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Autore: Medea00    07/10/2013    4 recensioni
Raccolta in cui sono contenute tutte le OS che ho scritto per le Seblaine Sundays e l'iniziativa domeniche a tema, organizzata dal gruppo Seblaine Events. Tutti i rating e i generi che mi passano per la testa.
23/06: Supernatural!AU
30/06: Babysitting
21/07: Dystopic!AU
1/09: Aeroporto
15/09: Magia
22/09: Literature!AU
6/10: 4 canzoni del tuo Ipod
20/10: Raffreddore
27/10: Scommessa
17/11: Esame andato male
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events .



 

Prompt: 4 sono le canzoni che voi dovrete utilizzare. 4 canzoni donate direttamente dalla riproduzione casuale e mi raccomando non barare, lasciate tutto in mano al caso. Può essere di tutto: uno dei due deve fare un provino ed è indeciso; uno vuole fare il romantico (fallendo) regalando una mini playlist all'amato con canzoni scollegate fra di loro; si incontrano in un talent o tante altre situazioni, ce ne sono tante lasciate libera la fantasia. Usate queste canzoni a vostro piacere e mi raccomando usatele tutte a quattro!



 

Sebastian quel giorno uscì di casa chiudendo piano la porta, stiracchiandosi appena le gambe fasciate da una tuta, mentre il suo fidanzato si avvicinava a lui e sussurrava “Buona corsa, amore”.
“Spero che ti venga un crampo”, rispose in tono acido Sebastian, e con quell’ultimo augurio Blaine fece i tre scalini di casa loro con un passo quasi leggiadro, prima di infilarsi le cuffie dell’Ipod e cominciare la sua corsa.
E lui, con un grande sospiro, fece altrettanto.
 
 
Sebastian amava Blaine. Era una condanna che aveva imparato ad accettare da tempo. Non sapeva nemmeno bene perché e, soprattutto, come diavolo facesse a sopportarlo ogni giorno, ma era così: Sebastian amava Blaine e ormai si era rassegnato a sentire il suo cuore battere all’impazzata per colpa di un “Amore” sussurrato che lui fingeva di detestare, o ancora peggio, per un semplicissimo sorriso. Un sorriso, dannazione, gli bastava così poco per farlo caracollare. Ma i sorrisi di Blaine non erano così innocenti e ingenui, oh no: erano delle armi letali. Degli oggetti di distruzione di massa. Perché Blaine aveva quelle labbra carnose e quegli occhioni da cucciolo e-diavolo, quanto era innamorato. A volte sperava di non esserlo, perché lui era Sebastian Smythe, e non si era mai visto Sebastian Smythe convivere con un ragazzo, buttato a capofitto in una relazione seria, ma invece era proprio così. E sotto sotto non gli dispiaceva nemmeno più di tanto.
Amava Blaine con tutti i suoi pregi e difetti, con le sue paranoie e i suoi esercizi vocali di prima mattina; lo amava quando piangeva per qualche video sentimentale trovato su Youtube – Youtube, vi rendete conto?! Su youtube si trova anche zio Paperino che balla l’Harlem Shake! – e si era completamente rassegnato alla cosa.
D’altro canto Blaine era gentile, lo amava con tutto il suo cuore e gli dava tanto sesso di qualità, il migliore della sua vita; non gli andava per niente male, quindi.
Ma da un mese a quella parte, Blaine aveva preso questo bruttissimo vizio di andare a correre. E insomma, c’è chi fuma, c’è chi beve, e c’è chi si alza alle sei di mattina, svegliando il proprio fidanzato, oltre tutto, soltanto per mettersi dei pantaloncini assolutamente illegali e sudare sotto al freddo e alle intemperie del tempo. E fin qui, per Sebastian, non c’era nulla di male: sapeva già di avere un ragazzo pazzo, oltre che assolutamente e maledettamente eccitante. In realtà, per il primo mese ci aveva trovato un certo gusto nel vederlo tornare a casa completamente madido di sudore, con i riccioli scompigliati che gli cadevano sulla fronte, il fiato corto, il volto arrossato e quei pantaloncini. Dio del cielo, quei pantaloncini.
Inutile dire che finiva puntualmente dentro la doccia insieme a lui.
Il problema era che dovesse correre anche lui. E perché diavolo doveva correre anche lui?! Lui non era un atleta, non praticava sport dai tempi del liceo in cui faceva tre ore alla settimana di Lacrosse: lui aveva da studiare, lavorare, leggere, dormire e quando, un giorno, aveva suggerito a Blaine di fare più attività fisica, intendeva a letto, non sull’asfalto del loro quartiere.
Beh, potevano anche farlo sull’asfalto del loro quartiere. Ma non correndo!
“Ma chi me l’ha fatto fare”, mugugnò cominciando a stabilire un certo passo, “Colpa sua. Sua e del suo culo incredibile. Che cazzo.”
Mentre arrivava all’angolo della strada, la gentile signora dell’alimentari lo salutò gentilmente con la mano, che lui ricambiò con un grugno: erano le sette di mattina e lui non era di certo uno di quei supereroi che avevano il sorriso pronto a tutte le ore. Ormai quella routine si ripeteva da più di una settimana e la signora non si scomponeva più.
Dall’altro lato della strada c’era un gruppo di bambini che cantava “Oh happy days” e, davvero, avrebbe voluto sotterrare le loro testoline dentro la neve soltanto per fargli capire quanto il suo fosse un “happy day”.
E al solo pensiero di Blaine che stava correndo per l’isolato opposto gli venne voglia di voltarsi e tornarsene a casa. Perché non bastava essere svegliato ogni mattina, anche di domenica, sentendolo sbuffare perché non trovava le scarpe, le magliette e i calzini; adesso doveva cercarli anche lui, le scarpe, le magliette e i calzini. E questo perché? Perché il suo ragazzo lo aveva convinto a correre insieme a lui, per allenarsi per la maratona di New York a cui aveva iscritto entrambi. ENTRAMBI.
Sebastian aumentò il passo, battendo i piedi sull’asfalto come se volesse spaccarlo in due.
Ricordava ancora la sua voce adorabilmente entusiasta nel dire: “Ma Sebastian! Sarà una bella esperienza da condividere insieme!”
Sì, una bellissima esperienza. Intanto non si allenavano nemmeno nello stesso isolato: ci avevano provato, per i primi due giorni, a correre insieme. Il risultato era stato che Blaine aveva il passo troppo corto per Sebastian – e qualcosa, nella sua mente, lo trattenne dallo urlare “tappo” – e Sebastian voleva sempre stare dietro a Blaine. Mica per altro, ma perché così godeva di una visuale a trecentosessanta gradi del suo culo stretto in quei pantaloncini verdi, ed era una cosa meravigliosa.
Fino a quando non inciampò contro il ramo di un albero, cadendo a terra e sbucciandosi gomiti e ginocchia.
Da quel momento, entrambi convennero che fosse meglio correre separati.
 
Sebastian terminò il secondo giro del quartiere, con il freddo invernale che stava congelando sempre più velocemente le sue ossa;  non era ancora arrivato a metà, doveva farne altri cinque per finire l’allenamento. Faceva così tanto freddo che, per distrarsi, decise di ricorrere all’ipod shuffle regalatogli da Blaine per godersi un po’ di musica.
Lo aveva comprato esattamente uguale a lui: stesso colore, stesso modello. Perché, ovviamente, essendo due fidanzati dovevano avere le stesse cose e fare le stesse cose, no?
No. Per niente. Ma Sebastian non era ancora riuscito a convincerlo di quella cosa; in realtà, era sempre Blaine che finiva per convincere lui, come per la cosa della maratona e degli allenamenti. Ma insomma, parliamone: Blaine aveva giocato sporco. Molto sporco. Perché non poteva presentarsi nella loro camera da letto completamente nudo, con soltanto un papillon rosso fuoco legato al collo, e pretendere che Sebastian ascoltasse almeno una sillaba di quello che stava dicendo.
Cioè, per quanto gli riguardava, poteva anche avergli detto “Andiamo a sputare dal cavalcavia” e lui avrebbe detto di sì a qualsiasi cosa.
Per questo motivo, il giorno dopo si era trovato iscritto alla maratona di New York e Blaine gli aveva regalato quell’Ipod. “Per augurarti un buon allenamento!” Gli aveva detto tutto sorridente.
Sì. Bell’allenamento, al freddo e con la neve ai lati della strada.
Quanto meno, pensò in quel momento, mentre stava per terminare il secondo giro, ho ancora un po’ di musica per svagarmi.
Ma nel momento in cui partì la prima canzone si accorse della grandissima tragedia: aveva preso l’ipod di Blaine. E Blaine aveva preso il suo.
Sarebbe stato meno traumatico scambiarsi le mutande. Ma ormai aveva quel lettore mp3 e, quindi, tanto valeva accenderlo.
“Gus, è una star, del teatro che fu-“ cominciò a cantare il dispositivo elettronico, e Sebastian fu preso dalla voglia di scaraventare arnese e cuffie dentro la neve perché, davvero, chi diavolo aveva voglia di ascoltare Cats mentre correva?! Già che i musical gli facevano profondamente schifo, forse perché cantavano in continuazione, forse perché le trame erano più banali delle pubblicità progresso, forse perché provava costantemente un odio viscerale verso la protagonista femminile – e poi la gente gli chiedeva perché fosse gay, ma vogliamo parlare di quelle vocine stridule spaccatimpani?! – e, forse, perché Blaine ogni volta lo obbligava a vedere lo stesso musical più e più volte, fino a impararne le battute a memoria.
Di fatto, non riusciva a vederci niente di entusiasmante nell’ascoltare quella donna dalla vocina stridula – che novità – parlare di un gatto che non recitava più. Una gatta, che cantava, riguardo a un gatto. A questo punto potevano anche ficcarci in mezzo un polipo che ballava, già che c’erano.
Con disprezzo, passò quasi con cattiveria alla seconda canzone, sperando che fosse leggermente migliore: non lo era. Anzi, se possibile, era ancora più assurda della prima, e non tanto per la melodia, e nemmeno per la voce del cantante: era in italiano.
E un ragazzo nato in Francia e cresciuto in America, che diavolo se ne faceva dell’italiano?
Blaine si era fissato con l’italiano da quando Sebastian aveva prenotato quel viaggio in Toscana per loro due; aveva provato a dirgli che non serviva imparare la lingua del posto, dato che, grazie a Dio, vivevano in un mondo globalizzato, ma non c’era stato niente da fare: ogni tanto lo sorprendeva seduto con quelle ridicole audiocassette a ripetere “Buongiorno, buon pomeriggio, buonasera”, in un accento che sembrava più spagnolo che italiano.
Non si stupì, quindi, di trovare quella canzone nel suo ipod. Era Blaine Anderson, e Blaine Anderson equivaleva a “canzone per qualsiasi cosa”.
Ignorò quel cantante dalla voce graffiata che parlava di Robin Hood – o forse no – e andò alla canzone successiva, mentre il quarto giro era praticamente terminato e Sebastian cominciava a sentire le gambe stanche, così come il fiato pesante.
Ci voleva una canzone che lo caricasse, che gli desse la grinta: un Queen, o un Bon Jovi, o anche un Metallica, magari.
Trovò i Lumineers. I lenti, noiosi Lumineers.
Sarebbero stati adatti per dormire, forse. O, al limite, per andare in bagno. Blaine li adorava, era andato a un loro concerto qualche anno fa e da allora Sebastian si sorbiva quella nenia continua ogni volta che lo vedeva cucinare qualcosa di buono per lui: di solito succedeva dopo una lunga giornata di lavoro o, semplicemente, quando aveva voglia di coccolarlo. Blaine cucinava sempre con i Lumineers in sottofondo, chissà perché: forse gli stimolavano la diuresi.
Ad ogni modo, Sebastian cominciò a chiedersi come diavolo facesse a caricarsi con quella roba, ma forse era stato sfortunato lui, forse quell’Ipod nascondeva della musica decente, da qualche parte. Doveva crederci, altrimenti non sarebbe mai arrivato alla fine del giro.
Andò alla traccia successiva soltanto per poter ascoltare un tizio che urlava qualche frase d’amore accompagnato da una chitarra mezza scordata.
Oh Dio no, tutto ma non quello: i Secondhand Serenade erano la sua rovina. Era un tizio mezzo stonato che scriveva cose assolutamente banali sull’amore e sulla bellezza di stare in due: le sue canzoni erano tutto un “Cuore”, “Sole”, “Amore”, “Calore” e tutte le parole che finivano in “Ore”. E Sebastian lo odiava. Lo odiava più della fila alla cassa di domenica pomeriggio, lo odiava più di qualsiasi altra cosa; l’unico modo in cui poteva sopportarlo, e ci riusciva discretamente, era quando Blaine arrangiava un loro pezzo per cantargli qualche canzone d’amore, soltanto loro due, nella loro piccola casa, in compagnia di un pianoforte o una chitarra. Perché, nonostante il testo dal tono tremendamente smielato che gli faceva venire voglia di tagliarsi le vene, quando Blaine cantava per lui la sua voce era soffice, i suoi occhi luminosi e quelle canzoni tutto ad un tratto diventavano incredibilmente carine. Okay, non esageriamo: Blaine era carino. Le canzoni erano decenti, ecco.
Iniziò un’altra canzone e poi tante altre ancora, tutte di uno stampo completamente diverso rispetto ai gusti di Sebastian, tutte melodiche, dolci, romantiche o sensibili.
E lui si rese conto, piano piano, che ad ogni singola canzone corrispondeva un ricordo di loro due; che fosse una cosa semplice, o una serenata vera e propria, la loro bellissima vita insieme era racchiusa dentro quell’Ipod. E, di fronte a quella consapevolezza, a Sebastian scappò un piccolo sorriso.
 
Aspettò Blaine sulle scale di casa loro, con il lettore mp3 stretto tra le dita fredde e il cuore che batteva un po’più forte, anche se aveva smesso di correre da diverso tempo. Si sentiva ancora un po’ stupido a emozionarsi così, ma oh, era innamorato. Terribilmente innamorato di un ragazzo romantico e adorabile, che amava così tanto da saper collegare ogni canzone del suo Ipod a loro due.
Stava davvero messo male.
“Sebastian!” Lo vide correre verso di lui, con gli occhi luminosi, la felpa che aderiva al suo corpo tonico e sudato, le labbra che si incurvarono automaticamente in un sorriso.
Baciò quel sorriso. E il suo cuore fece un’altra giravolta, ma ci era abituato.
“Ci siamo scambiati gli Ipod, genio.” Gli sussurrò a fior di labbra, stringendolo a sé noncurante del sudore e del freddo che li assaliva.
“Sì, lo so, me ne sono accorto. Hai ascoltato le mie canzoni? Ti sono piaciute?” Domandò Blaine con innocenza, attendendo una risposta come un bambino che attende il regalo di Natale.
“Sì, erano dolci, smielate e romantiche, come potevano non piacermi?”
“… Sei sarcastico?”
“Ah, a proposito: credo che mi siano cadute le palle verso metà strada, ma dopo torno a raccattarle.”
“Sei sarcastico. Okay.” Ma il broncio sul viso di Blaine durò molto poco, dal momento che Sebastian gli afferrò il volto tra le mani per baciarlo più approfonditamente.
“Blaine, devo dirti una cosa, ma prometti di non cominciare a saltellare in mezzo alla strada.”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, annuendo leggermente allarmato. Sebastian prese un  lungo respiro e poi disse: “Sotto sotto non mi è dispiaciuto correre con le tue canzoni. Sembrava di correre insieme a te.”
Inevitabilmente, Blaine saltellò sul posto prima di abbracciarlo di nuovo. Era un caso perso.
“Ti amo anche io”, cinguettò sin troppo melenso. Ma nemmeno quel nomignolo riuscì a togliere il buon umore a Sebastian, perché aveva un fidanzato stupendo, si amavano e quei bambini dall’altro lato della strada avevano smesso di cantare. Finalmente. 
Blaine attirò la sua attenzione sventolandogli le cuffie del lettore mp3 davanti gli occhi.
“Sai, Master of Puppets mi ha dato un sacco di carica! Visto che hai detto che ti è piaciuto, d’ora in poi correrò con il tuo Ipod e tu con il mio, così staremo sempre sempre insieme! Non è fantastico?”
Sebastian diventò più pallido del solito, mentre Blaine continuava a guardarlo sognante, con un sorriso enorme e gli occhioni da cucciolo bastonato che pregavano per un sì.
Non doveva cedere.
Non doveva cedere.
Ma poi Blaine abbassò leggermente la testa e cominciò a guardarsi i lacci delle scarpe, come deluso e mortificato: “Ma se non ti va non importa…”
Oh, che diavolo.
“Certo che mi va. Sicuro.”
Blaine gli saltò addosso ancora una volta e Sebastian sospirò da solo. Chissà, magari avrebbe imparato anche lui un po’ di italiano grazie a Robin Hood. 
   
 
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