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Autore: liberty_dream    08/10/2013    13 recensioni
STORIA AD OC
Cento anni dopo la morte dell'ultima ninfa la situazione è la stessa del secolo scorso: il sovrano ha ottenuto la fonte della giovinezza ed è ancora in vita, si tratta di un re sanguinario e violento.
Ma un gruppo di volontari è deciso a combattere contro di lui ed annientarlo. Loro hanno un'arma che può sconvolgere le sorti della guerra: l'ultima ninfa è rinata, ma devono ancora trovare la ragazza che ha ereditato le sue origini ed i suoi poteri.
La lotta tra il bene ed il male ricomincia... l'ago della bilancia a chi concederà la vittoria?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray, Fullbuster, Natsu
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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THE LAST NYMPH TALE


La sala era stata imbastita a dovere dai servi del palazzo che guardavano con estrema deferenza il padrone passeggiare per i tavoli criticando ogni negligenza ed ogni spirito d’iniziativa. Egli lisciava le tovaglie porpora toccando le minuscole pieghe scappate agli occhi ed alle mani operose delle ancelle, ordinava che fossero lucidate nuovamente le stoviglie, che fossero lavati determinati piatti ed alcuni bicchieri. La sala doveva essere perfetta per quel ballo: il principe doveva trovarsi una degna consorte tra tutte la fanciulle da lei designate.

Alcune donne erano ancora intente a passare la cera sul marmo bianco screziato da venature color onice, mentre altre a pulire le enormi finestre istoriate della sala dei ricevimenti. Era un lavoro molto faticoso: dovevano stare attente ad ogni minima macchia mentre, con l’acqua e un composto alchemico preparato dagli alchimisti del palazzo,  lavavano gli immensi vetri delle trifore alte dai tre ai cinque metri. Le impalcature per le pulizie erano state preparate dai mastri falegnami di corte facendo in modo che fossero il meno traballanti possibile per garantire l’incolumità dei lavoratori.

Nella sala del cucito le sarte stavano facendo i preparativi per le tende drappeggiate che di lì a poco sarebbero state appese nella sala. I ricami più fini avevano portato via anni alle donne che avevano passato l’intera vita rovinandosi la vista e aggiustando gli abiti per i reali. Un mosaico di decorazioni si era lentamente disegnato tra i fili pazientemente intrecciati con somma maestria, talmente tanto intricati che, chiunque guardasse quei tessuti, aveva la sensazione di trovarsi in un’illusione e ci si perdeva all’interno. In fin dei conti gli arabeschi seguivano linee continue dall’alto dei cinque metri di stoffa lavorata, ma erano talmente tanti che non pareva fossero stati realizzati in così poco tempo, ovvero cinque anni.

Nella cucina ribollivano i pentoloni in rame, venivano cucinati al girarrosto maialini da latte, erano create decorazioni nelle portate principali con foglie, frutti e oli vari, le brocche colme di acqua e vino venivano riempite dagli otri, le provviste si esaurivano ad una velocità incontenibile e non pochi sguatteri erano stati destinati a rifornire le cucine attingendo ai contenuti delle riserve dle palazzo. Salse ed oli venivano versati sui piatti in abbondanza, gli animali cacciati per l’occasione scuioati e le loro carni cucinate in molti modi. Il cacao, ancora così esotico, veniva usato per preparare dolci, mentre la farina era macinata per cuocere del fragrante pane fresco e le erbe pestate nel pestello.

Nelle sale d’armi, nei campi dove i soldati si allenavano, venivano date le ultime disposizioni sulla sicurezza, sul modo di accogliere gli ospiti e di scacciare gli intrusi. Le sentinelle si giocavano il turno ai dadi, mentre i più ricchi scommettevano centinaia di jewels in sciocche sfide di mangiata o bevuta, o a chi riusciva a conquistare una certa ragazza e a passare una notte con quella. Generalmente le donne con cui ci provavano erano le serve e le ancelle del palazzo, concubine della notte e lavoratrici del giorno.

Le soldatesse erano escluse dal circolo di scommesse in quanto erano persone con una non trascurabile forza di volontà e  carattere: alcune di loro facevano paura con l’aura che loro stesse emettevano. Le più temibili erano: l’unica componente femminile del trio dei comandanti della Guardia reale, chiamata El Kreisker e Erika Shadow,  una soldatessa semplice molto promettente entrata da poco nelle milizie venendo trasferita quasi subito per la bravura e determinazione al plotone composto da quarantotto uomini e due donne di stanza al palazzo reale.
Le due donne soldatesse semplici erano Erika Shadow e Uiharu Matsuoka. Le uniche che in quel pomeriggio avevano deciso di continuare l’allenamento fino a mezz’ora prima della festa.

Uiharu era al palazzo reale ormai da tre anni; era in una delle dieci squadre di ricerca della fatidica notte in cui si persero le tracce di uno dei tre figli ereditari di Sua Maestà, il principe Gilbert Von Paradise.

Non si sarebbe mai dimenticata di quelle ore, della tensione palpabile che persino gli animali, sensibili com’erano, se ne accorsero innervosendosi, non pochi stallieri passarono l’intera nottata a cercare di calmare le bestie imbizzarrite.
Nel cestino della memoria non erano finiti i momenti di quando avevano trovato il corpo senza vita di un ragazzo del tutto identico al principe con la testa sgozzata galleggiante sul canale delle fogne poco lontano dal busto. Né della paura che avevano avuto lei ed il suo collega nel ritrovarlo, né della mano bagnata che si era poggiata sulla sua spalla facendola rabbrividire e girare di scatto. Né del gelo della lama d’acciaio puntata alla gola così lucente, così sottile, ma anche così dannatamente mortale. Nè del calore del suo sangue che composto, nell’unico rivolo che usciva dalla ferita, scendeva luccicante tra le tenebre scure della notte allegro ed incurante del dolore che quella fuga comportava.
Il ricordo di quelle parole gelide, rivolte a lei ed all’altro soldato ancora la tormentava, il bagliore dei ricordi era ancora così dannatamente vigile ed attento a non abbandonarla, così prepotente ed egoista a non volerla lasciare dormire tranquilla quando anche l’ultima candela si spegneva delle stanze e lei rimaneva sola, con la luna, sua dolce compagna, a cercare di dimenticare e a rigirarsi continuamente nel letto in attesa che il tanto anelato sonno la portasse via con sè.

Quella sera sarebbe dovuta essere impeccabile nella sua uniforme colorata a festa, doveva sfoggiare con orgoglio il tridente dello stemma reale ricamato sul petto. Ciò significava che con ogni probabilità sarebbe stata circondata dai nobili per buona parte del suo tempo a fare la guardia composta ed attenta con lo sguardo perso nel vuoto per le successive sette ore.
Uscì dalla tinozza in legno rinfrescata dal recente contatto con l’acqua fredda dove si era lavata ed indossò le sarabullias pulite che aveva appoggiato sull’unico mobilio della stanza: una piccola sedia di paglia su cui aveva poggiato ciò che da lì a breve le sarebbe servito. Le indossò sofferente, perché proprio non ne capiva l’importanza che la signora del palazzo gli conferiva. Poi indossò da sopra il seno nudo una casacca di tela che strinse in vita con un pezzo di corda e le brache nere che non usava mai e che conservava solo per occasioni come questa, la sua adorata maglia di ferro fu dolcemente infilata sopra il tessuto arrivandole al ginocchio, indossò il calza-brache, le scarpe nere, i guanti neri e la tunica bicromatica dei colori bianco e giallo, i colori  del casato, con un tridente rosso che spiccava davanti ad una ruota lignea arpionata su uno scudo nero, il simbolo. Lisciò i capelli crespi dello stesso colore dell’argento cercando di nasconderli, inutilmente, dall’elmo forgiato su misura per la sua testa.
I capelli la facevano sembrare un porcospino per come uscivano il più disordinatamente possibile dallo strumento di difesa sparati in ogni direzione. Aveva gli occhi azzurri spiritati e frementi mentre uno del trio dei comandanti della Guardia Reale passeggiava davanti a lei e ai suoi compagni con passo regolare dando le ultimissime istruzioni importanti. Com’era logico pensare, era stata destinata alla sala centrale dove avrebbe patito in un muto e tacito silenzio il caldo e la confusione infernale che avrebbero sicuramente, come al solito, regnato sovrani in quella festa.

Persa com’era nei suoi piani di fuga dalla stanza non si accorse che la stavano chiamando se non quando si sentì toccare il braccio, abbassò lo sguardo e notò la persona che la stava rimproverando con lo sguardo. Nei suoi occhi blu oltre mare si poteva notare qualcosa oltre alla macchia bianca vicino alla pupilla del bulbo sinistro: si leggeva un ordine silente e velato, vedendo che la ragazza non capiva il significato distolse lo sguardo infastidito.


- Abbassati- disse soltanto.Quella si chinò fino a raggiungere la sua altezza, dovette piegare di un bel po’ le ginocchia ed inclinare le gambe per arrivargli alla testa: dovevano avere almeno trenta centimetri di differenza. Chetamente le prese l’elmo che tratteneva i capelli e lo sollevò dalla testa permettendo a quelli di conferirle il suo solito aspetto disordinato, poi lo appoggiò a terra.

- Sei più carina così.- disse lui sorridendole solamente con le labbra, gli occhi spenti in una cupa apatia.

-
Vi prego di non usare favoritismi con me solo perché sono una donna.- espresse il suo rammarico per l’azione con il tono più deferente del solito.

- Nessun favoritismo, è una richiesta del principe. Tutti i soldati devono stare a capo scoperto come segno di rispetto per i cavalieri che non potranno usarlo nel corso della serata.- asserì lui piegando il sorriso in una beffa.Lei fece finta di non notarlo essendo abituata ai giochetti di quel comandante così infantile non solo nell’aspetto e si rialzò composta e a testa alta. Si chiedeva ancora, come fosse stato in grado di arrivare fino a quel grado, ma per quella domanda solo pochi conoscevano la risposta.

Era arrivato due inverni prima ed era fin da subito entrato nelle grazie del re. Già dal primo sguardo tutti i cavalieri, anche i più esperti, potevano capire che era goffo ed imbranato, eppure nessuno aveva ancora capito da dove nascesse tutta quella fortuna.

Haruka Winfrey, così si era presentato, era un bambino, un piccolo infante che alla sua età poteva soltanto fare il paggio. Un immaturo che girava con un odioso pupazzo di pezza che aveva sempre al suo fianco, un gufo giallo pallido floscio e con poca imbottitura, con le ali viola malamente attaccate al corpo con un pezzo di corda verde e dei bottoni colorati di nero come occhi, il becco era solamente disegnato dal filo arancione.
Non indossava mai un’armatura, anzi… alcuni dubitavano persino che ne avesse una. Una casacca blu scolorita, troppo grande per il suo corpo non ancora sviluppato, era l’indumento che più era solito indossare e quanto di più simile al ruolo sociale che ricopriva: un posto così alto nella società indossato da un bambino troppo piccolo per contenerlo. Era così sballata la taglia che, dalla scollatura, la spalla destra sporgeva. Aveva fermate in vita da un laccio in canapa le brache marroni e il suo amato pupazzo in braccio in una stretta forte volto a non lasciarlo mai.
Con un gesto della mano indicò agli uomini di recarsi ai propri posti: gli ospiti stavano arrivando. Quando la sala si fu svuotata e l’ultima guardia ormai andata, si accucciò in un angolo sedendosi sulla punta dei piedi ed iniziò a canticchiare un’inquietante motivetto mentre muoveva il gufo di pezza nell’aria. Almeno lui poteva volare seppur imprigionato e trattenuto dalle braccia del ragazzino riccio con i capelli color oro.
Poi Almach lo venne a chiamare e dovette alzarsi, costringendosi dolorosamente a rimettere le scarpe che servivano per buon costume e decoro, aveva promesso al principe stesso di usarle e non poteva contravvenire ad un impegno preso con una delle personalità più in vista del castello. Non si era vestito in particolar modo per l’occasione, anche ricoprendo il ruolo di Comandante della Guardia Reale assieme agli altri tre, non riteneva fosse necessario comportarsi educatamente in quell’occasione e, a maggior ragione, nelle altre.

In mezzo alla sala da ballo lui era l’unico che indossava un vestiraio povero, persino il principe vantava un abbigliamento elegante degno delle fiabe, che avrebbe fatto invidia persino al marito di Biancaneve.
Si aggiustò la casacca e si accovacciò in un angolino nell’attesa che la festa finisse, toccò il pavimento con il palmo della mano godendo della ritrovata frescura in quella stanza claustrofobica per il numero eccessivo di invitati, non avrebbe voluto prender parte alla festa ma vi era stato costretto. Affondò la testa tra le braccia in una posizione rannicchiata, tenuto in piedi solo dal muro e dalle punte dei piedi. Gli si avvicinò sorpassandolo una dama, tutta cipria e profumo.
Lui si alzò e si inchinò baciandole la mano come pretendeva il galateo quando s’incontrava una giovane nobildonna.


- Ciao sorellona!- proruppe a dispetto del cerimonioso galateo e le sorrise rialzandosi fissandola e squadrando il suo volto composto anche nello stupore, era una dama molto bella, bassina e magra, a giudicare da quanto era piccolo il corpetto e, in questo caso, esistevano solo due possibilità: o era snella di suo, o era masochista e si divertiva a non respirare.

- Ciao piccolino!- lo salutò quella chinandosi alla sua altezza- hai perso i tuoi genitori?- gli chiese ingenuamente.

- Sì-si finse triste- potete aiutarmi a trovarli, sorellona?- chiese con fare cantilenante, decidendo di approfittare della stoltezza della ragazza.

- Avrei delle cose da fare… però- lo fissò e notando i suoi occhioni sempre più gonfi e lucidi- Va bene! Ti aiuterò!

- Sì. Grazie Sorellona!- l’abbracciò lui di slancio sorridendo.

- Buono piccolino!- scoprì che Haruka era quasi alto quanto lui, solo per pochi centimetri era più alta lei.- Ma dimmi, come ti chiami?- gli domandò.

- Dici a me?- s’indicò- io sono Haru! E tu sorellona? Come ti chiami?- la guardò con la tipica curiosità fanciullesca.

- Io sono Syria. Lieta di fare la tua conoscenza. Dammi la mano: andiamo a cercare i tuoi genitori!

- Sissignora!- esclamò in modo buffo mettendosi sull’attenti e provocando l’ilarità della giovane con la sua apparente dolcezza, le diede la mano e iniziarono a camminare tra la moltitudine di persone che affollava la caotica sala.

I camerieri avevano fatto veramente un buon lavoro e tutto era pronto e in ordine sulla tavola imbandita: grossi e unti tacchini facevano la loro dorata figura tra le bucce delle arance e il succo di limone appena premuto, i piatti di porcellana erano stati disposti a meticolosa distanza con una precisione tale che avrebbe fatto invidia al più famoso degli orefici, le posate erano state rilucidate come dettato dalle regie disposizioni, il legno di noce di cui era fatta la tavola sfigurava di fronte alla complessità delle decorazioni degli aurei candelabri a cinque braccia con le loro candele in cera d’ape profumate per le essenze inserite durante la loro preparazione. Era una sala molto bella e spaziosa, tralasciando per l’angusto pavimento, tra l’altro un dei migliori dell’epoca, fatto da un mosaico di pietre marmoree.
La bionda Guardia Reale stava saltellando tenendo per mano la signorina meritandosi occhiatacce da tutti i commensali che si attardavano nell’ala destinata alle danze. Procedeva a ritmo di una musica veloce ed allegra, andando a tempo e guidando la compagna tra il groviglio di corpi che si muovevano alcuni seguendo il brano intonato dall’orchestra, altri inciampando nei propri piedi, ancora incapaci di ballare una canzone così veloce.

Quando finalmente fu fuori dalla massa decise di fermarsi: il principe era di fronte a lui e stava amabilmente dando sfoggio della propria retorica ad uno dei suoi amici più intimi, convincendo, anche lui, dell’inutilità dell’evento preparato.  Al contempo la bella ragazza che lo accompagnava sudata e affaticata guardava basita il bambino che la teneva per mano chiedendosi quanta forza avesse nelle gambe e qual era il rapporto che aveva con il principe dato il deferente rispetto che trapelavo dalle iridi.

Dallo chignon elaborato della pettinatura di Syria alcuni ciuffi rossastri sfuggivano impertinenti al comando del parrucchiere che li aveva acconciati, molte perle bianche delle dimensioni di un cece erano state inserite tra i capelli unitamente ai brillantini. Sotto, vicino alla nuca, due codini di piccolissime dimensioni ricadevano sul collo avvolti in nastri di seta nera che proseguivano per una ventina di centimetri. Mano nella mano Haruka condusse la rossa verso il principe. Mentre conversava amabilmente con un uomo dal probabile alto lignaggio, si sentì toccare da una mano, si voltò subito ma non vide nessuno eccetto i capelli color rubino di una ragazza, poi sentì una voce squillante proveniente dal basso chiamarlo.


- Taichi! Taichi!- lo stava chiamando il biondino agitando le mani verso l’alto.

- Scusami Haru! È che sei troppo basso e non riuscivo a vederti- portò una mano verso i capelli blu e se li scompigliò realmente dispiaciuto.

- Fa niente! Ormai ho attirato la tua attenzione. Volevo presentarti una persona- disse indicando la ragazza che teneva per mano- lei è Syria.Il ragazzo s’inchinò baciandole la mano.

- È un onore per me conoscerla.

- Vi lascio soli.- disse il bambino approfittando della presentazione che coinvolgeva la ragazza che lo stava braccando.Intanto quella stava passando da un delicato colorito roseo ad un rosso peperone accesissimo.

- Lei è la signorina Syria…?- fece il giovane, lei tacque non capendo la domanda velata- Non l’ho mai vista ai balli di mio padre. Potrei sapere il vostro cognome se non vi dispiace?

- Oh… ma certo! Io sono Syria… Syria Sil- Silter!- rispose calcando sul cognome con fare fin troppo sospetto che il principe incominciò a nutrire dei dubbi nei suoi confronti.

- Né è sicura? Il vostro cognome è Silter?

- Sì!- affermò quella sicura capendo che il giovane sospettasse di lei.In realtà il vero cognome di Syria era Silver, ma tale parola era associata ai ribelli: due gemelle ed il loro fratello maggiore facevano tutti parte della resistenza. E, in qualità di principe, lui ne era ovviamente informato.

- Piacere di fare la vostra conoscenza lady Silter. Io sono…- non riuscì a presentarsi che fu chiamato da alcuni suoi cavalieri- devo salutarvi milady, spero ci incontreremo presto- disse velocemente congedandosi.


Syria ne aveva abbastanza di quella festa dove aveva rischiato di essere scoperta. Uscì dalla sala nonostante i valletti la richiamassero per la cena che assomigliava tanto ad un pranzo nuziale e sgusciò tra le guardie verso il cortile interno del castello.

Le mura di cinta che proteggevano la zona nobiliare erano molto più alte e possenti di quelle che circondavano il perimetro intero della fortezza, la manutenzione lì era regolare e non si trovava segno di muschio o abrasione sul mosaico di pietre. Entrò in una casupola, lì dove, un tempo, decenni prima, era solita soggiornare un corpo di guardia. Il monolocale era ligneo con un pavimento di terra, lei camminò a passo sicuro, passo dopo passo sui suoi stivali di cuoio nero, gli unici che aveva deciso di tenere indosso nonostante avesse rischiato di essere smascherata.
Si avvicinò all’altro lato della costruzione che pareva stesse per andare in frantumi come uno specchio ad ogni soffio di vento. Si chinò, attenta a non sporcare il vestito che era stato preparato solo per lei dalle mani esperte di una sarta ribelle, e sollevò una maniglia quasi perfettamente mimetizzata a causa della terra e della polvere che avevano deciso di farne la propria dimora. Dopo alcuni secondi si udì uno scatto ed una lastra di legno si alzò rivelando la sua presenza e quella di un cunicolo sotterraneo dopo di essa.

Entrò nel passaggio e richiuse la trave sopra di sé. Una piccola torcia era ancorata alla parete, lei l’afferrò, che ancora crepitava tanto forte quanto un’ora prima, nello stesso punto in cui l’aveva lasciata. E si cambiò. Sciolse l’acconciatura facendo scendere i brillantini lungo il corpo, slegò le treccine e lasciò che i suoi capelli corti rossi fossero liberi, le due ciocche più lunghe, agli antipodi del volto, le legò con dei nastrini di seta nera. Slacciò faticosamente il corpetto e l’abito ricamato che avrebbe o reso alla sarta o conservato da qualche parte che infilò nella sacca che aveva lasciato quand’era andata alla festa.
Rimase nuda, ma un brivido di freddo la percorse, qualche rumore proveniente dalla casupola, proprio lì accanto la fece sobbalzare, più velocemente e silenziosamente che poté, infilò la gonna azzurra che le andava lunga e larga fino ai polpacci e da sopra una camicia bianca che aveva la parte superiore a fascia, poi un corpetto di cuoio marroncino che serviva a mantenere sù la blusa e a permettere che le sue forme fossero coperte. Corse velocemente, ma inciampò e cadde lacerando la pelle dei palmi delle mani e delle ginocchia.

Un’imprecazione troppo forte le sfuggì dalle labbra rosso sangue .

Un’imprecazione che fu sentita dalle guardie che avevano deciso di controllare la casupola attirate dai rumori sospetti.

Non ci misero molto a rinvenire il cerchio dove la terra era stata smossa. E aprirono la botola.

Erano in due.

Syria era una, era sola.

Lentamente, sempre con più lentezza un rettangolo luminoso andò ad aumentare la poca luce prodotta da quell’unica lanterna. Delle esclamazioni seguirono il ritrovamento del passaggio. Un piede scese sul primo scalino, un soldato percorse le scale entrando in quello stesso corridoio in cui Syria stessa era, nascosta nel sottoscala fortunatamente vuoto. Passarono entrambi.
Il primo stava afferrando la torcia accesa quando una freccia dorata gli trafisse il cuore. Il tempo che si rendesse conto della saetta che lo trafiggeva e rendersi conto che un buco enorme stava colando fiotti di sangue e morì, le iridi si rivelarono in tutto il loro blu. Il suo cadavere si accasciò sulle ginocchia per poi cadere riverso verso il pavimento, la mano che teneva la freccia cercando di toglierla scivolò dalla presa e andò a toccare il pavimento. Ferma e immobile.
L’altro si girò e vide il suo amico morente, tutto ciò che poté fare fu chiudergli le palpebre e sguainare la spada. Erano di ronda, ma non aveva uno scudo: contro le frecce non avrebbe potuto fare niente tranne usare la sua magia. Così fece.
Tirò indietro con la mano libera i pochi capelli rossi ribelli al liscio indietro liberando la visuale. Abbandonò la lancia per afferrare il corto spadino che aveva rimbalzato fino a quel momento lungo il suo fianco.


- Chi sei? Vieni fuori?- gridò a gran voce cosicché l’assalitore s’accorgesse di lui mettendosi in una posizione comoda per attaccare.

Ma solo il silenzio pervadeva l’ambiente, interrotto solamente dal respiro affannato dei due e dai loro cuori che battevano accelerati.

- Forza! Vieni fuori!- continuò a gridare.

- Dirk Bounder!- sibilò la ragazza dai capelli infuocati color rubino facendo apparire nella mano un piccolo pugnale con la lama d’acciaio smussata e l’elsa rinforzata da fasce di cuoio e stringhe di budello.

Con uno scatto fulmineo si portò alle spalle del ragazzo e lo colpì al ventre affondando nello stomaco la lama e sporcandosi del suo sangue. Quello portò in un gesto istintivo le mani alla pancia rendendosi conto del colpo appena ricevuto. Gli salì un grumo lungo l’esofago, tossì rischiando di soffocare mentre cercava di espellere ciò che stava per vomitare. Una poltiglia rossa grumosa andò a raggiungere tutto il liquido scarlatto che piano piano stava uscendo dal suo corpo.

- Urgh!- esclamò agonizzante quello.

La ragazza si girò a fissarlo un’ultima volta stampando nella sua mente e nei suoi occhi verdi gli orrori da lei commessi. Poi se ne andò, scomparendo nel buio del cunicolo.
Intanto il rosso, sporco e lacero, chiuse gli occhi aspettando che la morte lo raggiungesse, invano.
 
***

Qualche ora più tardi, di poco più lontano al luogo dello scontro, gli stava tenendo la mano stringendola convulsamente.
La paura di quando lo aveva trovato agonizzante in fondo a quel buco mai visto prima, la pozza di sangue che gli si allargava intorno e, quel colore cinereo, erano stati davvero troppo per lui.

Con la mano libera scostò una ciocca rossa che scendeva ribellandosi alle regole della compostezza ma ligia a quelle della gravità, e contemplò quel volto. Lo stesso volto che aveva guardato esprimersi in migliaia di espressioni, l’una diversa dall’altra, lo stesso viso che ora appariva smunto e di un colore innaturale, troppo pallido per appartenere ad un mortale. Ma il respiro non aveva ancora abbandonato il suo petto che regolarmente, seppur impercettibilmente continuava ad alzarsi ed abbassarsi continuamente.

Quella notte aveva deciso.
Ryuu considerava Yami un fratello, molto più che un amico, lo giurò a  sé stesso, lo assicurò di fronte a quelle divinità che si divertivano a vederli ‘’giocare’’ soffrendo e combattendo per il loro sfizio e capriccio. Lo promise ad uno Yami che stava lottando tra la vita e la morte per una solo insignificante ferita, lui avrebbe ucciso chiunque lo avesse trascinato in quello stato. E se Ryuu Nightmare decideva qualcosa, bisognava star certi che, potevano crollare il cielo, morire il re o spaccarsi la terra, come diceva il suo cognome, avrebbe fatto precipitare l’assalitore in uno dei peggiori incubi che avesse mai fatto e non si sarebbe liberato tanto facilmente di lui.

Il ragazzo dai capelli di un azzurrino che a mala pena riusciva a farsi notare tra il grigio si sentì toccare ad una spalla. Si voltò di scatto continuando a tenere per mano il rosso stringendolo, quasi temendo che in quell’attimo di distrazione potesse bastare per farlo volare via, lontano da lui per sempre. Di fronte a lui, la ragazza dai capelli argentati stava cercando di consolarlo con il suo silenzio.
I suoi occhi glaciali esprimevano tutt’altro che il freddo del ghiaccio. Emanavano una luce che sapeva riscaldare i cuori afflitti quando voleva, un riflesso che in molti apprezzavano prima di divenire succubi della lussuria che inevitabilmente, infiammava gli ormoni di chi la circondava.

- Come sta?- domandò la soldatessa visibilmente preoccupata.

- I medici hanno detto che se la caverà solo nel caso in cui si svegli, Uiharu- disse con un sospiro fin troppo contenuto.

Allora lei si sedette ad una sedia che accostò al letto per vegliare il ferito insieme a Ryuu.

- Lo veglio anch'io.

E fu silenzio, mentre durante la festa si stava scatenando il putiferio: il principe aveva deciso che sarebbe stata la sua dama, ma erano scomparse, completamente le tracce di essa, quasi fosse scappata alla mezzanotte come una cenerentola o rapita da qualcuno.
La damigella in questione era scappata.

 
***

Il ballo era terminato e anche dalle segrete in cui Gilbert era rinchiuso poteva sentire il vociare andare via via diminuendo di intensità. Sospirò rassegnato: domani né il padre né i suoi fratelli né i ribelli lo avrebbero salvato. La sua morte conveniva a tutti.

Era un personaggio scomodo rinchiuso in quelle prigioni sotterranee sporche e ripugnanti da ormai una settimana sbattuto in una cella con i polsi e il collo legati da pesanti catene al muro, trattato come l’ultimo dei criminali. Finalmente l’indomani, anche lui, avrebbe avuto la sua giusta punizione.

Aveva paura, non poteva negarlo.

Aveva fame, aveva voglia di giustizia.

Aveva ammazzato lui l’ultima ninfa, ora era passato un ciclo: lei doveva essere già un’adolescente. Lei era la sua reincarnazione o semplicemente, la stessa cosa che rappresentava l’altra.

Si scontano i crimini, solo la morte conduce redenzione dei peccati.

Chinò il capo rassegnato: prima di ventiquattro ore sarebbe morto, molto probabilmente decapitato.







ANGOLINO AUTRICE
Scusatemi per il ritardo ma ci tenevo a scriverlo bene e a darvi una buona impressione. Ringrazio Novalis per avermi betato il capitolo (ok, solo la prima parte perchè ero impaziente di pubblicarlo). E a chi legge ed ha aspettato fin'ora per una mia comparsa che spero vi soddisfi come ha fatto con me nello scriverla.
Spero vi sia piaciuto! E che mi lasciate un commentino ^_^ Ryuu Koori... il primo malcapitato è stato proprio il tuo >.<
Metto qui sotto una tabella con i partecipanti ed i ruoli in cui sono stati scelti. Avviso che mi servirebbe ancora due- tre soldati, almeno un altro vagabondo affilliato al re e qualche popolano (preferibilemente due- tre bambini, due uomini e due donne, questi in età da avere figli e un ragazzo sui diciott'anni).
 
Ultima ninfa Shail Aghea
Ninfa delle sorgenti Nephily Hoster
Locandiere Alie Padilla  e Brianna Regnard
Guardia reale El Kreisker , Almach Lumbar e Haruka Winfrey
Soldato semplice Yami Kouri, Ryuu Nightmare, Erika Shadow, Uiharu Matsuoka
Ribelle Eryn Silver, Leon Silver, Syria Silver, Edward Yoshina, Nina Gnuzus, Mitsuki Akaikari e Eiji Koneda
 
Vagabondi affilliati al re Cassiel Blanco
Vagabondi affilliati ai ribelli Gilbert Regnard (Ferio), Reed Hitome
Principe Howl Pendragon e Taichi Namidayama
Popolano  









 
  
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