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Autore: Nichigin    07/10/2013    3 recensioni
"Arthur stava iniziando a irritarsi seriamente. La camicia bagnata gli si era attaccata alla pelle e la voce assurda dell'americano gli faceva venire il mal di testa. Il pomeriggio non doveva andare così; erano previsti solo lui e il suo tea. Magari qualche unicorno di passaggio, al massimo, ma NON Alfred!" [UsUk]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre
 
Alfred sferrò un calcio a una lattina che gli era capitata davanti mentre camminava, spedendola dritta contro il parabrezza di un’auto parcheggiata lì vicino. Il parabrezza emise un crack inquietante. Oops. Meglio filare.
Che giornata pessima. Tutta colpa di quello stupido inglese. Che si strozzasse, con quel tea freddo.
E dire che lui aveva le migliori intenzioni. Ma come gli era venuto in mente, tra l’altro, di scegliere di invitare proprio lui. Maledetta festa di San Valentino.
Colpa del proprietario della discoteca. - Avanti, Al. Sei il dj, devi dare il buon esempio. Porta qui la tua ragazza per la serata a tema San Valentino. - Aveva detto. Ovviamente rispondergli che non aveva una ragazza non era servito a granché. E allora, aveva pensato Alfred, si sarebbe pentito di averglielo chiesto. Voleva la ragazza? L’avrebbe avuta. Oh, se l’avrebbe avuta. Forse, un po’ più… mascolina del previsto?
L’idea gli piaceva, era una trovata di stile. Degna di un eroe come lui. E l’idea di prendere due piccioni con una fava e far venire un infarto sia al suo capo sia ad Arthur gli piaceva ancora di più. Ebbene sì, la “ragazza” che aveva scelto era proprio il bevitea.
L’unico problema rimasto da risolvere era… come invitare Arthur?
Pensava che non sarebbe stato molto difficile. E comunque, un rifiuto non avrebbe dovuto interessargli poi tanto.
Almeno, questo era ciò che continuava a ripetersi. Forse perché ammettere anche solo a se stesso di essersi innamorato di quell’irritante inglese era troppo umiliante. E invece forse era ora di farla finita e accettarlo. Del resto, un vero eroe deve confrontarsi con le più terribili umiliazioni e sconfitte, e avere il coraggio di affrontarle e uscirne con onore.
Però dopo aver fatto simile eroico passo, come poteva la sua già molto ridimensionata dignità sopportare anche gli insulti di Arthur? Ne aveva avuto davvero abbastanza. Che aspettasse pure il suo invito per i prossimi cento anni, quello stupido inglese. Alla serata ci sarebbe andato da solo, e al diavolo pure quello schiavista del suo capo.

***
 
Arthur era incavolato nero. Non solo Alfred l’aveva piantato in asso in quell’incubo di MacDonald, ma aveva pure dovuto pagare lui per tutta la roba che aveva ordinato. Risultato: aveva il portafoglio vuoto, il morale sotto i tacchi e la strana e immotivata sensazione di aver sbagliato qualcosa.
Forse… dovrei scusarmi con Alfred?” l’idea balenò nella sua mente solo per un istante, e la scartò subito. “Ma neanche per sogno, ho una dignità, io!”
Però era curioso. Doveva esserci un motivo per cui Alfred se l’era presa in quel modo. Che l’avesse invitato al MacDonald per un altro motivo oltre che per infastidirlo? Mentre rimuginava sulle infinite ipotesi che gli venivano in mente – una più improbabile dell’altra – raggiunse finalmente casa sua.  Per prima cosa andò a cambiarsi la camicia bagnata, e una volta tornato perfettamente in ordine tirò un sospiro di sollievo. Ecco, molto meglio, aveva riacquistato il suo solito aspetto di gentiluomo impeccabile.
Adesso aveva seriamente bisogno di qualcosa per tirarsi su. E cosa meglio di un tea, visto che tra l’altro quel giorno non l’aveva ancora bevuto?
Si sedette sulla sua poltrona preferita sorseggiando il tanto sospirato tea, e cercò di mettere ordine nei fatti di quella mattina.
Come punto di partenza, era ovvio che lui non avesse nessuna colpa. La colpa era tutta di Alfred, come al solito. Stabilito questo, si sentì già più sollevato; visto che la colpa era di Alfred, bastava aspettare che quello stupido americano tornasse da lui strisciando e chiedendo perdono. E magari invitandolo pure fuori, visto che l’aveva lasciato da solo a pagare per tutti e due. Del resto, sapeva fin troppo bene che il maledetto yankee non riusciva a resistere per più di un paio di giorni senza il piacere di tormentarlo. 
***
 
- Cavolo! – esclamò Alfred, bloccandosi di colpo mentre camminava e ricevendo una scarica d’insulti dal tizio dietro di lui che gli era finito addosso, e che ignorò completamente. Gli era appena venuta in mente una cosa terribile… come accidenti avrebbe fatto a sopravvivere senza il suo abituale sfogo (torturare Arthur)? Lo stress della sua vita da eroe lo avrebbe ucciso!
C’era una sola soluzione, per quanto improponibile; tornare a casa di Arthur subito, e chiedergli scusa. E poi tirargli in faccia la palla da baseball, perché c’era un limite alla gentilezza.
Stava per fare dietrofront e andare a casa dell’inglese, quando il suo cellulare vibrò, annunciando l’arrivo di un messaggio.
Controllò velocemente lo schermo, e quasi gli prese un colpo quando vide il numero di Arthur. “Che quell’idiota si sia deciso a scusarsi?”
Scelse l’opzione “leggi messaggio” con dita un po’ tremanti. Se Arthur si fosse davvero scusato, la fine del mondo non sarebbe più stata solo una previsione dei Maya. 
Sullo schermo del cellulare comparvero solo quattro parole, lapidarie: - Mi devi venti dollari.
Alfred strinse talmente tanto la mano attorno al telefono che pensò che l’avrebbe rotto. – Fuck ya, Arthur. – borbottò, - Ti sei bruciato l’ultima possibilità che avevi con me.
Digitò velocemente una risposta e premette il tasto d’invio con un’energia che sarebbe bastata a distruggere il cellulare. Fortunatamente era un modello di quelli resistenti, cento percento made in USA. “Anche i miei nervi sono made in USA, ma quell’inglese è sulla buona strada per distruggerli”, sbuffò, ficcando le mani nelle tasche del giubbotto e continuando a camminare.
***

Arthur afferrò il cellulare e controllò la risposta di Alfred – era sicuro che fosse lui, non aspettava altri messaggi.
Beh. Non era proprio quello che si aspettava.
– Mettiteli sai dv, i 20$. No, si aspettava una risposta minimamente civile, magari scritta decentemente senza abbreviazioni, ma Alfred non era proprio quel genere di persona. E nonostante Arthur lo sapesse benissimo, continuava a sperare come in idiota in un miracoloso cambiamento.
Ma quanto era stupido. Continuare a sperare che Alfred non lo frequentasse solo per il piacere di irritarlo. Continuare a vederlo come una sorta di ventata di novità nella sua vita che era, per quanto tentasse di negarlo, effettivamente noiosa. Continuare ad aspettare che lo invitasse in un posto un po’ più decente di un MacDonald, e magari non come amic… che cavolo stava dicendo?
“Dev’essere l’effetto del cibo spazzatura”, pensò Arthur, scuotendo energicamente la testa per scacciare tutti i pensieri stupidi. “È insopportabile, è americano, e io lo odio.”
Continuò a ripeterselo per calmarsi, camminando su e giù per il salotto con la tazza da tea ancora in mano. Si rese conto dopo qualche minuto che era riuscito solo a irritarsi ancora di più.
- Una distrazione, accidenti, mi serve una distrazione! – sbottò, posando la tazzina sul tavolo con un po’ troppa foga. Un pezzo di ceramica si staccò dal bordo e cadde sul pavimento con un leggero tintinnio. Oh, fantastico. La sua tazza preferita rovinata. Poteva la giornata andare peggio?
Come a dargli una risposta, in quell’istante suonò il campanello.
- E adesso che diavolo c’è ancora? – mugugnò andando ad aprire la porta.
- Arthùr, mon cherie! Erano secoli che non sci vedevamo! – disse una voce con un pesantissimo accento francese. Arthur chiuse gli occhi. Doveva essere un incubo. Purtroppo quando si arrischiò a riaprirli constatò che non era così.
- Francis. Vorrei tanto poter dire che è un piacere vederti, ma purtroppo non è così. – ringhiò, facendo attenzione a frapporsi tra lo spiraglio della porta e il suo pervertito ex francese.
- Così mi ferisci, Arthùr. Io sono venuto a trovarti nonostante tutti i miei impegni… - Francis finse un’espressione dispiaciuta, poi si sistemò con una mano i lunghi capelli biondi. Non aveva perso il suo modo di fare da prima donna, pensò sarcastico Arthur.
- Avresti potuto benissimo farne a meno, grazie. – commentò con un tono più gelido di un cubetto di ghiaccio. – Avrei da fare, quindi puoi dirmi, velocemente, cosa accidenti sei venuto a fare qui? –
- Facile a dirsi, - rispose Francis sfoderando un sorriso affascinante. – Che ne diresti di uscire con me?
  
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