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Autore: Niere    09/10/2013    2 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un incontro inaspettato - POV Gianluca

Dopo aver fatto una spesa rapida, scendemmo in spiaggia, con l’ intenzione di starcene solo un po’ seduti sulla sabbia senza fare un bagno. Livia aveva indossato un vestito da spiaggia color rosso, di quelli che si trovano in ogni mercatino vicino alle spiagge e lasciò i capelli sciolti. La spiaggia si trovava oltre il palazzo celestino di fronte alla casa che avevamo affittato e ci si arrivava in due minuti.
La spiaggia era affollata e la gente schiamazzava allegra. La sabbia non era fina come quella di Anzio, ma in compenso il mare era un vero e proprio spettacolo, di un azzurro intenso. Ci fermammo in un punto più riparato e Livia stese dei teli. Matteo si guardò intorno e si tolse subito le scarpe. Si avvicinò al bagnasciuga e immerse i piedi nell’ acqua bassa, attento a non bagnarsi i pantaloncini. Tornò indietro e mi disse: “Papà, laggiù c’è un signore che vende i palloni. Ne possiamo comprare uno, così giochiamo a calcio?”.
Puntai il mio sguardo dove mi indicava Matteo e vidi un tizio che si trascinava dietro palloni, ciambelle, braccioli, due coccodrilli gonfiabili e qualche aquilone. Ma come diamine riusciva a portarsi dietro tutta quella roba in modo quasi disinvolto?
Livia, nel frattempo, si era seduta su uno dei teli e si stava spalmando un po’ di crema sulle braccia e sul viso. Era il ritratto della serenità, sembrava uscita da una di quelle riviste che parlavano delle mete turistiche più gettonate. Presi un po’ di soldi ed insieme a Matteo mi avvicinai al venditore, una persona simpatica, che parlava un siciliano stretto difficile da capire. Dopo aver dato un’ occhiata alla merce, Matteo scelse un Super Santos, mentre spiegava al venditore che da grande avrebbe fatto il calciatore. Pagai, ridendo tra me e me. Matteo, quando parlava del suo futuro, era molto fantasioso e cambiava spesso idea. Tempo fa dichiarò che avrebbe fatto il medico, poi il batterista, l’ astronauta, il pilota di Formula Uno. Questa mattina, invece, era certo che sarebbe diventato un pilota di aerei. Adesso un calciatore. Il mondo dei bambini era fantastico, perché, per loro, non c’erano ostacoli, difficoltà. Per loro, i sogni si possono realizzare con poco, come se la vita fosse costretta a non deludere le tue aspettative. Peccato che, crescendo, si perda quell’ ottimismo.
Tornammo verso Livia, che costrinse Matteo a spalmarsi un po’ di crema. Dopo averlo impiastricciato per bene e aver fatto un lungo e noiosissimo monologo sull’ importanza della protezione solare per la salute della pelle, lo lasciò libero di giocare a calcio con il sottoscritto. Mi tolsi la maglietta ed iniziammo a fare due tiri, cogliendo l’ occasione per dargli dei consigli per migliorare la tecnica. Non ne avevo mai parlato con Livia, ma avrei voluto segnarlo a scuola calcio quando sarebbe stato un po’ più grande.
Livia ci osservava sorridente dalla sua comoda postazione, lasciandosi sfuggire qualche incitamento per Matteo. Improvvisamente la vidi alzarsi e coprirsi gli occhi con la mano, per ripararli dal sole. Osservava un punto lontano, verso il piccolo bar. Mi voltai, cercando di capire cosa avesse attirato la sua attenzione. Vidi una donna con i capelli nerissimi che avanzava a passo svelto verso di noi, seguita da un uomo alto e vestito come se dovesse sfilare alla settimana della moda. La donna posò una mano sul suo cappello di paglia, per impedire che quest’ ultimo volasse a causa del vento. Del suo volto potevo vedere solamente il suo sorriso a trentadue denti, perché indossava degli ingombranti occhiali dalle lenti scure. Agitò vistosamente un braccio, in segno di saluto. Quando fu abbastanza vicina a noi, li riconobbi: erano Celia, la cugina di Livia, insieme a suo marito Ruben. Che diamine ci facevano qui? Celia abbracciò Livia, che sembrava sorpresa almeno quanto me, e, in un italiano incerto, disse: “Oh, Livia, che bello vederti! Sapevo del tuo viaggio in Sicilia, ma proprio non speravo di incontrarti! Invece eccoti qui! Che sorpresa!”.
Livia rispose: “Già, è proprio una sorpresa.”. Sciolse l’ abbraccio e la osservò bene: “Ti trovo in splendida forma! Qual’ è il segreto?”.
Celia, vanitosa come sempre, incassò volentieri il complimento: “Una dieta rigidissima e tanto pilates.”. Rivolse uno sguardo irritato verso di me, infine si avvicinò a mio figlio e gli accarezzò i capelli: “Ecco il piccolo Matteo. Tesoro, come stai crescendo! E guarda che visetto simpatico. Non trovi Ruben?”.
Suo marito sorrise e disse: “Si, un bambino molto grazioso. Complimenti, Livia.”. Ruben la salutò calorosamente, come se fossero amici da sempre. Poi, mi strinse la mano: “E’ una sorpresa rivedere anche te.”
Cercai di stamparmi un sorriso cordiale, ma forse era solo un sorriso tirato. Celia e suo marito non mi piacevano per niente. Lei era una egocentrica in attesa di attenzioni, lui invece voleva dimostrare al mondo che era perfetto, perché era ricco, perché aveva due lauree e perché somigliava molto al Ricky Martin di dieci anni fa. Si, gli somigliava veramente tanto, come se fossero stati gemelli separati alla nascita.
Livia porse la domanda che mi stava frullando per la testa da diversi minuti: “Cosa ci fate qui?”.
Celia si tolse gli occhiali da sole, mostrandoci i suoi occhi scuri e dal taglio particolare: “Ruben ha appena concluso un affare a Messina e abbiamo deciso di fermarci qualche giorno per goderci questi posti fantastici e per testare il nostro italiano. Sai, abbiamo frequentato un corso a Madrid per imparare la tua lingua alla perfezione.”.
La conversazione prese a farsi ancora più noiosa: Livia chiese notizie dei suoi parenti e Celia iniziò un resoconto molto dettagliato, mentre speravo vivamente che si volatilizzassero alla stessa velocità con cui si erano materializzati. Ma, ovviamente, le mie preghiere non vennero ascoltate. Celia, improvvisamente, se ne uscì: “Dove alloggiate? E’ qui vicino?”.
Livia le rispose, pronta: “Si, abbiamo affittato una casa a pochi metri dalla spiaggia.”.
Celia la guardò elettrizzata: “Perché non ce la mostri? Sono molto curiosa…”.
Livia mi rivolse uno sguardo mortificato. Intuii che era combattuta: non voleva essere scontrosa con sua cugina, ma non voleva nemmeno interrompere quell’ atmosfera magica che stavamo cercando di creare prima dell’ intrusione dei suoi parenti.
Decisi di prendere in mano la situazione e di mostrarmi più cortese di quanto avessi voluto: “Certo… Dacci solo il tempo di sistemare i teli nella borsa di Livia.” Celia annuii e aiutò Livia a piegarli accuratamente e metterli ordinatamente nella sacca da mare. Dopo pochi minuti, ci avviammo verso casa. Matteo era silenzioso, non aveva molta confidenza con Celia e Ruben.
Livia ci fece strada, mentre spiegava a sua cugina di come avesse scoperto quasi per caso Capo d’ Orlando. Quando arrivammo al cortile, Ruben si guardò intorno, colpito: “Questa località è molto pittoresca… E’ un peccato non aver portato con me la mia macchina fotografica.”.
Livia aprì la porta e fece accomodare Celia e Ruben: “Prego, entrate, ma non fate caso al disordine. Siamo arrivati solo da poche ore…”.
Celia si guardò intorno con aria indagatrice, la stessa della mia impossibile suocera.
  
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