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Autore: FolliaProfonda    08/10/2013    1 recensioni
Soldati
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For her.

                                                                                    ***

Mi alzai dal letto con l’aiuto di Federica. Ormai stavo in piedi solo con un bastone. Avevo dolori ovunque e sempre maledivo quel tumore che mi stava distruggendo. Sembrava che le rughe sul mio viso aumentassero di cento in cento in ogni secondo. Mio marito era deceduto, ogni notte lo sognavo e mi risvegliavo sempre in lacrime. Adesso che vivevo con Federica la vita che mi restava da vivere era meno dolorosa. Lei ha sempre saputo consolarmi e rincuorarmi. Non mi lasciava neanche per un minuto e questo mi faceva sorridere.
Era sempre stata la mia ancora.
Mi passò il bastone e mi appoggiai. Percorsi il corridoio a piccoli passi, mentre Federica mi canticchiava quella canzoncina che faceva tanto ridere entrambe:

Ho tante noci di cocco splendide dididididuda in fila per tre per tre bam bam bam grandi grosse anche più di te!”

Arrivai, non so come, in cucina e mi sedetti al tavolo. La colazione era a base di cornetto al cioccolato e succo alla pesca, la mia preferita. Presi il cornetto e Federica mi mise il bavaglino. Diedi il primo morso e lo gustai fino all’ultimo pezzo.

«Ah, amore, ho una sorpresa per te.»
Adoravo le sorprese, soprattutto le sue. Una volta, da adolescenti, mi regalò un libro. Era quello che tanto volevo e mi disse che, per averlo, dovette trasgredire le regole.
«Mi piacciono le sorprese.» Sorrisi e presi il bicchiere.
«Lo so.»
Le mani si sfiorarono e sentii una scossa elettrica, come sempre. Mi provocava questo effetto fin da ragazzine. Mi accarezzava e rabbrividivo. Mi abbracciava ed ero in paradiso. Arrivare fin qui insieme, non fu una passeggiata. Nessuno credeva nel “per sempre”, tranne noi. Noi eravamo riuscite a dimostrare che quelle due paroline esistevano, se solo due persone le costruivano.
Sorseggiai il succo con la mano tremante e, dopo averlo bevuto tutto, Federica me lo riempì d’acqua. Dovevo prendere le mie medicine. Andò in cucina, nell’apposito cassetto, e ritornò da me. Cinque piccole sfere erano nella sua mano. Sospirai appena le vidi. Erano ormai quattro anni che le prendevo, ma nulla migliorava, anzi. Le inghiottii una ad una.

«Ehi.» Federica si avvicinò a pochi centimetri da me. «Tu devi restare come me, intesi? Non puoi abbandonarmi, non puoi. Ce la faremo, mh? Insieme, come sempre.»
«Come sempre.» Ripetei.
Mi baciò la fronte e mi diede una mano per alzarmi. Mi appoggiai al bastone e andammo il bagno per lavarmi e vestirmi. Mi sedetti sul water e lei mi spogliò. Mi aiutò ad entrare nella doccia e aprì il rubinetto dell’acqua lasciandola sbattere calda e lenta sulla mia schiena. Avevo così freddo che mi sembrò di essere sul punto di esplodere per il tremendo sbalzo di temperatura. Mi insaponò per bene e le sue mani sul mio corpo mi provocarono dei brividi che adoravo. Uscii e mi avvolse nell’accappatoio, asciugandomi. Mi aggrappai al suo braccio e insieme andammo in camera per scegliere i vestiti. Aprì l’armadio e iniziammo a rovistare.

«mmh … questo.» Mi porse un vestitino azzurro a fiori. Gigli, per la precisione. Era il mio preferito, dunque annuii all’istante. Me lo infilò con delicatezza e arrivata al seno, il mio punto debole, me lo baciò dolcemente. Morsi il labbro e soffocai un gemito. Solo lei sapeva come farmi impazzire in pochi secondi. Lo faceva anche solo chiamandomi con quei soprannomi stupendi. Mi sedetti sul letto e mi infilò le scarpe.
«Bimba, sei pronta?» Bimba lo amavo.
«Si, prontissima.» Sorrisi, mi diede la mano e ne intrecciai le dita. Prese la sua borsa e io il mio bastone. Uscimmo di casa, dopo aver infilato i giubbotti, e iniziammo a camminare.
«Dove mi porti?» chiesi.
«Eh, sorpresa, ho detto.»
«Neanche un indizio?»
Scosse la testa e sorrise. Mi fermai un instante a guardare il suo sorriso. Era la cosa più meravigliosa al mondo. Era così radioso e lucente, che faceva invidia al sole.
Prendemmo il tram e arrivammo in piazza. C’era abbastanza gente, dato che era il primo dicembre e si festeggiava la Sagra del Cioccolato. Adoravo quella sagra, perché adoravo il cioccolato.

«Che ci facciamo qui, amore?» Dovetti quasi urlare, affinché mi sentisse.
«Vieni con me …» sussurrò al mio orecchio. Mi tirò con sé al centro della folla e si mise di fronte a me, prendendomi le mani. Si guardò intorno e io aggrottai le sopracciglia.
Che voleva fare?

«Un attimo di attenzione, prego.» Urlò e tutti si fermarono, gli sguardi fissi su di noi. Iniziai ad agitarmi e mi accarezzò i dorsi delle mani. «Oggi è il primo dicembre, il sessantacinquesimo anniversario del nostro primo incontro. Sono passati ben sessantacinque anni, Dio. E chi poteva immaginarselo? Chi poteva mai sapere che saremmo state insieme così tanti anni? Tutti ci erano contro, ma noi siamo riuscite ad andare avanti. Voi, voi che non ci credevate, adesso guardateci.» Si fermò un istante e mi guardò negli occhi. «Sara, sei la persona più importante al mondo, per me. Sei sempre stata la mia unica ragione per respirare. Adesso, questo maledetto tumore ti vuole strappare via da me. Ma non ce la farà, non glielo permetteremo Okay? Okay. Okay? Ho detto okay.» Sorrisi e abbassai lo sguardo, arrossendo un po’. Mi abbracciò e la strinsi forte. Chiusi gli occhi, principalmente per respingere le lacrime. Non parlammo. In quel momento le nostre anime si stavano toccando e confrontando. Si stavano dando forza.
Ci staccammo dopo un po’ di minuti e già volevo riabbracciarla. Ci guardammo e le accarezzai la guancia, sorridendo dolcemente.

«Adesso andiamo in quel posto dove puoi andare ovunque.»
I miei occhi si illuminarono.
 
Entrammo in biblioteca. La biblioteca preferita di mio marito. Non entravo da quando era morto: questa era l’unica cosa che mi ricordava troppo intensamente lui. Ma Federica mi convinse a rientrare, dicendomi che ricordare quei momenti passati qui insieme era una bella cosa. La biblioteca era enorme, piena di scaffali posti in fila su cui i libri erano disposti in ordine di genere e alfabetico. Andai spedita al reparto Letteratura Italiana. Presi un libro di poesie di Ungaretti, il mio poeta preferito delle due guerre. Iniziai a sfogliarlo e arrivai alla mia poesia preferita:

  Soldati.
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.     
   

Sentii delle mani calde avvolgersi attorno al mio ventre e sorrisi. Io e Federica recitammo insieme la poesia, sussurrando. Mi morse delicatamente il lobo dell’orecchio sinistro e rabbrividii.

«Ho trovato un libro che ti piacerà …» Mi prese per mano e mi condusse alla poltroncina da lettura. Mi accomodai e mi posò sulle gambe una copia de Il linguaggio segreto dei fiori. Sfiorai la copertina del libro con la punta delle dita, come se potessi romperlo da un momento all’altro.
«Come hai fatto a trovarlo? E’ così vecchio che …»
«Be’, cercando … confesso, il commesso me l’ha tenuto da parte.» Sorrisi e aprii il libro. Lo avvicinai al naso e ne aspirai l’odore.
«Pensavo ti sarebbe piaciuto tornare un po’ ai vecchi tempi …» Posò la mano sul mio ginocchio e accarezzò delicatamente, mentre mi rilassavo sulla poltrona e iniziavo a leggere.
«Il pioppo nero …» sorrisi. «Ricordo che anche io, come Victoria, mi scervellai per capire che significasse …»
«Uh, e significa?»
«Coraggio.» Riabbassai gli occhi al libro e continuai a leggere. Faticai a stringerlo tra le dita: erano freddissime e stavano diventando rigide. Il libro mi scivolò di mano, come se fosse una saponetta. Lo guardai e, in un primo momento, decisi di raccoglierlo, ma, appena provai ad allungarmi, una fitta di dolore dal centro della schiena mi costrinse a star ferma. Federica guardò il libro e sospirò. Poi si piegò su di me e mi aiutò a rilassare sulla poltrona.
«Calma, lo raccolgo io.» Mi sorrise e mi accarezzò i capelli. Annuii e le palpebre mi sembrarono più pesanti che mai. Le chiusi e strinsi la sua mano. Un brivido mi percosse tutto il corpo e fu come se lo crepasse. Morsi il labbro e sentii il suo respiro sul mio collo.
«Ssh, piccola, devi dormire … hai sonno ..» Mi sussurrò.
«Mi prometti che quando mi sveglio, tu ci sarai?» sbiascicai.
«Prometto. Se caso mai non mi vedi, sarò in cucina a preparare la colazione.» Mi sorrise e appoggiò la sua fronte sulla mia. Riaprii a fatica gli occhi e l’ammirai per qualche secondo. Quegli occhi scuri, che al sole si trasformavano in verdi, mi sembrarono i più belli che avessi mai visto. Poi passai ad osservare quelle labbra. Erano rosse e sottili.
Mi ricordai che dovevo fare una cosa importante.

«Devo farlo prima di dormire …» Mi avvicinai la suo viso.
«Cosa?» sorrise.
I nasi si sfiorarono ed ero più agitata che mai. Lentamente, posai le mie labbra tremanti sulle sue. La baciai dolcemente e nel mio stomaco c’era l’intero zoo. Massaggiai con dolcezza, mettendoci tutto il mio amore trattenuto in questi anni. Una scarica elettrica, molto più forte di quelle che mi trasmetteva con una carezza, mi attraversò il corpo che bruciò come avesse preso fuoco. Morsi il suo labbro inferiore e sorrisi. Mi staccai, facendo schioccare le labbra. Ne volevo ancora, ma faticavo a respirare e non riuscivo più ad aprire le palpebre. 

«Ti amo, Sara, ti ho sempre amata …» Le parole erano un rimbombo in un’arena vuota. «Che bello averti baciata ... hai delle labbra così morbide. Non volevo ti staccassi ... la prima e l'ulitma volta prima che i tuoi occhi si chiudano per sempre …» Ci fu silenzio e avrei tanto voluto piangere, ma non potei. Cercai di sorridere e mi addormentai, mentre Federica cantava dolcemente.

You'll never love yourself half as much as I love you. You'll never treat yourself  right darlin' but I want you to. If I let you know I'm here for you. Maybe you'll love yourself like I love you, oh…

Quello fu un sonno senza sogni. 
                                                                             
                                                                                           ***
 
  
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