Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: radioactive    07/10/2013    1 recensioni
«C'erano volte, nei momenti peggiori della sua malattia, che il colore gli defluiva perfino dagli occhi, lasciandoli orribilmente sbiaditi, quasi bianchi, con la pupilla nel mezzo come una macchia di cenere sulla neve. C'erano volte in cui Jem delirava. Will l'aveva tenuto fermo mentre si dimenava e gridava in un'altra lingua con gli occhi rovesciati, e ogni volta che succedeva Will credeva che fosse finita, che quella volta Jem sarebbe morto davvero.»
Come per risposta, dal letto si sentì un fruscio di lenzuola e poi dei colpi di tosse, la sedia cadde violentemente con i quattro piedi sul pavimento, girandosi di scatto mentre la figura di William si alzava, allarmato. Le lenzuola linde dal bucato, la maglia bianca che il suo parabatai indossava, persino la pelle candida della mano erano sporche di chiazze di sangue scarlatto, come dei petali di rosa lasciati cadere sulla neve fresca e morbida.
Gli occhi di Jem gli rivolsero uno sguardo come di scuse – chiedeva perdono. Poi si lasciò cadere a peso morto all’indietro, rovesciando gli occhi.

| ante-CA ● Will + Jem [parabatai] ● 1.196 parole circa |
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

       QUELLA VOLTA JEM SAREBBE MORTO DAVVERO




 

 

 

Will si dondolava sulla sedia appoggiata sul pavimento con solo le gambe anteriori, si teneva alla scrivania con le mani, alternando lo sguardo tra la porta della camera e il legno del tavolo davanti a lui.

Sapeva che, se Jem fosse stato sveglio, lo avrebbe esortato a mettersi composto – così non sarebbe caduto e non avrebbe picchiato la testa contro il baule. In un certo senso l’Herondale sperava di sentire quelle parole, ma le sue orecchie erano riempite solo dal lieve tocco delle gocce di pioggia contro le ante della finestra.

Attendeva il più pazientemente possibile che Sophie portasse il tè del pomeriggio, al quale avrebbe mischiato della yin fen, come era solito fare. E lui, che da bravo innamorato dei libri sosteneva che la parte migliore del desiderio era l’attesa, in quel momento non voleva aspettare. Voleva quella dannata tazza di tè.

Come per risposta, dal letto si sentì un fruscio di lenzuola e poi dei colpi di tosse, la sedia cadde violentemente con i quattro piedi sul pavimento, girandosi di scatto mentre la figura di William si alzava, allarmato. Le lenzuola linde dal bucato, la maglia bianca che il suo parabatai indossava, persino la pelle candida della mano erano sporche di chiazze di sangue scarlatto, come dei petali di rosa lasciati cadere sulla neve fresca e morbida.

Gli occhi di Jem gli rivolsero uno sguardo come di scuse – chiedeva perdono. Poi si lasciò cadere a peso morto all’indietro, rovesciando gli occhi.

 

Furono questioni di secondi: il corpo di Jem iniziò a tremare, inarcando poi leggermente la schiena mentre le dita ossute stringevano le lenzuola, come se volessero perforarle. Gli occhi spalancati erano rovesciati all’indietro, come quelli di un fantasma.

Will avrebbe voluto urlare il suo nome, ma le azioni furono più veloci della parola e subito si buttò a lato del letto, tenendo le mani sulle spalle di Jem per non farlo alzare, mentre i tremori si trasformavano in spasmi, James iniziò a mormorare qualcosa in una lingua sconosciuta mista mandarino, da cui William riusciva a trarre qualche parola che gli spezzò il cuore, succedeva sempre.

«Jem…» pigolò piano mentre spostava le mani sul petto del parabatai che assomigliava alla fragile cassa toracica di  un uccellino, alzandosi velocemente per sedersi vicino al corpo pallido che continuava a dimenare braccia e gambe – sembrava combattesse contro sé stesso. Jem, James.

Qualche istante dopo una forza sconosciuta riuscì a rendere il corpo di Jem abbastanza forte da farlo mettere a sedere, subito Will lo attirò a sé stringendolo tra le braccia mentre le dita di Jem tentavano di scavargli nella schiena, come per trovare un appiglio ancora reale nel caos in cui la malattia lo stava trascinando; continuava a mormorare, alzando la voce e riabbassandola subito dopo – dal grido al sussurro. Will se lo teneva stretto per non farlo andare via, affondando la fronte sulla sua spalla ossuta.

Sophie aprì la porta con in mano il piattino in cui dondolava il , incontrando le pupille bianche di Jem, lanciò un urlo e la tazza cadde a terra – recuperando l’attenzione di Will, trascinandolo fuori dal baratro della disperazione.

«Sophie, portami quel cazzo di tè, non te l’ho chiesto per vederlo per terra!» sbraitò l’Herondale, sentendo le unghie di Jem aggrapparsi alla maglia come fosse una qualche reazione a quel grido, qualcosa come “non è colpa sua”. La cameriera – che a quel tempo non aveva occhi che per il signorino Carstairs – lasciò a terra i cocci, raccolse le gonne e ritornò in fretta in cucina.

Jem tossì ancora, sporcando la camicia di Will e con le mani si scostò da lui, ritornando steso in posizione fetale sul letto, le braccia raccolte vicino al petto, i capelli argentei scomposti sul cuscino fino a confondersi con questo, tanto erano chiari. Ora parlava a voce alta, in un mandarino così veloce e stretto da non farsi capire neanche da Will.

Il moro schiuse le labbra in un “Jem” muto, chinandosi per toccargli la spalla ma, quando la mano gli sfiorò la camicia il parabatai si chiuse ulteriormente il riccio, William avrebbe voluto sentire gli occhi gonfiarsi di lacrime, scoppiare in un pianto pietoso e sperare che – come nei romanzi fantastici – le sue lacrime bastassero a far stare meglio James, ma non successe nulla: si limitò ad alzarsi, afferrare rabbioso lo stipite della porta e urlare un «SOPHIE!».

Quando si rigirò verso il compagno, Jem era in piedi e stava per scagliare i soprammobili poggiati sul davanzale del camino a terra; Will lo fermò per i polsi, probabilmente facendogli male, il corpo del parabatai si accartocciò a terra urlando parole incomprensibili, le spalle scosse da forti fremiti, gemeva come se piangesse ma gli occhi erano ancora spalancati e rovesciati. Come poteva, una persona, ridursi così?

James urlava qualcosa in mandarino riguardo a Shanghai, quando dal corridoio arrivò la voce di Sophie, Will abbandonò il corpo di Jem pericolosamente davanti al fuoco per andare a prendere la bevanda e sbattere la porta in faccia alla mondana, il silenzio calò subito dopo, il freddo pervase la stanza e l’Herondale ebbe paura.

Appoggiò frettolosamente la tazza sulla scrivania, rovesciandosi un po’ dell’infuso sulla mano – una veloce imprecazione e poi le sue pupille incontrarono la schiena di Jem, dritta come il tronco di un albero – le spalle immobili e le mani sulle ante della finestra spalancata, l’acqua di quel che era diventato un temporale entrava a tutto spiano dentro la stanza, bagnando il corpo dell’albino.

«Per l’Angelo, Jem! Che diamine stai facendo?», Will prese per le spalle il parabatai, tirandolo indietro. Improvvisamente, il corpo di James gli si accasciò tra le braccia, aveva gli occhi chiusi, le labbra serrate in una linea piatta – ma respirava ancora.

Più che mai, William avrebbe voluto piangere. Ma almeno era finita.

 

Posò con cura il corpo dell’altro sul letto, tirando su le coperte e gettandole a terra in un angolo, chiuse la finestra ammirando con poca soddisfazione il tappeto bagnato, aprì il baule per tirarne fuori un paio di coperte di lana e le adagiò sul tronco di Jem che, verificò William, si alzava e abbassava ancora, seppur debolmente, con regolarità.

Con il cucchiaino che accompagnava il tè ancora caldo, estrasse dal portagioie dove James conservava la yin fen la dose giusta di medicina, per poi farla dissolvere nel liquido. Era zucchero bruciato, alla fine.

«Jem… sforzati» gli sussurrò apprensivo, sedendosi sul lato di materasso libero, gli sollevò le spalle con un braccio mentre soffiava sulla bevanda prima di poggiarla sulle labbra dell’altro, «non ti dirò per favore, quindi muoviti. Mi hai già fatto penare abbastanza».

Quando Jem svuotò la tazza, rovesciandosi qualche goccia sulla camicia lurida, Will gli rimboccò le coperte, spostò la poltrona dall’angolo vicino al letto e, nel momento in cui stava per sedersi, tre colpi bussarono alla porta.

L’Herondale sbuffò, andando ad aprire e scoprendo una Charlotte dai lineamenti marcati dalla preoccupazione, in mano teneva un vassoio con dei sandwich ai cetrioli e un bicchiere acqua e gin. «Che c’è?» le domandò, molto meno scontroso di quanto avesse voluto.

«Sono per te, sarà una lunga nottata» e gli porse il vassoio.

Senza dire nulla, Will afferrò il piatto e chiuse la porta davanti al naso della Branwell.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«C'erano volte, nei momenti peggiori della sua malattia,

che il colore gli defluiva perfino dagli occhi, lasciandoli orribilmente sbiaditi,

quasi bianchi, con la pupilla nel mezzo come una macchia di cenere sulla neve.

C'erano volte in cui Jem delirava. Will l'aveva tenuto fermo mentre si dimenava

e gridava in un'altra lingua con gli occhi rovesciati, e ogni volta che succedeva

Will credeva che fosse finita, che quella volta Jem sarebbe morto davvero    

 

[CASSANDRA CLARE; tratto da “Shadowhunters – Le Origini: L’Angelo”]

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»

 

Insomma, dovrei scrivere le note ma non ho nulla da dire

Spero solo che non mi lanciate pomodori, scarpe puzzolenti e roba varia, che vi sia piaciuta almeno un po’ e che – nonostante sia abbastanza intuitivo – abbiate compreso che è una shot basata sulla citazione a fine capitolo.

Lancio un grido a yingsu che spero abbia intuito il riferimento alla scena della finestra – in realtà ben diversa dall’”originale”, ma lo sai quanto ci tengo a quella cosa, muh.

 

radioactive,

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: radioactive