corpo così leggero che le sembra di non esistere. Le manca l’inverno. Il sole si affaccia sempre più di frequente oltre i profili desolati della città, illuminando ipocrita i tetti delle case e le balconate diroccate dei palazzi in periferia, rotolando sconnesso per le strade senza fermarsi ai semafori.
Si strofina il naso gocciolante e ingoia a forza un nodo di rabbia e frustrazione, le mani serrate attorno alla copertina del libro, stropicciando le pagine sin quasi a stracciarle fra le dita ghiacciate. Maledice a voce alta il professore di letteratura e i suoi dannati test a sorpresa; si è sentita terribilmente piccola quando lui l’ha richiamata sotto gli occhi di tutti – “Se il suo andamento continuerà a rimanere lo stesso, signorina Horan, non si aspetti che io le lasci prendere il diploma” – e ora ha la carne oppressa da un odio sordo che non sa come mandar via. Ha di nuovo litigato con sua madre: quel mattino, rientrando al sorgere del sole e sperando dentro di sé di ricevere da parte sua un rimprovero, l’ha trovata a far colazione insieme a un uomo che non aveva mai visto prima. Nell ha provato subito un senso istintivo di nausea, perché la donna era seminuda e lui la stringeva in un modo che le fa tuttora contorcere le viscere, con un disgustoso senso di possesso mentre le serrava la vita scoperta. Aveva visto quell’uomo bere dalla piccola tazzina verde e azzurra – quella con i fiocchi di neve sul manico, dipinti sulla ceramica levigata – e avrebbe voluto mettersi a urlare, ma era solo stata a sentire quella voce strascicata biascicare: “Non sapevo che avessi una figlia, babe” risata roca, cenere sparsa sul tavolo e sul fondo della tazzina luccicante “Anche lei ci sa fare come te?”
Nell non aveva detto una parola ed era andata di sopra: aveva le lacrime agli occhi mentre indossava il vecchio maglione azzurro di lana grezza, recuperava la bustina trasparente dal cassetto della scrivania e scendeva di corsa giù per le scale, la borsa a pesarle sulle spalle e le chiavi di casa allacciate alla cintura. Aveva sentito sua madre chiamare il suo nome in uno squittio, pregarla di tornare indietro – e aveva anche sentito quell’uomo ridere ancora una volta di loro, soffiar fuori una boccata di fumo e sputare volgarità di catrame e zucchero bruciato.
Ora, l’unica cosa a cui riesce a pensare è che non capisce: ha riletto decine di volte il volume che sta tenendo fra le mani con tanta collera, eppure riesce solamente a detestarlo con tutta se stessa. Avrebbe voglia di gettarlo giù nello scarico e tirare lo sciacquone, per vederlo scomparire e così dimenticare tutto; ripensa alla voce di Zayn mentre parlava sottovoce al telefono con quella ragazza sconosciuta e ha un fuoco dentro. Ripensa al suo sorriso da bambino mentre teneva gli occhi immersi nei suoi e può solo chiedersi perché niente vada per il verso giusto.
 
 
 
Non appena Zayn la vede arrivare, la pupilla si stringe su quell’iride densa e liquida nella quale potrebbe annegare, e spinge all’indietro la sedia per andarle incontro. Ha il dispiacere sulle labbra e Nell non ascolta neanche le sue scuse, perché vorrebbe solo immergere le mani nel suo calore e lasciarsi scottare, imprimersi addosso ogni centimetro della sua pelle e tirargli i capelli fra le dita sino a fargli male, soltanto per ringhiargli dentro la propria rabbia.
“Non dire niente” sbotta lei, scacciando infastidita il tocco leggero delle dita del ragazzo che le sfiorano i polsi, scuotendo il capo come a voler scacciare i pensieri “Non c’è bisogno che tu dica niente”.
“Invece sì” la contraddice Zayn, indietreggiando di un passo per sfuggire alle sue ostinate rinunce “Io non volevo… avrei dovuto…”
Nell lo guarda e pensa che neanche lui sa mai qual è la cosa giusta da dire, che ora si trova davanti a lei con le guance rosse e l’aria stravolta perché gli mancano le parole, e sta per dirgli di non preoccuparsi, che non importa, eppure non vuole farlo. Non sa come smettere di pensare a quanto sia bello.
“Il libro che mi hai dato è pessimo” decreta dunque, lo sguardo indurito e una stupita insoddisfazione che si dipinge sul viso di lui “Amleto è patetico. Tutto quel che fa, è lagnarsi continuamente e ricordare a se stesso quanto tragica sia stata la sua vita. Lo detesto: ha in odio qualsiasi cosa”.
Gli occhi di Zayn sono puntati su di lei con un’espressione che non riesce a decifrare, le ciglia nere e lunghe che gli lambiscono gli zigomi alti, una strana luce nello sguardo.
“È molto triste” dice infine, come se soppesasse attentamente ogni parola “Credo che, in verità, Amleto sia terribilmente spaventato – e disgustato da quel che lo circonda. Proprio come ogni uomo in trappola, è terrorizzato”.
“Tu non capisci” biascica Nell con un insolito groppo in gola. Scuote il capo e fa dondolare i capelli biondi e disordinati, poi estrae il libro dalla tracolla – ormai malconcio a furia di esser sfogliato, bistrattato e scarabocchiato – e comincia a cercare freneticamente, le dita che le tremano. “Che si sia giunti a questo – morto appena da due mesi, ma no, non tanto, nemmeno due!” legge, con la voce che minaccia di spegnersi, poi solleva gli occhi su Zayn e se li sente pieni di domande fino a traboccarne “Amleto non ha paura… è solo. Suo padre se n’è andato ed è come se avesse perso anche la madre, fra le braccia di qualcun altro. Come ha potuto farlo, Zayn?” avverte una strana sensazione umida negli occhi, sulle guance, fra le dita che si passa nervosamente sul viso “Come ha potuto?”
Lui è rimasto impassibile, poi solleva lentamente una mano – magra, affusolata: Nell pensa confusamente che, se dovesse immaginare le mani di un artista, sarebbero esattamente come le sue – e la posa lievemente sul suo volto. Lei non riesce ad accettare l’idea che siano le sue lacrime a bagnargli i palmi.
Entro un mese” bisbiglia, recitando a memoria con lo sguardo fisso nel suo, lontano dalle pagine fittamente scritte sulle quali lei ha scribacchiato annotazioni su annotazioni “prima che il sale di falsissime lacrime avesse cessato di bruciarle gli occhi, lei si sposò. Oh, rapidità vergognosa! Recita così, non è vero Nell?”
Lei riesce solamente ad annuire – e ora non le importa di stare piangendo, perché sente qualcosa di tremendamente doloroso bruciarle al centro del petto, soffocandole le vie respiratorie e salendo su pian piano. È come una rete avvolta attorno al suo collo, un cappio che la fa dondolare giù dalle travi, pece negli occhi e sotto i piedi.
“Perché l’ha fatto?” balbetta, le palpebre serrate mentre vede tutto grigio “Non è giusto, non c’è niente di giusto in questo. È tutta colpa di questo stupido libro!” le spalanca, lotta contro le carezze accorate di Zayn e lo scaccia, il romanzo fra le mani che viene scaraventato lontano, a scivolare sulla scrivania liscia e poi giù a terra, sul pavimento di rivestimenti chiazzati “Tutta colpa di Mr. Griffiths. Tutta colpa tua”.
Se potesse, Nell lo colpirebbe con forza, gli darebbe tanti piccoli pugni furiosi sul petto per sfogare la rabbia che ha dentro – ma non lo sa più, con chi è tanto arrabbiata.
“Tu sai che cosa significa” afferma lentamente Zayn come se nulla potesse scalfirlo, nemmeno la sua aria affannata e di disperazione “Sai cosa significa essere da soli e senza speranza. L’ho capito sin dalla prima volta che hai attraversato quella porta”.
“Da che cosa l’hai capito?” sibila Nell, e forse la sua è una sfida – ma vuole sapere.
“Dal modo in cui incroci le braccia” dice semplicemente lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo “e da come indossi la gonna. Ti rannicchi su te stessa come se stessi gelando, incassi la testa fra le spalle come chi s’aspetta di venir colto sul fatto e poi cominci a tormentarti i capelli”.
“Sei un osservatore attento” commenta sottovoce la ragazza, sentendosi improvvisamente vulnerabile di fronte a quella che le sembra di colpo una realtà vergognosa “Hai mai pensato di diventare uno scrittore?”
Zayn sorride in quel modo che lei adora, con i denti bianchissimi che luccicano, le rughe d’espressione e gli occhi che si fanno piccoli in una risata silenziosa.
“Ci sto già provando”.
Allora, Nell fa un cenno col capo e pensa che forse quel sorriso è più importante, più di Amleto e di suo padre sottoterra e di sua madre che passa la notte fra lenzuola sconosciute – ma il padre di chi, ma la madre di chi?
“Non porti gli occhiali neppure stavolta” mormora, il capo abbandonato su una spalla e un sospiro stanco che le percorre tutto il corpo “peccato. Hai sprecato una potente arma di seduzione”.
Lui ridacchia e le strizza l’occhio – un gesto all’apparenza insignificante, ma che la fa scuotere da un brivido lungo la schiena – poi si volta e fa scendere le tapparelle, ignorando l’orologio sul muro che segna un orario che va ben oltre quello di chiusura della libreria.
“Non avrai dei guai, per questo?” domanda timorosamente Nell, osservandolo chiudere a chiave le teche di vetro e riordinare un fascio di carte, per poi riporlo all’interno di uno di quei volumi interminabili sui quali lo vede sempre trascorrere i pomeriggi.
“Non preoccuparti” minimizza lui, anche se non sa se credergli “Al mio capo piaccio abbastanza perché mi conceda uno strappo alla regola”.
“È una donna?” lo stuzzica lei, provocandogli una nuova risata – stavolta imbarazzata e lusingata insieme – che lo fa arrossire per l’ennesima volta.
“No” commenta chiaramente divertito, rassettando una pila di libri dalla copertina nuova di zecca, in un’atmosfera di familiarità che la fa sentire a casa “Ma nessuno può resistere al mio fascino”.
Stavolta è Nell a ridere ma, non appena si accorge che Zayn la sta scrutando di sottecchi con un sorriso leggero e dolce sulle labbra piene, si affretta subito a tacere mentre lui distoglie lo sguardo, inaspettatamente a disagio.
“Mi dispiace” il suo tono basso e sincero la fa sobbalzare, e fa quasi per fermarlo “per quel che è successo l’ultima volta che ci siamo visti”.
“Non voglio parlarne” lo frena lei “E poi hai una ragazza, no? Non vorrei di certo intromettermi fra di voi”.
Zayn capta il suo tono sarcastico e: “Non voglio parlarne” la scimmiotta, ricevendo in cambio una linguaccia – a dire il vero piuttosto buffa, date le gote ancora umide e le ciglia bagnate dal pianto.
“Come vuoi” sbuffa Nell, mettendo il broncio.
Intanto, lui si allontana di qualche passo e si china fin sotto il tavolo, per poi riemergere con un ciuffo di capelli a ciondolargli sulla fronte e un libro impolverato fra le mani – la sfortunata copia di Amleto che lei ha rabbiosamente lanciato via.
“Lo rivuoi indietro?” le chiede, con falsa indifferenza.
“Non credo mi sarebbe granché utile” sospira Nell, anche se lo sta già accettando e conservando fra gli scomparti della borsa “Non riuscirei mai a capirlo. L’ultimo test di letteratura è stato un disastro”.
Zayn sembra pensarci un po’ su, poi allarga le braccia con noncuranza e si gratta l’accenno di barba scura sul mento, gli occhi bassi mentre la maglia troppo abbondante forma delle pieghe sulle sue spalle sottili.
“Potrei aiutarti a studiare” propone lentamente, analizzando la sua reazione “Non sarò un esperto, ma di certo ho letto Shakespeare abbastanza spesso da saperne qualcosa”.
“Mi stai chiedendo un appuntamento, Zayn?” ridacchia lei, un entusiasmo caldo che le si acciambella in fondo allo stomaco mentre lui le lancia un’occhiata di biasimo, che però fa solamente accentuare il suo sorriso “Dato che insisti tanto, non posso far altro che acconsentire…”
Lui alza gli occhi al cielo e si concede un sorrisetto divertito, per poi: “Che ne dici di venerdì sera, all’orario di chiusura?” suggerirle, gli occhi rivolti altrove per non esser costretto a sostenere il suo sguardo “Conosco un caffè letterario non molto lontano da qui: potremmo bere qualcosa e poi dedicarci un po’ ad Amleto”.
Nell non riesce più a dire niente: si sente dentro una sensazione troppo grande perché possa anche solo esprimerla, un gomitolo intricato e immenso di emozioni che non riesce a tenere sottochiave, cancellando tutto quel che di nero l’ha sommersa durante le ultime settimane.
“Va bene” balbetta, con la voce che le rimane impigliata in gola e incespica fra le corde vocali tese allo spasmo “Allora siamo d’accordo”.
Zayn annuisce senza smettere di sorridere – e lei vorrebbe che continuasse per sempre – poi raccoglie la giacca pesante dalla spalliera rigida della sedia, imbracciando i libri e facendole cenno di dirigersi insieme a lui verso l’uscita. Nell inspira a fondo l’odore di carta e inchiostro che regna gradevolmente nel locale, infine gli sorride a propria volta sentendosi incredibilmente piena e lo precede nella strada ormai buia, illuminata solamente dal luccichio alto e solitario dei pochi lampioni accesi.
“Ti senti meglio?”
La domanda arriva del tutto inaspettata e, quando si volta a guardare Zayn per cogliere la sua espressione, Nell lo vede chino sulla serratura della porta, la chiave che gira e l’attenzione apparentemente lontana da lei.
“Non lo so. Dovrei?”
Lui si raddrizza il colletto del cappotto – nonostante la primavera sia al culmine, la sera è attraversata dal vento gelido – e volge il capo verso di lei, stringendo gli occhi per la polvere che mulina a mezz’aria e poi infiltrando le mani nelle tasche.
“Mi piacerebbe riuscire a trovare le parole giuste” ammette, l’aria stanca “Spero di rivederti presto”.
Nell non gli risponde, perché vorrebbe dire: “Anch’io” ma non ce la fa, perciò assentisce piano e spera che Zayn capisca; non può fare a meno di guardarlo sotto l’ombra della tettoia, lo stagno di luce elettrica che si riflette sui suoi capelli neri, la giacca scura e le dita infreddolite mentre scuote le ciglia a ogni battito e attende, migliaia di forse sulla punta di quelle labbra che le fanno nascere un vuoto nello stomaco.
“Devo andare” bisbiglia, facendo scorrere una mano fra una ciocca di capelli biondi e lasciandoseli scivolare sul collo. Alza gli occhi e li immerge nei suoi, pensando che non è giusto, che vorrebbe poter dire che per Zayn non c’è nessuna Perrie e che per lei non c’è nessun passato, che niente di ciò che la fa soffrire è mai successo, che tutto andrà bene e non ha necessità di temere. Tuttavia, non riesce a crederci.
Non aspetta neppure che lui possa trovare una risposta – che cosa avrebbe potuto dirle? – perché, con fretta improvvisa, fa scivolare le suole delle scarpe sulla strada sdrucciolevole e gli gira le spalle, cominciando a camminare svelta nella direzione opposta senza neppure sapere dove stia andando. Anche se, in fin dei conti, Nell non lo sa mai.
 
 
 
 
 
 
La radiosveglia sul comò segna quasi mezzanotte, eppure Nell indossa il vecchio pigiama turchese che suo padre le ha regalato tre anni prima, è comodamente distesa sulle coperte e mordicchia con i denti l’estremità già abbondantemente rosicchiata di una matita. Con aria pensierosa, sottolinea un’altra frase sul testo, racchiude una parola in un piccolo cerchio irregolare e la affianca con un punto interrogativo: è sicura che Zayn sarà capace – come ogni volta - di spiegarle quel riferimento.
Ha terminato di leggere Amleto quella mattina stessa, durante il breve intervallo fra la lezione di storia e quella di matematica, ma ha ancora del lavoro da fare per l’imminente test di recupero indetto da Mr. Griffiths. Come sempre sua madre non è in casa, ma non ha più importanza: Nell ha ordinato una pizza al ristorante italiano che si trova in fondo alla strada e, adesso, il cartone vuoto e oleoso giace sul pavimento accanto a una lattina di birra vuota. Lei si gratta la punta del naso e sbuffa, sfinita: non ne può più di passare le giornate sui libri, tuttavia spera che ne varrà la pena; non sa se stia cercando di dimostrare qualcosa al professore di letteratura, a Zayn oppure a se stessa, ma è comunque ben decisa a riuscirci. Interrompendo il corso dei suoi pensieri, il suono del campanello trilla acuto dal piano di sotto e risale le scale rotolando su per i gradini, strappandole un sospiro e una smorfia infastidita. Nonostante ciò, Nell si costringe a gettare le gambe giù dal letto e – i capelli in disordine e i piedi scalzi – scende sulla moquette spelacchiata, fino a che non spalanca la porta d’ingresso senza dire una parola.
Davanti a lei, Liam schiude le labbra in un’espressione di sorpresa, facendo come per dire qualcosa ma poi decidendosi a tacere.
“Che cosa ci fai qui?” chiede lei, respirando a fondo e cercando di non perdere la calma.
Il ragazzo sembra inizialmente in difficoltà – come se il suo atteggiamento l’avesse preso totalmente in contropiede, e probabilmente è proprio così – poi sposta il peso da una gamba all’altra e la sbircia di sghimbescio, incerto.
“Ci hai dato buca per il tuo nuovo ragazzo, non è vero?” Nell si ritrova a boccheggiare per lo stupore, incapace di dire qualcosa – e sì, sta davvero arrossendo “È stata Danielle a dirmelo” prosegue Liam, imbarazzato per essersi lasciato sfuggire quell’informazione così in fretta “Dice che vai a letto con un bibliotecario”.
Lei avrebbe quasi voglia di scoppiare a ridere, se non si sentisse una morsa incandescente al centro della gola – e che vada al diavolo, Danielle: non la vuole neanche più, la sua erba fin troppo costosa.
“Credo che la sua stratosferica cotta per te le abbia dato un po’ alla testa” borbotta, abbassando il viso e scorgendo il volto dell’amico divenire subito color rosa acceso “Non sto uscendo con nessuno”.
La bugia è talmente stentata che non convince neppure quell’ingenuo di Liam ma, chissà perché, lui preferisce non farglielo notare e si limita ad annuire lentamente, come se invece le credesse. Nell sospira e infila le mani nelle tasche profonde e morbide del pigiama, domandandosi perché diamine Danielle si sia sentita in dovere di parlare di Zayn proprio con Liam – ed è ovvio che, a quel punto, anche Harry e Louis ne saranno al corrente. Deve senza dubbio ricordarsi di rammentare a Tomlinson di tenere a freno la sua pessima abitudine di mettere all’angolo in un vicolo buio tutti i ragazzi che crede – sua personale opinione, peraltro – vogliano farla soffrire.
“So perché sei venuto qui, Liam” dice alla fine, sollevando gli occhi su di lui e inchiodandolo sul posto “Vuoi sapere se mi vedo con qualcuno? D’accordo. Ho completamente perso la testa per un ragazzo che non ha neanche una sterlina nel portafogli, porta sempre una decina di tomi interminabili nella ventiquattrore e che sorride come se non avesse mai visto niente di più bello. Per lui non piango, ma sto leggendo un libro terribilmente noioso solamente per vederlo più spesso, e se potessi lo farei altre cento volte. Fa il commesso in una vecchia libreria orribilmente squallida e con le pareti scrostate, e studia qualcosa di incredibilmente barboso e del tutto privo di utilità all’università poco lontano. E probabilmente non sprecherà mai il suo tempo con me ma, sai che c’è?” adesso Nell sta sorridendo e si sente dentro una sicurezza sconcertante, che le dipinge un sorriso sulle labbra e fa impallidire sempre di più il giovane Payne “Non me ne importa mai di nulla, ma di lui m’importa. E questo è già abbastanza”.
Liam rimane in silenzio per minuti che sembrano un’eternità, le labbra bianche e sottili strette in una riga immobile, gli occhi che si fanno piccoli alla luce tremante che fruscia dai lampioni.
“Angolo fra la Kenton e Handel Street” è tutto quello che mormora “Capelli scuri, pantaloni da bravo ragazzo stirati male e occhiali” coglie lo sguardo profondamente stupito della bionda e, piegando un po’ la testa sulla spalla, esala una risatina “È stato lui a consigliarmi il romanzo che ti ho comprato per il tuo diciassettesimo compleanno: d’altronde, io non ne ho mai capito nulla di libri. Chissà” il suo sorriso diventa astuto, malizioso, consapevole “forse, ora che lo sai, ti deciderai finalmente a leggerlo”.
Mentre lo vede allontanarsi verso l’altra sponda del marciapiede, Nell scoppia a ridere: ride sempre più forte con le mani sulla pancia, fino a che non le manca il respiro, fino a che non ha due piccole lacrime agli angoli degli occhi celesti e non è costretta ad appoggiarsi allo stipite della porta ancora aperta. Ha voglia di vedere Zayn. Avrebbe voglia di dirgli tutto.
 
 
 
“Sembra che tu mi sorprenda sempre un attimo prima che io stacchi dal lavoro”.
Nell ridacchia a fior di labbra e, fingendo un’aria colpevole e nascondendo appena il proprio divertimento, s’intrufola all’interno del locale in punta di piedi, passando attraverso l’uscio semichiuso. Zayn è appoggiato al bancone con la camicia arrotolata fino agli avambracci, e lei pensa che vorrebbe chiudergli le dita attorno ai polsi e sentire il sangue che pulsa con violenza nelle vene, il suo cuore che martella ovunque e lo fa tremare.
“Disturbo?” dice semplicemente, accostando la porta e trotterellando verso di lui, che sembra come sempre immune al suo fascino – eppure stavolta ha notevolmente tirato su l’orlo della gonna, ma non sembra che questo riesca a intaccare il suo contegno.
“Mi fa piacere rivederti” ribatte invece Zayn con una naturalezza che la lascia per un istante spiazzata, la bella bocca lucida di rossetto appena aperta e la ghirlanda di ciglia bionde che si dispiega attorno agli occhi spalancati.
“Oh” di fronte alla sua espressione sbalordita, lui ride silenziosamente “Grazie. Voglio dire…” cerca qualcosa di appropriato da dire, ma si sente d’improvviso la mente interamente vuota “Ho finito di leggere Amleto”.
Nell non riesce più a pensare a nient’altro, quando vede il suo viso illuminarsi come il giorno che sorge sull’inverno e le sue labbra curvarsi – e non ce la fa quasi più, perché quelle labbra sono una tortura, un pensiero continuo che non accenna ad allontanarsi e che le fa sentire l’insoddisfazione macerarle da qualche parte in fondo allo stomaco in subbuglio.
“Dici davvero?”
Come sempre Zayn non è di molte parole, ma in verità non le importa: vederlo sorridere è comunque sufficiente.
“Naturalmente” si vanta Nell, orgogliosa “E sono pronta ad affrontare tutti gli intricati quesiti che il mio vendicativo professore sarà capace di propinarmi”.
“Sono felice di sentirti tanto battagliera” sogghigna lui, con una punta di sarcasmo che non le sfugge “E dunque? Sei riuscita a capire il principe di Danimarca?”
“In parte” fa una pausa, la fronte corrugata “Lascia addosso un grande senso di perdita” si interrompe per la seconda volta, poi scrolla le spalle come a scacciare via un’idea spiacevole e: “Piuttosto, tu sembri essere insolitamente di buonumore. Come va con Perrie, la tua ragazza?”
Zayn fa una smorfia e si irrigidisce, lo sguardo che si conficca nel pavimento e le braccia diritte lungo i fianchi.
“Preferirei evitare l’argomento” dalla sua espressione deve aver intuito che lei è sul punto di insistere, perciò: “Per favore”, la anticipa, con un tono tanto triste e supplichevole che Nell non ha cuore di intestardirsi al riguardo.
“Okay, niente vecchia letteratura né fidanzate ossessive” lo vede arricciare il naso dal disappunto, ma decide di ignorarlo “In fin dei conti, ci sono cose molto più interessanti di cui parlare. Ad esempio” prosegue, annuendo fra sé e sé e vedendo un sorriso che torna piano a rinascere sul suo viso “ho voglia di fare un altro tatuaggio”.
“A patto che vi sia ancora dello spazio disponibile” si prende gioco di lei Zayn, accennando col capo alle sue braccia chiazzate di disegni che si arrampicano su per la curva morbida delle spalle e dietro il collo, nascondendosi fra la stoffa leggera.
Nell gli rivolge una linguaccia dispettosa e: “Non ti trovo affatto simpatico” gli comunica, “E, giusto perché tu lo sappia, la tua evidente ostilità sulla questione non riuscirà a convincermi a desistere”.
“Ma, insomma, ti è permesso farlo?” abbozza una risata imbarazzata, sentendosi incredibilmente inopportuno  “Sei maggiorenne, Nell?”
“Ho diciotto anni, signor so-tutto-io!” sbotta lei, incrociando le braccia risentita “Ho risparmiato a sufficienza per poterlo pagare da sola” non è necessario menzionare come abbia ottenuto quel denaro e, in verità, Nell è convinta che per Zayn sia meglio non venirne a conoscenza “e non ho intenzione di lasciarmi ostacolare da nessuno. Ad onor del vero, speravo nel tuo aiuto”.
Zayn coglie il suo sguardo leggermente deluso e porta avanti i palmi delle mani a mo’ di resa, per poi darsi una scrollata e limitarsi ad annuire, la valigetta scura e gualcita che già gli penzola giù dalle spalle magre e le chiavi del negozio che tintinnano attorno alle sue dita.
“Puoi contarci” afferma con sicurezza, mentre lei gli trotterella alle spalle osservandolo svolgere poche ultime mansioni, per poi cominciare ad allontanarsi fianco a fianco giù per il viale – e non sa neppure dove siano diretti, ma non gliene importa niente.
“Sul serio?” il sorriso di Nell è limpidissimo fra le labbra rosse e i denti luccicanti, mentre si frega le mani per l’aspettativa “E cosa ne diresti, se ti proponessi di recarci lì stasera stessa?”
Zayn si volta a guardarla dubbioso e inarca un sopracciglio salvo poi, non appena scorge la sua espressione risoluta, capitolare in una mezza risata.
“D’accordo, come vuoi” la asseconda, la voce roca che rivela una tenerezza che la fa sentire disorientata “Hai già scelto il disegno?”
“Ovviamente” risponde la ragazza, esasperata e un po’ sdegnosa “Con chi pensi di avere a che fare? Ho per caso l’aria di una che non si rende conto del fatto che un tatuaggio è un segno permanente sulla pelle, e che prima di farne uno bisogna pensarci su con estrema attenzione?” vede lo sguardo di lui scorrere lentamente sul suo corpo, come se andasse in cerca di ogni lembo di pelle lasciato scoperto – e immancabilmente ricamato di centinaia di figure diverse.
“Ti aspetti che dica la verità?” azzarda Zayn titubante, mentre solleva una mano a mezz’aria, le dita che per poco non la sfiorano, come se cercassero di afferrare qualcosa che gli sfugge. Si rende conto solo in ritardo di quel gesto così spontaneo e involontario e, affondando a forza le mani nella giacca e maledicendosi mentalmente per la propria avventatezza, la vede esitare per un istante e poi riprendere il controllo di sé, celando uno sbuffo e scostandosi la frangia bionda via dalla fronte.
“Certo che no” precisa Nell, storcendo il naso e facendolo ridere per l’ennesima volta – e Zayn non ricorda che qualcuno l’abbia mai fatto ridere tanto quanto quell’irresponsabile liceale dai capelli chiari che conosce appena, ma che gli sembra di aver scritta dentro da tutta una vita. E una parte di lui gli dice che Nell Horan è solamente una ragazzina a cui non importa di vecchi scrittori noiosi e dimenticati a cui Zayn si ritrova a dedicare tutto il suo tempo, ma sa anche che c’è di più, un di più che lo spaventa talmente tanto da lasciarlo atterrito. E allora, mentre ha ancora il sorriso sulle labbra, la guarda dritto negli occhi e ci vede dentro il pericolo: Zayn lo sa, che Nell è rischio e imprevedibilità, ma soprattutto sa che in lei c’è qualcosa in avaria, qualcosa d’incrinato che lui non saprebbe come rimettere in sesto.
“Sai dove stiamo andando, non è vero?” chiede Nell dopo alcuni secondi, sollevando lo sguardo su di lui e facendolo smarrire una volta di più.
“Non ne ho idea” ammette finalmente, abbassando il capo e chiedendosi se non abbia per caso perso un po’ di sé, fra quelle mattonelle consumate che formano il selciato grigio e irregolare.
Nell non smette mai di sorridere.
 
 
“Sei sicura di sentirti bene?”                     
Nell sorride e alza gli occhi al cielo, perché Zayn è diventato terribilmente pallido, ha gli occhi spalancati e fissi sull’ago che il tatuatore continua a imprimere contro la sua pelle, e deve averle chiesto almeno un centinaio di volte se sia tutto a posto.
“Abbiamo quasi finito” gli giura, le parole che strisciano un po’ fra i denti per cercare di non lasciar uscire un sibilo di dolore e fastidio “Cerca soltanto di non svenire”.
“Io non…” arrossisce e distoglie lo sguardo, mentre Nell sente il tatuatore ridacchiare benevolo dietro di lei, un attimo prima di fare un passo indietro e rivolgerle un sorriso conciliante.
“Ecco fatto, Nell” le dice, ammirando il proprio operato con espressione soddisfatta. Lei pretende immediatamente di avere uno specchio affinché possa vedere con chiarezza il tatuaggio adesso inciso dietro la spalla e, subito dopo, ha un sorriso a trentadue denti stampato sul volto, un’enorme chiazza arrossata a circondare una fenice pronta a spiccare il volo.
“Fa ancora male?” pigola Zayn dubbioso, facendola scoppiare a ridere nonostante il bruciore che persiste sulla carne. Mente scuotendo il capo, poi si raccoglie i capelli sulla nuca con un vecchio fermaglio di plastica scolorita e si alza in piedi, pensando che anche a lei piacerebbe poter tornare indietro, poter morire e rinascere tante volte dalle proprie ceneri fumanti, anche se non sa ancora come fare.
Pochi minuti dopo sono nuovamente sulla strada, la notte giovane e fredda di Londra che s’infiltra fra i viottoli incastonati tra le minuscole e pericolanti case di periferia, la gente che sussurra perché non osa alzare la voce – eccezion fatta per gli ubriachi, che ridono e schiamazzano un po’ ovunque. Zayn non sembra essere per nulla a proprio agio, mentre si stringe nella casacca e porta la mano a proteggere la borsa, lanciando a Nell diverse occhiate di sbieco e facendo come per portarla più vicino a sé.
“Ti piace?” lui sobbalza e la guarda con aria perplessa, le labbra appena schiuse. Prima che possa dire qualsiasi cosa, la ragazza prosegue: “Il tatuaggio, intendo. Che ne pensi?”
Sembra che lui dimentichi di colpo tutte le proprie preoccupazioni e, una luce accecante proprio al centro degli occhi, dice: “È splendido” rimane in silenzio per alcuni istanti, camminando lentamente nella serata ventosa e immersa in quella penombra bagnata e vischiosa “Lo sono tutti”.
“Sei sempre così bravo a mentire?” lo prende in giro Nell, guadagnandosi da parte sua una spintarella scherzosa – un toccarsi leggero di corpi che li fa sussultare entrambi, mentre un brivido caldo le cola addosso.
“Sono un aspirante scrittore” ribatte dunque, sfregandosi i polpastrelli sulla barba non rasata “Essere un bugiardo è pressappoco un mio dovere”.
“Con quegli occhiali e quelle orribili magliette?” gli fa una linguaccia e scuote il capo con convinzione “Artista andrà pur bene, ma calcolatore non ti si addice affatto”.
“Grazie tante!” Zayn mette il broncio, fingendosi offeso, le loro dita che si sfiorano per sbaglio – o forse di proposito “Non sei per nulla capace di apprezzare il fascino del poeta fuori dal mondo…”
Nell porta indietro la testa e ride, i capelli dorati che le scivolano sul collo in una pioggia di scintille, la punta del suo indice che picchietta appena sul dorso della mano di Zayn mentre finge di non essersene accorta – e di non aver neppure avvertito il suo fremito. Appoggia la schiena contro il muro sporco, la maglia che si appiccica di umidità mentre la notte le scivola sul collo e sulla schiena, un’ondata bluastra e gonfia; porta lo sguardo sul ragazzo fino a che anche lui non si ferma, guardandola senza capire.
“Devo tornare a casa” gli ricorda Nell, non sapendo neppure perché lo stia dicendo.
“Oh” lui pare a disagio, si mordicchia nervosamente il labbro inferiore e: “Hai ragione. Suppongo che tua madre ti starà aspettando”.
A lei viene da ridere senza un reale motivo, mentre: “Qualcosa del genere” borbotta, domandandosi se non sia invece il caso di telefonare a Rosie per sapere dove si sia cacciata, anche se sospetta che la donna sia già troppo ubriaca per riuscire a ragionare, e non è neanche più capace di biasimarla per questo. Vorrebbe riuscire ad essere migliore. Vorrebbe riuscire ad essere migliore di sua madre. Non li vuole più i ragazzi sconosciuti incontrati in discoteca il venerdì sera, né le pasticche di Louis o gli espedienti di Harry sussurrati con le labbra bagnate di saliva, per poi ritrovarsi con cinquanta sterline in più nel portafoglio: va bene, forse vuole ancora i suoi amici un po’ sopra le righe e l’erba di Danielle – che, per quanto se ne lamenti, è senza dubbio la migliore di tutto l’istituto – ma vuole anche rimanere sveglia a leggere libri noiosi per tutta la notte e tenere Zayn per mano senza che nessuno possa dirle di no.
“Alla fine hai accettato” Nell ha gli occhi grandi e densi sotto le luci dei lampioni “Sono riuscita ad ottenere un appuntamento”.
Le sembra che sulle guance di Zayn sia comparsa una sfumatura di rossore, mentre: “Non è un appuntamento” brontola, cercando a tastoni una sigaretta nella tasca dei jeans ed estraendone un pacchetto tutto ammaccato – e per di più vuoto.
“Devo andare a casa” ripete lei senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi, pensando che vorrebbe tirarselo contro e baciarlo fino allo sfinimento, passargli la lingua sulle labbra aperte e fare vagare la bocca sul suo collo mentre avverte i loro corpi schiacciati insieme. Vuole sentirsi andare a fuoco contro la sua pelle, bere caffè amaro dalla stessa tazzina, mangiare biscotti dolci la sera sul divano davanti a un telefilm di cattiva qualità e dimenticarsi di dormire, parlare per ore e fare l’amore ancora più a lungo. E mentre lo pensa Nell si sente malissimo, perché sa anche che tutto ciò non sarà mai possibile. Sa che lei non ci riesce, a svegliarsi al mattino con qualcuno accanto a sé e a fare colazione insieme sul tavolo della cucina, a dirsi amore e a bisbigliare ho comprato i croissant.
“Posso accompagnarti a casa?”
Non ci crede che l’abbia detto per davvero, ma cerca comunque di trattenere un sogghigno di scherno e gli fa semplicemente cenno di no, senza tuttavia riuscire a dire grazie – e perché mai dovrebbe ringraziare Zayn Malik per averle capovolto il mondo intero col suo balbettato “Nessun problema” e i suoi occhi al miele bruciato?
“Promettimi che farai attenzione e che ci rivedremo” mormora lui, passandosi una mano sul viso – le occhiaie di stanchezza e insonnia che formano un solco sotto la corona di ciglia nere – per poi increspare le labbra in un sorriso mesto.
“Io non mantengo le promesse, ragazzo della libreria” fa presente Nell, le palpebre socchiuse mentre lo osserva controluce.
“Potresti fare un’eccezione per me” obietta, il tono traballante come se gli mancasse il coraggio. Poi Zayn si schiarisce la voce e si raddrizza, le mani infreddolite di nuovo in fondo alle tasche e il pacchetto vuoto e accartocciato che ne sbuca fuori per metà, mentre il ragazzo si guarda la punta delle scarpe e poi sposta gli occhi su di lei.
“Farò un tentativo” lo corregge Nell, con una sottile vena di malinconia. Poi, come sempre, non sa più che fare: vorrebbe chiudere gli occhi e rannicchiarsi su se stessa perché non riesce a sopportare di essere così distanti, e allora vorrebbe solamente strattonarlo per l’orlo della t-shirt e premersi addosso a lui, imparare a memoria il suo odore, la scia che le sue ciglia tracciano sugli zigomi alti, il percorso delle vene sottopelle e come si fa a nascondere il viso contro l’incavo della sua gola, la barba che le solletica la fronte. Nell non sa che fare e allora fugge; biascica senza cura una manciata di saluti privi di significato, poi fa un passo avanti, uno verso destra e infine se ne va. Sta tornando a casa, eppure non riesce a fare a meno di sentirsi come se avesse scordato le chiavi.
 
 
 
 
 
 
“Una C più, Liam” Nell continua a sorridere ormai da ore, mentre beve un sorso di Diet Coke dalla lattina e poi torna a posarla sul vassoio “Ho preso C più al test di Mr. Griffiths. Avresti dovuto vedere la sua espressione infuriata mentre mi consegnava il compito: non mi ha neppure rivolto la parola per fare uno dei suoi soliti commenti sarcastici. Sono un genio, è evidente”.
Lui rotea gli occhi al cielo ma le sorride, dando un morso al suo panino per poi abbandonarsi contro lo schienale della sedia, lo sguardo che vaga fra la mensa affollata di studenti e infine torna a posarsi su di lei. Vicino a loro, Harry e Louis stanno battibeccando su chi debba prendere l’ultima metà del dolcetto ai mirtilli, sino a che il più giovane non allunga una mano fino al piatto del suo ragazzo e – troppo svelto perché l’altro possa impedirglielo – si ficca in bocca il biscotto e sorride con tutte le briciole incastrate fra i denti. Louis borbotta una protesta e poi strofina il naso contro il suo collo, ridacchiandogli e dandogli un bacio sotto l’orecchio.
Liam si guarda intorno per l’ennesima volta – con una circospezione che Nell comincia a trovare insopportabile – dopodiché si rivolge nuovamente a lei, senza tuttavia guardarla negli occhi.
“Allora” esordisce, esitante “come vanno le cose con…?”
Non termina neppure la frase, lasciandola in sospeso con una certa teatralità, e lei sbuffa rumorosamente e inghiotte l’ultimo boccone.
“Non lo so” ammette, indecisa se fidarsi di Liam – e chiedendosi anche quanto sia appropriato parlare con lui di Zayn “Ci vediamo piuttosto spesso. Mi aiuta a studiare, beviamo caffè e parliamo di tantissime cose; mi ha anche accompagnato a fare il mio nuovo tatuaggio” il ragazzo inarca un sopracciglio ma non la interrompe, sospettando che ci sia qualcos’altro sotto “Anche se…”
“Anche se?” incalza Liam, spazientito.
Improvvisamente, Nell si rende conto che anche Harry e Louis li stanno ascoltando in silenzio, gli occhi attenti e fissi su di loro.
“Credo che abbia una…” si schiarisce la voce, dandosi della stupida perché non riesce neppure a dirlo. “Ecco, sono ragionevolmente certa che lui abbia una…”
E, nello stesso momento in cui Liam azzarda uno smarrito: “Malattia infettiva?”, Nell sente Louis lasciarsi andare a una risatina consapevole e precederli: “Ha una ragazza, naturalmente. Tipico”.
“Che cosa?” sbotta Payne, spalancando gli occhi e lasciando andare il sandwich sul piatto, mentre la bionda si sente avvampare per l’imbarazzo – e lui sembra non decidersi a smettere di guardarla come se avesse a che fare con una pessima persona.
“Danielle vuole uscire con te” è tutto quel che riesce a dire, tentando di tirarsi fuori da quella situazione – e riesce per un attimo a disorientarlo, anche se è un breve sollievo.
“Non è questo il punto” biascica Liam, sebbene lei abbia notato il sorriso che accenna a fargli capolino sulle labbra.
“Possiamo evitare di parlarne?” esclama infine Nell, piccata e con il tono più aspro di quanto non avesse premeditato “Non mi va di pensarci”.
Cerca di concentrarsi su qualcos’altro, continuando a sorseggiare la sua Diet Coke e rimuginando fra sé, mentre si sente gli sguardi insistenti dei suoi amici ancora puntati addosso. Porta pensierosamente le nocche a sfregare la fenice sulla spalla, che fa ancora un po’ male sotto il suo tocco distratto e arrabbiato, poi fa roteare il liquido sul fondo della lattina e fissa gli occhi sul tavolo di plastica sporco di salsa messicana. Ripensa alla sconfitta rabbiosa disegnata sul viso di Mr. Griffiths mentre le riconsegnava il suo quiz più che sufficiente e allora torna a sorridere, perché per la prima volta non si è sentita richiamare con un nasale e fastidioso: “Signorina Horan!” e con le minacce di non riuscire a diplomarsi entro la fine dell’anno. Sembra che stavolta – anche se con notevole ritardo – persino Louis si sia deciso a darsi da fare per finire il liceo, e Nell sospetta che il merito sia anche di Harry, che al contrario di tutti loro non ha mai rischiato di ripetere l’anno scolastico. Adesso la sua mente è piena di migliaia di cose diverse, ma non riesce a fare a meno di sentirsi soddisfatta di se stessa per il risultato che ha raggiunto: chissà, forse stavolta anche lei riuscirà ad ottenere il suo diploma.
Dimenticandosi di Perrie e dello sguardo sfinito di Zayn mentre tentava di darle spiegazioni, le labbra quasi a sfiorare la tastiera del cellulare, Nell si stringe nelle spalle e – facendo strisciare la sedia sul pavimento con un lungo suono stridulo – mostra a Louis il pacchetto di sigarette che tiene in tasca e: “Usciamo a fumare?”
 
                                      
 
Quando Nell torna a casa è quasi sera: dopo la scuola, lei e Harry sono andati a bighellonare per ore fra le vie più affollate del centro e le stazioni di metropolitana impolverate, e il peso dei libri inizia a farle dolere la schiena. È come sempre certa che l’appartamento sia deserto perciò, non appena ruota la chiave nella serratura della porta d’ingresso, si stupisce che non vi sia l’uscio sbarrato, come succede ogni volta che sua madre non è in casa.
Non ha neppure il tempo di agganciare la giacca corta all’appendiabiti, perché sente dei passi scendere frettolosamente le scale, i tacchi squadrati e marroni di Rosie Horan che martellano con durezza contro ogni gradino instabile producendo un disarmonico sentiero di scricchiolii. Nell non riesce a capire che cosa stia accadendo, ma può solamente vedere il viso paonazzo di sua madre e i suoi occhi spalancati, iniettati di sangue, mentre si morde le labbra per la rabbia e le sventola davanti qualcosa che regge fra le mani ossute. Non appena si rende conto di che cosa si tratta, lei si sente venir meno.
“Qual è la tua spiegazione, Nell?” le ringhia contro Rosie, pestando un’altra volta il piede a terra, i capelli che le ricadono stopposi sul collo “Qualcuno sta cercando di incastrarti? Vuoi dirmi che questa robaccia non è tua?”
“Hai frugato fra le mie cose?” rincara la figlia, sollevando il capo con spavalderia e cercando di coglierla impreparata.
“A ragione, a quanto pare” la donna scuote il capo e indietreggia appena, facendo una smorfia disgustata che stona sul suo viso provato “Sono mesi che vai in giro conciata come una poco di buono dei bassifondi, che non rientri mai la notte, che ottieni pessimi risultati a scuola e non mi guardi neanche più in faccia, neppure quando mi incontri in cucina o sul pianerottolo. E io te lo lascio fare, Nell. Te lo lascio fare!” la sua voce si alza di parecchie ottave, diventando sempre più stridula e sgradita “Non mentirmi, so che tutto ciò è a causa di tuo padre”.
“Hai il coraggio di accusarlo persino adesso?” sibila Nell di rimando, avanzando e prendendo terreno, l’aria ostentatamente aggressiva “Fortunatamente, da sottoterra non può più sentire le tue lamentele. Non guardarmi così, mamma: non quando puzzi continuamente di alcool e ogni mattina c’è un uomo diverso nel tuo letto”.
“Non ti permetterò di parlarmi in questo modo!” Rosie tira penosamente su col naso, le labbra che già tremano “Ho trovato della droga in camera tua, cosa pensi che dovrei fare? Incoraggiarti a sballarti dalla mattina alla sera?”
“Non è droga” riesce unicamente a mormorare Nell, gli occhi che saettano fino alla piccola busta che sua madre tiene con disprezzo fra le mani.
“No?” esala una mezza risata, secca e disillusa “E che altro, allora? Pastiglie per la gola?”
Nell non riesce a darle una risposta, perché ha un groppo in gola; le sembra che le manchi il respiro, il mondo che si chiude come un vortice addosso a lei, le pareti che si restringono fino a diventare strettissime, soffocandola in una morsa a cui non sa sfuggire. Vorrebbe urlare.
“Vuoi che ti permetta di rovinarti la vita, Nell?” Rosie irrigidisce la mascella e stringe gli occhi, un azzurro divenuto lattiginoso col passare degli anni “Vuoi che ti ritrovino su una panchina del parco con una siringa conficcata nel braccio? E non tentare di negare! Ne ho abbastanza dei funerali, delle gonne lunghe e nere e dei mazzi di fiori sulla bara”.
“Già, forse hai ragione” Nell sente che ha le lacrime sull’orlo delle ciglia, ma non sa come scacciare quella mano che le artiglia la gola, che le accartoccia le vie respiratorie in un vecchio foglio di carta bruciata “Forse avrei dovuto esserci io al suo posto, non è così? Dimmi che andrà tutto bene e io getterò via quelle pasticche, mamma. Dimmi che tornerai al lavoro, che smetterai di bere e che nessuno prenderà più il caffè dalla tazza di papà; dimmi che non daresti qualunque cosa pur di avere lui con te, invece che me. Dillo, e io non me ne andrò”.
Rimane a guardarla per un tempo che sembra essere eterno, mentre la donna alza lentamente verso di lei il volto rigato di lacrime, gli occhi arrossati e le braccia strette attorno al corpo gracile e tremolante.
“Nell…”
Lei la guarda e le viene da imprecarle contro, perché è ingiusto e sua madre la sta guardando per chiederle scusa, poiché forse quello che ha detto è vero – e teme che, se potesse riavere indietro suo marito, Rosie Horan non esiterebbe un istante a lasciare andare quella figlia che inciampa di continuo fra le mura, che tenta di spiegare le ali e porta con sé distruzione, in trappola in una gabbia pericolante di ricordi troppo dolorosi.
Nell soffia un singhiozzo fra le labbra e, con uno strattone, le strappa di mano la busta colma di pasticche bianche e la infila all’interno della propria borsa, continuando a guardare sua madre con sfida anche se si sente prosciugata, perché non riesce più a respirare e le sembra di trattenere il pianto da tutta una vita.
Sente: “Per favore” e: “Aspetta” mentre incespica all’indietro, recupera le chiavi dalla mensola sporca e apre la porta con sin troppa violenza, uno stridio prolungato e insopportabile che le crivella le tempie, i suoi passi che vanno da sé e corrono corrono corrono. È come se sua madre continuasse a strillare angosciata lungo la strada, ma Nell corre e non sa più niente, sino a che non si ferma ormai ansante tre isolati più in là, cade a ridosso di un muretto di mattoni sbreccati e cerca di ignorare le lacrime che le scivolano piano – impercettibili – sulle guance pallide. Pensa alle pillole che tiene chiuse nella tracolla malconcia e si domanda come sarebbe, se le ingoiasse tutte una dopo l’altra e poi si abbandonasse finalmente sul selciato ruvido, e si chiede che cosa accadrebbe a quel punto. Ci sarebbe il vuoto. Ovunque. Scommette che si sta bene, lì nel vuoto.
 
 
 
 
 
 
Nell è immobile da ore. È accovacciata sullo zerbino ingrigito, le unghie che scrostano le macchie sulla punta delle scarpe di cuoio borchiato e i denti che continuano a tormentarle le labbra sino a farsi male. Sta fissando il muro biancastro di fronte a sé, passando i polpastrelli fra le scanalature e osservando i quadretti vintage di pessimo gusto appesi con chiodi sbilenchi, mentre tiene la schiena premuta contro la porta di legno sottile.
Sopra il pulsante del campanello, la scritta “Z. Malik” continua a farle prudere le mani dall’incertezza, ma ha gli occhi chiusi forte e non sa che fare. Le sembra che, nelle tasche, le pasticche siano ormai diventate pesantissime. Non appena si è presentata in libreria all’orario di chiusura – proprio come al solito – si è subito accorta che Zayn non c’era: dietro al registratore di cassa ha trovato solamente un uomo stempiato e piuttosto anziano, che ha guardato il suo naso arrossato e gli occhi lucidi senza batter ciglio, per poi dirle inespressivo che quel giorno Malik aveva chiesto una giornata libera. Nell si era sentita sprofondare nel pavimento e, balbettando con la bocca inaridita, gli aveva chiesto dove avrebbe potuto trovarlo – farfugliando poi un disperato per favore, che doveva senza dubbio averlo addolcito. Quando il proprietario le aveva domandato se per caso lei fosse la sua ragazza, Nell aveva boccheggiato e non aveva saputo rispondere, per poi dire semplicemente che si trattava di una questione urgente e aveva davvero bisogno di vedere Zayn. Dopo averle rivolto alcune domande – circospette e sospettose – l’uomo si era infine deciso a darle l’indirizzo del suo dipendente, che Nell aveva scarabocchiato sul dorso della mano pallida un attimo prima di ringraziare in fretta e correre fuori col vento che le gonfiava i polmoni. Non si era neppure concessa una sigaretta – anche se, dopo, ne aveva fumate diverse sul pianerottolo deserto – e aveva preso la metropolitana per poi scendere di corsa alla stazione Clapham South, i piedi che le facevano male e il respiro corto.
È certa di aver camminato decisamente troppo, mentre si massaggia lentamente le tempie e lancia un’occhiata allo schermo luminoso e graffiato del cellulare, che segna quasi l’una di notte. Oltretutto, Nell si sente una stupida: se n’è andata di casa senza neanche portare con sé una maglietta di ricambio, è stanca, ha freddo e ha attraversato quasi l’intera Londra pur di riuscire a raggiungere Zayn, eppure ora non ha il coraggio di suonare alla sua porta. Forse lui non è solo, pensa. Magari si trova in casa insieme a Perrie, forse hanno fatto l’amore e ora stanno dormendo abbracciati fra le coperte calde, lui che le accarezza i fianchi morbidi con la punta delle dita e il suo profumo sconosciuto che impregna tutte le lenzuola. Nell si strofina le nocche contro le cosce scoperte dalla gonna, dicendosi che non ci vuole pensare, che non ci vuole credere. Potrebbe rimanere lì per la notte e sonnecchiare un po’ contro la parete, per poi andar via prima dell’alba, in modo che Zayn non venga mai a sapere di quel che è successo. Sa che farebbe meglio a lasciarlo andare. Ma, in fondo, sa anche di non esserne più capace.
Sbadiglia e si stropiccia gli occhi, poi si volta su un fianco e sbuffa, rifiutando l’ennesima chiamata da parte di sua madre e abbandonando il telefonino sulle mattonelle, le gambe lunghe e distese contro il pavimento. Nell si sente un cerchio attorno alla testa e lo stomaco le brontola di continuo: non mangia dalla sera precedente e si maledice ancora una volta per non aver portato via dalla cucina almeno una di quelle fette di pane stantio che Rosie Horan tiene sempre nella vecchia credenza rosa dalle tarme. A dire il vero, è così stanca che l’unica cosa che desidera sarebbe lasciarsi cadere sul suo materasso dalle molle cigolanti – e anche un abbraccio caldo da parte di Zayn. Vorrebbe anche quello.
Nell pensa che suo padre non le manca affatto e che si sente in colpa. Si chiede perché le cose siano dovute andare in quel modo, si ripete perché proprio a noi, non respira e cerca di ricordare l’ultima volta che gli ha detto che gli voleva bene, ma ha paura di non averlo mai fatto. Le viene da piangere perché lei suo padre non lo conosceva neanche, perché tutto quel che le riempie la mente è sua madre che impasta dolci e le raccomanda di indossare la sciarpa per non prender freddo, e i passi pesanti e sordi degli stivali di Josh Horan che scendono le scale al mattino presto, mentre lei dorme ancora. Pensa a tutte le volte in cui hanno litigato e a come facevano sempre pace dopo pochi minuti, a quel giorno in cui suo padre le ha portato il caffellatte a letto di domenica e all’unica volta in cui l’ha picchiata e non ha mai chiesto scusa. Si dice che Josh Horan non era nessuno. Un impiegato fra tanti con una paga troppo bassa e troppe ore di lavoro sulle spalle, una moglie che amava a giorni alterni e una figlia di cui si ricordava sempre il compleanno e a cui non portava mai regali. Le sue giacche pesanti e scure odoravano di naftalina e le suole delle sue scarpe erano sempre sporche di fango, ma Nell vuole dimenticarlo: s’incontravano di rado per cena e più spesso durante la notte, entrambi insonni a sorseggiare Yorkshire tea bollente in sala da pranzo, mentre Rosie russava piano oltre la porta socchiusa. Ora lei strofina i denti e vorrebbe con tutta se stessa poter metter su il bollitore almeno un’ultima volta, chiedergli: “Zucchero?” e sentirsi sempre rispondere di no, mentre suo padre sfoglia distrattamente i vecchi giornali umidi di pioggia sulla sedia intrecciata di paglia, le dice che dovrebbe tornare a dormire e non la guarda mai negli occhi. Vorrebbe sorridergli come faceva una volta – ed era pur sempre un sorriso da estranei, ma ormai non ha importanza, perché non ha più nessuno a cui sorridere. La bara di suo padre è silenziosa come lo era lui: ha sempre pensato di lasciarvi sopra una bustina di tè sigillata e i biscotti al burro che mangiava sempre davanti alla televisione, gli occhi fissi senza parlare. Ha sempre voluto farlo. Non l’ha mai fatto.
 
 
Quando Zayn apre la porta, il dito di Nell è ancora schiacciato sul campanello, i suoi occhi sono bagnati di lacrime e il viso è rivolto verso terra, le guance arrossate per l’imbarazzo di farsi vedere da lui in quello stato. Nessuno dei due riesce a dire una parola, ma la ragazza ritrae la mano e la ficca in fondo a una delle tasche della giacca stracciata, le labbra strette fra loro che divengono bianche mentre si azzarda a lanciargli un’occhiata.
“Nell…?” è tutto quel che riesce a mormorare Zayn, gli occhi assonnati e la maglietta stropicciata portata su un paio di vecchi pantaloni del pigiama, a piedi scalzi contro le piastrelle ruvide dell’ingresso. Si passa nervosamente una mano fra i capelli come fa sempre, poi: “Vuoi entrare?”
Lei solamente annuisce e soffia un respiro tremante, recuperando la borsa e il cellulare da terra e trascinandosi debolmente oltre la soglia, pensando che la voce roca e sfinita di lui potrebbe riuscire a farla innamorare una volta di più.
“Stai bene?”
Nell non risponde – non vuole farlo – e prosegue lungo il breve corridoio senza chiedere il permesso, sfilandosi maleducatamente le scarpe e raggiungendo un piccolo salotto con le finestre chiuse e le tende tirate, il divano stazzonato davanti al quale si trova un minuscolo televisore ancora acceso e sintonizzato su un film d’epoca – e potrebbe giurare che, sino a pochi minuti prima, Zayn stava dormendo col viso premuto contro i cuscini.
“Scusami” esordisce imbarazzata, studiando le sagome in bianco e nero muoversi innaturalmente sullo schermo “Non volevo svegliarti”.
“Certamente” lui si schiarisce la voce, chiude la porta girando la chiave e la raggiunge con lentezza, guardando altrove “Non preoccuparti. Sai, solitamente non dormo sul divano, ma oggi ero piuttosto…”
“Come mai non eri in libreria?” domanda la ragazza, interrompendolo e lanciandogli una nuova occhiata mentre si mordicchia un labbro, il rossetto ormai sbavato.
“Ho avuto una giornata difficile” risponde Zayn, come se stesse facendo uno sforzo immenso pur di riuscire a pronunciare ognuna di quelle sillabe “Ho…” tossicchia, prende tempo e si massaggia il collo sospirando, poi ticchetta a terra con un piede, sposta il peso su un lato e infine: “Ho lasciato Perrie”.
Per un istante, a Nell sembra di potersi dimenticare di ogni cosa: riesce soltanto a pensare che nessuno ha dormito accanto a lui, che nessuno ha baciato le sue labbra e l’ha stretto forte a sé, e sa che dovrebbe dirgli che le dispiace – ma non è vero, e riesce a stento a trattenere un sorriso.
“Perché l’hai fatto?” chiede allora, lasciando cadere la sacca e respirando profondamente.
Zayn si stringe nelle spalle, strofinandosi le braccia nude coi palmi delle mani e: “Non lo so” fa una pausa, poi riprende “Mi sento uno stupido. Pensavo che ci fosse qualcosa di reale, pensavo che il significato di amare qualcuno fosse esattamente quel che c’era fra noi e ho cercato di accontentarmene”.
“Ma poi…?”
Nell sa che sta esagerando e tenta la fortuna anche se la posta in gioco è troppo alta, però lo vede negli occhi di Zayn che c’è qualcosa di nuovo, e c’è qualcosa di nuovo anche nel modo in cui lui stringe le palpebre e solleva il viso su di lei, impassibile.
“Non dovresti essere qui”.
“Lo so”.
Lei non ha intenzione di desistere; inarca un sopracciglio, incrocia le braccia sul petto e lo vede esitare, tormentandosi le dita magre e puntando gli occhi grandi e vividi sulle lampade che vibrano piano.
“Ci faremo del male a vicenda”.
“Non è detto” attende che Zayn trovi il coraggio di spostare lo sguardo su di lei, eppure lui ancora non lo fa “Hai paura?”
“Non me l’avresti chiesto, se non ne avessi anche tu” tergiversa, finalmente incrociando i suoi occhi e facendole cenno di togliersi la giacca, anche se Nell non si azzarda neppure a sbottonarla – non vuole che la bustina di pasticche possa scivolare via.
“Dimmi la verità, Zayn” i collant s’impigliano contro il pavimento irregolare e sconnesso mentre avanza piano verso di lui sino a percepire il calore del suo corpo, ma non le interessa che si straccino, perché non sente nient’altro se non il cuore a batterle in fondo alla gola “Dimmi perché l’hai lasciata. Dimmi perché stai tremando”.
Nell ha il respiro già affannoso non appena solleva una mano per farla scivolare contro il suo collo, la pelle che scotta sotto la sua carezza, e quando Zayn chiude gli occhi al tocco avverte un peso sprofondarle giù per lo stomaco e precipitare sempre più in basso. Giunge con la punta delle dita fino all’attaccatura dei suoi capelli neri, ci gioca un po’ e infine scivola oltre l’orlo della maglietta, sfiorando quella piccola porzione di schiena calda e nascosta che le manda i brividi lungo tutta la spina dorsale. Si rende conto che per la prima volta ha spento tutto il resto, che si è scordata della paura e del senso di colpa e ora tutto quel che esiste è la pelle di Zayn che arde e rabbrividisce sotto la sua carezza leggera, le sue palpebre che si schiudono appena e le sue iridi liquide che balenano attraverso una rete di ciglia lunghe. E Nell vorrebbe aspettare, però ha le gambe deboli e quasi non si regge più in piedi: perciò aggrappa le mani alle sue spalle e si abbandona su di lui prima di potersi dire di no, si mette in punta di piedi e respira contro la sua bocca, gli occhi sbarrati e la lingua fra i denti. Lui freme al contatto con il suo abbraccio maldestro, la sfiora sulla schiena e sui fianchi stretti, mormora qualcosa contro il lobo del suo orecchio e lo saggia con le labbra umide, e a quel punto Nell non ce la fa più e le sfugge un mugolio malfermo, le braccia attorno alla sua vita a premere i loro corpi l’uno contro l’altro, i vestiti sottili e impercettibili che schermano il fuoco sulla carne.
“Leggo Shakespeare da quando frequentavo il liceo” biascica Zayn sul suo collo, la pelle accaldata “Non credo al lieto fine”.
Così, Nell lo bacia. Non sa neppure perché come cosa chi, ma lo bacia e non c’è niente di meglio, gli soffia in bocca che riuscirà a fargli cambiare idea e cerca la sua lingua senza alcuna delicatezza, un ritmo frenetico e impaziente che li fa incespicare confusamente per la stanza e le fa martellare dentro migliaia di pensieri inesplosi. Zayn le stringe le cosce fra le mani grandi e lei ha già la gonna tutta accartocciata sui fianchi, eppure lui riesce a scostarsi per un attimo dal suo bacio famelico e scuote piano il capo, la prega: “Un istante” e lei annuisce senza capire, le fiamme ovunque. Allora Zayn sorride e Nell si sente crollare il mondo addosso, perché è quel sorriso da bambino che tanto ama, che le fa pensare alla sua ventiquattrore stracolma di libri noiosi e incomprensibili, alle t-shirt di cantanti R&B scadenti e agli occhiali dalla montatura spessa che lui porta sul naso, le luci al neon a riflettersi sulle lenti e sui suoi denti scoperti dalle labbra curvate. Quando la bacia, a lei sembra come la prima volta: si baciano a fior di labbra come due ragazzini e non sa che fare, perciò cerca smarrita il bordo della sua maglia e l’accesso alla sua bocca, ma Zayn soffia ancora una volta: “Devi avere pazienza” e: “Noi due siamo diversi”, e lei non capisce cosa voglia dire però non risponde. Si lascia baciare senza fretta, labbra su labbra a condividere il fiato, le dita di lui che le scivolano piano sul viso e scacciano via le lacrime nere di mascara e ormai asciutte sulle guance, che arricciano le ciocche biondo dorato e passano i polpastrelli sulle sue palpebre frementi. Zayn le conta i nei sulla pelle chiara del collo, fa scorrere dolcemente la lingua sulle sue labbra sino a insinuarla nella sua bocca, con quella stessa lentezza disarmante che la lascia continuamente priva di difese, una carezza lasciva e innamorata – l’ha pensato per davvero? – contro il palato in un bacio sempre più bagnato di saliva e bocche spalancate. Nell vorrebbe dirgli grazie perché non è mai stata baciata e toccata in quel modo prima d’ora, e vorrebbe dirgli che è importante, che pensa che tutto ciò sia qualcosa di speciale e che non vuole rovinare tutto.
E non se ne accorge neppure, che sta singhiozzando nella sua bocca, gli occhi serrati e le lacrime che sfuggono mentre Zayn se la stringe al petto, mentre inciampano impacciati e si ritrovano chissà come tra le frange del tappeto scolorito in un groviglio di braccia, gambe e vestiti vecchi, Nell col volto affondato contro la sua spalla e le labbra schiuse in una muta richiesta d’aiuto. Si rannicchia contro di lui come faceva quand’era piccola nell’angolo della sua cameretta e si abbandona a Zayn indifesa come non mai, i pensieri che vanno da sé e si rincorrono l’un l’altro fuori dal suo controllo, mischiando l’odore ghiacciato dell’obitorio, il suono di sua madre che vomita e piange nella sala d’attesa, in ginocchio a terra come in preghiera, e lei che non riusciva più a parlare. Vorrebbe aprire gli occhi, strofinare il naso contro la barba di Zayn e dirsi che va tutto bene, ma davanti a sé vede soltanto la cintura di sicurezza sradicata e automobili raggrinzite come fogli da buttar via, il cielo che le si chiude addosso in una cappa di fumo inquinato e le braccia dei soccorritori a trascinarla via.
“Nell? Nell, ti prego…”
Zayn la bacia sulla fronte e le giura che non la lascerà mai sola, ma lei non sa più come si fa a respirare e soffoca – e cosa succederebbe se dovesse morire proprio come ha fatto suo padre? Forse il suo cuore batte troppo veloce, forse le sue vene sono sul punto di esplodere in mille pezzi e schizzare via, forse perderà i sensi o forse sta impazzendo, e vorrebbe unicamente raggiungere le pastiglie che custodisce nella tasca e ingoiarne alcune per sentirsi meglio, perché altrimenti non sa come fare. Ma l’unica alternativa è Zayn – è sempre stato Zayn – e allora risolleva il viso e assentisce alla cieca, cerca le sue labbra e lo bacia con la lingua che sa di pianto, gli chiede scusa in un singulto e lui la abbraccia stretta, dicendole che andrà tutto bene anche se sa che non è così.
“Se n’è andato, Zayn” bisbiglia Nell con un nodo in gola, la voce che traballa come una lanterna esposta al vento invernale - perché non riesce a dirlo, perché non riesce ad ammetterlo a voce alta e a rendere tutto talmente spaventoso e reale “Mi sento persa anch’io, mi sento persa perché mio padre non è mai stato re di Danimarca e non è mai stato nessuno, perché forse neppure mi voleva bene ma ancora non lo meritava” emette un sospiro incerto, appiglia le dita alla stoffa sforacchiata della sua maglia e si rannicchia ancor di più contro di lui “Vorrei avere nostalgia, vorrei provare qualcosa di più che questa fredda consapevolezza così devastante e vorrei poter avere dei bei ricordi per ripensare a lui. Ma la verità è che… la verità è che non era un buon padre, non ne è mai stato capace, eppure lo amavo comunque. E tutto questo riesce solo a farmi sentire terribilmente sola”.
Avverte Zayn sospirare piano fra i suoi capelli, accarezzarli con accorta tenerezza e: “Quando è successo?”
“Cinque mesi fa” deglutisce e fissa le assi incrociate sul pavimento, il volto nascosto contro l’incavo della sua gola a inspirarne il profumo “Ha avuto un incidente in uno svincolo dell’autostrada. E, sai, sembra che da quel momento le cose siano solamente riuscite a peggiorare: i miei voti a scuola, i miei amici, mia madre. Soprattutto lei, a dire il vero; non so ancora se oggi sia stata io ad andarmene, oppure sia stata lei a cacciarmi via da casa”.
Lui è a disagio e vorrebbe sapere che cosa fare, vorrebbe poterla consolare nel modo giusto ma non ha le parole e allora la abbraccia in silenzio, mentre da qualche parte – fra i pensieri arruffati e il centro del suo petto – Nell pensa che Zayn è l’unica cosa bella che le sia finalmente capitata dopo tanto tempo.
“Che cosa è successo fra te e tua madre?” domanda dopo un po’ lui, le dita che scivolano regolari e rassicuranti sulla sua schiena, accarezzandola al di sopra della giacca e facendole sperare di poter mettere insieme i pezzi.
“Ha rovistato in camera mia” risponde Nell di getto, scostandosi appena dalla sua stretta e raddrizzandosi contro il divano, le ginocchia puntellate sulle mattonelle e le dita ancora intrecciate con quelle del ragazzo. Lo fissa dritto negli occhi, pregando che non vada via “e ha trovato delle pasticche in un cassetto”.
Vede Zayn irrigidirsi e impallidire subito dopo, mentre stringe i pugni e si sporge lievemente verso di lei, tentando di dominare una reazione avventata.
“Le assumi di frequente?” chiede semplicemente, dimostrando un notevole autocontrollo e facendola sorridere amaramente fra sé per il modo in cui sta cercando di non giudicarla.
“Non capisci, Zayn. Lei ha pensato che si trattasse di droga e, in verità, da parte mia gliel’ho persino lasciato credere: paradossalmente, è più semplice così”.
“Che cosa intendi dire?”
Lui ha ricominciato a tracciare piccoli cerchi morbidi e impercettibili sul palmo della sua mano, ma Nell non riesce a rispondere, perché ha continuato a tacere con se stessa per mesi e ora sta disperatamente racimolando la forza di ammettere la verità. Ha cercato risposte con l’affanno, ha mendicato una soluzione, un’etichetta da applicare a quella situazione: tuttavia, adesso che sente di esservi ormai incredibilmente vicina, vuole solo chiudere gli occhi e sbiadire sino a diventare invisibile.
“Zoloft” sputa fuori, cogliendo all’istante l’occhiata interrogativa di Zayn, e: “Di solito viene prescritto come antidepressivo o per diverse patologie d’ansia anche se, insomma, non sono esattamente riuscita a procurarmelo grazie a una ricetta medica. Dopo…” si schiarisce la voce, sentendosi stupidamente arrossire “Alcuni mesi fa, ho partecipato a delle sedute con una psichiatra per diverse settimane, e lei ha continuato a cicalare di psicopatologie legate al lutto e al trauma, cercando di propinarmi le sue conoscenze da quattro soldi. Alla fine mi ha prescritto dei farmaci, facendomi promettere che sarei tornata da lei anche la settimana seguente; non l’ho fatto, naturalmente. Ma mi aveva già dato quel che serviva”.
“Che cosa stai cercando di dirmi?” lui ha l’aria tremendamente grave, le labbra serrate in una linea orizzontale e gli occhi fermi “Hai usato le ricette che ti aveva dato per comprare degli psicofarmaci?”
“So che sembra una follia” ammette Nell, le mani ghiacciate e il cuore che inizia a battere più svelto “ma non sapevo che cos’altro fare. È stato tutto molto più difficile di quanto non avessi pensato, però speravo che in questo modo sarei riuscita a gestire meglio le cose, perciò ho solo…”
“Ascoltami, Nell” non ricorda che Zayn l’abbia mai interrotta prima d’ora, ma lui sembra così concentrato e serio che non ha il coraggio di ribattere. Il moro si solleva a sedere e le prende le mani fra le sue, una stretta calda e avvolgente attorno alle dita gelate e tremanti per il nervosismo, la preoccupazione negli occhi. “Sai benissimo che questo genere di farmaci possono portare assuefazione allo stesso modo di qualsiasi tipo di stupefacente, e non puoi continuare a prenderli così alla leggera. Io desidero semplicemente che tu stia bene, d’accordo?” le passa i polpastrelli sulle gote ceree, battendo piano le palpebre, e Nell pensa di colpo che vorrebbe baciarlo “So che hai paura che io vada via, te lo leggo negli occhi, ma non ho nessuna intenzione di lasciarti andare: penso che dovresti tornare da quella psichiatra e stare a sentire quello che ha da dirti. Non puoi sempre fare tutto da sola”.
“Zayn…”
Lei non riesce a parlare e si sente tutte le parole incastrate in gola, che macerano laggiù e non ne vogliono sapere di uscire; stringe più forte le sue dita fra le proprie e si passa la lingua sulle labbra rosse che spiccano contro il viso pallido, gli occhi stanchi, la bustina trasparente sempre più faticosa nelle tasche e le ginocchia doloranti.
“Anch’io” lui la bacia solo per un momento, con le labbra schiuse e gli occhi ancora aperti, e Nell si sente morire – perché, dannazione, come farà a non innamorarsi?
“Mi dispiace di esser piombata qui senza alcun preavviso” ridacchia lei contro la sua bocca, incrociandogli i pollici dietro al collo “E mi dispiace anche per tutto il resto”.
“È tutto a posto” Zayn si stringe nelle spalle, così vicino che se lo sente respirare addosso “E poi, adesso potrò avanzare un sacco di pretese su di te, no? A cominciare da quel ragazzo di cui mi hai parlato, Liam: insomma, è talmente ovvio che abbia ancora una cotta per te, e credo che sarebbe opportuno avvertirlo che…”
“Zay, sai che persino io so fare a pugni meglio di te, non è vero?” lo prende in giro Nell, ridendo nonostante abbia ancora gli occhi pieni di lacrime.
“Non è questo il punto” lui arriccia il naso, illuminandosi non appena si rende conto che è riuscito a farla ridere. Poi piega il capo su una spalla, assume un’espressione dispiaciuta e: “Credo che dovresti chiamare tua madre, e non guardarmi in questo modo. Per quanto sia incapace di dimostrartelo, potrei giurare che è preoccupata da morire, e le farebbe molto piacere sapere che stai bene”.
Lei ci pensa un po’ su, giocherellando con i suoi capelli scuri e sogghignando fra sé nel notare quanto lui faccia del suo meglio per nascondere il fastidio che gli increspa le labbra – ma le piace sin troppo tirarli appena fra le dita, perciò non ha importanza.
“Stai cercando di mandarmi via?” azzarda poi, gli occhi enormi e argentei a causa del pianto puntati in quelli di lui – e Zayn si dimentica immediatamente di tutto quel che aveva da dire, ma sa solo scuotere il capo e darle sottovoce della sciocca, anche se sta sorridendo.
“Potremmo dormire sul divano” propone, scompigliandosi i capelli e dando loro una forma talmente buffa che Nell si trova ancora una volta a ridacchiare “Dopotutto, il film non è ancora finito”.
“E io che pensavo che avresti approfittato di quest’opportunità per potermi infilare le mani sotto la gonna” lo prende in giro con un sorrisetto, per poi scoppiare a ridere per l’ennesima volta quando vede le sue guance colorarsi di scarlatto “Andiamo, stai arrossendo! Allora ci avevi pensato per davvero”.
“Piantala” borbotta Zayn col viso ancora in fiamme, distogliendo lo sguardo e guadagnandosi un buffetto sul ciuffo di capelli neri che gli ricade sulla fronte “Dico sul serio”.
“Sta’ tranquillo, Malik” prosegue lei rallegrata, sfilandosi la giacca e abbandonandola sullo scendiletto “per stanotte non cercherò di attentare alla tua virtù”.
“Non sei divertente” commenta il ragazzo, anche se Nell vede chiaramente che sta tentando di trattenere un sorriso – e allora non ce la fa e, abbandonando la schiena contro i cuscini ammassati dietro di sé, getta indietro il capo e gli fa cenno di avvicinarsi. E un attimo dopo si stanno già baciando, le sue gambe che si intrecciano ai fianchi di Zayn e li stringono con veemenza, le mani di lui che cercano la sua pelle e i fianchi morbidi sotto la maglia, mentre la avverte in un mormorio che dovrebbe seriamente considerare l’idea di prestargli ascolto e – Nell, giù le mani dalla mia cintura.
“Voglio fare le cose per bene, con te” borbotta imbarazzato, tirandosi giù la maglietta che la ragazza aveva sollevato sino all’ombelico e cercando di non pensare al cavallo sempre più stretto dei suoi pantaloni e alla gonna di lei che le scopre generosamente le cosce bianchissime “E dovresti davvero telefonare a tua madre”.
“Posso comunque restare a dormire qui?” domanda invece lei, facendo come se non lo avesse sentito e lasciandosi ricadere i capelli sulla schiena, un luccichio biondo sotto le luci artificiali.
Zayn sorride, annuisce lentamente e: “Tutte le volte che vuoi” le promette, lo sguardo che scivola sulla sua borsa rovesciata a terra e si posa veloce e inafferrabile sulle pastiglie bianche e rotonde nascoste dalla plastica, sulla copia ormai consunta e rovinata di Amleto e sugli accendini da ragazzo scarabocchiati dai suoi amici.
Nell lo guarda e sorride, lo guarda e si sente sorgere e tramontare centinaia di volte sullo stesso orizzonte, guarda i suoi occhi spalancati e le braci ardenti fra una corona di ciglia e giura a se stessa che potrebbe non stancarsene mai. Nell lo guarda baciarla per ore fino a perdere il fiato, addormentarsi vicino a lei e bruciare rovinosamente il caffè e le ciambelle l’indomani mattina, borbottando: “Stavo solo cercando di essere romantico” senza guardarla e rischiando di inciampare sul mucchietto di vestiti ai piedi del divano – Nell lo guarda anche ad occhi chiusi e adesso, finalmente, capisce.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




 







Angolo autrice:

*round of applause* Bé, diciamo che ve lo meritate se siete riusciti ad arrivare alla fine di Breakdown senza lanciarmi maledizioni o chiudere la pagina, quindi... posso iniziare con un ringraziamento, no? Queste note sarebbero dovute essere ordinate e apparentemente intelligenti ma, dopo aver diligentemente scritto una scaletta su un foglio di carta, l'ho subito dopo perso, dunque dovrete sopportare le mie solite chiacchiere random. XD Innanzitutto, avrete notato che di recente mi sto cimentando col gender bender - come ho fatto anche in Always like the first time - anche se, ad onor del vero, questa storia non è esattamente un prodotto degli ultimi giorni. Difatti, ho iniziato a scriverla a giugno, portandola avanti lungo tutta l'estate e facendola durare fino all'ultima settimana di settembre, e devo dire che ci sono dentro tantissime cose. E sembra assurdo ripensarci adesso, dato che sono come ogni inverno sommersa di migliaia di impegni T_T (A proposito: scusatemi per eventuali ritardi nelle pubblicazioni ma, davvero, non so proprio che farci!) Ancora riguardo alla storia che avete appena letto, preciso i riferimenti a E. A. Poe (lo scrittore che Nell cita durante la lezione di letteratura, il mezzo matto ubriacone, per intenderci. XD Spero che lui mi perdoni, anche perché a me Poe piace un sacco) e, naturalmente, a Shakespeare - che, come quasi tutti sanno, adoro - e in particolare ad Amleto - nominato anche come principe di Danimarca. Vi è un parallelismo fra le vicende della tragedia e il lutto subito dalla famiglia di Nell, nonostante gli esiti e rapporti diversi: a tal proposito, spero che le conseguenze dell'esperienza traumatica siano state abbastanza comprensibili in Nell e sua madre, che sono entrambe fortemente segnate dall'evento. Soprattutto, l'intera storia è improntata sul punto di vista della protagonista, il che porta la narrazione a una sorta di ingenuità e a un modo spesso esagerato di vedere le cose, fra cui il rapporto con sua madre, quello con Zayn e specialmente con se stessa. Insomma, Nell è una donna e una bambina insieme, e ho cercato di rendere ogni aspetto del suo carattere anche attraverso la prosa meno elaborata del solito: spero che abbiate apprezzato! :) Ho cercato di trattare tutti i nuclei tematici - il rapporto rispettivamente con l'ambiente scolastico, con la madre, con Zayn e con la perdita del padre - che ruotano attorno a Nell, nel modo più chiaro possibile, anche se non nego che Breakdown è stata per me quasi un esperimento, sia dal punto di vista dello stile sia da quello dei contenuti. :3 E, insomma, credo di aver detto tutto! So che il gender bender non gode di particolare popolarità qui, ma spero tantissimo che chi è giunto sino a questo punto mi lascerà una recensione - anche se breve, non ha importanza - perché ci terrei tanto a sapere che ne pensate. (: Ringrazio Cassie che mi ha betato la storia - sei stata gentilissima! - la pagina Una direzione: fanfiction che mi ha dato il prompt (Zayn/fem!Niall: libreria, "Vuoi uscire con me?") e tutti coloro che su twitter si sono interessati alla storia. :D Grazie mille di aver letto, a presto!

Jun
   
 
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