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Autore: rosa_bianca    07/10/2013    2 recensioni
E se la madre del temuto Fantasma dell'Opera, invece di consegnarlo ad un circo di zingari, avesse deciso di affidarlo ad un convento parigino?
E se, il caso volesse, quest'ultimo fosse proprio il Petit Picpus, rifugio di Valjean e Cosette?
Cosa succederebbe se, quello che sarebbe in un'altra vita un futuro Fantasma, venisse accudito dal nostro ladro di pane preferito?
Come si evolverebbero i fatti? Cosa accadrebbe nel noto 1832, anno della Ribellione di Giugno?
Leggete e scoprirete.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Cosette, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 4 giugno 1832, Mattina
 


Papa, come potete sapere che si trova a Saint-Michel?” chiese preoccupata Cosette a Valjean, quando erano ancora nella carrozza.
“Mi sembra uno di quei posti che potrebbe attirare Erik… conosco il quartiere: ci sono molti, tantissimi bambini come lui.” rispose sicuro l’uomo, mentre in realtà il dubbio gli divorava l’anima.
Se non fosse riuscito a ritrovarlo, avrebbe mancato di rispetto alla parola data alla sua povera madre. Alla mia seconda Fantine…
Ma no, decise che non voleva pensarci. L’avrebbe scovato, prima o poi.
Sperava più prima che poi.
Cosette lo guardava piena di speranza, e lo abbracciò come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
“Figlia mia, ora dovremmo chiedere ai passanti, sai, se lo hanno visto in giro. Perché non ti sporgi tu, e domandi a qualcuno?”.
La giovane annuì, staccandosi dal gilet, ormai zuppo di lacrime, di Valjean.
Guardò fuori al finestrino e vide un ragazzo che avrebbe potuto questionare. Fece fermare dunque la carrozza.
Il passante se ne accorse, e le si avvicinò. SI tolse il lungo cilindro ed improvvisò un inchino.
“Al vostro servizio, mademoiselle” le disse, con un sorriso cortese. Cosette fissò quegli occhi neri profondissimi, neri come il carbone.
“Scusate, monsieur, ma cerchiamo un bambino. Circa sette anni, ne dimostra almeno otto, capelli neri, occhi verdi, vestiti curati… avete per caso visto qualcuno che corrisponda a queste caratteristiche?” domandò, aspettando pazientemente la risposta.
“Courfeyrac!” urlò una voce, da dentro il palazzo che si trovavano davanti, una locanda, a quanto pareva. “Courfeyrac, torna subito dentro o ti legherà con la bandiera francese e ti butterà nella Senna!”
Cosette arrossì visibilmente, prima di scoppiare in una risatina, che suonò stranamente cristallina dopo tutte le ore passate a piangere.
“Siete voi il signor Courfeyrac?”
“Oh, non fateci caso… sono giovani ubriachi!” rispose lui, sviando la domanda con un gesto incurante della mano. E, ansioso di cambiare argomento, disse: “Mi spiace, madamigella, non ho veduto il bambino di cui parlate… mi rincresce, sinceramente.”
Proprio mentre Cosette stava ringraziando il gentile ragazzo e Valjean dando l’ordine al cocchiere di ripartire, dalla porta della locanda comparì un giovane.
“Courfeyrac!” chiamò la sua voce.
Il cuore di Cosette mancò un battito.
Lo stesso corpo alto e magro, gli stessi capelli color sabbia, lo stesso elegante abito nero…
I due fecero in tempo a lanciarsi una breve occhiata, quando i cavalli ripresero al trotto per le vie di Saint-Michel e lui divenne solo un puntino agli occhi di Cosette.
 
 
 
 
 


 
“Io te lo giuro, Courfeyrac, se esci un’altra volta…!”. La voce dell’alto uomo biondo dagli occhi di ghiaccio risuonò in tutta la locanda. “Sai bene che non devi distrarre gli altri Amici durante le riunioni! Stiamo pianificando qualcosa di importante, qui.”
Il ragazzo col cilindro sospirò e si rimise a sedere, sorridendo della sua solita serietà: “A sentire te anche una mosca può distogliere irreparabilmente l’attenzione dai tuoi preziosi discorsi…”
“Bene, allora…” mormorò il leader biondo, Enjolras, con aria di sfida “riferisci a tutti ciò di cui stavamo parlando.”
Gli Amici dell’ABC soffocarono una risata, perché sapevano che il loro capo non era un tipo che vorresti incontrare quando è arrabbiato. Il gruppo stette quindi in silenzio, aspettando quella che sarebbe di sicuro stata un’irriverente risposta da parte di Courfeyrac.
“Non siamo a scuola, e tu non sei il nostro maestro.” sorrise lui.
Anche il giovane che Cosette aveva incontrato ai Giardini del Lussemburgo, che faceva di nome Marius Pontmercy, si sedette in silenzio.
Enjolras scosse la testa con sdegno, ovviamente insoddisfatto della risposta. Combeferre, l’occhialuto al suo fianco, non poteva fare a meno di sorridere.
“Comunque c’è il novantanove per cento di probabilità che stessi ciarlando nuovamente di Robespierre, Saint-Just, Danton, i principi… con qualche accenno alla Bastiglia e poi al ’93: ho indovinato, non è vero?”
Gli Amici stavolta risero tutti. E’ vero, gli argomenti che trattavano spesso erano già stati sentiti e risentiti… ma a nessuno dispiaceva sentir parlare il carismatico Enjolras, che metteva sempre passione e forza nei suoi discorsi.
Quando il chiasso fu esaurito, il capo ricominciò a parlare, con la sua voce suadente.
Pochi secondi dopo, Marius si allungò fino all’orecchio del migliore amico, che era proprio Courfeyrac, e gli sussurrò, con visibile emozione: “La fanciulla, quella in carrozza… era la mia Ursule!”
 
 
 
 
 
 
 



Erik si sedette vicino a Gavroche, con la schiena appoggiata al muro di un vicolo di Saint-Michel.
Spesso accadeva che i due si guardassero senza dire una parola, una cosa che accade abbastanza comunemente tra i bambini. Questo era proprio uno di quei momenti.
Riprendevano fiato, respirando affannosamente con la bocca, dopo la lunga corsa. Avevano rubato un po’ di pane al fornaio, ma ormai lo avevano seminato da tempo. Era un vecchio alquanto grasso, e nessuno, che loro sapessero, si era preso la briga di inseguirli.
Erik sorrise. Non poteva credere che, solo un giorno prima, la sua vita fosse così monotona e noiosa! E ora era lì, accasciato al pavimento lurido e bagnato di una stradina buia, in compagnia di un amico con cui aveva appena commesso un furto.
 Decisamente tutta un’altra musica.
Si tastò la maschera, per assicurarsi che fosse ancora ben aderente al volto. Assaporò il silenzio, per qualche attimo. Non c’erano rumori, niente di niente, non si sentiva nessuno.
Ad un tratto, un suono gli fece voltare la testa verso destra. All’imbocco della strada vide una grande carrozza di legno rossiccio. Aguzzò gli occhi e notò un particolare: affacciata al finestrino, c’era una giovane dai lunghi capelli bruni, col volto sofferente. Aveva fatto fermare la carrozza, accanto alla quale sostava un poliziotto.
Erik trattenne il respiro. No, non l’aveva ancora visto. Meglio così.
“Scusate, monsieur,” chiese Cosette ad un passante “avete visto un bambino per caso? Circa sette anni, occhi verdi e capelli neri…abbastanza alto…”
“Andiamo via, Gavroche!” sussurrò Erik all’orecchio del biondo, prima di alzarsi.
“E direi! Quello è un coquer*!” rispose lui, lanciando un’occhiata all’alto uomo in divisa blu che stava rispondendo alla domanda della giovane.
I due bambini si nascosero rapidamente in un altro vicolo.
“E ora?” chiese Erik, prima di vedere che Gavroche stava aprendo una minuscola porticina su una parete in mattoni. Con il sorrisetto di chi la sa lunga, s’intrufolò nell’edificio, aspettando che l’amico facesse lo stesso.
“Be’, non vieni?”
Quando furono dall’altra parte, Erik si lasciò sfuggire un sospiro di meraviglia. Erano dentro una locanda, come se fossero entrati dalla porta principale! Si appuntò mentalmente che quando sarebbe cresciuto avrebbe costruito nella sua casa più porte per entrare a suo piacimento nelle stanze.
Quella che aveva davanti era una sala abbastanza spoglia, se non per i pochi arredi (un enorme tavolo al centro, due tavolini agli angoli ed un bancone), per la mappa di Parigi alle pareti, segnata da diversi puntini rossi, ed una bandiera francese appesa al muro.
Nella stanza c’erano quasi una dozzina di uomini seduti, uno solo era in piedi. Erik notò che Gavroche doveva avere una discreta familiarità con tutti loro, perché interruppe il discorso dell’uomo biondo davanti al tavolo, Enjolras.
Non gli era mai capitato di vedere una persona così… bella. Certo, Cosette era molto graziosa. Si poteva dire che Valjean portasse bene tutti gli anni che gli gravavano sulle spalle. Toussaint… be’, di Toussaint non si poteva dire proprio nulla. E, per lo più, insieme allo zio ed alla Madre Superiora, queste erano le uniche persone che avesse mai visto. Di sera, durante le sue brevi passeggiate col padre, non riusciva a guardare nessuno: il cappuccio del mantello che gli copriva il viso lo obbligava a posare gli occhi a terra.
Dunque, alla visione di un uomo affascinante come il capo degli Amici dell’ABC lo stupì molto.  Fu preso da un terribile senso di sconforto, e maledisse l’ingiustizia con la quale Dio distribuiva la bellezza agli abitanti della Terra.
Erik rimase fermo immobile accanto alla porta, imbarazzato dalla presenza di tutta quella gente. Tutta in una sola stanza!
“Buongiorno a tutti!” gridò sconsideratamente Gavroche, interrompendo i pensieri di Erik.
L’occhiata che Enjolras gli riservò  avrebbe potuto incenerire persino l’acqua.
Ma il bambino non se ne accorse. O fece finta di non accorgersene.
“Quindi, come va? Che si dice, è già tutto organizzato?” domandò, mentre continuava a girovagare per la stanza con passo disinvolto.
L’uomo dagli occhi  di fuoco non si degnò di rispondere.
Courfeyrac, invece, sì.
“No, ancora pressappoco nulla, ci dovremmo sbrigare” sorrise, in tono sarcastico. Erik notò che sembrava avere molta più confidenza degli altri col suo amico, perché tutti gli altri Amici erano rimasti zitti dall’arrivo di Gavroche.
A quel punto il capo non ci vide più.
“Forse avremmo avuto tempo e modo, ma qualcuno” disse accentuando molto l’ultima parola e guardando torvo i due interlocutori “non fa altro che sabotare con la propria disattenzione e scarsa sensibilità tutto il progetto.”
Dal fuoco al ghiaccio!, pensò affascinato Erik.
“Uff, allora vi lascio stare.” sospirò con finta tristezza Gavroche “Me ne andrei subito, ma vi devo proprio presentare qualcuno.”
 La sua testa bionda si girò verso Erik, seguita a ruote da tutte quelle degli Amici.
Il bambino nell’angolo cercò di farsi il più piccolo possibile.
Enjolras gli diede un’occhiata veloce e poi, accennando un ‘mah!’ si voltò verso Combeferre ed iniziò a indicare alcuni dei puntini rossi sulla mappa.
È per via della maschera, pensò Erik.
Un giovane dai lunghi capelli biondi ed i tratti femminei lo esortò a parlare. “Come ti chiami?”
“Jehan, ma che fai? Lo metti in imbarazzo!” scherzò il suo vicino di sedia, un uomo alto e magro, che Erik non aveva visto far altro che sorridere: Bossuet.
“Lo so meglio di lui, cosa voglia dire essere messi in imbarazzo.” si difese l’altro, in tono offeso, incrociando le braccia.
No, non lo sai, pensò Erik.
“Signori, vi prego…”. Una voce dall’angolo sud del locale si alzò, imponente. “Fate parlare lui, anziché dimenare inutilmente le vostre lingue come trote appena pescate.” A quel punto alzò il palmo della mano al cielo, verso il bambino. “Suvvia, dicci: come ti chiami?”.
Un borbottio che doveva essere qualcosa come ‘ma è quello che ho chiesto anch’io!’ venne represso con una poderosa gomitata da parte di Bahorel, un uomo muscoloso e ben piazzato seduto accanto a Jehan.
“Erik.” rispose semplicemente.
Enjolras pareva sempre più spazientito. Stava per aprire la bocca per riportare i compagni al discorso precedente, quando Gavroche si avvicinò ad Erik e disse: “Credo che voglia partecipare anche lui. Sembra tosto.”
Delle risate soffocate arrivarono da più o meno tutti gli angoli della sala.
Ridono di me, pensò Erik. Rimase ancora zitto, immobile, con i pugni così stretti che le unghie gli s’infilavano nella carne.
Ma poi, partecipare a cosa? Gavroche gli aveva accennato di una ‘rivoluzione’, di ‘barricate’ e ‘sommosse’, ma lui non aveva capito pressappoco nulla. Era molto intelligente, sì, ma ci sono cose che non puoi sapere se ti dedichi solo ai libri di musica e architettura.
Enjolras era anche lui fermo, come una statua, la sua solita ruga di disapprovazione gli segnava il volto.
Visto che nessuno si azzardava a parlare, Courfeyrac esordì, col sorrisetto ironico che gli era proprio: “Non possiamo portare due bambini, lo sai. Tu basti e avanzi, carino.”
“Vi dico che farà grandi cose, amici. Ne son certo.” ribatté sicuro il bambino.
“Basta! Non sono posto per marmocchi, le barricate!” gridò Enjolras, con gli occhi ardenti.
Una risatina tra il rassegnato e l’ironico serpeggiò tra la sala. “Coraggio, Apollo, lascialo fare. Se il piccolo dice che ha fegato, be’, sta certo che io gli credo!”
“Grantaire, non puoi affidarti a-” controbatté l’altro infuriato, prima di essere interrotto.
“Non è affar tuo quello che vuole fare questo ragazzino! Non puoi sempre comandare tutto e tutti!”
Enjolras schiuse le labbra per contestare, ma si trovò a boccheggiare senza trovare la risposta che aveva sempre sulla punta della lingua.
Una voce risoluta si alzò, interrompendo il silenzio teso nella locanda.
“Bisognerà fare a votazione. Sapete tutti bene come io la pensi.” Combeferre fece una pausa, poi chiese ad Erik: “Ma tu sei sicuro di voler partecipare?”
Il bambino si guardò attorno per un lungo attimo. Tutti i volti erano abbastanza tesi. L’esile giovane dai lunghi capelli biondi, a fianco a quello massiccio, non sorrideva più. L’uomo all’angolo, quello che aveva chiesto per la seconda volta il suo nome, guardava con aria grave il capo.
Il silenzio venne interrotto da un solenne starnuto da parte di un ragazzo lentigginoso.
“Sì, voglio partecipare.” si azzardò Erik. Ormai il gioco era fatto. Non aveva idea di cosa stava andando incontro, non poteva immaginarlo. Però voleva seguire Gavroche, perché ormai gli era parso di essersi fatto un buon amico.
Non avrebbe perso per nulla al mondo il suo unico amico.
L’espressione di Combeferre di fece per un attimo sofferente, ma si ridiede un contegno, spingendosi gli occhiali sul naso.
“In tal caso… temo che sarà necessario votare. Joly?”
“Non mi par giusto che ci segua. Se non muore subito, potrebbe prendersi una malattia. I bambini sono fragili.” rispose serio quello col raffreddore.
“Courfeyrac, segna: due no ed un sì. Marius?”
“Perché buttare così una vita? No, decisamente.”
Bahorel intervenne: “Si dovrebbe rispettare il volere del ragazzo.”
“Già, anche per me.”
“Sono d’accordo.”
“Lo credo anch’io.”
“Umph!”
“Non sempre le cose girano per il verso in cui le vuoi tu, Apollo. Io dico che Erik può fare ciò che vuole.”
“Courfeyrac? A quanto siamo?” domandò il leader, non volendo rispondere all’ubriaco nell’angolo.
“Sei sì e quattro no.” annunciò lui, poggiando la piuma sul tavolo.
“E sia.” mormorò Enjolras freddamente “E ora andate via, dobbiamo fare ancora molte cose importanti, qui.”
Gavroche, che pareva molto soddisfatto, raggiunse Erik. I due stavano per uscire dalla porticina a lato, quando il rumore di qualcuno che correva per le scale li distrasse.
La testina bionda si voltò di scatto, come se avesse riconosciuto il rumore dei passi.
“Il Generale Lamarque è morto!” ansimò la piccola creatura che cercava di riprendere  fiato davanti alle scale.
Anche Enjolras si voltò velocemente.
“Cosa…?” fu il mormorio che attraversò la sala.
L’attenzione di Erik era ancora sulla giovane messaggera. Non notò gli occhi lucidi del capo degli Amici dell’ABC, né la contentezza negli occhi di Gavroche, né si chiese chi diavolo fosse questo Generale.
Si trattava di una fanciulla molto minuta: bassa e scheletrica. Gli sporchi e lunghi capelli quasi neri le scendevano disordinatamente sulle spalle, dove la camicia di gran lunga più grande del suo esile corpo era strappata e mostrava l’attaccatura del seno. Le gambe magre erano per lo più scoperte, e nel complesso aveva un’aria goffa ma decisa. I suoi occhi castani puntavano un soggetto ben preciso, Erik se ne accorse: il giovane che aveva risposto alla votazione al nome di Marius.
“Il Generale Lamarque è morto.” ripeté lei, staccando gli occhi dal ragazzo.
“Lamarque è morto…” bisbigliò con ammirato stupore Enjolras. “E’ arrivato il momento!”
“Il funerale sarà domani.” aggiunse la giovane, Eponine, il cui respiro era tornato regolare.
“Domani! Dopo il funerale! Domani si innalzeranno le barricate!” esclamò esaltato il capo. “Domani faremo vedere ai tiranni di cosa è capace il grande popolo di Francia!”
Erik osservava la scena attentamente. Tutti sembravano felici all’incirca come Enjolras, e si sentivano molti mormorii eccitati, anche da parte di Gavroche. “Hai visto? Domani è il grande giorno!” gli aveva detto con soddisfazione.
 Uno solo era rimasto completamente zitto, con un’espressione tra il sognante e l’affranto.
“Forza, R! ci servirai anche tu, alla barricata!” rise Bossuet, in direzione del giovane seduto al tavolino all’angolo. Lui fece un mezzo sorriso ed alzò la bottiglia che teneva in mano.
“Alla salute!” esclamò ironicamente.
Subito dopo gli altri  giovani si alzarono dalle sedie, troppo esultanti per rimanere seduti, ed iniziarono anche loro a puntare le dita sulla cartina di Parigi, a parlare concitatamente con Combeferre, a ridere ed a scherzare, alternando momenti di totale serietà ad altri di ilarità generale.
“Vieni, andiamo, li raggiungeremo domattina. Ora non hanno bisogno di noi.” bisbigliò Gavroche all’orecchio di Erik, e nessuno notò che i due bambini in pochi secondi avevano già aperto la porta ed erano filati.
 
 
 
 
*Sbirro, in argot.
 
 
 
 




Angolo dell’autrice
 
Buongiorno a tutti :3
Allora, finalmente un capitolo molto interessante. Valjean e Cosette sono alla ricerca di Erik, che però se ne scappa di qua e di là con Gavroche. E, soprattutto, parteciperà alla rivoluzione. In più, fanno la loro apparizione gli Amici dell’ABC ed Eponine *ta-daaaaa*
Bene, detto questo mi dileguo!
Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono,
rosa_bianca
   
 
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