Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: Bubbles_    06/10/2013    1 recensioni
Lo aveva perso.
Aveva perso quel dannatissimo taccuino. Di nuovo.
---
“Non merito forse una ricompensa?”
Aveva perso quel diario un milione di volte e altrettante aveva dovuto pregare perfetti sconosciuti di restituirglielo, ma mai nessuno aveva chiesto un riscatto.
Quella ragazza non gli piaceva per niente. La sua prima impressione risultava essere completamente sbagliata. Ora la vedeva come un’avida impicciona.
“Due euro e venti e sbrigati, sta arrivando il pullman”
“È seria?”
Non sapeva se si sentiva più offeso per il fatto di dover pagare per riavere indietro il suo diario o per quello di dover pagare così poco. I suoi pensieri più profondi in svendita per soli due euro.
--
"Non hai mai voluto che uno sconosciuto ti stravolgesse la vita? Non sei mai stato in cerca di novità? Io sono quello sconosciuto. Carpe diem!"
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lysandro, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
 
 
 
 
 
 
«Rebel Rebel~
 
 
 
 
“Ti vanno alla grande!”
Roxanne entrò nella stanza a piedi nudi saltellando come suo solito.
Le unghie proprio come quelle delle mani, di dieci colori diversi.
I capelli bagnati erano stati raccolti in uno chignon disordinato striato di azzurro.
Si avvicinò alla scrivania e accarezzò con una mano il taccuino per poi sorridere tra sé, sorriso che non sfuggì però al ragazzo.
Sì, aveva deciso di lasciarlo di lì. Aveva deciso di restare e non c’era scelta di cui era mai stato più sicuro. Andarsene voleva dire porre la parola fine e lui non era ancora pronto per quello. Per un attimo ebbe la sensazione Roxanne lo avesse messo alla prova. Come se quel taccuino non fosse stato lasciato lì casualmente e che il suo trovarlo non era stato affatto dettato dal caso.
Lysandre cercò con la mano i polsini della camicia, in quel movimento così naturale per lui, per non trovarvi nulla. Si sentiva nudo senza quel “travestimento” che tanto amava portare. Solo allora realizzò come dei semplici indumenti potessero essere molto di più. I bottoni dei polsini che tanto amava allacciare, il foulard che spesso si ritrovava ad aggiustare, erano semplici gesti in grado di infondergli grande sicurezza. Una sorta di armatura contro il mondo.
“Come hai conosciuto Lysandre?” Roxanne aprì il diario e cominciò a sfogliarlo. Doveva conoscere quelle pagine a memoria ormai.
La salopette ancora bagnata gocciolava lenta sul pavimento di legno.
“Abbiamo una band” decise di essere sincero, non ce l’avrebbe fatta a mentire ancora. Le bugie erano un brutto affare. Più crescevano, più erano difficili da domare.
Roxanne sembrò pensarci su, si soffermò qualche tempo su una o due pagine e poi, senza preavviso slacciò la spallina della salopette ancora allacciata. L’indumento, fino ad allora tenuto su da quel semplice bottone, cadde senza fatica a terra appesantito dall’acqua, scivolando veloce sulle gambe della ragazza.
Lysandre si voltò immediatamente verso il lato opposto della stanza, pentendosi di non aver anticipato prima quel gesto.
“Castiel, mi passi il vestito sopra lo specchio?”
Si guardò intorno finché non trovò ciò che gli aveva indicato la bionda, si allungò per afferrarlo e glielo passò attento a non voltarsi. Roxanne lo afferrò toccando di proposito le dita del ragazzo e lui non poté far a meno che lasciarsi accarezzare. Ritirò la mano bruciante e la infilò subito in tasca.
Il suo sguardo vorticò per l’intera stanza alla ricerca di un punto qualsiasi su cui soffermarsi ben consapevole che il riflesso di Roxanne stava giocando con lui solo poco più in basso.
“Lysandre è un musicista?” a quelle parole la sua concentrazione vacillò, ogni qual volta sentiva il suo nome, il cuore perdeva un battito. Lo sguardo cadde involontariamente davanti a sé e da lì non riuscì più a scostarsi. Si vedeva riflesso in tutto il suo imbarazzo e dietro di lui, lei.
Lui sapeva lei sapeva.
Lui sapeva lei sapeva lui la stesse guardando.
Lei sapeva lui sapeva.
Lei sapeva lui sapeva lei lo avesse fatto di proposito.
Roxanne voleva lui giocasse al suo gioco e Lysandre c’era cascato alla grande.
La maglietta enormemente larga dei Bon Jovi le arrivava a metà coscia, la salopette di jeans riposava pesante a terra. Era seduta sulla scrivania, il taccuino aperto tra le mani, gli occhiali che riposavano sulla testa e i piedi che si muovevano avanti e indietro nell’aria. Il vestito bianco che riposava arruffato accanto a lei.
“Puoi voltarti, mi piace guardarti quando ti parlo” lo sguardo di lei si alzò dal quaderno e incontrò quello di Lysandre nello specchio. Il ragazzo lo distolse quasi subito, come scottatosi, prese un bel respiro e si voltò.
 “C-canta”
Gli occhi di Roxanne si spalancarono contenti. Appoggiò il diario sul tavolo e con un salto scese a terra. Le bastarono due passi veloci per raggiungere Lysandre, che immobile osservava ogni suo movimento.
“Quindi quelle sul quaderno sono canzoni? Che genere fate? E com’è la sua voce?”
Lysandre non sapeva più come risponderle, trovava tutta quell’attenzione nei suoi confronti, anche se in realtà non era direttamente rivolta a lui, fastidiosa. Non gli erano mai piaciute le domande, odiava dover dare spiegazioni su chi fosse, ma in quel momento quel fastidio non era dovuto a quello, ma ad altro. Era geloso. Geloso di se stesso, geloso di quel fantomatico Lysandre.
Roxanne non provava il minimo interesse per lui che le era lì davanti a lei. Sembrava essere completamente persa di quello scrittore sconosciuto. Forse se avesse saputo chi realmente lui era, sarebbe stato diverso. Forse lo avrebbe guardato con la stessa intensità con cui leggeva quelle pagine di diario.
“Castiel, è bello?” la voce di Roxanne era debole, appena un sussurro, ma Lysandre la udì perfettamente a quella distanza.
“C-hi?” chiese con una gran confusione in testa, non si ricordava nemmeno chi fosse quel Castiel.
“Non riesco a smettere di guardarli” Roxanne aveva improvvisamente cambiato discorso e Lysandre si ritrovò ad indietreggiare leggermente sotto la spinta invisibile della ragazza. Sentiva il suo corpo troppo vicino al proprio, le sue gambe nude sfiorargli la stoffa del jeans ed l’ormai familiare profumo di ciliegia impregnare l’aria.
“C-cosa?” domandò sentendosi ancora una volta incredibilmente stupido.
“I tuoi occhi” la mano della ragazza raggiunse coraggiosa il suo viso e tracciò lenta il contorno dell’occhio smeraldino, gli accarezzò le ciglia e continuò la sua corsa tra i capelli del ragazzo.
Lysandre godé appieno di quel piccolo gesto, quasi rabbrividì sotto a quel delicato tocco. Si sorprese di come Roxanne ne fosse capace, sino ad allora lo aveva spinto e trascinato ovunque senza la minima delicatezza, invece in quel momento quelle dita lasciavano una pressione quasi impercettibile sulla sua pelle.
“Posso vedere il tuo tatuaggio?” chiese all’improvviso allontanandosi di un passo e lasciandolo completamente inebetito.
“Non sei l’unico a sbirciare” si ricordò di come solo pochi minuti prima l’aveva osservata riflessa nello specchio e ogni sua obiezione morì sul nascere.
Era strano come quel gesto fatto da qualcun altro lo avrebbe mandato in bestia, ma fatto da lei era quasi divertente.
Roxanne gli sorrise furba e Lysandre sentì le sue mani indugiare delicate sulla vita.
Solo quando il suo sguardo incrociò quello di lei, Roxanne si sentì autorizzata a sollevargliela.
Lysandre sentì subito le dita fredde e sottili di lei sulla pelle, ovunque lo toccasse lasciava una scia rovente. Risvegliò ogni suoi senso, un lungo brivido gli percorse la spina dorsale. Aveva deciso di dirle di sì, di lasciarla fare e tutto perché non aveva bisogno di nessuna armatura con lei.
Roxanne non era una minaccia, non lo era mai stata e solo ora se ne rendeva conto.
Con lo sguardo chiese a Lysandre di voltarsi e lui ubbidì.
Era ormai totalmente in suo controllo e avrebbe fatto qualsiasi cosa. Da una parte lo spaventava l’effetto che quella ragazza aveva su di lui, ma dall’altra non poteva che esserne affascinato.
“Amo i tatuaggi, soprattutto quando raccontano una storia. Tu sei troppo silenzioso, il tuo tatuaggio deve averne una forte”.
Lysandre poteva sentire il suo respiro caldo sulla schiena e i suoi polpastrelli tracciare i contorni dell’inchiostro intriso nella pelle.
“Quello che non racconti a parole, lo racconti sulla pelle”
Come era finito in quella situazione?
Come aveva permesso ad una perfetta sconosciuta di entrare così nel suo mondo?
Come poteva condividere con lei qualcosa di così intimo e il tutto sentendosi incredibilmente bene? Come se si fosse fatto quel tatuaggio solo per quello, come se per tutta la vita non avesse fatto altro che aspettare quel momento.
“Tu, però, non me la racconterai”
Lysandre non fu sorpreso, forse avrebbe dovuto esserlo, ma non lo fu. Si sistemò la maglietta e si voltò per fronteggiarla. Era vero, non gliela avrebbe raccontata, almeno non allora. Era ancora troppo presto.
Gli fece l’occhiolino poi senza nessun preavviso si tolse la t-shirt e la buttò a terra accanto alla salopette. Lysandre rimase muto, la bocca spalancata a mezz’aria, le parole interrotte sul nascere. Quel corpo minuto aveva finalmente preso forma sotto i tuoi occhi, libero da quella maglia extra large.
Roxanne indossava della biancheria bianca con semplici ricami di pizzo e accanto a quel candido pallore vi primeggiava una scritta nera. Seguiva il contorno del seno, incurvandosi verso l’alto, a quella distanza, nella penombra della stanza, Lysandre non riuscì a indentificare che cosa vi fosse scritto.
Come se gli avesse letto nel pensiero Roxanne si avvicinò, mentre lui invece deglutiva a fatica.
Era sensuale e non perché lo facesse apposta. Lo era e basta. Non vi era finzione. Camminava lenta, le braccia abbandonate sui fianchi.
“Ecco, questo è il mio” la bionda lo guardò con aria di sfida e un sorrisetto beffardo. Non si sarebbe mai abituato a quella sua spavalderia.
Rispose al sorriso, questa volta senza nessuna paura.
Trovando un coraggio che molte volte gli era mancato, passò lento il pollice sulla scritta. Non gli bastava vederla, voleva toccarla.
In un’altra situazione non si sarebbe mai permesso tanto, ma in quel magazzino polveroso sogno e realtà si mischiavano alla perfezione e la distinzione tra i due non era poi più così importante. L’aria era pesante dei loro respiri, carica di parole non dette e di desideri nascosti.
Sentì la sua pelle morbida e la durezza delle costole.
“C’est ma vie” mormorò e subito cercò gli occhi di Roxanne. Lo guardavano maliziosi, gli incisivi un po’ troppo grossi che morsicavano quella labbra così rosse e che risplendevano a contrasto.
“Neanche tu mi racconterai la tua storia, non è vero?” quelle parole rimbombarono nella stanza.
Per un attimo Lysandre ebbe la sensazione che Roxanne si stesse avvicinando sempre di più. Sentiva la pelle della ragazza premere contro le sue dita e quel profumo di ciliegia, così forte, così dolce, invadergli le narici.
Quelle labbra scarlatte erano ora il suo unico pensiero: cosa avrebbe provato nell’unirle alle proprie?
E forse le avrebbe anche baciate, forse le avrebbe davvero assaggiate, forse si sarebbe anche spinto oltre se Roxanne non avesse abbassato lo sguardo.
“Parlo già abbastanza. Non vuoi sprecare il tuo tempo ad ascoltarla, credimi” si allontanò veloce e ancor più velocemente indossò il semplice vestito bianco che gli aveva passato poco prima il ragazzo.
Sentirono la saracinesca scattare e una porta sbattere, Roxanne lo guardò confusa prima di correre nel negozio.
Lysandre avrebbe voluto dirle di provarci, di metterlo alla prova. Di prendersi il suo tempo senza chiedere prima il permesso. In fondo era come aveva sempre fatto, in fondo era così che si erano incontrati.  
Se vi era stato qualcosa in quel magazzino era completamente scomparsa nel momento esatto Roxanne aveva abbassato lo sguardo.
 
 
 
 
“Salvia! Ho bisogno di salvia! Bennie tu ne hai vista?”
Lysandre fu travolto dalle urla di una donna che correva a destra e a manca per l’intero negozio. Parlava con una certa Bennie, ma non gli fu difficile capire quello essere uno dei tanti nomi di Roxanne.
Rimase fermo sul posto ad osservare quella che aveva capito essere la famosa zia Adélaïde.
Era alta, molto alta. Probabilmente lo superava in altezza e questo capitava raramente. Doveva essere quasi un metro e novanta. Indossava una lunga gonna color malva che seguiva ogni suo movimento. Le arrivava alle caviglie lasciando intravedere i calzettoni neri e i sandali di cuoio. Uno stile particolare per la proprietaria di un negozio di vestiti. Quello che però più colpì Lysandre furono i capelli: riccissimi di un arancione intenso. Una vera e propria criniera selvaggia.
Bennie, tanto valeva chiamarla con quel nome, era seduta a penzoloni sul bancone e osservava divertita la scena. Gli occhi che si spostavano da una parte all’altra della stanza.
“Anni sessanta, secondo scaffale, vinile di Jimi Hendrix
La donna si bloccò di colpo, fece dietrofront verso la decade indicatale dalla ragazza e ululò soddisfatta quando trovò un bustina di plastica contente diverse erbe essiccate.
“Zia, non dovevi aprire il negozio questa mattina?” le chiese Roxanne facendo nel frattempo segno a Lysandre di avvicinarsi.
“Io e le ragazze abbiamo avuto una seduta questa mattina! E io ho finito la salvia! ”
Non aveva realmente risposto alla domanda della ragazza, ma a Bennie sembrò non importare.
“Com’è andata?”
“Una liberazione cara, una vera e propria liberazione!”
Solo allora sembrò notare il ragazzo, non si limitò a studiarlo con lo sguardo, ma cominciò a girargli intorno, storcendo il viso smorfie più o meno educate.
Gli occhi della donna erano rimpiccioliti dalle spesse lenti degli occhiali e risultò difficile a Lysandre ricambiare il suo sguardo.
La proprietaria del negozio tirò su con il naso, si grattò il cespuglio color carota che aveva in testa e guardò la nipote con fare indagatorio.
“Amico tuo?” Bennie annuì e la donna esplose in un urletto di gioia cambiando completamente atteggiamento.
“Gli amici di Bennie sono amici miei! Come ti chiami, caro?”
Lysandre si presentò come Castiel e allungò la mano che gli fu stretta mollemente con le sole quattro dita.
“Adélaïde! Incantata e dimmi, caro, tu non ti vergogni del tuo nome, non è vero?”
Quella semplice domanda lo ammutolì, quelle parole non erano state rivolte a lui, la donna aveva guardato intensamente la nipote nel pronunciarla, gli occhi tagliati a metà dagli occhiali e un sorriso falso sulle labbra. Allo stesso tempo però non poté impedirsi di rispondersi: lui non si vergogna del suo nome, ma di se stesso altrimenti non avrebbe avuto bisogno di fingersi un altro. Se solo quella donna avesse saputo, quell’occhiata di rimprovero sarebbe stata allora rivolta a lui.
Bennie alzò gli occhi al cielo prima di saltare giù dal bancone e porsi tra la zia e il ragazzo.
“Sei un disastro, piccola ribelle!” la donna scosse divertita la testa e si sedette sullo sgabello accanto al registratore di cassa.
“Avevo finito la salvia” disse tra sé tamburellando con le dita sul banco.
“Lo hai già detto zia” Adélaïde annuì energicamente alzando l’indice in aria.
“Hai ragione! L’ho già detto! Cosa sto dimenticando allora?”
Si portò una mano al mento e cominciò a rimuginare parole tra sé. Stava cercando di ricordare qualcosa, ma a quanto pareva ogni suo sforzo era vano.
Bennie non riuscì a trattenere un sorriso e lanciò uno sguardo complice a Lysandre che era rimasto un po’ scombussolato da quell’incontro. La verità era che quel disperato tentativo della donna di richiamare alla memoria chissà quali pensieri, gli ricordò se stesso e la cosa lo spaventò non poco. Avrebbe dovuto prendere seri provvedimenti! Per cominciare una dieta ricca di fosforo!
“Zia, noi usciamo dal retro! Ci vediamo domenica, per l’eclissi”
All’udire la parola eclissi la donna saltò in piedi e batté entrambe le mani sul banco facendo sobbalzare entrambi i ragazzi.
“Eclissi! Luna! Marguerite! Ha chiamato Marguerite!”
Adélaïde si risedette e si asciugò la fronte con una manica come se ricordare quel dettaglio gli era costato grande fatica. Lysandre associò subito quel nome, di solito non era bravo in tutto ciò che richiedesse un minimo di memoria, ma stranamente ricordava benissimo tutto ciò gli avesse detto Bennie.
“Devo dire basta agli intrugli di Clarisse! Non riesco a ricordare più nulla!”
La donna non si era accorta di come l’atmosfera fosse completamente cambiata. Bennie non sorrideva più, il suo sguardo si era fatto duro e guardava la zia con attenzione.
“Che cosa ti ha detto?”
“Chi?”
“Marguerite” la calma nella voce di Bennie fu però tradita da quel suo grattarsi nervosa le unghie.
“Mi ha chiesto se hai dormito da me. È l’ultima volta che mento per te, signorina” c’era una celata ironia nella voce della donna e persino Lysandre, totalmente estraneo a quella conversazione, capì quella bugia non fosse altro che una delle tante e soprattutto non l’ultima.
“Nient’altro?” Bennie era tesa, tesissima e Lysandre rimase colpito da quel suo cambio di umore. Come poteva la madre metterla in quello stato di agitazione?
“No, ma ti consiglio di dormire a casa stanotte! Mi sembrava di sentire mia madre al telefono! Adélaïde guarda che faccia! Adélaïde hai strappato le calze! Chi l’avrebbe mai detto Marguerite avesse preso così tanto da lei? Eppure ha il mento di papà, sì, sì tutto suo!” Adélaïde si era persa nei suoi pensieri e l’atmosfera tornò a essere quella leggera di poco prima. Bennie fece un lungo sospiro prima di tirare le labbra in un sorriso.
“Dove sei stata?” gli chiese la zia con occhi curiosi.
“In giro per il mondo”
“Più specificatamente?”
“Un concerto nella vieille ville”
Fu lì che Lysandre si ricordò del fatto che le due fosse imparentate. Quella donna si rivolgeva a Bennie come se fosse stata sua madre, certo una madre molto bizzarra. Notò ancora una volta il tatuaggio che Bennie aveva dietro l’orecchio, quella “A” poteva voler significare molte cose, ma più le vedeva insieme più si convinceva avesse un solo preciso significato.
La donna sorrise e si appoggiò con entrambi i gomiti sul bancone. Sospirò riportando alla mente chissà quali ricordi, tornò però subito seria.
“Promettimi di dormire a casa stanotte”
“Te lo prometto, zia! Ci vediamo per l’eclissi!”
“Eclissi, luna, domenica… no non mi viene in mente nient’altro! Puoi andare!”
Bennie rise di gusto prima di prendere per mano Lysandre, il quale non oppose alcuna resistenza, e avviarsi verso la porta del magazzino.
“Ehi, vagabonda!” si bloccarono entrambi senza però voltarsi “Ricorda che a me piaci così!”
 


Rebel rebel, youve torn your dress
Rebel rebel, your face is a mess
Rebel rebel, how could they know?
Hot tramp, I love you so!
 
And I love your dress
Youre a juvenile success
Because your face is a mess
So how could they know? 
 
 
 
 
Euphoria__'s corner:
'Sera! Questo capitolo è lungo. Lo so, è che più andavo avanti più scrivevo! 
Ringrazio in particolar modo Charlina, mi ha aiutato tantissimo ed è sempre pronta ad ascoltare i miei scleri su questa storia :P
La canzone del capitolo -> Clicca qui 
Piccola precisazione: nella canzone si legge "hot tramp, i love you so" -> tramp ha diverse traduzioni, alcune delle quali poco eleganti, ho preferito scegliere quella che più si adatta a Roxy ovvero vagabonda.
L'immagine iniziale appartiene ad una serie di frasi molto famose in francia, a nizza le fermate dei tram ne sono piene <3
Ringrazio chi ha recensito lo scorso chap (grazie milleeeeeeee <3) a cui risponderò il più presto:
Lady_Light_Angel
Tsuki 96
Gozaru

 
Non posterò per un po', causa università e bisogno di pensare a cose più serie. Tornerò probabilmente a novembre.
Intanto spero la storia vi piaccia :) Un bacione!! (ps. è tardi, giuro che domani rileggo e correggo gli orrori! Ma volevo postare assolutamente ;P)

 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Bubbles_