Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Ellies    08/10/2013    1 recensioni
Ognuno ha la colonna sonora del proprio amore, e così anche Alexander e Lorenzo.
Due ragazzi tutti da conoscere, sulle note dell'album Violator dei Depeche Mode.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Reach out and touch faith.

Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who cares.
Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who's there.



Lorenzo si svegliò che erano appena le sei del mattino. Sentì qualcosa di bollente appoggiato sulla sua spalla e un respiro caldo solleticargli la porzione di collo sotto il mento. Cercò di muoversi, ma un peso morto sul proprio braccio destro - che percepiva a malapena - glielo impedì. A quel punto aprì gli occhi e ci mise qualche secondo ad adattare la propria vista al buio ancora presente nella stanza, ma alla fine lo vide. Alexander era tra le sue braccia, e poteva sentire l'odore maschile della sua pelle pervadergli insistentemente le narici, costringendolo a voltare la testa per un secondo e prendere un respiro per la troppa intensità.
La sua mente non era in grado di dare una spiegazione logica a quella situazione, anche perché non era nulla di misterioso o complicato: avevano dormito insieme.
Un senso di terrore gli invase all'improvviso la mente, facendolo scattare sul posto e liberandosi involontariamente dal corpo che stava ancora dormendo sul suo, facendogli perdere il calore della pelle e quasi desiderare di abbracciarlo di nuovo. Se avevano dormito nello stesso letto non significava per forza che avessero fatto anche quello . Si tastò le gambe e tirò un sospiro di sollievo quando le sentì rivestite dal tessuto morbido della propria tuta, la stessa che aveva la sera precedente a cena e che era ancora legata dai lacci grigi e uniti in un fiocco.
Fece cadere la testa sul cuscino e si girò su un fianco, perdendosi a guardare il volto del ragazzo accanto a sé. Alexander stava ancora dormendo con un'espressione di pura beatitudine dipinta sul volto. Le labbra erano secche e incurvate in un lieve sorriso, come se stesse facendo un bel sogno. Senza nemmeno accorgersene le sue dita avevano cominciato a vagare sul suo volto, accarezzandone la pelle liscia e spostando qualche ciocca corvina dagli occhi. Non sapeva perché, ma si sentiva attratto da lui, in quel momento, come se non potesse fare altro che guardarlo, e restare per sempre ad ammirare i suoi lineamenti e l'aura fiabesca che emanava. Aveva voglia di sentire un'ultima volta le sue labbra sulle proprie, il loro sapore dolce e il calore che sentiva nella pelle. Si stava quasi per chinare su di lui quando fece scivolare la mano sotto le coperte, e scosse la testa.
Che pensieri stupidi, si disse mentalmente, e fece per uscire dall'antro caldo che lo stava avvolgendo, ma sentì qualcosa trattenerlo, e si accorse che Alexander - in un riflesso involontario - aveva unito le dita con le sue, e si era mosso nel sonno ampliando appena un po' di più il proprio sorriso.
Percepì chiaramente il suo cuore battere un po' più forte e il suo stomaco lamentarsi fastidiosamente e, non riuscendo a capire il perché di quelle sensazioni e di quella reazione, si morse appena il labbro e fuggì dal letto. 
Alexander non avrebbe mai saputo che avevano dormito insieme; lui non avrebbe dovuto spiegare il bacio della sera prima e le loro dita incrociate.
Tra di loro non c'era nulla, solo una profonda amicizia.

Forse non servivano nemmeno tutte quelle giustificazioni.  


Quando Lorenzo chiuse la porta dietro di sé, Alexander aprì gli occhi verdi appena lucidi e deglutì, avvolgendosi di più sotto l'ammasso di lenzuola, piumone e coperte. Non sapeva che cosa si era aspettato, ma di sicuro non quello.
Aveva immaginato che, una volta che Lorenzo avesse compreso i propri sentimenti verso di lui, si sarebbe fatto coraggio e non avrebbe più soffocato ciò che era.
Invece era fuggito, l'aveva lasciato solo e con un terribile macigno nel petto, sullo stomaco e senza la possibilità di fare nulla.
Alexander lo sapeva, che Lorenzo provava qualcosa per lui, che fosse anche semplice desiderio. Vedeva gli sguardi, i gesti trattenuti e le occhiate quando pensava che egli non stesse guardando. E lui ce la stava mettendo tutta per aiutarlo, per fargli capire che non doveva frenare i suoi istinti perché sarebbe scoppiato, prima o poi, o che lui - Alexander, il suo coinquilino, il suo migliore amico - era innamorato di lui da così tanti anni da non riuscire più ad andare avanti.
Amare Lorenzo era come immergersi nelle profondità dell'oceano sapendo che l'ossigeno non era sufficiente. Era una pazzia, era distruttivo e lo faceva sentire come se non riuscisse a respirare, ma era allo stesso tempo talmente dolce e bello che non avrebbe mai potuto farne a meno, anche se questo avrebbe significato venire feriti in continuazione.
E Alexander in quel momento lo era più che mai. Si sentiva un totale idiota anche solo per aver sperato che Lorenzo sarebbe rimasto, quando aveva incastrato le loro dita. Ma non poteva pentirsi nemmeno di quello, perché era stata come una boccata di ossigeno, e a lui serviva disperatamente.
Eppure, nonostante non rimpiangesse quel gesto, era un'ulteriore pugnalata inferta al suo cuore, e ora voleva semplicemente rimanere immobile a sanguinare.
Portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime gli solcassero il volto, tracciando scie salate di cui non sarebbe rimasto altro che un'ombra.       



Feeling unknown and you're all alone.
Flesh and bone by the telephone.
Lift up the receiver, I'll make you a believer.
Take second best, put me to the test, things on your chest.
You need to confess, I will deliver, you know I'm a forgiver.



Lorenzo non sapeva quanto tempo fosse passato; sapeva solamente di essersi chiuso nella propria stanza e di essersi immerso nella pittura, nel profumo di colori freschi e di tela ancora immacolata, nell'immagine che lentamente prendeva forma nella sua mente e sullo sfondo bianco. Senza rendersene conto stava seguendo una melodia che pensava aleggiasse solamente nella sua testa mentre, in realtà, esisteva davvero.
Ci mise un po' di tempo a rendersi conto che la musica che aveva guidato il suo lavoro proveniva dal salotto in cui Alexander stava suonando al pianoforte. Era partita con note leggere, quasi messe lì per caso, isolate, ma poi si era ampliata, e aveva cominciato a diventare davvero musica. Ed era bella, bella da morire; ti trasportava nell'universo delle sue note e ti faceva rivivere momenti passati ed esplorare luoghi nuovi, parlava di sé ma ti coinvolgeva e ti emozionava, ti prendeva e non ti lasciava andare.
Lorenzo odiava la musica, la trovava soltanto una distrazione. Eppure si era alzato, aveva aperto la porta e si era fermato sulla soglia del soggiorno per osservare Alexander suonare.
Forse non l'aveva mai visto davvero farlo, prima d'ora. Certo, metteva passione quando suonava i numerosi brani che sapeva praticamente a memoria, ma quello... Quello era vivere la musica, non semplicemente riprodurla fedelmente. Era come se raccontasse la sua storia, oltre a suonarla. Riusciva a sentire qualcosa nel petto e non sapeva dire se fosse l'emozione che stava provando nell'ascoltarlo, oppure se la vista del ragazzo che metteva tutto se stesso in quel momento - come spinto dalla disperazione - gli stesse facendo mancare l'aria. Di sicuro stava accadendo qualcosa .
Si riscosse soltanto nel momento in cui la musica cessò e l'appartamento piombò nel silenzio.
Lorenzo non sapeva che cosa dire, per non rovinare quel momento. Alexander non aveva ancora alzato la testa dai tasti bianchi e neri e poteva benissimo non essersi accorto di lui. Ma qualcosa nei suoi gesti, nel modo in cui tentava di non stringere le unghie nei palmi, la schiena appena ricurva e il respiro veloce ma trattenuto, gli fecero capire che non era così.
Fece un passo verso di lui e chiamò il suo nome, attendendo che lo guardasse, ma quando alzò lo sguardo non si era aspettato quello.
Gli occhi di Alexander erano spalancati e colmi di lacrime, e la pupilla era tanto piccola da essere quasi invisibile, risucchiata in quel verde immenso e pieno di dolore.
Senza dire nulla - e senza nemmeno dargli il tempo di preoccuparsi per lui - si alzò, facendo grattare il seggiolino sul parquet, e corse via. Afferrò la giacca e uscì dall'appartamento facendo entrare una folata di vento gelido che gli scosse le membra fino alle ossa. 
Rimase lì come un idiota, in piedi accanto al pianoforte, con l'immagine dei suoi occhi ancora impressa nello sguardo.
Rimase lì, senza muoversi, con la melodia che ancora gli risuonava nella mente.
Poi, lentamente, fece un passo giusto per raggiungere il muro e si lasciò scivolare a terra, le mani tra i capelli e la consapevolezza di aver appena distrutto qualcosa.


Reach out and touch faith.

Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who cares.
Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who's there.




Alexander non era tornato a casa, quella sera, per cena.
Lorenzo non l'aveva cercato, sapendo che gli avrebbe fatto semplicemente dell'altro male.

Alexander quella sera aveva controllato inutilmente il telefono, nella speranza di vedere lo schermo illuminarsi, e su di esso comparire il suo nome, ma non era successo.
Era rimasto nel fondo del pub, in silenzio, con la sola certezza di essere stato abbandonato dall'unica persona di cui era riuscito a fidarsi dopo tanto tempo. Non era una cosa da tutti i giorni riuscire a costruire un'amicizia in un solo anno, mattone dopo mattone, con le intemperie e il bel tempo, con tutti i problemi dell'essere semplicemente umani. Ma loro l'avevano fatto, lui l'aveva fatto, e quell'amicizia era diventata qualcosa di più profondo e importante, ma destinato comunque a rimanere un sentimento a senso unico.
A Lorenzo non importava di lui, non era lì a scaldargli il cuore con la sua sola presenza, la sua risata e le battute incomprensibili. 
Non era tornato a casa, e aveva continuato ad inghiottire l'amarezza e la delusione insieme alla birra, e le bottiglie si erano accumulate sempre di più sul tavolo fino a quando non l'avevano mandato via per il suo bene.
Entrò in casa, dopo alcuni tentativi di girare la chiave nella toppa, solamente a notte inoltrata. Non appena i suoi occhi si abituarono all'oscurità, riuscì a vedere una figura sdraiata sul divano in un'ammasso di coperte, con il telefono stretto nella mano sinistra che penzolava nel vuoto. Cercando di non svegliarlo, si diresse in camera propria, ma si scontrò con il tavolino che, insieme alle sue imprecazioni, contribuì ad interrompere il sonno di Lorenzo. Stava per correre in camera prima che si accorgesse realmente della sua presenza quando la sua voce lo raggiunse come una freccia.
“Alexander!” il suo tono era carico di emozioni: sollievo, timore, rabbia, e qualcosa che non riusciva a distinguere. “Dove sei stato? Mi hai fatto preoccupare da morire, Cristo santo!” si avvicinò a lui, tentando di afferrargli un braccio come faceva ogni volta che lo voleva tirare a sé per abbracciarlo.    
Ma questa volta Alexander non era disposto a farlo. Si scostò bruscamente, tanto che quasi cadde all'indietro, con un urlo. “No! No, cazzo, Lorenzo... Cosa vuoi fare ancora?” gli inveì contro, con la rabbia che si era già trasformata in tristezza e che ora premeva insistentemente alla gola. 
“Alexander, sei ubriaco?” sussurrò l'altro, facendo un altro passo mentre lui indietreggiava ancora, mordendosi il labbro e muovendo le dita delle mani come se volesse allungarle verso il suo volto.

No, no! Non sono ubriaco, sono più lucido che mai... Alexander avrebbe voluto urlargliele, quelle parole, invece continuò ad inveirigli contro in un'altra maniera, a sfogare tutta la frustrazione e il dolore che aveva dentro. 

“Vuoi avvicinarti a me? Andartene, tornare, andartene ancora, fingere che non succeda mai nulla? Sai cosa? Che... Che io sono stufo. Di te... Di... Di essere preso per il culo e di amarti sempre così tanto e di non ricevere nulla in cambio solo perché... Perché?! Perché sei un fottuto codardo e... E non vuoi ammettere di essere innamorato anche tu di me quando potresti solamente essere felice e invece no! Ti nascondi, come fai sempre, nascondi tutto e... Vaffanculo, okay? Davvero, io non voglio più vederti.” 
Ad un certo punto, non ti sei nemmeno reso conto quando, Alexander aveva cominciato a piangere, e le lacrime brillavano come diamanti sulla sua pelle, scivolando verso il basso e infrangendosi sul legno ai vostri piedi.  

E poi, con quelle parole ti ha lasciato lì, in piedi come un idiota a pensare a quanto sei stato stupido a non capire che era innamorato di te, in quel modo disperato e senza via di scampo, solamente perché tu gli avevi chiuso la porta in faccia.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Ellies