Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: SoltantoUnaFenice    07/10/2013    1 recensioni
Touma aveva una busta in fondo al cassetto del comodino. Era una busta di carta gialla, un po' ruvida, e conteneva qualche decina di fotografie. Per prenderla bisognava spostare un po' di cose – la scatola che conteneva l'orologio di suo padre, un blister di compresse per il mal di testa, un quadernetto nero tutto sgualcito e anche due o tre caramelle mezze sciolte che avevano troppi anni per essere ancora commestibili. - ma non era importante, perchè non gli capitava di tirarla fuori molto spesso.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Touma inspirò un paio di volte a fondo. Non riusciva a vedere nulla, ma non sapeva dire se fosse per la luce radente del sole, o se i suoi occhi si rifiutassero di funzionare.
Ryo lo trascinò ancora di qualche passo, poi lo fecero sedere al tavolino, letteralmente ricoperto di cibo e bevande.
Shin gli abbracciò le spalle, mettendo il viso vicino al suo.
“Ecco fatto. Hai visto che non era difficile?”
“Se lo dici tu...” Borbottò Touma mentre cercava di imporre al cuore un ritmo un po' più naturale.
Si guardò attorno, mentre pian piano tutto tornava nitido. Il cielo era di un bell'azzurro intenso, completamente sgombro da nubi. Non era il colore acceso e caldo dell'estate, ma era comunque limpido e brillante. Tirava una leggera brezza, ma a quell'ora della giornata era ancora piacevole.
Il terrazzo era addobbato e pieno di cose, e anche se non avevano trascinato fuori un altro tavolo – rimproverandosi l'un l'altro perché non facessero sforzi – non mancava nulla.
Ryo gli mise in mano un bicchiere pieno, e mentre si perdeva ad osservare le bollicine della bibita che risalivano in superficie, Touma cominciò a sentirsi più calmo. Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare le chiacchiere scherzose dei suoi nakama, ed i rumori ovattati della città che arrivavano fin lassù.
Shin si allungò verso di lui e poggiò qualcosa di fianco alla sua mano.
“Ecco. Per fortuna tieni sempre tutto nello stesso posto...”
Touma la prese in mano e la osservò. Era la sua vecchia macchina fotografica, un modello anni novanta da cui non riusciva a separarsi. La maggior parte delle foto che conservava nel comodino erano state scattate con quella, e anche se nel frattempo aveva comprato anche una piccola digitale, in queste occasioni preferiva quella vecchia.
C'era stato un momento, qualche anno prima, in cui aveva creduto di doverla buttare. Il meccanismo di apertura dell'obiettivo si era rovinato e non chiudeva più del tutto. Facendo sviluppare le foto scattate durante una passeggiata, le aveva trovate tutte rovinate da un alone bianco al centro.
Il fotografo aveva cercato di convincerlo a buttarla via, ma poi era riuscito a trovargli un pezzo di ricambio e l'aveva aggiustata. E almeno finché in città c'era qualcuno in grado di sviluppare e stampare rullini, Touma avrebbe continuato ad usarla.
Sollevò lo sguardo verso Shin, che alzò le spalle, sorridendo.
“Non hai ancora scattato nemmeno una foto, pensavo che se te ne fossi dimenticato ti sarebbe dispiaciuto.”
Touma gli sorrise in risposta, alzando una mano per stringergli appena la punta delle dita. A quanto pare stava tornando davvero tutto come prima...

- o -

Shu si servì un'altra generosa fetta di torta, poi tornò al suo angolino preferito, sul lettino vicino alla finestra. Al terzo boccone si accorse che Touma lo stava fissando, così gli fece cenno di avvicinarsi.
“Cosa c'è?”
“Devi dirmelo tu: mi stavi guardando.”
“Chissà, magari puntavo alla tua torta...”
Shu grugnì, infilandosi in bocca un'altra forchettata.
“Come no. Avanti, sputa il rospo.”
“Beh... - Touma si sedette accanto a lui, un po' a disagio – ho notato che non ti sei mai avvicinato al parapetto. Come me, d'altronde...”
Shu rimase con la forchetta a mezz'aria, senza sapere cosa dire.
“E' un po'... troppo alto, quassù.”
“Shu, forse non ti ricordi che sono entrato nel tuo incubo? E sembrava proprio adatto a qualcuno che teme l'altezza.”
“E allora? - Shu cominciava a sentirsi nervoso. – Non posso soffrire di vertigini?”
“Certo che puoi! Il fatto è che... - Touma si chiese come fare la domanda che gli frullava in testa da anni, ormai. Da quando si era accorto della paura di Shu. - E' solo che quando ci siamo conosciuti, tu non ne soffrivi.”
“E come faresti a saperlo?”
“Avanti, ne abbiamo fatte di cose assieme! E potrei citarti diverse occasioni in cui non hai mostrato nessun senso di vertigine. Visto quello che è successo stavolta, - Cercò di essere più gentile - vorrei che tu mi dicessi che cosa è cambiato...”
Shu fu tentato di negare, ma sapeva che non l'avrebbe passata liscia. Così rilanciò.
“D'accordo. Io confesso se tu vieni con me!” E mentre ancora parlava si tirò in piedi e sollevò Touma, spingendolo verso il parapetto.
“Cosa? Ma che cavolo...” Touma cercò di opporre resistenza, ma si rese conto che in fondo era la cosa più sensata.
Si avvicinarono al bordo del terrazzo, poggiarono i gomiti sul parapetto e guardarono giù. Erano entrambi così rigidi e pallidi che guardandosi negli occhi finirono con lo scoppiare a ridere.
“Siamo un po' ridicoli, eh?”
“Credo anch'io...”
Touma si guardò alle spalle. Come previsto, gli altri stavano facendo di tutto per fingere di ignorarli.
“Allora?” Chiese, tornando a guardare Shu.
“Ecco, è... difficile da spiegare. E' successa una cosa. Tanto tempo fa. - Shu si chiese se era arrivato il momento di confessare il suo salto nel vuoto. Decise di no. - E io sono cambiato. Ma non è proprio l'altezza il problema.”
“Ne so meno di prima, sai?”
“Te l'ho detto, è difficile!”
“Se non è l'altezza, qual'è il vero problema?”
“E' che... uff. E' che io... – Shu arrossì violentemente – Voi siete la cosa più importante che ho! E non so come gestire questa cosa. E ho paura.” Abbassò lo sguardo verso terra, senza riuscire a rialzarlo.
Per fortuna la pioggia aveva lavato via le chiazze di sangue.
Touma rimase a fissarlo un attimo. Si chiese cosa c'entrasse l'altezza col troppo amore, ma si disse che poteva sorvolare su questo dettaglio. Mise un braccio attorno alle spalle di Shu e lo avvicinò a sé.
“Shu, non sei mica l'unico, sai?”
“Davvero?”
“E' una domanda?”
Shu sorrise.
“Beh, in effetti mi sa che lo sapevo già. - Si infilò la mano nella tasca dei jeans, tirò fuori la caramella e gliela mostrò. – Ehm, da qualche giorno...”
Fu la volta di Touma arrossire fino alla radice dei capelli.
“Dove... Dove l'hai presa, quella?!”
“Nel tuo comodino. Non stavo curiosando, eh! - Si agitò un po', sempre più imbarazzato. - Stavo cercando delle compresse per Seiji, e... l'ho vista. Non volevo farmi gli affari tuoi, davvero.”
Touma nascose il viso tra le mani.
“Che vergogna...” bofonchiò.
“Vergogna? E di cosa, scusa? - Shu non era un gran oratore, ma in genere sapeva bene cosa voleva dire. - Io sono contento che tu l'abbia tenuta. Beh, se è quello che penso, ecco.”
Touma si scostò appena un po', quanto bastava per osservare il suo nakama. Cercò qualcosa di intelligente da dire, ma non trovò nulla. Così coprì la mano di Shu con la propria, facendogliela chiudere attorno alla caramella.
"Tienila tu. Io... ne ho altre due.”
Shu lo abbracciò, un sorriso che si allargava sulle labbra. Anche se aveva gli occhi chiusi, poteva sentire addosso gli sguardi degli altri tre nakama.
“Andiamo. - Brontolò, scostandosi. – Per oggi credo di essere stato abbastanza coraggioso.”

- o -

Seiji entrò in sala, cercando di fare meno rumore possibile. Posò la valigia vicino alla porta di ingresso, poi si diresse in cucina. Accese solo le due piccole lampade che illuminavano il piano cottura e mise a bollire un po' d'acqua per il tè, poi ispezionò la dispensa in cerca di qualcosa da mangiare.
“Te ne vai di notte, come un ladro?”
La voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
Si voltò verso Shin, che si stropicciava un occhio con la mano destra, per metà coperta dalle maniche troppo lunghe del pigiama.
“Non è notte, Shin. Sono le sette del mattino. E comunque volevo solo fare colazione.”
“Primo, sono le sei e un quarto. Secondo, credi che dopo tutto questo tempo io non ti conosca? So benissimo che stai cercando di svignartela senza salutarci.”
Seiji abbassò gli occhi, con sguardo colpevole. “Non è che io voglia essere scortese, ma... il viaggio è lungo, vorrei arrivare a casa prima di cena, e...”
“Seiji... - Shin sbuffò, ma i suoi occhi erano dolci. - Guarda che lo so che non ti piacciono i saluti. Tutte le volte che ci separiamo sembri un bambino in punizione, e cerchi sempre di svignartela prima di tutti noi. Ma non credevo che arrivassi ad andartene mentre noi dormiamo!”
Seiji si sedette sullo sgabello del bancone. Aveva lo sguardo basso, fisso sulle proprie mani immobili in grembo.
“Io... Mi dispiace. Avrei aspettato che vi svegliaste. Davvero.”
“Ma non saresti rimasto a lungo, vero? Seiji, a nessuno di noi piace andar via. Cosa sta succedendo?”
“In realtà... non lo so. Questa volta è stato diverso. - Fece un gesto vago della mano, come ad indicare tutto quello che era successo. - E ci sono delle cose che devo capire. Di me, soprattutto.”
“E se la soluzione non fosse correre via per affrontare sempre tutto da solo?”
“In genere funziona.”
“Magari esiste qualcosa che funziona ugualmente e che è meno faticoso. O meno doloroso. - Shin gli si sedette accanto, guardando davanti a sé. - O che semplicemente non ci taglia fuori dalla tua vita.”
Seiji sollevò appena lo sguardo su di lui. Shin aveva la capacità di farti sentire in difetto senza accusarti di nulla.
“Ma io vi voglio, nella mia vita!”
“Tu ci vuoi solo quando ormai hai già risolto tutto da solo. E come direbbe Shu, è una cosa che non ti fa bene. - Si alzò, strofinandosi le braccia e sbadigliando. – Io torno a letto. E quando mi alzerò di nuovo, mi aspetto di trovarti ancora qui.”
Seiji sospirò. Guardò la porta che Shin si era chiuso alle spalle, chiedendosi come facesse ogni volta a fargli cambiare idea. Versò l'acqua bollente e si preparò il tè, poi si accoccolò nel divano a berlo, aspettando che si facesse davvero giorno.

- o -

Ryo chiuse la cerniera del giubbotto. Il borsone che si buttò in spalla era così sdrucito che sembrava dovesse perdere il contenuto per strada.
“Siamo pronti. Andiamo in stazione insieme, così ci facciamo un po' di compagnia mentre aspettiamo. Sei sicuro di non volerci accompagnare?”
Touma fece di no con la testa.
“Grazie, ma odio guardare i treni che partono.”
Ryo sorrise. Shu entrò in sala un po' affannato.
“Eppure era qui! Ryo, mi fai suonare il cellulare, per favore?”
“E' qui, razza di disordinato! - Shin sbucò alle sue spalle, agitandoglielo davanti al naso. - Quando sei di cattivo umore non ne combini una buona...”
“Senti chi parla! Tu stamattina non hai nemmeno fatto colazione.”
Shin lo ignorò. Si limitò ad abbracciare Touma.
“Riguardati, mi raccomando. - Lo fissò negli occhi, con disappunto. - Non mi sento tranquillo sapendo quanto tempo passi da solo.”
“Non ti preoccupare, lo sai che ci sono abituato.”
E anche se avessi cinquanta persone per casa, non sarebbe come se voi foste qui...
“Spostati, voglio salutarlo anch'io!” Shu si fece largo, ma quando fu di fronte a Touma non seppe cosa fare. “Beh, ciao.”
Touma scoppiò a ridere. “Ciao.” disse soltanto.
Ryo abbracciò velocemnte Touma. Strinse forte, questa volta senza dubbi. Poi si girò verso il quarto di loro. “Sei pronto, Seiji?”
“Andate pure. Arrivo tra un attimo.”
Touma osservò i suoi tre nakama uscire e chiudere la porta. Mentre ascoltava il rumore dell'ascensore che saliva al piano, si issò a sedere sul bancone della cucina. Dalla spalla gli si irradiò una fitta di dolore, ma era troppo di cattivo umore per limitarsi nei movimenti, e comunque non voleva dare nell'occhio.
Osservò Seiji che si avvolgeva la sciarpa verde scura attorno al collo, formando un anello al centro e passandoci dentro le due code.
“E così stavolta te ne vai per ultimo invece che per primo...”
Seiji sorrise, senza alzare lo sguardo.
“Hai parlato con Shin?”
“Non proprio... mi ha detto soltanto che questa volta non ti avremmo dovuto placcare.”
“Già. A quanto pare l'ha già fatto lui stamattina...”
Touma gli fece segno di avvicinarsi. Quando fu a portata di mano, lo afferrò e lo abbracciò, circondandolo con le braccia e con le gambe. Anche se era seduto, il suo viso era più in alto di quello di Seiji.
Gli mise una mano sotto alla guancia, infilando le dita sotto ai capelli. Passò il pollice sul taglio che la attraversava. I lembi della ferita erano discosti e gonfi, e minacciava di lasciare una bella cicatrice.
“Dovresti farci qualcosa.”
“Se non sono gravi le vostre ferite, non vedo perché dovrebbero esserlo le mie.”
“Come la spiegherai alla tua famiglia?”
Seiji scrollò le spalle.
“Dirò che siamo stati coinvolti in una rissa.”
Touma assottigliò gli occhi, in segno di avvertimento.
“Seiji...”
“E va bene, proverò a curarla. Non capisco che fastidio ti dia.”
Stavolta fu Touma a scrollare le spalle, allentando appena un po' la presa attorno all'amico.
“Ti preferisco intero, tutto qui.”
Poi gli afferrò la testa e se la premette contro una spalla.
“Mi prometti che la smetterai?”
“Di fare cosa?”
“Sempre la stessa cosa. Chiuderti in te stesso fino ad implodere. - Si staccò da lui e lo fissò negli occhi. - Non sei solo, Seiji. Vorrei soltanto che te ne ricordassi.”
“Lo so. Davvero. - Avrebbe voluto promettere che sarebbe cambiato, ma non faceva promesse che non era sicuro di mantenere. Si godette ancora per qualche istante quel calore, poi si allontanò. - Devo andare.”
“Vai. Se ti sbrighi puoi raggiungere gli altri.”
Seiji si limitò ad annuire. Infilò la giacca, prese la valigia ed uscì. Passò qualche minuto prima che Touma si decidesse a saltar giù dal bancone.
Uscì in terrazzo, le mani erano ancora un po' tese quando le poggiò sul parapetto.
Si costrinse ad aprirle bene e le premette sul cemento. Il terrazzo si affacciava sul retro dell'edificio, così non poteva vedere i suoi nakama mentre si incamminavano lungo la strada. Touma guardò invece in alto, verso le nuvole grigie che si stavano radunando velocemente. In fondo era sempre stato attraverso Tenku che era riuscito a percepirli chiaramente, ed a sentirli accanto a sé anche quando erano lontani.
Inspirò a fondo, mentre il vento gli scompigliava i capelli che cadevano sulla fronte. Era ora di tornare alla sua vita di ogni giorno, ancora una volta...

  
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