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Autore: Yumeji    08/10/2013    4 recensioni
“E all’ultimo posto della classifica troviamo lo Scorpione! Consiglio a tutti gli amici di questo segno di fare particolarmente attenzione essendo per voi una giornata estremamente sfortunata… E per oggi la vostra Oha Asa vi saluta!”
Mai dubitare delle grande astrologa Oha Asa, difatti, il povero Takao dopo questa previsione è finito all'ospedale, e ora si annoia terribilemente. Chissà chi andrà a fargli visita?
Il titolo è idiota, ma sono pessima in questo xP ... comunque si dice che il verde sia il colore della speranza.
[MidoTaka - shonen-ai]
Avvertenza: NON è un Raccolta di ONE-SHOT
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shintarou Midorima, Takao Kazunari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aveva sperato, pregato con tutte le sue forze.
Aveva creduto con tutto se stesso nell’impossibile, perché era nella sua indole farlo.
Perché era l’istinto a dirgli di non mollare, a supplicarlo di non cedere.
Doveva continuare ad avere fiducia in quella realtà solitamente fin troppo crudele.
No, non poteva essere quello il destino che dio aveva disegnato per lui, per loro! Continuava ad urlare una voce nella sua testa, le parole disperate di un bambino che non poteva accettare, non voleva accettare, la verità che gli si parava davanti. Un pianto straziante e continuo, colmo d’angoscia e spezzato solo da qualche accenno di singhiozzo. Ormai le guance paffute del bimbo si erano irritate, divenendo di un acceso rosato, corrose dalle lacrime. Lo sguardo smeraldo iniettato di sangue e stanco, tremendamente stanco.
Eppure, ancora non cedeva.
Per un momento Midorima provò un’immensa pietà per quel fanciullo, quel se stesso che riusciva a incontrare solo lì, nel mondo onirico, ma fu solo per un momento. Subito dopo tornò ad odiare la propria anima e quel ultimo frammento di IO che non riusciva a far cadere.
Ormai aveva smesso di lottare.
Tutte le sue speranza, le sue preghiere, si erano dimostrate vane.
Era stato folle per lui credere in un miracolo, doveva sapere, viste le esperienze passate, che era solo un’altra parola priva di fondamenta. Inutile come quello stesso soprannome che portava un tempo.
Distrutto. Desiderava solo la disperazione.
Voleva dimenticare quelle ore di fatica e le notti insonni. Quei ricordi facevano male, ma non riusciva a cancellarli, a lasciarsi cadere preda della più completa angoscia.
Qualcosa glielo impediva: era quel stra-maledetto moccioso!
Finché lui non avesse cessato di resistere, Midorima non avrebbe ottenuto quella pace del vinto che tanto agognava. Ormai più non sopportava quella sua parte infantile, tanto innocente e sognatrice (e persino poco romantica), da credere nell’astrologia.
Quella parte di lui che per un cosi lungo tempo aveva seguito ciecamente le parole di un oroscopo, certo di guadagnarsi cosi i favori del cielo, ora non la poteva sopportare. Desiderava distruggerla, pezzo dopo pezzo, cosi come aveva fatto con tutti i lucky item che aveva collezionato negli anni.
Avrebbe preferito non fosse mai esistito.
Ma quel bimbo, quell’ultimo frammento di IO, del vecchio e ottuso se stesso, continuava ad esistere nel suo animo. Anche se gli si era consumata la voce a furia di urlare (le sue grida erano ora divenute un suono rauco e gutturale), di supplicarlo di non arrendersi, insisteva, forte nella sua testardaggine infantile. Non dava cenno di voler smettere, di tacere.
Non gli dava un attimo di tregua neppure nella veglia, era presente in ogni dove, rimaneva sempre un eco lontano.
Era però nel sonno l’unico momento in cui Shintaro lo poteva incontrare, affrontarlo faccia a faccia, e ogni volta si stupida di trovarlo in uno stato tanto pietoso, deperito e coperto di ferite. Non credeva che qualcuno ridotto in simili condizioni potesse avere ancora una simile forza.
Era evidente quanto fosse sul punto di crollare, talmente sfiancato da non riuscire neppure più a reggersi in piedi su quelle gambe pallide e magre e quelle ginocchia sbucciate; ma era come se ad ogni istante i cui raggiungeva il punto critico, l’apice per cui dopo esisteva solo la caduta e, infine, la resa, nuova energia lo invadesse, dandogli abbastanza fiato perché potesse affidargli una preghiera in più.

Nel vederlo anche quella notte Midorima sorrise, era però un sorriso mesto, privo di alcuna allegria. Non credeva di nascondere dentro di se un animo tanto stupido ed egoista, la cosa non gli piaceva, seppur dovesse riconoscerne la perseveranza.
Perché quel moccioso non accettava semplicemente la realtà?
Perché non la smetteva di piangere e semplicemente non se ne tornava in quel buco piccolo e scuro del suo animo dove sempre era stato?
Doveva stare zitto. Zitto. ZITTO!
-ZITTO! - gli urlò contro, ma il bambino lo ignorò.
Furente di rabbia Shintaro gli si gettò contro, afferrandolo per la maglia troppo grande per lui (di un familiare colore aranciato), sollevando da terra quel corpo esile e minuto.
- Ti prego…- pronunciò per l’ennesima volta l’IO infante, rispecchiando nel suo sguardo verde smeraldo, lucido dalla lacrime, quello del medesimo coloro del se stesso quasi adulto.
Ma se nelle iridi del bambino si nascondevano speranze e sogni, l’occhio tanto grande da sembrar poter abbracciare per intero il cielo; quelli di colui che si affacciava alla età adulta avevano invece perso la magnificenza del sogno, la bellezza dell’ingenuità. Erano freddi, crudeli. Sferzavano senza pietà quel fanciullo, odiato soltanto perché ancora capace di fare ciò che per lui era invece divenuto impossibile.
- Zitto…- gli intimò ancora Midorima, invidioso, geloso di quella speranza ormai persa.
Perché non riusciva a farla tacere? Perché non farsene semplicemente una ragione?
Sarebbe stato cosi facile.
Takao non c’era più. Poteva accettarlo.
Tutti quei giorni passati al suo fianco sperando, credendo che si svegliasse erano stati inutili.
Era una conseguenza che andava sopportata.
Non aveva potuto nulla quando persino i genitori del ragazzo avevano deciso per il trapianto degli organi. Certo, supplicandoli aveva ottenuto una proroga di due settimane, ma cosa era servito? A nulla.
Ovviamente Takao non si era risvegliato in quei quattordici giorni che aveva ottenuto. Per quanto lo avesse chiamato ininterrottamente per tutto quel tempo, arrivando a saltare persino scuola e allenamenti, ogni cosa si era rivelata vana.
Il giorno seguente Takao sarebbe morto e i suoi organi trapiantati a persone che, a quanto dicevano, ne avevano più bisogno di lui...
Ecco, questo faticava ad accettarlo.
Perché comportarsi come se Takao fosse già stato morto? Perché fingere che quel cuore che ancora batteva si fosse fermato?
Midorima non era certo contrario alla donazione di organi, ma non poteva far a meno di pensare che quello in realtà fosse un omicidio.
Sapeva di non essere in grado di vedere la situazione obbiettivamente, la sua logica gli diceva che la richiesta dei medici era del tutto legittima, ora che il ragazzo destava in quello stato comatoso da più di tre mesi*, ma in realtà non era in grado di accettarlo.
Perché, perché portarglielo via?
- Vi prego, vi prego, non fatelo! Lui è… Lui è Takao. Takao Kazunari, in idiota che perde sempre a morra cinese, che mi fa irritare come pochi al mondo e che guida meglio di molti il risciò. Non portatemelo via. Io… io sono più scemo di lui e, quindi, ne ho bisogno. Non uccidetelo, vi prego lasciatemelo -  pianse il bambino e Shintaro con lui, comprendendo finalmente le parole pronunciate da se steso, dal proprio cuore.
Le grida che udiva non stavano a simboleggiare l’ultima fiammella di speranza rimasta viva in lui, essa in realtà si era spenta da tempo; quello che urlava, il moccioso testardo sordo ai suoi rimproveri, era la sua disperazione.
Midorima lo capì solo in quel momento, quando nel suo inconscio lasciò la presa sul bambino facendolo cadere a terra, abbandonandolo in ginocchioni sul pavimento. All’improvviso non vi era più alcuna differenza d’età fra loro, entrambi bambini incapaci di affrontare qualcosa di cosi orribile e crudele.
Il frammento di IO pianse e urlò ancora e, finalmente, anche Shintaro si lasciò andare in un pianto forsennato, - Ridatemi Takao..- supplicarono assieme divenendo un'unica voce, più nulla ora a dividerli. Tornarono ad essere una sola identità.


[Una volta morta la speranza vi è una sola cosa a cui gli uomini possono aggrapparsi:  
la Forza della Disperazione;[…]
Piangi, disperati e grida finché vuoi, perché questo è il tuo sfogo. La tua unica forma di conforto. Non dimenticare però, quando ti sarai svuotato di tutto quel male che stagnate dimora in te, di sfruttare questa stessa forza per riprenderti.
Poiché la forza della disperazione non significa arrendersi alle intemperie dell’esistenza, al contrario, è la testardaggine di chi pur cadendo nel fango continua ad alzare gli occhi verso le stelle.]


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Avviso: ci sarà un terzo capitolo (breve ma ci sarà).
Si, quei poveri sventurati che volevano certezze sul destino di Takao avrenno il loro finale (mi sono lasciato convincere <.< )
Spero che vi sia piaciuta. è un semplice capitolo introspettivo su Midorima, spero di non essere uscito troppo dal persongaggio (ma dato che era sconvolto mi sono preso alcune libertà ^___- )

*: questo dato mi è stato fornito da una mia conoscente, ma visto che tutto quello che sa sulla medicina l’ha imparato da Grey’s Anatomy, non mi fiderei troppo <.< …
Mi scuso se si tratta solo di una cavolata U___U .
  
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