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Autore: afep    07/10/2013    2 recensioni
Non è facile ricostruirsi una vita a Skyrim. Soprattutto se non hai altro che una spada ed un segreto nel cuore. Soprattutto se sei straniera.
Ed è quando ti illudi di essere al sicuro che ti accorgi che, per quanto tu possa aver chiuso con il passato, il passato non ha ancora chiuso con te. E che sei in pericolo
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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L’aria umida e fredda è pervasa da un forte sentore di pioggia.
Con gesti rapidi delle dita intirizzite, la ragazza toglie lo schermo dalla finestra più vicina e lo poggia in terra. Si tratta di un telaio di legno, con una grata dal disegno semplice coperta da una foglio di carta cerata; la Gilda dispone anche di schermi più eleganti, con grate elaborate e chiuse da sottili lamine di corno, ma solo dove le finestre si affacciano sulla strada.
Allungando il collo, la giovane Iselin si sporge attraverso il foro della finestra, osservando il cielo grigio fumo che grava sopra i tetti di Bruma. Una folata fredda la investe in pieno, facendole pizzicare le guance per il freddo, e lei sorride. Finalmente è tornato l’inverno.
“Sta già piovendo?” Le chiede una voce secca alle sue spalle.
“Non ancora, ma manca poco.” La ragazza scruta ancora una volta le nuvole sopra la sua testa. Lassù, un piccolo falco lotta contro le correnti d’aria; più in basso, lungo le strade, la gente di Bruma corre avanti ed indietro, immersa nei propri affari. Alcune donne con i cesti al braccio sciamano verso il carretto di un ambulante Khajit che vende stoffe e ninnoli della sua terra natia, due uomini fanno rotolare dei barilotti di vino verso la cantina della locanda, guardati a vista dal proprietario, ed un gruppetto di monelli ride, saltellando davanti al cavallo di uno dei nobili che abitano nel castello.
“Pare che Alar sia tornato.” Osserva Iselin, guardando il pinnacolo di fumo che si leva dal camino del maniscalco. “Credo che andrò a fargli visita. Devo chiedere a quel buono a nulla quando ha intenzione di ferrare il mio cavallo.”
“Lo farà quando ne avrà voglia. Lo sai anche tu, com’è fatto.” Le risponde la stessa voce, e la ragazza sbuffa. Alar il maniscalco è l’uomo più pigro ed indolente che abbia mai conosciuto, ma è l’unico in città a saper ferrare i cavalli, e i Guerrieri della Gilda non possono fare a meno di ricorrere a lui.
“So come è fatto.” Asserisce la giovane, tornando a chiudere il vano della finestra con il suo schermo. “Ma so anche che posso dargli lo stimolo giusto per lavorare.” Così dicendo si batte una mano sul fianco, dove pende un fodero color vinaccia, provocando una bonaria risata.
“Alar farà bene a stare in guardia, allora.” Borbotta la voce, che si leva dal punto più buio della stanza. Lì, seduto comodamente su un sedile di legno intagliato, un uomo solleva lo sguardo dal libro che tiene sulle ginocchia e rivolge alla ragazza un sorriso affettuoso. Nel suo volto magro brilla un unico occhio astuto e vigile, che scruta il mondo da sotto una chioma scura striata di grigio. Nonostante la sua menomazione, Lars di Aleswell è un Guerriero formidabile, ed un ottimo arciere, tanto da essersi guadagnato il rango di Difensore della Gilda.
“Già che esci, Iselin, passa dalla locanda e chiedi se è arrivato un messaggero da Cheydinhal. Quel disgraziato avrebbe dovuto essere qui due giorni fa.”
“Come vuoi.” Sospira Iselin, fingendosi esasperata e strappandogli uno sbuffo divertito. Un mese prima Lars ha mandato due dei loro Compagni d’Arme nella lontana Cheydinhal, e da allora smania per avere notizie della missione.
Accompagnata dallo sferragliare delle cinghie dell’armatura, la ragazza saluta il Guerriero senz’occhio ed attraversa le stanze della Gilda fino alla sala principale, ma una volta laggiù viene colta da un ripensamento e si dirige verso la scala di legno scricchiolante che conduce ai piani superiori. Dal momento che deve già svolgere una commissione per Lars, trova giusto chiedere anche ai pochi compagni presenti se hanno bisogno di qualcosa.
Così sale i vecchi gradini, consumati da centinaia di stivali e speroni, ed attraversa i corridoi, costellati di armi esposte nelle teche e sulle piastre murali, fino ai dormitori maschili della Gilda.
Non è arrivata ancora alla porta, che già sente un canticchiare sommesso, una sorta di filastrocca per bambini intonata da una voce roca e sgraziata, accompagnata da un ritmico e  sinistro sibilo metallico.
“Ehi, Laksha.” Saluta, appoggiandosi con la spalla allo stipite di legno. All’interno del dormitorio, un orco dal grugno ripugnante solleva lo sguardo dalla lama ricurva dell’ascia, senza smettere di affilarla. “Sto andando dal maniscalco e poi alla taverna, per Lars. Tu hai bisogno di qualcosa?”
Laksha grugnisce e scuote le enormi spalle. Una terribile cicatrice spessa quanto un dito gli solca il volto per tutta la lunghezza, dalla tempia destra fino all’estremità sinistra della mascella sporgente. Non ha un’aria rassicurante, soprattutto con quell’enorme ascia tra le mani, ma negli anni la ragazza ha imparato ad ignorare il suo brutto muso e l’aspetto temibile.
“Dunque, non ti serve nulla?” Chiede ancora Iselin, e l’orco scuote la testa, tornando a scrutare la superficie lucida della sua lama e decretando chiuso l’argomento.
Lasciandolo alle sue occupazioni, la giovane si dirige verso i dormitori femminili, dove si trova una compagna ferita, ma una volta raggiunta si accorge che la donna sta dormendo, preda delle pozioni dei guaritori, così estrae silenziosamente un mantello dal proprio baule e torna nei corridoi.
C’è un quarto Guerriero nella sede della Gilda, ed Iselin sa dove trovarlo. Sale velocemente una seconda rampa di scale ed attraversa con sicurezza i pavimenti foderati di tappeti dell’ultimo piano. C’è una biblioteca, nell’angolo più a nord, e la ragazza è sicura che Arild, l’ultimo compagno che manca all’appello, si trovi proprio laggiù.
Con il mantello che le svolazza all’altezza delle caviglie, sorpassa vecchi scaffali ingombri di cimeli impolverati e pareti di legno levigate dagli anni. Sta per svoltare l’angolo quando un tonfo attutito richiama la sua attenzione.
Istantaneamente si blocca, i sensi all’erta e le orecchie tese per captare altri rumori. Il colpo da lei udito sembrava provenire dalla sala del tesoro; nulla di strano, se non fosse che il Maestro della Gilda è partito per Bravil da settimane, e che nessun altro, oltre a Lars, è autorizzato a mettervi piede.
Muovendosi con gesti studiati, Iselin lascia scivolare la spada di qualche centimetro fuori dal fodero, in modo da poterla estrarre più agevolmente in caso di bisogno, svolta l’angolo e comincia ad avvicinarsi furtivamente alla pesante porta di quercia in fondo al corridoio.
Negli ultimi mesi, alla Gilda è stata sottratta una gran quantità d’oro. Iselin ed il suo Compagno d’Arme Arild sono stati incaricati di indagare sui furti, ma senza successo.
“Fino ad ora.” Si dice la ragazza, muovendosi lentamente. Il pesante battente di legno è solo accostato; per un istante si chiede se non sia il caso di correre in biblioteca e chiamare Arild, ma poi ci ripensa. Se c’è un ladro, può benissimo affrontarlo da sola; e se i ladri dovessero essere più d’uno… in tal caso, è certa di poterli tenere a bada fino all’arrivo di qualcuno dei suoi compagni.
Con cautela apre la porta, ed appena mette piede nella stanza rimane a bocca aperta.
Alla luce delle torce, davanti al baule di legno e ferro in cui è costudito il denaro della Gilda, un uomo chino da le spalle all’entrata, reggendo in una mano una piccola borsa di cuoio tintinnante. Incredula, Iselin si lascia sfuggire un singulto strozzato, ed a quel rumore l’uomo si volta di scatto, alzandosi e lasciando cadere la sacca; una miriade di monete d’oro si riversa al suolo, risuonando come il trillo di mille campanelli d’argento, mentre il ladro osserva la giovane davanti a lui ad occhi spalancati.
“Arild.” Sussurra la ragazza scuotendo il capo, incapace di credere a quello che ha appena visto. Eppure è proprio Arild, l’uomo che ora la guarda con lo un’espressione carica di rassegnazione e rammarico, torcendosi la larghe mani segnate dalle cicatrici.
“Sapevo che prima o poi lo avresti scoperto.” Dice lui con semplicità, come se lo avesse sorpreso a spiluccare dalla dispensa.
“Arild, cosa sta succedendo?” È ovvio, quello che sta accadendo, ma la ragazza ancora non vuole crederci. L’uomo davanti a lei, dal viso largo e bonario coperto da una corta barba bruna, è lo stesso con cui si è allenata nella Sala di Addestramento, lo stesso con cui ha bevuto, riso, vissuto ogni giorno fianco a fianco; pochi giorni prima ha giocato con i suoi figli, parlato con sua moglie e discusso con lui delle spade forgiate dal nuovo armaiolo.
Conosce quest’uomo da una vita, eppure, improvvisamente, è come se avesse davanti un estraneo.
“Ti prego, non guardarmi così.” Sospira Arild con aria rassegnata. Per un istante abbassa lo sguardo sulle monete che ricoprono il pavimento, riflettendo la luce delle torce che illuminano la stanza. Una distesa d’oro ai suoi piedi.
“Eri tu.” Iselin scuote il capo, incredula. Vorrebbe potersi girare e andarsene, dimenticare quello che ha visto, ma non è così che l’hanno addestrata, ed allora si costringe a restare al posto. “Eri tu il responsabile dei furti.” La giovane sente la rabbia e l’indignazione invaderle l’animo, simile alle ondate crescenti di un’oscura marea. “Come hai potuto? Come hai potuto tradirci tutti… tradire me!”
Quell’ultima parola rimbomba nella stanza, rimbalzando sulle pareti quasi spoglie. Loro erano amici. Iselin si era sempre fidata, ed Arild aveva tradito la sua fiducia.
“Non l’ho fatto a cuor leggero. Io…” L’uomo scuote il capo e si passa la mano sul volto. “Dammi la possibilità di spiegare, ti prego.”
La ragazza si morde un labbro, indecisa, ma alla fine acconsente. Vuole vederci chiaro, e capire cosa può avere spinto quell’uomo che lei aveva sempre creduto onesto a compiere un simile gesto.
“Sono un idiota.” Comincia Arild. “Non puoi neanche immaginare di quanto mi vergogni per quello che ho fatto, Iselin.
“Allora perché lo hai fatto?”
“Per i debiti.” Geme lui, cogliendola di sorpresa. Non avrebbe mai immaginato una cosa del genere. “Ho un grosso debito con un uomo, un Bretone che mi sta con il fiato sul collo.”
“A quanto ammonta?” Chiede subito Iselin. La somma sottratta dalla sala del tesoro supera i cinquantamila Septim, un’enormità che la ragazza fatica anche solo ad immaginare.
“Ventisettemila Septim. In oro.” Le risponde Arild con voce rassegnata. “È cominciata oltre un anno fa, con le scommesse, alla taverna. Scommettevo e perdevo.”
Iselin annuisce. Sono in molti ad aver accumulato qualche piccolo debito in quel modo, soprattutto nei mesi invernali, quando il lavoro nei campi langue, e le serate vengono animate dall’alcool e da ogni genere di sfida. Lei stessa deve ancora cinquanta monete d’oro e quindici d’argento a Laksha, per una gara di bevute che ha perso ignominiosamente.
“Perdevo in continuazione, come una brocca incrinata, e non sapevo più cosa fare. Ma poi arrivò questo Bretone. Si offrì di prestarmi qualcosa per pagare i miei debiti, ed io, stupidamente, accettai. Andava tutto bene, finché un giorno i suoi uomini non si presentarono a casa mia, chiedendo la restituzione dei soldi che dovevo con gli interessi. ”
“Come hai potuto lasciare che il tuo debito crescesse tanto?” Esclama la ragazza, scandalizzata, ricevendo in risposta un mesto sorriso.
“Mi ricordi Torkild.” Sussurra tristemente Arild, ed Iselin sente il proprio cuore saltare un battito. Non è ancora passato un anno da quando Torkild, l’ultimo dei suoi fratelli, ha perso la vita a causa di una rissa alla taverna, ed il ricordo le fa ancora male.
“Lui lo sapeva?” Gli chiede, cercando di fermare il tremito della voce.
“Lo aveva scoperto quasi subito.” L’uomo abbassa il capo, ricordando quel Compagno d’Arme che era anche un amico. “A volte mi dava del denaro. Non chiedeva mai nulla in cambio.”
Iselin è allibita. Vorrebbe dire qualcosa, ma Arild non ha finito, e la blocca.
“Dopo che lui è… lo sai.” Il Guerriero fa una smorfia dispiaciuta. “Non sapevo cosa fare. È stato allora che ho cominciato a prendere il denaro della Gilda.”
“Per gli Dei.” Iselin si passa le mani sul viso, mordendosi le labbra. Mi avrebbe pensato possibile qualcosa del genere.
“Ogni volta che potevo entravo qua dentro e sottraevo qualche moneta. Non vado fiero di quello che ho fatto, ma ho agito per la mia famiglia.” Un’altra pausa, un altro sospiro. “Gli uomini del Bretone minacciarono di dare fuoco alla mia casa, con dentro mia moglie ed i miei figli. Non potevo fare altro.”
“Potevi denunciarli.” Esclama Iselin, incapace di restare in silenzio un altro minuto di più. “Potevi andare dalle guardie e…”
“E poi cosa?” Arild allarga le braccia, in un gesto di resa. “Le guardie potevano arrestare quegli uomini, ma ne sarebbero arrivati altri, e non si sarebbero limitati alle minacce. Dovevo procurarmi del denaro in fretta, ed è quello che ho fatto.” Sul suo volto bonario l’espressione rassegnata si fa più marcata. “Ho sottratto l’oro alla Gilda, e me ne vergogno. Ogni giorno, la quantità di monete che prendevo aumentava: prima erano solo poche manciate, poi divennero intere sacche. Portavo il denaro in un punto preciso della foresta. Ricordi il vecchio mulino, quello distrutto dall’incendio?”
Iselin annuisce. Tutti i bambini di Bruma hanno giocato tra le pietre erose dal fuoco del vecchio mulino, e lei non è stata da meno, ai suoi tempi.

“Nascondevo le borse piene d’oro sotto la soglia di pietra della porta d’ingresso. Ero certo che nessuno le avrebbe mai individuate, ed ero quasi riuscito ad accumulare abbastanza denaro da estinguere il mio debito, quando un giorno ho scoperto che qualcuno aveva frugato nel mio nascondiglio, senza lasciare nemmeno una moneta. Ero un vile, ed ora lo sarei stato doppiamente, perché avrei dovuto ricominciare tutto da capo.” Arild abbassa il capo. Non ha il coraggio di guardarla in volto, ed Iselin ne è felice, perché non è sicura che riuscirebbe a sopportare il suo sguardo abbattuto. “Così ho continuato a rubare, come un ignobile ladro da quattro soldi. Nel frattempo il mio debito era aumentato, perché non ero riuscito a pagare per tempo, mentre qui alla Gilda si erano accorti dei miei furti, ed avevano cominciato ad indagare. È stata una fortuna che io sia riuscito a farmi assegnare l’incarico.”
“Così potevi continuare a rubare indisturbato.” Dice la ragazza, con voce atona. “Ecco perché non abbiamo mai scoperto chi fosse il ladro.”
“Perché era il ladro a condurre le indagini. È esatto.” Arild si lascia sfuggire una risatina nervosa. “Diamine, sono proprio nei guai, ora.” Finalmente solleva la testa, guardandola con occhi colmi di disperazione. “Sono finito, Iselin.”
La giovane stringe i pugni. Le hanno insegnato come trattare con i furfanti, come uccidere uomini che si erano macchiati di qualche crimine senza provare rimpianto, come agire affinché la giustizia della Gilda potesse colpire gli ingiusti attraverso la sua mano. Ma nessuno le ha mai spiegato come comportarsi con un uomo onesto traviato dalla disperazione.
“Puoi ancora uscirne.” Gli dice, incerta. Non sa come, ma vuole provare ad aiutarlo. Perché sono amici, perché sono cresciuti nella stessa strada, a pochi metri di distanza, perché da ragazzo lui le ha strappato un bacio durante la festa di Mezza Estate, perché hanno combattuto insieme nella Sala di Addestramento, opponendo spada e scudo all’avversario, perché non riesce ad immaginare i lunghi tavoli della Mensa senza il suo volto bonario dalle guance rotonde in mezzo alle facce degli altri Guerrieri.
“Puoi uscirne. Puoi ancora riscattarti, ma devi parlarne con qualcuno.”
“Qualcuno come chi?” Sbotta Arild scuotendo il capo. “Qualcuno come Lars, o Juliet? O forse devo rivolgermi direttamente al Maestro Sadorn?”
“Loro capirebbero la tua situazione.” Mormora Iselin, ma il suo vecchio amico non sembra convinto.
“Certo, capirebbero. Capirebbero che io sono un elemento che infanga il nome della Gilda. Mi ucciderebbero, ed Alara e i bambini sarebbero costretti a vivere nella vergogna, elemosinando qualche soldo come dei mendicanti.”
Iselin vorrebbe negare, ma sa che Arild sta dicendo il vero. La punizione prevista dalla Gilda per ladri e traditori è la morte, ma non è solo il colpevole a pagare il fio delle proprie azioni. Un uomo che si macchi di tali colpe ricopre di vergogna la propria famiglia, che sarà vista con disprezzo e giudicata indegna di fiducia. Se Arild dovesse venire giustiziato per i suoi crimini, anche sua moglie ed i suoi figli dovrebbero pagare il prezzo dei suoi errori, e tutti gli sforzi da lui fatti fino ad allora per proteggerli dagli uomini del suo ricattatore diverrebbero vani.
“Posso parlare io, con Lars.” Esclama la ragazza, facendo un passo verso l’amico. “Lui mi ascolterà, e cercherà di aiutarti.”
“Lars ti ascolterebbe, certo, ma non muoverebbe un dito per salvarmi la pelle. C’è solo un modo, per risolvere la questione.” Arild sospira. Ha l’aria rassegnata, ma ora nei suoi occhi è comparsa una scintilla di decisione, come un uomo che, avvicinandosi al patibolo, decide che se proprio deve presentarsi davanti al boia, lo farà a testa alta e con la schiena diritta.
Con un gesti lenti si volta verso una delle teche che arredano la stanza e ne estrae una daga di fattura elfica. È una splendida arma, con l’elsa d’oro puro finemente intarsiata, e rubini grossi come noci incastonati nel pomo e lungo i bracci del guardamano. Sull’elegante lama, corta e lucente, si intravede una sottile patina verdastra: i residui del veleno di cui era intrisa; antichi, ma ancora letali.
“Cosa vuoi fare?” Iselin cerca di avvicinarsi di un altro passo nella sua direzione, ma non appena si muove, Arild solleva la daga con fare bellicoso.
“Indietro.” Le intima stancamente. “Non voglio farti del male, Iselin. Resta dove sei.”
La ragazza stringe le labbra con forza; vorrebbe estrarre la spada, perché si sente più sicura con un’arma in mano, ma l’uomo davanti a lei è scosso, e non vuole rischiare di venire attaccata con una lama avvelenata.
“Arild.” Lo chiama la giovane, con un tono lento e conciliante. “Abbassa la spada. Possiamo sistemare le cose: dimmi come si chiama l’uomo che ti ricatta, ed andrò a cercarlo personalmente.”
“Credi che non ci abbia provato?” La voce di lui sta prendendo una strana nota dura e disperata, che ad Iselin non piace per niente. “Ho cercato di mettermi in contatto con lui, ma era come se fosse svanito nel nulla. Si rende reperibile solo quando gli fa comodo, e poi sparisce di nuovo. Non so dove, né come trovarlo. Mi pare quasi di dare la caccia ad un fantasma.”
“Posso trovarlo. Posso darti una mano, se solo tu mi lasciassi…”
“Stai indietro!” Urla improvvisamente l’uomo, ed Iselin, che nel frattempo si è lentamente avvicinata, si blocca di colpo. La lustra lama della daga cattura la luce delle torce, mandando bagliori d’oro e d’argento.
“Arild…”
“C’è un solo modo per porre fine a tutto questo.” Mormora lui con aria disperata. “Promettimi che ti prenderai cura di Alara e dei piccoli.”
Iselin sente il panico affondarle le zanne nel petto e, con le mani levate, cerca di avvicinarsi con cautela.
“Arild, non c’è bisogno che io…”
“Promettilo!” Le intima lui alzando la voce, e la ragazza non può fare a meno di assentire.
“D’accordo. Penserò io a tua moglie e i tuoi figli, ma ora abbassa la spada.”
“Non avvicinarti.”
“Abbassa la spada, Arild.”
“Non avvicinarti, stai lontana!”
L’uomo la fissa. Rabbia, dispiacere e delusione si alternano sul suo viso segnato dalle battaglie.
“Arild.” Prova ancora la ragazza, cercando di farlo ragionare. È a pochi passi da lui e dall’arma avvelenata, e teme che possa attaccarla; nonostante tutto, continua a lasciare la spada nel fodero. Il guerriero è già fin troppo agitato, e potrebbe reagire male vedendosi puntare contro un’arma.
“Mi dispiace.” Mormora l’uomo, levando la daga.
Intuendo ciò che sta per accadere, Iselin si lancia in avanti con un grido. Vede la lama fendere l’aria, la temibile punta dal disegno elegante dirigersi verso il basso, ma per quanto desiri fermarlo, è ancora troppo lenta, troppo lontana.
La lama trapassa il morbido farsetto di pelle di Arild, che emette un gemito strozzato. Le sue ginocchia si piegano, ed in quel momento la ragazza lo raggiunge, circondando con le braccia il suo corpo robusto, nell’estremo tentativo di sorreggerlo. La bella elsa dorata della daga gli sporge dal ventre.
Incapace di sopportare le conseguenze che le sue azioni avrebbero avuto per i suoi cari, Arild ha preferito soccombere per mano propria, piuttosto che consegnarsi al boia e rendere pubblica la sua vergogna.
“Il mio diario.” Sussurra con voce roca, mentre si aggrappa alle spalle della giovane per non cadere. “Devi prenderlo…”
Ma Iselin non lo sta ascoltando. Con una mano afferra l’elsa, resa scivolosa dal sangue, e cerca di estrarla. Il veleno sulla lama è antico, ma ancora potente, e presto Arild comincia a mostrare i primi segni dell’avvelenamento; il suo corpo comincia ad essere scosso da brividi, che rendono difficile alla giovane strappargli la daga dal ventre.
“… sotto la radice. Ho scritto tutto…”
L’uomo viene colto da una serie di spasmi che lo obbligano ad interrompere quello che sta dicendo. Cercando di sostenerlo contro la spalla, la ragazza rinsalda la persa sull’impugnatura ed estrae l’arma dal ventre dell’uomo; un caldo fiotto di sangue sgorga dalla ferita, investendola ed inzuppandole gli abiti.
“Al mulino.” Mormora Arild, ma proprio in quel momento un urlo rabbioso si leva alle spalle della giovane, rimbombando con la forza di un tuono.
“Traditrice!”
Iselin si volta di scatto, con gli abiti imbrattati di sangue e  l’arma gocciolante in pugno, mentre il compagno ferito scivola a terra.
Laksha l’Orco è sulla soglia, con un’espressione furente sul grugno sfigurato. I suoi piccoli occhi mandando lampi di collera, e brandisce l’ascia con fare bellicoso.
“Traditrice!” Muggisce ancora, ed il suo grido assordante rimbalza sulle pareti. L’eco della sua voce non si è ancora spenta, che lui solleva l’arma e si lancia alla carica.
Nonostante la mole, Laksha è incredibilmente veloce, ed Iselin schiva il primo colpo per un soffio; mentre si china, sente la lama affilata sibilarle a pochi centimetri dal capo.
Stringendo spasmodicamente la piccola daga insanguinata, la ragazza tenta una stoccata. L’orco è coperto da una pesante cotta a maglia doppia, lunga fino ai polpacci, e difficilmente il suo colpo riuscirà a ferirlo, ma il suo intento è solo quello di tenerlo a bada, mentre la sua mente cerca disperatamente di trovare una soluzione.
Mentre piroetta per schivare un secondo fendente, scorge il corpo di Arild con la coda dell’occhio, riverso tra le monete. Non le serve una seconda occhiata per capire che non ce l’ha fatta, e dentro di sé comincia a sentire il terrore e la disperazione crescere rapidamente.
Potrebbe raccontare cosa è accaduto in realtà, ma nessuno le crederebbe: il cadavere del suo vecchio amico e la testimonianza di Laksha, che l’ha vista estrarre la daga insanguinata dal suo corpo, sono prove più che sufficienti per condannarla a morte. Deve trovare il diario di Arild, ed a quel pensiero si lascia sfuggire un gemito angosciato. Perché non ha prestato più attenzione alle sue ultime parole?
All’improvviso si ode un urlo strozzato, che distrae la ragazza; è solo per pura fortuna se riesce ad evitare il colpo vibrato dall’Orco.
Voltandosi quel tanto che le consente il combattimento, vede Lars, fermo sulla soglia, con l’espressione ferita e disperata di un uomo tradito. L’unico occhio dell’uomo saetta dal corpo esangue riverso al suolo, agli abiti imbrattati della giovane; vede le monete, il sangue, e sente le urla di Laksha che la accusano di tradimento, e stringendo le labbra estrae la spada.
La stanza è diventata incredibilmente affollata e caotica. Non c’è abbastanza spazio per combattere con un’arma lunga, ma l’Orco continua a roteare l’ascia ed a menare fendenti come se falciasse il grano, devastando le teche ed i cimeli raccolti nella Sala del Tesoro. Iselin sa che, senza scudo e senza armatura, non può resistere a lungo all’attacco dei due uomini; approfittando di una falla nella guardia di Laksha, la ragazza schizza sotto il suo braccio, dirigendosi verso la porta. Lars cerca di fermarla, vibrandole un colpo all’altezza delle caviglie, ma la giovane, memore dei suoi stessi insegnamenti, indossa stivali rinforzati internamente da lamine di metallo. La lama rimbalza sulle protezioni nascoste, ma la forza del fendente è tale che Iselin avverte comunque un dolore acuto serpeggiarle lungo la gamba, tale da farla incespicare e cadere in terra. Fa appena in tempo a sollevarsi ed a fuggire oltre l’uscio, che la pesante ed affilatissima lama dell’ascia si abbatte nel punto da lei occupato solo poco prima.
Con il cuore che le rimbalza nel petto, la ragazza si fionda lungo la rampa di scale, saltando i gradini due a due. Dietro di sé sente i rapidi passi di Lars, lanciato al suo inseguimento, che senza l’impaccio di una cotta o di un’armatura, procede molto più rapidamente dell’Orco.
Con un balzo Iselin supera gli ultimi tre scalini, piombando nella Sala Principale. Laggiù lascia cadere in terra la daga che ha ucciso Arild e sguaina la spada, dirigendosi verso l’ingresso. Dietro di sé sente le urla dei suoi inseguitori, ed improvvisamente comprende che deve fuggire dalla sede della Gilda. Se resta, non avrà scampo; ha bisogno di trovare un luogo dove riflettere, riprendersi da ciò che ha scoperto e capire come trarsi da quell’impiccio.
“Fermati.” Le ingiunge la voce di Lars, terribilmente vicina. Iselin si lancia un’occhiata alle spalle, e proprio in quel momento lui la afferra per un braccio e la strattona all’indietro. La ragazza solleva istintivamente la spada per parare un colpo inesistente, e l’uomo approfitta della sua confusione per metterla con le spalle al muro. Non vuole ucciderla, questo la giovane lo sa; se lo avesse voluto, lo avrebbe già fatto, con una stoccata al ventre,oppure un fendente ben piazzato all’altezza del collo, quando ne aveva la possibilità. Tutto ciò che vuole è fermare la sua fuga, obbligarla a restare, anche se questo significa condannarla a morte.
“Uccidila!” Sbraita Laksha, facendo capolino in quel momento dalla cima delle scale. Il guerriero osserva la ragazza, esita, e quell’attimo gli è fatale.
Approfittando della sua momentanea distrazione, Iselin si catapulta in avanti, spingendolo e facendogli perdere l’equilibrio. Non si volta a guardare fino a quando, giunta nell’atrio d’ingresso, non sente le urla.
Solo allora si guarda alle spalle, e quello che vede le fa gelare il sangue. Incespicando all’indietro, Lars è finito nell’unico braciere di fuoco magico presente in tutta la sede di Bruma, ed ora è avvolto da quelle fiamme azzurrine, che gli consumano le vesti e gli bruciano la carne.
Inorridita, la ragazza osserva quell’uomo che ha sempre amato come un padre dibattersi tra le lingue infuocate, e dalle labbra le sfugge un gemito mortificato. Vorrebbe tornare indietro, aiutarlo, ma sa che se solo osasse avvicinarsi, l’ascia di Laksha le piomberebbe addosso, senza lasciarle scampo.
Così, stringendo i denti, spinge il battente ed esce in strada. Uno scroscio d’acqua la accoglie, bagnandole gli abiti, facendole aderire i capelli al capo ed inzuppandole il mantello di lana, rendendolo pesante e gravido d’acqua. Alla fine, si è messo davvero a piovere.

Le strade di terra battuta sono fiumi di fango, in cui i suoi stivali affondano, scivolano, rendendole difficile la fuga. Nonostante tutto, la ragazza continua a correre, giungendo fino alle scuderie.
Vorrebbe prendere un cavallo, ma ci ripensa quasi subito: attorno a Bruma vi sono boschi fitti ed intricati, e l’unico modo per attraversarli agilmente e senza lasciare tracce è farlo a piedi, senza l’impaccio di una cavalcatura.
Le guardie, rintanate sotto la tettoia della guardiola, accanto alle mura, la osservano passare di volata davanti a loro, ma non accennano minimamente a fermarla. Non ne hanno ragione, e così Iselin oltrepassa le porte della città, con la pioggia fredda che le schiaffeggia il viso ed il fango che le risucchia gli stivali ad ogni passo.
Rapida come non è mai stata si lascia alle spalle Bruma, la Gilda e tutta la sua vita.
Perché ormai sa che non potrà più tornare indietro.
Tutto quello che può fare è andare avanti, verso nuove terre, dove i Guerrieri che saranno mandati a darle la caccia non la troveranno.
Ma prima ha ancora un compito, da svolgere.
 
Farkas osservò Iselin, in attesa.
“E poi?” Le chiese, come un bambino che si vede interrompere una favola proprio sul più bello. “E poi cosa è successo?”
La ragazza sbuffò e si grattò il naso. Per tutta la durata del racconto aveva mantenuto un’aria tesa, ma ora sembrava solo infastidita.
“Dopo essere fuggita da Bruma, andai al mulino, dove Arild aveva nascosto l’oro. Sotto la radice di una vecchia quercia trovai il suo diario, e con le informazioni contenute riuscii a trovare il Bretone che lo ricattava ed estinsi il debito.” Spiegò Iselin, facendo un segno eloquente con la mano per indicare che quell’uomo non sarebbe più stato un problema per nessuno. I suoi occhi saettarono rapidamente lungo le ombre della foresta, quindi tornarono a puntarsi su Farkas. “Non potevo tornare. Tutti, alla Gilda, credevano che io fossi colpevole dei furti e dell’omicidio di Arild, e ne avevano tutte le ragioni, dal momento che, fuggendo, avevo quasi ucciso Lars.”
L’imponente Compagno assunse un’aria perplessa. Era sollevato per aver scoperto la verità sulla giovane, ma ancora non riusciva a capire perché lei non si fosse limitata a dare la sua versione dei fatti.
“Nessuno mi avrebbe creduta.” Gli rispose Iselin, quando il guerriero glielo chiese. “Inoltre, avevo giurato ad Arild che mi sarei presa cura della sua famiglia.”
Questo rese Farkas ancora più confuso. Come poteva la ragazza vegliare su qualcuno che si trovava a centinaia di chilometri di distanza?
“Non capisco.” Le disse, aggrottando la fronte.
“Non potevo raccontare chi fosse il vero responsabile dei furti, o avrei condannato la famiglia di Arild ad una vita di miseria, perché nessuno avrebbe mai voluto averci nulla a che fare. Allo stesso modo, non potevo dire che si era ucciso da solo: la Gilda aiuta le vedove e gli orfani dei guerrieri uccisi in battaglia, ma non dei suicidi.” Iselin spostò nervosamente lo sguardo verso un punto nella boscaglia e sfiorò il pomo della spada con le dita. “Dal momento che i miei Compagni d’Arme mi consideravano colpevole, decisi di accollarmi la colpa, se non altro per tener fede al mio giuramento.”
A queste parole, Farkas annuì. L’ultima parola data ad un uomo in punto di morte era un vincolo imprescindibile, e quella regola era radicata a fondo nell’animo di ogni guerriero; nessuno che si considerasse tale avrebbe mai infranto una simile promessa.
“Senza contare che è in parte colpa mia, se Arild è morto.” Riprese la giovane. “Io ero lì, e non sono riuscita a fermarlo.”
“Oh.” Borbottò Farkas, incapace di dire altro. La sua mente stava goffamente cercando di  trovare qualcosa da dire quando, sotto la luce delle lune, vide Iselin sollevare le mani ed allentarsi i lacci del corpetto con dita agili.
“C’è ancora una cosa.” Mormorò la ragazza, tenendo lo sguardo basso, e Farkas inclinò la testa, osservandola mentre si scioglieva i nodi delle stringhe di cuoio. Non poteva credere che lei volesse veramente… no, diamine, persino lui capiva che non era proprio il momento adatto per una cosa del genere. Certo, non poteva negare che gli sarebbe piaciuto. A pensarci bene, magari avrebbe anche potuto fare uno strappo alla regola e…
“Ecco.” Allentati i lacci, Iselin sollevò un lembo di cuoio, mostrando il fianco nudo; lì, a contatto con la pelle, ben incastrato nel bordo di pelliccia dell’armatura, c’era uno strano oggetto di forma vagamente rettangolare, avvolto nella carta cerata.
La ragazza afferrò il bordo di quel piccolo involto e lo sfilò dalla cintura, ponendolo poi tra le mani del guerriero.
Sconcertato, Farkas aprì i lembi incerati della copertura, portando alla luce un piccolo volume rilegato in pelle, che conservava ancora il calore del corpo della giovane. A quella vista, si sentì pervadere da una terribile delusione. Perché Iselin gli stava dando un libro? Sapeva che lui non leggeva; era sempre stato suo fratello quello a cui piacevano quel genere di cose. Forse, allora, era un regalo per Vilkas? Erano davvero divenuti così intimi che lei, al momento della fuga, non pensava ad altro che a mandargli un dono?
“È il diario di Arild.” Disse Iselin, ponendo fine ad ogni suo dubbio. “Al suo interno è riportata tutta la vicenda. Lo tengo con me da quando l’ho trovato, anche se forse avrei fatto meglio bruciarlo anni fa.”
Farkas si rigirò il diario tra le mani mentre, lentamente, il significato di quelle parole penetrava nella sua mente.
“Qui c’è scritto che sei innocente?” Domandò ottusamente, passando un pollice sulle pagine rese ondulate dall’umidità. Stringendo i lacci sul seno, Iselin annuì, senza dire una parola.
“Ma allora devi dirlo a Lars.” Proruppe Farkas. “Devi portargli il diario, e dirgli che sei innocente. Ti crederà.”
Inaspettatamente, la ragazza scosse la testa, sospirando esasperata. Stranamente, non sembrava condividere il suo stesso entusiasmo a quella scoperta.
“Se glielo mostrassi, tutto quello che ho passato per tener fede al mio giuramento non sarebbe valso a nulla. Il diario verrebbe portato a Bruma, e la famiglia di Arild allontanata dalla città. Senza contare che Lars mi ucciderebbe non appena fossi alla portata del suo arco. Guarda.” Disse, sollevando un braccio e mostrando una sottile cicatrice sulla parte interna. “A Daggerfall me la sono cavata per pura fortuna. Se non mi fossi spostata, la sua freccia mi avrebbe trafitto il petto.”
“Ma…”
“Niente ma, Farkas.” Lo interruppe la giovane. “Torna a casa. Torna a Jorvaskr, lancia questo diario nella forgia di Eorlund e non raccontare mai a nessuno ciò che ti ho detto.”
Farkas era sconcertato. Si era aspettato che Iselin fosse felice di vederlo, invece lei sembrava non pensare ad altro che a fuggire, e lo esortava ad andarsene e a lasciarla sola.
Stava per ribattere che lui non voleva abbandonarla, quando un ululato squarciò la notte.
“Aela.” Sussurrò Iselin sbiancando in volto. “Non posso restare, Farkas. Tu va’, torna indietro.”
“Vengo con te.” Si offrì il guerriero stringendo i pugni, ma la ragazza scosse con veemenza la testa.
“Saranno qui a breve. Vattene, e non seguirmi.”
“Ma io…”
“Vai!” Gli ordinò Iselin, dandogli uno spintone, e prima che lui potesse risponderle, si voltò e scomparve con un balzo tra le ombre notturne.
Rimasto solo, Farkas abbassò lo sguardo sul diario che stringeva ancora tra le mani. Non capiva come avesse fatto a farsela sfuggire un’altra volta. Un attimo prima lei era lì, così vicina che avrebbe potuto stringerla tra le braccia, e quello dopo era svanita.
Un secondo ululato si levò nella notte, ed il guerriero si voltò di scatto, scrutando la foresta buia alle proprie spalle.
Iselin gli aveva dato delle istruzioni, ma non era sicuro di volerle seguire. Scrutò ancora una volta il piccolo volume rovinato dal tempo, chiuso con uno spago che cominciava a sfilacciarsi, ed un’idea cominciò lentamente a prendere forma nella sua testa.
Lui teneva tra le mani la prova dell’innocenza della ragazza. Se Vilkas avesse saputo quello che Iselin gli aveva raccontato, o se avesse letto quel vecchio diario, di sicuro avrebbe capito che si era trattato solo di un errore.
Tutti la credevano colpevole, ma lui avrebbe fatto cambiare loro idea.
In fondo, anche se la ragazza non lo voleva accanto, poteva ancora aiutarla.
 
 
 
“Aela.”
Lars sollevò il capo. Vilkas era immobile, con lo sguardo fisso in un punto imprecisato della boscaglia, con il corpo teso come quello di un cane da caccia che ha puntato una preda.
“Come hai detto?” Chiese il Guerriero della Gilda, muovendo qualche passo nella sua direzione.
“Aela ha trovato una traccia.” Il giovane Compagno mosse impercettibilmente il capo. “Da quella parte.” Aggiunse, indicando con una mano verso est.
“È lei, a fare questi versi?” Lars inarcò un sopracciglio fin quasi a farlo sparire sotto il bordo del suo cappuccio di cuoio. Aveva udito gli ululati, ma aveva creduto che si trattasse di un semplice lupo.
“È lei.” Gli confermò Vilkas. Fece per raggiungere il cavallo, ma poi sollevò il capo, come se fiutasse qualcosa, e cambiò immediatamente direzione.
“Dove stai andando?” Lo richiamò Lars, irritato. Tra le fila di Bruma, nessun Guerriero abbandonava i compagni senza dare spiegazioni, mentre sembrava che per la gente di Jorrvaskr fosse una pratica comune. Disciplina, ecco cosa serviva da quelle parti.
“Tu prosegui in questa direzione.” Rispose Vilkas, mentre toglieva un pesante sacco dalla groppa del suo cavallo. Si era portato quell’involto da Whiterun, ma non lo aveva mai aperto; anzi, pareva quasi che, qualunque cosa ci fosse all’interno, non gli andasse molto a genio: sia il giovane che Aela impallidivano quando vi si avvicinavano, ed assumevano un’aria nervosa e tesa, come animali selvatici che avvertono la presenza del predatore.
“Ti ho fatto una domanda, ragazzo.” Lo riprese Lars, con voce stentorea. “Dove stai andando?”
Ma Vilkas non si dimostrò affatto impressionato dal suo tono. Si limitò a lanciargli un’occhiata da sopra la spalla, con il misterioso sacco tra le braccia.
“Tu raggiungi Aela.” Gli rispose con irritazione. “Io a vado a prendere mio fratello.”
 
 
 
Con il muso ben levato per percepire ogni minimo odore, Farkas si aggirava nella foresta, cercando una traccia che gli svelasse la posizione di Vilkas ed Aela.
Non pensava all’uomo della Gilda che li seguiva. Tutto ciò che contava era rintracciare i suoi Fratelli di Scudo e spiegar loro che Iselin era innocente.
Avrebbe potuto cercarli anche sotto forma umana, poiché il suo fiuto era particolarmente sviluppato, persino per un mannaro, ma durante l’inseguimento aveva riscoperto il piacere e la libertà della trasformazione, e così aveva preferito assumere le sembianze del lupo.
Vilkas si arrabbierà, ma non importa.” Pensava, mentre i suoi occhi feroci scrutavano nella notte. “Quando verrà a sapere la buona notizia, sarà felice anche lui.”
Era così impegnato ad immaginarsi la reazione del fratello alla scoperta dell’innocenza di Iselin, che gli pareva quasi di sentirne l’odore.
Con un guaito sorpreso, Farkas si fermò, annusando rumorosamente l’aria.
No, non era una sua impressione. Vilkas era realmente passato di lì, ed era accaduto di recente.
Abbassando il capo, accostò il naso umido al terreno, seguendo la scia olfattiva che si dipanava tra i muschi del sottobosco. Procedeva freneticamente, spostando la grossa testa nera da un lato e dall’altro ed emettendo sonori sbuffi dalle narici, come un cane da caccia che fiuta una pista.
Seguì la traccia fino ad un cumulo di terriccio appena smosso; lì l’odore era tanto forte da togliergli ogni dubbio. Suo fratello si era fermato proprio in quel punto, ed era accaduto solo pochi minuti prima.
Incuriosito, Farkas smosse la terra morbida con una zampa e vide qualcosa fare capolino sotto un primo strato di copertura. Aiutandosi con il muso e gli artigli scavò nel terriccio morbido ed umido del sottobosco, fino a riportare alla luce un bracciale di cuoio.
E questo cosa ci fa qui?” Si chiese il giovane perplesso, annusandone i bordi. Era così assorto dal suo ritrovamento che udì appena il fruscio sopra la propria testa, e prima che potesse alzare il capo una rete gli piovve sulle spalle, inchiodandolo a terra.
Normalmente non avrebbe avuto problemi scrollarsela di dosso, ma chiunque avesse fabbricato quella trappola in particolare aveva avuto la terribile idea di intrecciare dei fili d’argento alle strisce di pelle di horker, e di incantare la sua opera perché nessuno riuscisse a liberarsene.
Sentendo il gelo caustico del metallo sulla pelle, Farkas ruggì di rabbia e di dolore, gonfiando i muscoli ed artigliando il terreno, ma per quanto si dibattesse la rete restava al suo posto, tenendolo prigioniero.
“È inutile che ti agiti tanto.” Disse una voce laconica alle sue spalle, ed il giovane voltò il capo quel tanto che gli permetteva la scomoda posizione in cui era costretto.
Vilkas.” Uggiolò Farkas, sorpreso e sollevato alla vista del fratello appena sbucato da dietro una roccia.
Vilkas si fermò a qualche passo da lui, restio ad avvicinarsi a causa dell’aura caustica sprigionata dall’argento. Sul viso gli si leggeva rabbia ed indignazione, ed il suo gemello si sentì improvvisamente in colpa; lentamente allontanò la bestia da sé, lasciando che il suo folto vello nero scomparisse ed il grugno allungato tornasse ad assumere sembianze umane, fino a che, sotto la rete incantata, non vi fu più un lupo dalle fattezze grottesche, ma un giovane uomo steso sul ventre, con i capelli arruffati.
“Lo hai fatto ancora.” Cominciò Vilkas, con voce mortalmente calma. “Avevi promesso che non ti saresti più trasformato.”
“Mi dispiace.”
“Scusarti non servirà a farti ascendere a Sovngarde. Ma di questo ne parleremo a casa. Ora ho bisogno che tu risponda alle mie domande.” Farkas sollevò lo sguardo sul fratello, che si accucciò sui talloni per guardarlo in viso. “Lei dov’è?”
“Chi?” Chiese il giovane a terra, grugnendo per la sofferenza che gli provocava il contatto con l’argento.
“Iselin. Dove si trova, adesso?”
“Non te lo dico.”
Vilkas emise un ringhio frustrato ed appoggiò un ginocchio in terra, in modo da potersi abbassare per fissare il fratello negli occhi.
“Dimmi dov’è, Farkas. È importante.”
“No.” Ripeté Farkas con l’ostinazione di un bambino, voltando il capo dall’altra parte e costringendo il gemello a spostarsi per poterlo guardare in viso.
“So che l’hai trovata, sento il suo odore su di te.” Rincarò Vilkas, ma quando capì che non avrebbe ottenuto risposta colpì rabbiosamente il terreno con il pugno. “Dannazione. Come puoi continuare a proteggerla dopo tutto quello che ha fatto?”
Il giovane guerriero in terra assunse un’espressione caparbia e cercò nuovamente di scrollarsi di dosso la rete che gli gravava sulle spalle, ma non appena cercò di liberarsene, l’incantamento che era stato intessuto nella trama cominciò ad assorbire le sue forze, obbligandolo a desistere.
“Non è stata lei.” Bofonchiò Farkas, appoggiando una guancia sul terriccio umido con aria offesa.
“Ah, certo. Ed immagino che te lo abbia detto lei, non è così?” Chiese Vilkas, e quando vide il fratello annuire si lasciò sfuggire un gemito esasperato, passandosi una mano tra i capelli. “Non so davvero come tu riesca ad essere così stupido, a volte. Iselin ti ha mentito, e lo ha fatto solo perché sapeva di poterti raggirare.”
“Non è vero.”
Quel commento ebbe l’unico effetto di alimentare l’irritazione di Vilkas, che strinse i pugni nell’estremo tentativo di tenere a freno il lupo che spingeva per liberarsi. Gli ci volle qualche istante per riprendere il controllo, e quando finalmente ci riuscì tremava per lo sforzo, la rabbia e la frustrazione di essere costretto a dividere il proprio corpo con la bestia.
In quel momento, Farkas fu quasi tentato di parlargli del diario di Arild, nascosto insieme ai suoi vestiti in mezzo alla foresta. Ma poi gli tornarono alla mente Iselin, che gli chiedeva di distruggerlo, e soffocò le parole che stavano per sgorgargli dalle labbra.
“Aela è già sulle sue tracce.” Disse Vilkas all’improvviso, osservando Farkas che continuava ad ostentare un broncio offeso. “Lei e Lars la troveranno comunque. Ma se mi dici dov’è, posso arrivare prima di loro.”
“Per farle del male?” L’imponente Compagno squadrò il fratello da sotto in su con i suoi occhi di ghiaccio. “Iselin è innocente.” Ribadì ancora una volta, e Vilkas grugnì di rabbia.
“Se vuoi continuare ad esserne convinto, allora fai pure.” Sbottò risentito. “Seguirò Aela. E smettila di agitarti.” Aggiunse, vedendo che Farkas aveva ripreso a dibattersi per liberarsi. “Tornerò a toglierti questa rete di dosso, fratello.”
E datagli una pacca sul groviglio di capelli arruffati, il guerriero si alzò e si allontanò, lasciando il suo colossale gemello alle prese con l’argento e la magia della trappola.
“Non lasciarmi qui!” Gli urlò il giovane rimasto a terra, cercando di opporsi alla propria prigione, ma la rete non cedette né si spostò di un centimetro.
Ed ora, come faccio?” Si chiese tristemente Farkas, stringendo tra le dita il terriccio umido. Aela e Lars avrebbero raggiunto Iselin, e la ragazza sarebbe stata spacciata.
Ma c’è ancora una possibilità.” Si disse, sorprendendo persino sé stesso per quel pensiero improvviso. “Posso ancora fare qualcosa. Devo solo riuscire a liberarmi.”
 
 
 
Aela correva rapida sotto le fronde, i piedi fasciati nei suoi morbidi stivali di pelle che battevano un ritmo ovattato e costante sul terreno muscoso.
Alle sue spalle riusciva a sentire il tintinnio dei finimenti del cavallo di Lars, che procedeva con difficoltà attraverso l’intrico di rami ed arbusti della foresta. Avrebbe dovuto aspettarlo, ma aveva trovato la traccia lasciata da Iselin, e non voleva rischiare di perderla. La ragazza procedeva davanti a lei, invisibile, ma vicinissima: l’odore che aveva lasciato dietro di sé era intriso di paura, ed abbastanza forte da dirle che la fuggitiva era passata di lì da non più di qualche minuto.
Mentre correva, inclinò istintivamente il capo alla ricerca di un rumore di passi alla sua destra, ma poi si riscosse; per la prima volta da quando aveva accettato il sangue di bestia, Skjor non era con lei, e la sua mancanza si faceva sentire. Alla donna non era mai capitato di cacciare senza il compagno, ma le sarebbe piaciuto averlo accanto quando, di lì a breve, avrebbero raggiunto Iselin.
Con un agile balzo, Aela scavalcò un vecchio tronco caduto e continuò la sua corsa. In quel punto gli alberi cominciavano a diradarsi, e sapeva che, di lì a poco, si sarebbero fatti ancora più radi, fino a scomparire del tutto sui margini di una scarpata che dava su una piccola radura.
Mano a mano che la vegetazione si faceva meno fitta, Lars guadagnava terreno, spronando il suo cavallo con la stessa fermezza con cui aveva condotto l’inseguimento. La donna sentiva il tonfo degli zoccoli farsi sempre più vicino, fino a che, all’improvviso, non se lo trovò di fianco.
“Dov’è?” Le chiese l’uomo in sella. Il suo lungo manto rosso sventolava sulla groppa della sua cavalcatura, dandogli un’aria drammatica.
“Davanti a noi.” Rispose Aela, con il fiato corto per la corsa. “È vicina.”
Dando di sprone, Lars la superò ma la donna sapeva che non sarebbe andato distante. Ad un centinaio di metri dal punto in cui si trovavano, il terreno veniva interrotto bruscamente da un ripido declivio, e proprio come immaginava, lo trovò poco più in là, ad aspettarla sull’orlo della scarpata. Il Guerriero era smontato da cavallo, ed il suo unico occhio era fisso su una figura che si muoveva in lontananza. Aela riconobbe la figura di un lupo mannaro che avanzava rapido sulle quattro zampe, il lucido pelo chiaro simile ad una pallida macchia nell’oscurità.
“È lei, quella… cosa?” Chiese Lars titubante, e quando la donna annuì strinse le labbra con amarezza. “Per gli Dei.” La sua voce era un mormorio incredulo, carico di rammarico.
“Andiamo.” Lo incalzò Aela, avvicinandosi al ciglio del declivio per cercare un punto da cui scendere. Iselin era già terribilmente lontana, più di quanto avesse creduto, e non c’era altro modo per fermarla che correrle appresso, starle con il fiato sul collo fino a che non fossero riusciti a prenderla per sfinimento.
La donna stava per cominciare la discesa, quando Lars la richiamò indietro. Da una delle sacche legate ai fianchi del cavallo aveva estratto un lungo arco a doppia curvatura ed una faretra con le frecce avvolte una ad una in pezzi di stoffa, perché le punte non arrugginissero o si rovinassero, perdendo il filo.
“Non è il momento di perdere tempo.” Ringhiò Aela. Sentiva dentro di sé il lupo spingere per lanciarsi all’inseguimento della preda, e la irritava vedere come quell’uomo quasi sconosciuto intralciasse la sua caccia.
“Puoi correrle dietro, se vuoi.” Commentò Lars con tono distaccato, mentre tendeva l’arco ed agganciava la corda all’estremità superiore. “Ma sarebbe solo fatica sprecata. Se la rallentiamo, sarà più facile.” Una delle sue mani guantate estrasse una freccia dalla faretra e svolse il pezzo di tela che l’avvolgeva, e non appena il dardo venne liberato, Aela rabbrividì.
La cuspide affilata, che riluceva alla fosca luce lunare che penetrava attraverso le nuvole, emanava il freddo caustico dell’argento, l’unico metallo in grado di ferire davvero un mannaro.
“Perché porti con te frecce d’argento?” Lo interrogò nervosamente, facendo un passo indietro.
Lars sfiorò con le dita l’impennaggio bruno della freccia e la osservò con attenzione, controllando che l’asta non fosse danneggiata; un dardo montato su una bacchetta storta poteva far mancare il bersaglio anche al migliore degli arcieri, ed il legno, a contatto con l’umidità, poteva cambiare forma, rendendo nullo un tiro perfetto.
“L’argento, in una lega, permette di lavorare il metallo con facilità.” Rispose l’uomo. “Associato al condurum, lo rende abbastanza flessibile da non spezzarsi, senza togliergli resistenza.”
Con estrema calma, Lars incoccò la freccia e tese la corda, portando il braccio all’indietro. La doppia curvatura dell’arma gli avrebbe permesso di imprimere al dardo una forza maggiore e di raggiungere una gittata superiore rispetto ad un normale arco delle medesime dimensioni.
“È troppo lontana.” Gli fece notare Aela. Come le ripeteva spesso Skjor, lei era una cacciatrice nata, e sapeva bene quello che ci voleva per abbattere una preda. Ma il Guerriero della Gilda sembrava deciso a non darle ascolto.
“È lontana.” Ripeté la donna.
Per tutta risposta, Lars tese ancora di più l’arco con un gesto secco ed all’improvviso mollò la corda, scoccando la freccia. Aela seguì con i suoi occhi acuti la parabola tracciata dal dardo finché non lo vide scomparire tra le tenebre; era quasi convinta che il tiro fosse andato a vuoto, quando vide la figura di Iselin sussultare e fermarsi.
“Resta qui.” Le impose Lars, voltandosi con l’arco in pugno e montando a cavallo.
“Vuoi affrontarla da solo?” Aela sentì la sua lupa ribellarsi all’idea con un ringhio furioso. La ragazza era stata un membro del branco, e se c’era qualcuno a cui toccava il compito di finirla, quella era lei.
“Resta qui.” Ripeté il Guerriero. “Aspetta Vilkas.” E senza aggiungere altro piantò i talloni nei fianchi della sua cavalcatura, spingendola oltre il ciglio della scarpata.
Il cavallo cominciò la discesa, scivolando con gli zoccoli sul terriccio morbido, in alcuni punti già scalzato dai piedi di Iselin. Oltre le spalle diritte di Lars si estendeva la piccola valle, e laggiù Aela vide la sua vecchia compagna di caccia, stesa al suolo; mentre la guardava, i contorni del suo corpo presero a tremolare, e dopo un breve istante la sagoma massiccia dal vello chiaro lasciò il posto ad una figuretta pallida e sottile.
È giunto il momento della resa dei conti.” Pensò Aela, osservando Iselin. “E che Hircine possa avere pietà di te. Perché Lars non l’avrà di certo.”
 
 
 
Con gli abiti avvolti nel mantello, Iselin fuggiva.
Dopo essersi lasciata Farkas alle spalle, aveva percorso ancora qualche metro, quindi si era spogliata rapidamente ed aveva assunto le sembianze del lupo.
Sentendo il fiato degli inseguitori sul collo, si era diretta ad est, e per poco non si era rotta l’osso del collo quando all’improvviso si era trovata davanti una ripida scarpata. Sbandando e scivolando era giunta fino ad un avvallamento quasi del tutto privo di alberi, mentre sopra la sua testa le nuvole si addensavano, grigie e gravide di pioggia, nascondendo le due lune e preparandosi a scaricare sulla sua testa una gran quantità d’acqua.
Stava correndo a perdifiato nella vallata, quando un improvviso dolore lancinante le aveva morso la coscia, irradiandosi lungo la gamba.
Senza fiato per il dolore, era crollata a terra. Sentiva una morsa gelida penetrarle in corpo, facendola rabbrividire, e quando, abbassando il capo, aveva visto la freccia che le spuntava dalla coscia, aveva immediatamente compreso ciò che era accaduto.
Lars.”
Voltandosi rapidamente aveva scorto due figure sull’altura da cui lei era discesa solo pochi minuti prima, e senza pensarci oltre aveva tranciato la punta del dardo con un morso delle poderose fauci.
La cuspide lucente emanava l’aura di freddo caustico tipica dell’argento, ed Iselin aveva capito che non le sarebbe stato facile rimettersi in piedi.
Così si era ritrasformata. Stringendo i denti, aveva affrontato il dolore che accompagnava ogni cambio di forma, ed ora, con la gamba sanguinante ed insensibile, si affannava a raggiungere gli abiti che erano caduti poco più in là, spargendosi sul terreno. Con mani tremanti la ragazza allacciò le stringhe del corpetto e si avvolse attorno ai fianchi la parte inferiore dell’armatura, e quando si gettò una seconda occhiata alle spalle, vide un uomo a cavallo galoppare nella sua direzione, e capì che non era più tempo di fuggire.
Una piccola goccia le cadde sul dorso della mano, mentre si allungava per afferrare il cinturone con la spada, ed un sorriso amaro le comparve sul volto. Usando la spada per puntellarsi al suolo, Iselin si sollevò su un ginocchio e poi, con estrema fatica, si sollevò in piedi, mentre la gamba destra, resa insensibile dall’argento, continuava a sanguinarle copiosamente.
Una seconda goccia la colpì sullo zigomo, ed il suo sorriso prese una piega disperata.
La sua fuga era giunta al termine. Ora era giunto il momento di combattere.













 
Ed è davvero il momento di combattere. La fuga è finita, siamo quasi giunti al termine della storia, e tutto quello che rimane da fare ora è prendere il secchiello di pop corn ed assistere al duello tra Lars ed Iselin.
E con questo capitoletto bello lungo e corposo, vi lascio e vi do appuntamento alla prossima settimana.
 
(P.S.: Come sempre, se qualcosa non vi torna, ditemelo: ho bisogno di critiche, anche se fossero “Fai pena, ritirati”, perché sento di aver ancora molto da imparare, e per migliorare ho bisogno del vostro aiuto.)
 
  
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