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Autore: radioactive    08/10/2013    7 recensioni
Un attimo dopo erano lì: il paravento era caduto a terra in un gran fracasso, la camicia ed i pantaloni bagnati di Jem appoggiati sul separé si rovesciarono sul tappeto, Will aveva attraversato a grandi falcate la stanza e strappato dalle mani di James la camicia asciutta, gettandola distrattamente a terra. William incastrò il corpo di Jem tra il proprio – bagnato fradicio, con la camicia incollata al petto – e il muro da cui si riusciva a percepire l’umido dell’ambiente esterno. Jem rabbrividì dal freddo che lo circondava, stringendo le spalle dell’altro.
«Baciami, Carstairs» mormorò l’Herondale, come se fosse sul punto di assaggiare il nettare degli dèi. Le braccia di Jem si avvolsero attorno al suo collo e le loro labbra si unirono, mentre William afferrava per le cosce il compagno e lo tirava su, schiacciandosi ulteriormente a lui.

| ante-CA [la notte in cui Will si tatuò il drago gallese sul...] ● Heronstairs ● 948 parole |
Genere: Demenziale, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Carstairs, William Herondale
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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       BACIAMI, CARSTAIRS

 

 

 

 

 

 

William si sentiva felice, e sapeva che quella felicità gli avrebbe costato molto, chissà – magari la vita. Fatto sta che l’Enclave non lo avrebbe gradito affatto.

 

Ricapitolò velocemente ciò che era successo: lui e James erano usciti, approfittando del tempo stranamente mite che regnava sovrano su Londra (Raziel salvi la regina per questo!) ma, appena messo piede dentro Hyde Park,  il cielo si imbrunì di colpo, le nuvole di un grigio denso si svuotarono di tutta la loro pioggia e, prima che William potesse fare un qualche commento sulle papere le quali starnazzavano allegramente, si ritrovò costretto a fuggire all’Istituto trascinando per la giacca Jem, che con una mano si teneva il cappello sulla testa, alternando momenti di risate ad esortazioni a considerazioni sulla pazzia di Will.

Giunti a quella che chiamavano casa, salirono le scale ignorando chiunque tentasse di rivolgere loro la parola per chiudersi in camera di Jem, William si tolse il cappotto facendolo volteggiare per poi appenderlo sull’attaccapanni, bagnando così mobili, pareti, pavimento e tappeto della camera dell’altro.

«Sono state le papere!» esordì con convinzione, alzando le braccia, sfilandosi poi anche la giacca, quindi si appoggiò alla porta per liberarsi anche dalle scarpe usando i piedi, rigirandosi le maniche della camicia sui gomiti, «quelle maledette! Che l’Angelo se le prenda!» continuò, sempre parlando degli anatroccoli.

Per tutta risposta, Jem ridacchiò e con più buone maniere e riguardo nei confronti della povera Sophie e di Thomas, riponeva accuratamente cappotto e giacca su delle sedie, posandole davanti al camino già meravigliosamente acceso dai mondani che lavoravano presso i Branwell. Non aggiunse altro, ignorando William mentre si crogiolava nelle sue considerazioni, si limitò a prendere una camicia pulita e dei pantaloni e poi recarsi dietro il paravento, lasciando l’Herondale in preda ai suoi deliri sulle anatre.

 

Un attimo dopo erano lì: il paravento era caduto a terra in un gran fracasso, la camicia ed i pantaloni bagnati di Jem appoggiati sul separé si rovesciarono sul tappeto, Will aveva attraversato a grandi falcate la stanza e strappato dalle mani di James la camicia asciutta, gettandola distrattamente a terra. William incastrò il corpo di Jem tra il proprio – bagnato fradicio, con la camicia incollata al petto – e il muro da cui si riusciva a percepire l’umido dell’ambiente esterno. Jem rabbrividì dal freddo che lo circondava, stringendo le spalle dell’altro.

«Baciami, Carstairs» mormorò l’Herondale, come se fosse sul punto di assaggiare il nettare degli dèi. Le braccia di Jem si avvolsero attorno al suo collo e le loro labbra si unirono, mentre William afferrava per le cosce il compagno e lo tirava su, schiacciandosi ulteriormente a lui.

«Will…» mugolò l’altro, allontanando il volto del parabatai dal proprio per riprendere fiato – le guance paonazze per lo sforzo, succedeva sempre che Jem avesse il fiato corto, e diligentemente William lasciò che lo recuperasse, senza però smettere di tenerlo alzato da terra. Chinò il viso nell’incavo del suo collo, iniziando a baciargli la pelle candida con una delicatezza che non aveva mai riservato a nessuno – ma Jem la meritava più di chiunque, inoltre William era fermamente convinto che l’albino potesse rompersi sotto il suo semplice tocco.

Non ci volle molto prima di sentire le dita di Jem stringergli la maglia bagnata, il labbro inferiore leggermente gonfio dall’averselo morso e, dulcis in fundo, le gambe di James si strinsero alle cosce di Will, strusciandosi poco dignitosamente di quando in quando.

«Will William» lo chiamò ancora l’altro, allora l’Herondale lo afferrò per le natiche, fece una mezza giravolta e lo stese sul letto, mettendosi a cavalcioni su di lui per coinvolgerlo in un altro bacio, facendo danzare le loro lingue con famelico desiderio. Jem lo strinse a sé rabbrividendo per le gocce d’acqua che fuoriuscivano dal tessuto zuppo della camicia, provvedendo poi a sbottonargliela nonostante fosse impegnato in tutt’altro affare. Gliela sfilò dai pantaloni, abbassandogli le bretelle e con un colpo di bacino invertì le posizioni, sentendo subito le mani dell’altro palpargli il fondoschiena e poi tentare di abbassargli i calzoni con vari strattoni – inutili.

«Non così… li rompi» mormorò Jem, appoggiandosi sulle ginocchia mentre con le mani si slacciava i pantaloni. Will si sentì arrossire dalla vergogna, ma decise che avrebbe dato la colpa al caldo, o a qualsiasi altro fattore plausibile.

 

Il gallese si sentì punzecchiare sulla natica, d’un tratto fu abbastanza cosciente nel dormiveglia da avvertire anche il tremendo dolore che gli provocava quel continuo pungere. Aprì gli occhi di scatto sentendo il viso intorpidito, la testa gli girava così tanto che temeva si sarebbe staccata da un momento all’altro  dal collo. Si appoggiò una mano sulla tempia pulsante.

«Oh! Pensavo fosse morto» esordì una voce squillante.

«Te l’ho detto che non era morto, Henry» ribatté un’altra, più mansueta e dolce – era quella di Jem.

Will sgranò gli occhi di colpo, alzandosi in piedi e crollando sugli scalini dell’Istituto (dove si era addormentato) subito dopo, aveva la bocca troppo impastata per dire qualcosa e decise di lasciar perdere. In compenso, ora si ricordava il minimo indispensabile di ciò che era successo: era uscito, entrato in un pub, ubriacato – con la precisa intenzione di scoprire come si comportava da ubriaco – e, se tanto gli dava tanto, il dolore sul fondoschiena era dato da un tatuaggio che gli pareva di aver fatto che Jem aveva centrato in pieno mentre lo toccava continuamente con quel suo bastone, come se Will fosse stato uno scoiattolo e Jem il moccioso di otto anni che con un bastoncino controllava se questo fosse in vita o meno.

Si passò una mano sul viso, mentre la voce ovattata di Jem chiedeva a Henry se gentilmente poteva caricarsi William sulle spalle e portarlo dentro l’Istituto.

Era stato solo un sogno, grazie all’Angelo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»

 

Non ho davvero nessuna nota da aggiungere, solo che dovrei stare zitta e buona e andare a studiare filosofia.

Addio, miei prodi.

 

radioactive,

 

   
 
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