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Autore: Tardis Door    08/10/2013    1 recensioni
La mia, era quella che si definiva una vita strana, anormale, fantastica. O almeno così mi sembrava. A quanto dicevano i medici, ero completamente sana di mente, eppure io credevo di aver vissuto due vite, se non di più. Cioè, ora vi spiego...
La mia storia è collocabile in un punto indefinito dopo la 7° stagione. Il Dottore incontrerà una nuova companion, Barbara, che in seguito scoprirà essere imparentata con qualcuno che conosce ''molto bene'' ;)
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Doctor - Altro, Jack Harkness, Nuovo personaggio, TARDIS
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER 7 [Pov. Barbara]

Merlino mi aveva regalato due fiale, solo perché gli avevo detto che mi piaceva la forma. Uno era vuoto e l'altro conteneva il gas. Il Dottore aveva preso quello vuoto, perché l'avevo posizionato dove ero sicura l'avesse preso. E comunque non comandava lui nella nostra squadra! Avrei conservato la sgridata per dopo il piano: 'salviamo il Dottore come lui ha salvato me'.
Mentre il mostro era preso a succhiare la disperazione del Dottore, presi la sedia e gliela diedi in testa con tutta la forza che avevo. Questo cadde a terra, immobile. Prima che potesse muoversi di nuovo, presi l'altra fiala, quella col gas e gliela feci annusare. Quando fui sicura di aver finito con lui, corsi dal Dottore e lo schiaffeggiai finché non tornò in carne e ossa nel mondo dei vivi ...
<< Come lo ammazziamo? >> chiesi, lui mi stava chiedendo con lo sguardo cosa avessi fatto. Ancora non ce la faceva a mettere due parole vicine per formare una frase. << Sapevo che non avevi il coraggio di toccarmi, così la fiala piena l'ho messa più nascosta, e quella vuota a portata di mano >> dissi indicando i vari nascondigli. Lui guardò attentamente dove mettevo le mani. Poi si girò imbarazzato. Cosa alla quale oramai mi ero abituata.
<< Sei brava, complimenti >> si lodò con me. Sentii in sottofondo una musichetta angelica e la luce per il paradiso mi guidò fino tra le nuvole. Aveva ammesso che ero brava, eravamo a metà dell’opera!
<< Penserai dopo a come ricompensarmi! >> Dissi provandoci ancora, e, di nuovo, vidi quella solita faccia terrorizzata. Quanto mi eccitava!
<< Per rispondere alla domanda di prima, lo uccidiamo facendogli ingoiare un oggetto pieno di sola felicità >> disse allungando una mano verso di me. Dovevo cacciare io qualcosa? Ma che tirchio!
<< Io ho una foto con me e il mio bisnonno insieme, credo che basti >> provai, porgendogli la foto. Non c’era nulla del mio bisnonno che non adorassi, quindi era l’oggetto perfetto per l’occasione. Lui la prese e la guardò, forse ricordando i bei vecchi tempi. Lo guardai osservare quella foto come se fosse oro scintillante; il lieve sorriso sul suo volto mi fece capire che quella piccola disavventura dei quattro rintocchi e della rigenerazione gliele aveva perdonate già da parecchio tempo. Era andato avanti senza risentimenti.
Il momento di tenerezza si rovinò quando aprii bocca per parlare: << Gliela ficchi tu? >>
Mi guardò, ora schifato. Ma gli toccò obbedire perché io non l’avrei mai fatto. Da vero gentiluomo, piegò la foto e la infilò fin dentro la gola del mostro. Aspettammo che la saliva la trascinasse giù … Sembrava non succedere nulla.
<< Dottore ... perché non ... >>
BOOM! Il mostro scoppiò, esplodendo sulle nostre facce sotto forma di una schifosa melma arancione. Non riuscivo neppure ad aprire gli occhi con quella roba appiccicosa in faccia. La stanza si mosse, riportandoci a terra con uno scossone. Gli abitanti ci ripulirono e fecero una festa in nostro onore. ''I liberatori'' così stava scritto sotto una nostra statua che fecero erigere per l'occasione da un centinaio di persone in due ore. Che società efficiente. Rimanemmo scioccati, ma anche lusingati da tutto quell'entusiasmo. E dire che qualche ora prima ci urlavano addosso e credevano che non ce l’avremmo fatta.
Ma il Dottore, a differenza della sottoscritta, non amava troppo essere festeggiato e avere tutta la gloria del salvatore, preferiva essere ringraziato silenziosamente. Una stretta di mano e VIA.
<< Andiamocene, devo riportarti a casa. >> Mi disse prendendomi la mano. Salutammo tutti e tornammo al Tardis. Quando fummo dentro, e nessuno poteva più vederci né sentirci, convenni che era il momento giusto per parlare.
<< Ti ho salvato la vita ed in più volevi addormentarmi senza il mio consenso. Non mi sarebbe dispiaciuto se fosse stato per scopi... creativi, ma tu credevi di potercela fare da solo. E io, ti ho solo dimostrato la verità. Tu hai bisogno di me! >> Dissi con enfasi, senza risparmiarmi battutine e allusioni di vario genere. Le gambe mi stavano cedendo per la stanchezza, quindi decisi di aspettare comodamente sul divano la sua risposta. Lui, serio, continuava a girare per la console e a premere tasti, quasi come se non avessi detto ancora nulla. Rimase così per un bel po’. Poi con uno scatto rapido si fermò.
<< Non voglio rovinare anche la tua vita … >> disse sedendosi sulla poltrona di fronte la mia.
<< Non hai rovinato la vita di nessuno! Da quanto ho capito Rose Tyler è felicemente fidanzata col tuo clone … >>
<< Metastasi >>
<< Si, quello che è … Mia madre non sa neppure chi sei, quindi non le cambia molto la vita, Martha Jones ... >>
<< E' sposata con l'ex di Rose. >> Continuò lui per me.
<< Amy e Rory, hanno fatto la mia stessa fine, a quanto ho capito, ma in fondo sono morti felici e ancora insieme, giusto? >>
<< Si, me l'hanno anche scritto in un libro! >>
Lo stavo tirando su di morale, confortandolo con quelle parole, ma la parte migliore doveva ancora arrivare. Mi alzai e mi sedetti accanto a lui così le mie parole non sarebbero volare dappertutto prima di finire nel suo orecchio.
<< Mi dispiace dirti questo, Dottore, ma non sei tu che rovini la vita alle persone. Sono le persone che rovinano la vita a te! E io vorrei rovinartela ancora di più, se permetti … >>
Mi guardò a fondo, socchiudendo le palpebre come a ragionare su ciò che avevo appena finito di dire. Lo stavo convincendo, ma non era quello che volevo. Io non volevo convincerlo delle mie idee, volevo che ne avesse delle sue; e che non tutte finissero con la frase ‘’è colpa mia’’ e ‘’le/gli ho rovinato la vita’’.
<< Diciamo che ci rovineremo la vita a vicenda. >> Concluse. Ero pienamente d'accordo. << Allora! Dove vuoi andare? >>
<< Chiedilo a Sexy >> dissi. << Sembra che decida sempre lei dove andare. O mi sbaglio? >> La macchina sembrò darmi ragione.
<< No, ho io il controllo, mi basta mettere le coordinate e ... >> Non finì neppure di parlare che il Tardis partì da solo, per volontà della mente pensante di una donna, un uomo o un asessuato intrappolato al suo interno, che voleva scoprire il mondo e visitarlo col Dottore. Ma come facevo a sapere quelle cose? Mi sembrava di riuscire a pensare come il Tardis, a sentire quello che sentiva e mi rendevo anche conto che era impossibile. Anche se ... avevo appena scoperto che quelle che credevo favole erano tutte storie vere, quindi non c'era limite all'impossibilità! Non con il Dottore nei paraggi!
<< Questo non capiterà più! >> Chiarì il Dottore mettendo il muso. Poi gli spuntò un incantevole sorriso e mi porse la mano. Aprimmo la porta e ciò che vidi fu incredibile! C'era un enorme giardino, infinito come il campo di calcio del cartone Holly e Benji, di un verde brillante, pieno di fiori enormi e variopinti. In lontananza si estendevano montagne con la cima azzurra che si confondevano col cielo. Gemme e diamanti volavano a mezz'aria, accendendo l'atmosfera di una brillantezza magica. Avrei avuto quasi paura di sbatterci contro!
<< E' bellissimo! >> Dissi. Il Dottore mi lasciò immediatamente la mano e corse ad esplorare quel mondo sconosciuto.
<< Qui non c'ero mai venuto, ma dovrebbe essere il pianeta Windego, abitato dalle fate dei diamanti. >> Mi spiegò, rispolverando le sue conoscenze dell’universo.
<< Questo pianeta, Wigo, Wingo … >>
<< Windego. >> Mi aiutò lui.
<< Mi suona familiare … >>
<< Impossibile! A meno che tu non sia una viaggiatrice, non dico del tempo, ma almeno proveniente da un futuro in cui l'umanità conosca l'universo! >>
<< Sai cosa sento uscire dalla tua bocca? >> chiesi con un tono scortese e sprezzante del suo essere perennemente un fastidioso saccente. << Solo bla bla bla! >>
<< Bhè, almeno sei sincera! >> Disse lui sorridendomi. Quel sorriso mi stendeva sempre, così mi distrassi e inizia ad esplorare quel fantastico posto. Camminammo per tutto il giardino finché non incontrammo delle fate. Si, fate! Erano tutte donne bellissime, umanoidi con ali da fata. Ma la cosa più importante era che erano tutte nude e brillavano, come i vampiri di Twilight. E non so se l'ho già detto, ma erano nude! Cioè, mostravano tutto ciò che la natura, buona e generosa com’era stata, le aveva donato, facendomi quasi sentire come il cesso di un autogrill. La mia autostima, se ancora non l’avete capito, cadde in pochi attimi fin sotto ai miei piedi e restò lì per mooolto tempo!
<< Salve stranieri. >> Disse una di loro. << Cosa ci fate qui? >>. Tutte le altre risero, quasi avesse fatto una divertente battuta che solo loro fate potevano capire. Il Dottore non rispondeva, si era incantato. Gli tirai un pugno sulla spalla. Alla sua età ancora si incantava a guardare le donne nude!
<< Era necessario? >> Si lamentò strofinandosi il punto dolente. << Bhè, noi siamo di passaggio … >> Rispose poi alle fate.
<< Venite a visitare i nostri fiori. Vi tiriamo su noi e vi mostriamo l'interno! >> Sembrava satana vestita da fata quella che ci tentava. Una di loro era così bella da attirare la mia, quasi altrimenti inesistente, attenzione. Era bionda, occhi azzurri come il riflesso dei diamanti nell'aria, e un corpo da favola. Sembrava possedesse tutto ciò che desideravo avere ed essere io. Cioè, diciamoci la verità, a nessuno piace esattamente se stesso così come ‘’mamma l’ha fatto’’, ognuno di noi vorrebbe poter modificare qualcosa, piccola o grande, per essere accettati e amati dagli altri.
<< Io sono Barbara >> le dissi. Lei mi sorrise, arrossendo. Poi quattro di loro presero in braccio e la nostra forza fu annullata. Non potevamo muoverci, non ce la facevamo e non volevamo. Loro ci stavano controllando e spostando a loro piacimento e a noi stava bene così. Ci posarono giusto al centro di un fiore e lì riacquisii la capacità motoria che avevo temporaneamente perduto. Non ero molto convinta dell’innocenza e della buona fede di quella razza, ma pensare a quella fata mi fece scordare tutto e passare ogni dubbio. ‘’Vorrei abbracciarla e assaporare le sue labbra’’ pensavo mentre atterravo su un morbido e profumato tappeto, quella che doveva essere il talamo del fiore. Le fate iniziarono a ridere, sempre più forte, finché non divenne un suono insopportabile.
<< Dottore, credo ci sia qualcosa che non va! >> Dissi tappandomi le orecchie. Lui fece lo stesso, con l’aggiunta di un’espressione che diceva ‘’Ma dai, non mi ero accorto di nulla. Che perspicacia!’’. La corolla si chiuse sopra le nostre teste, bloccandoci all’interno del fiore con un tonfo sordo, nemmeno fossero state di metallo.
<< Credo che ci abbiano catturato! >> Disse osservandosi intorno.
<< Sei un genio! >> Urlai di rimando. Ok, era capitato anche me l’attimo prima di dire un’ovvietà, ma quella era da premio Oscar!
<< Grazie! >> Disse fiero di sé, poi ci pensò un po' su, tentando di decifrare il tono che avevo usato. << Eri ironica? >>
Non valeva neppure la pena risponderlo. Mi alzai e andai a picchiare sui petali per vedere se erano abbastanza forti o potevamo distruggerli per uscire. Ma ogni mio sforzo fu vano, ovviamente. Per una volta non poteva essere tutto facile? Il Dottore fece la solita scansione con il cacciavite sonico.
<< E' un fiore a tutti gli effetti >> constatò. Lo fissai in modo truce poiché, dal momento in cui non riuscivo a romperlo, qualche problema doveva esserci per forza. Come poteva un normale fiore essere così forte e resistente? Avrei dovuto riuscire a romperlo in poco tempo e sforzo, e invece stavamo ancora dentro a pensare. Era diventato quello che sapevamo fare meglio. Pensare.
<< La prossima volta mi spoglio e mi cospargo di brillantini, così non avrai bisogno di attraversare l'universo per masturbarti! >> urlai, in preda al panico. Ci avrebbero mangiate, ne ero sicura. Sennò a cosa potevamo servire? Io proprio a nulla, ma il Dottore sarebbe potuto essere una cavia da laboratorio per i loro esperimenti … Boh!
<< Ti ricordo che è stato il Tardis a mandarci qui! >>
Passammo due ore intere a tentare di uscire, fallendo ad ogni tentativo. Insomma il nostro destino era quello di essere catturati e messi alle strette ogni fottuta volta! Esilarante. Dopo due ore, stanchi e sfiniti, decidemmo di sederci e aspettare il momento in cui quelle maledette fate ci sarebbero venute a prendere. Ci girammo i pollici e guardammo il soffitto. Lo supplicai in ginocchio per farmi fare una treccia ai capelli, che uscì anche abbastanza brutta, oppure artistica se la vediamo da un altro punto di vista. Quando ebbe finito l’opera mi proposi di toccargli i capelli, per farlo rilassare e, dopo svariate insistenze, cedette alla proposta. Si stese con la testa sulla mie gambe e, a disagio come suo solito, si lasciò infilare le dita tra i capelli. Lo accarezzai così delicatamente che quasi lo feci addormentare. Le sue palpebre stavano per cedere, quando …
<< Mi presti un foglio e una penna? >> chiesi all'improvviso, stanca di fare qualsiasi altra cosa. Lui frugò tra le sue infinite tasche e mi passò ciò che chiedevo. Scrissi il nome di quel paese su di un foglio, poggiandomi sulla sua pancia per evitare sbavature. Windego. Mi diceva qualcosa e dato che non avevo nulla da fare mi misi a pensare. Cercai nei cassetti della mia memoria un nome simile a quello.
W I N D E G O
Forse era un anagramma, cosa poteva uscire se cambiavo le lettere?
Wogendi, Wednigo, Wendigo!! Wendigo!!! Quella vecchia storia che mi raccontava il vecchio indiano al corso dei boy scout! Come avevo fatto a non pensarci prima! Era una storia che mi aveva da sempre affascinata, poiché l'indiano diceva fosse una storia vera, anche se nessuno dei miei amici ci aveva mai creduto.
 
Stavamo tutti intorno al fuoco a raccontare storie mentre arrostivamo marshmallows. Seduti su tronchi di legno scomodi davanti alla calda luce del falò. I ragazzi più grandi raccontavano stupide storie dell'orrore che non avevano mai fatto spaventare nessuno. Poi arrivava quel momento della serata, quello che più mi piaceva, il turno di ‘’Aquila Selvaggia’’, così si faceva chiamare il vecchio indiano che abitava nella riserva che ospitava il mio gruppo. Quando parlava lui, tutto taceva o faceva rumore al momento giusto, quasi come se la natura si fosse messa d’accordo con lui. Raccontava le sue storie come se le avesse vissute, e a noi sembrava lo stesso. La mia preferita era appunto quella del Wendigo. Quando nel racconto c'era rumore di foglie, le foglie si muovevano, quando c'erano animali di mezzo, si sentivano versi nella notte. Sembrava che tutta il bosco volesse ascoltarlo e aiutarlo. Era magico...
 
<< Dottore, la parola Wendigo non ti dice niente? >> chiesi.
<< Si, sono dei mostri cannibali che si dice abbiano capacità fuori dal normale, ma non esistono, o almeno io non li ho mai incontrati. >> Mi spiegò, ma forse per una volta dovevo essere io a fargli conoscere la verità.
<< E se esistessero? >> Chiesi.
<< Arriva al punto >>
<< So una storia che parla dei Wendigo. Dice che una volta erano umani, ma che poi, mangiando carne umana, abbiano acquisito nuove capacità come forza e velocità. Col tempo sono diventati mostri, allontanandosi sempre di più dall'aspetto umano e vivendo solo di notte, uscendo solo per catturare persone e conservarle per mangiarle in seguito … >>
<< Bhè, è possibile che, essendo di un'altra specie, il cannibalismo è sfociato in questa forma stupenda e in grado di attirare uomini, e donne, da ogni angolo dell'universo. Wendigo poi, è l'anagramma di Windego, il nome del pianeta, e non credo sia una coincidenza, >> spiegò, e fui assolutamente d’accordo con quella versione. In fondo avevo dato io l'idea, quindi era ovvio che fosse giusta, << sei stata brava! >> Aggiunse in seguito, forse mentre pensava a come ucciderli.
<< Fuoco >> dissi, mentre girava per la stanza in cerca di risposte. Io ero rimasta a terra seduta e nessuno mi smuoveva!
<< Come? >> chiese tornando sulla ''terra''.
<< Si uccidono col fuoco >>
<< Abbiamo intenzione di ucciderli? >> Chiese. Ovviamente! Come avevo fatto a non pensarci prima! Lui era l’uomo che più ne sapeva di guerra e che più la odiava.
<< Per legittima difesa si... >> Provai. Mi guardò, come se mi stesse leggendo un capitolo di un libro in faccia, o forse stava pensando a dove prendere il fuoco, in caso d'emergenza. Mi sbottonai improvvisamente il pantalone e lo abbassai di poco.
<< Che fai?! >> Si agitò come al solito. << Non è davvero il momento! >> Mi sgridò, distraendosi da qualunque cosa stesse pensando. Continuò, però, a guardare con la coda dell’occhio ciò che stavo facendo. Ovviamente apprezzava ciò che vedeva. Forse, oppure mi stava paragonando a quelle belle fate killer. Bhè, in tal caso, non c’era proprio paragone.
<< Stai calmo, sto solo prendendo il coltello! >> Dissi estraendo dalla mia giarrettiera segreta, un coltellino. Di solito lo portavo per difendermi da qualsiasi cosa, ma prima di allora non mi era mai servito. No, neppure a Camelot. Non avevo mai avuto l’intenzione di ammazzare nessuno. Infatti mi ero anche dimenticata della sua esistenza! Eppure era stato un regalo di mia madre. Strano regalo … Tirai di nuovo su il pantalone, sotto lo sguardo vigile del Dottore e glielo mostrai. Poi, senza avvertirlo, lo conficcai al centro di quello che era il nostro ‘’pavimento’’. Il fiore urlò di dolore, aprendo i petali e richiudendoli a raffica.
<< Mossa azzardata! >> Si lamentò lui prendendomi la mano e lanciandosi dal fiore. Atterrammo dolorosamente sul morbido prato. Si, era morbido, ma avevamo fatto un volo di circa sei metri! Bhè, la cosa positiva era che eravamo vivi, quella negativa che eravamo circondati dalle fate malvagie. Senza darci il tempo di massaggiarci gli altri doloranti, ci presero e ci legarono ad un palo da esecuzione pubblica, simile a quello del mio rogo. A quanto pare era così che il destino aveva scelto per farmi morire, il maledetto rogo! Mi sentii di nuovo come in quel momento. Ma stavolta il mio salvatore stava per morire con me, quindi non mi avrebbe aiutata. Il mio cuore batté all'impazzata, poi si calmò. Sarebbe andato tutto bene. Tutto bene ... L’importante era rimanere insieme.
<< Io posso aiutarvi! >> Disse il Dottore. << Lo so che non amate mangiare le persone, lo fate solo per sopravvivere ... >>
Le fate risero all'unisono, tutte tranne una. Quella che era la mia concezione di perfezione. Mi guardava come se mi conoscesse. Speravo ci volesse aiutare. Ci doveva essere una ribelle nel gruppo!
<< Io credo che a loro piaccia mangiare esseri umani. >> Lo contraddii.
<< Ascoltatemi, questa è l'ultima offerta. Lasciateci andare e avrete salva la vita! >>
Le fate risero di nuovo. E non le biasimavo. Come me, trovavano divertente il fatto che era lui quello legato. Come faceva ad essere sempre sicuro di sé anche in momenti come quello?
<< Non credo tu sia nella posizione di fare queste minacce, a meno che tu non abbia un piano ... Hai un piano? >>
<< No. >> Mi rispose tranquillo. Sembrava sicuro di non dover morire, speravo lo fosse davvero oppure ci avrebbero fatti arrosto e mangiati. E l'idea non era delle più allettanti. Guardai la fata strana, così l'avrei chiamata, e lei ricambiò il mio sguardo. Mimai con la bocca la parola ''aiutaci'', sperando che capisse la mia lingua. Lei mi fece cenno di tacere e di chiudere gli occhi al suo tre. Mi fidai, così come quella volta al rogo, mi fidai del Dottore.
<< Al mio tre chiudi gli occhi. Niente domande. Fallo e basta. >> Dissi passandogli l’informazione. Non mi rispose quindi lo presi per un si.
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Chiudemmo gli occhi, o almeno io li chiusi. Sentii un rumore fastidioso e subito dopo fece molto caldo, le fate urlavano all'unisono facendomi quasi esplodere i timpani, ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era al Dottore. Li aveva chiusi gli occhi? Si era fidato di me? Il solo pensiero che poteva essere morto mi faceva stringere il cuore. Mi sentii più leggera, forse perché qualcuno mi stava slegando e mi stava portando via in volo. Non sapevo dove né con chi ero, avevo ancora gli occhi chiusi. Sentii il brivido dell'altezza pur non vedendo nulla. La sensazione che si prova sulle montagne russe, o su una ruota panoramica, credi di cadere ogni secondo, ma sai che non accadrà. O almeno lo speri.
Quando atterrammo, la fata mi sussurrò ‘’Apri gli occhi’’. Mi ritrovai di fronte al Dottore. Aveva un sorriso che diceva: ‘’E tu che dubitavi che mi sarei fidato di te!’’. Corsi ad abbracciarlo. Era bello potersi rivedere con ancora salva la vita.
<< Se ne usciamo vivi, giuro di organizzare una mega festa in nostro onore! >> Dissi stavolta. Basta minacce di baci, finché non li avesse chiesti lui. Ed ero più che sicura che me li avrebbe chiesti, gli serviva solo tempo ... E lui ne aveva molto più di me.
Guardai le due fate che ci avevano salvati. L'altra era molto bella e per certi aspetti somigliava a me, ma era bionda e riccia e un po' più in carne, con più curve. Non che io non avessi le curve! Manco un’autostrada! ... Va bene. Forse era quella con le sembianze di ciò che più piaceva al Dottore. Forse era un misto di tutte le sue compagne! Sarebbe stato imbarazzante per lui.
<< Noi due, siamo le uniche fate a non esserci mai nutrite di umani. Perciò a differenza delle altre riusciamo a tenere la mente lucida. Ormai, le nostre sorelle, non sembrano più neppure fate, sono dei mostri che divorano tutto ciò che le circonda. Hanno sempre fame, e mangiando la fame aumenta! >> Spiegò una delle due.
<< Si, siete mutate appena avete iniziato a mangiare carne umana. Non si sa mai che effetti può avere su altre specie, >> spiegò il Dottore, << ma quello che avete fatto, cos'era? >>
<< Una forma di difesa che le altre hanno perso con la trasformazione. E' una luce abbagliante che le mette fuori gioco per cinque minuti e ci permette di fuggire. Le fate maggiori ce l'hanno suggerito. Ci hanno detto che voi potevate aiutarci! >>
Il mistero si stava infittendo e al Dottore sembrava piacere la situazione. Sapevo che più era difficile più gli piaceva. Mi veniva quasi da pensare che, in fondo, fosse uno psicopatico. A quale persona sana di mente sarebbe piaciuto tanto il pericolo? Rischiare la vita ogni giorno per salvare gente che nemmeno conosceva! Ma chi ero io per parlare? In fondo se lo seguivo voleva dire che piaceva anche a me quella vita. Due psicopatici che si attiravano come poli opposti, molto bene!
<< Chi sono queste fate maggiori? >> chiese lui incuriosito. Voleva aiutare, ma prima si sarebbe informato di non star aiutando il nemico.
<< Sono per noi come il Dio per gli umani. >> Spiegarono, senza troppi giri di parole.
<< Voglio poter parlare con loro. >>
<< Anche noi. Ma come le ho già detto, loro sono come il Dio per gli umani. Lei ha mai parlato con Dio? >> Domandò la fata. I suoi capelli volteggiarono nel vento e solo allora mi accorsi che non poggiava i piedi a terra. Stava fluttuando come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come una foglia mossa dal vento, come un angelo. Era così beata e pura che sembrava alleggerire anche me e il peso della mia vita.
<< No, ma scommetto che le vostre dee faranno un'eccezione per me. >> Si avvicinò alla fata. << Ora farò una cosa, >> le mise le mani sui lati del viso, << se c'è qualcosa che non vuoi farmi vedere, chiudila dietro una porta. >>
<< Sei nella mia testa? >> Chiese la fata corrucciando la fronte e pensai che stesse sbattendo parecchie porte virtuali in faccia al Dottore. << Puoi provarci, ma le nostre conversazioni con le fate sono a senso unico. Solo loro possono comunicare con noi, noi non possiamo rispondere. Ci limitiamo ad obbedire. >>
   
 
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