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Autore: Lelusc    09/10/2013    2 recensioni
Jennifer,Jen per gli amici,è al liceo abita con i nonni e ben 5 gatti e ha quasi diciotto anni,fino a qui sembra tutto normale,giusto? e beh,non è affatto così,ha un destino davvero singolare,è qualcuno di singolare e ha da fare una scelta davvero difficile, di cosa parlo? di che si tratta? beh scopritelo se la storia v'incuriosisce.
L'ho già scritta fino alla fine,ditemi se vale la pena pubblicarla o no. Grazie Lelusc. :D
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ciao, ci vediamo domani!” Urlo a Flora mentre salgo di corsa le tre scalette che portano all’entrata della villetta dei miei nonni. Dentro sento un buon profumino; sicuramente la nonna sta cucinando qualcosa di speziato per il pranzo con gli ortaggi nati e cresciuti nel nostro piccolo orticello amorevolmente curato da mio nonno. Mi affaccio in cucina e come previsto c’è nonna con indosso il suo grembiule e fra le mani il mestolo, ed è intenta a mescolare qualcosa in una pentola, suppongo sia zuppa, beh infondo è inverno. Come se mi avesse sentito, la nonna si volta verso di me, mi fa un caldo e largo sorriso e il suo volto segnato dell’età sembra molto più giovane ai miei occhi.
 
“Ben tornata Jen, com’è andata a scuola?” Le sorrido. Ha dei modi così delicati e un tono sempre dolce, è sempre stata così, non ha mai urlato o litigato con me con il nonno o chiunque altro, che pazienza che ha! “Il compito di matematica?”chiede guardandomi in attesa. “Le lezioni sono state noiose come sempre, se non ci fosse stata Flora mi sarei addormentata” rispondo e piroetto verso la mia stanza tergiversando sul compito.

“Tesoro sei al liceo ora, non puoi avere la testa fra le nuvole”.

 “lo so”

“va bene, cambiati, è pronto il pranzo e dopo vai ad aiutare il nonno al ristorante”.

“Va bene”e mi dirigo di sopra salendo le scale come se fossi un elefante. Non sono mai stata molto femminile, anche se dovrei, siccome sono quasi adulta, infondo ho diciassette anni. Di sopra apro la porta della mia camera e la prima cosa che faccio è prendere Briciola da sopra il letto e sdraiarmi al suo posto.

Appoggio il Persiano bianco dal pelo lungo sulla mia pancia e chiudo gli occhi. Il silenzio mi calma e pensare che fino a un momento fa ero in una classe piena di ragazzi che non facevano altro che parlare. Sento Briciola camminarmi sulla pancia. Apro gli occhi e sorrido. Davanti al viso ho il suo musetto e mi sta guardando con i suoi grandi e rotondi occhioni color ghiaccio che a volte reputo inquietanti. Lo prendo, lo stringo al petto e mi metto a sedere sul letto. Lui comincia a farmi le fusa e rido intenerita. Briciola è sempre stato molto coccoloso e amichevole ed estremamente docile.

Gli accarezzo il capo e lo lascio sul letto accanto a me. Devo cambiarmi e scendere di sotto. Spalanco l’armadio e cerco qualcosa di carino e semplice da mettermi, che vada bene sia per stare in casa, che per scendere in paese e aiutare mio nonno al suo ristorante. Una volta deciso, prendo i bordi della maglietta e li tiro su per sfilarmela, quando sento un miagolio strano e vedo Briciola uscire dalla camera di corsa. Lo guardo confusa e sorrido. Che gentiluomo! Penso divertita. Mi cambio con un vestito di lanetta verde muschio con le maniche lunghe e la scollatura a V, dopo scendo di sotto.

“Nonna sono pronta”dico affacciandomi alla cucina.

“ Bene, tieni cara, apparecchia” mi dice passandomi il suo antico servizio di porcellana da ventiquattro piatti, che ormai ne ha solo tre; una piccola bambina un giorno è passata e li ha fatti cadere. Beh diciamo che non ero proprio calma da piccola. Apparecchio, ed ecco mia nonna portare la pentola con la zuppa che serve nei piatti.

Scosto la sedia dal tavolo e ci trovo Ector acciambellato sopra. Il piccolo gatto che ho preso dalla strada. L'europeo mezzo morto di fame e stanco che ora è sazio e pigro e la sua pelliccia non è mai stata di un così bel arancione lucido. “Birichino, ti sei nascosto?”Gli chiedo dolcemente prendendolo in braccio. “Ehi! Birbante, ti sei ingrassato eh?”Dico portandomelo al petto. "Brava, ora vatti a lavare le mani”dice nonna.

"Va bene, ma lo sai che sono puliti" “Cosa dici? Siamo in campagna, escono e vanno in giardino quando vogliono, quindi sono sporchi”mi spiega nonna con tale pazienza che sembra stia parlando con una bambina di cinque anni, se non più piccola e un po’ la cosa m’infastidisce. “Va bene, ho capito, ma non trattarmi come una mocciosa”dico irritata. Poso Ector sul divano e vado al bagno. Nel piccolo e semplice bagno mi lavo le mani e quando mi volto verso la porta per ritornare in sala, mi trovo davanti Birba, il mio certosino, chiamato così perché come fa intuire il nome, è un birbante, il più giocherellone di tutti e ha il pelo grigio- blu e gli occhi gialli, strani per la sua razza a mio parere. M’inchino davanti a lui e gli sorrido.

“Mi dispiace giocherellone, ma non posso toccarti. Mi sono lavata le mani perché devo mangiare, dopo giochiamo”, dico alzandomi e passandogli accanto per andare da nonna.

 Molte volte rimango sbalordita, è come se tutti i cinque gatti che abitano con me, capiscano quel che dico, penso sedendomi al mio solito posto a tavola. “Che c’è Jen? È successo qualcosa?”Mi chiede nonna preoccupata.

 E anche questo è strano, è sempre così palesemente preoccupata, perché?

 “No, sto bene, ho solo l’impressione che i gatti mi capiscano quando gli parlo. È mai possibile?”

 “Si e no, cara, forse solo alcune volte, non saprei dirti”.

Ancora stranita prendo il cucchiaio con la zuppa e la porto alla bocca. Mmh, adoro la zuppa di legumi speziata di mia nonna.

Poco dopo sono sdraiata sul letto a sfogliare una rivista e a mangiare una mela, mentre il vento pungente entra attraverso la finestra che ho spalancato, ma non ho freddo, sarà per il golfino di lana che indosso e i calzettoni orrendi che ho ai piedi. Giro un'altra pagina quando noto con la coda dell’occhio qualcosa muoversi. Mi volto, è noto Nerone, il mio birmano, che mi passa accanto con il suo corpo lungo e flessuoso e il portamento elegante. Lui e la sua aria di sufficienza! Anche in mezzo agli altri gatti si sente sempre il re.

 Ci guardiamo negli occhi, come a sfidare l’altro a distogliere lo sguardo per primo. Alla fine gli faccio la linguaccia. “Ma lo sai che sei altezzoso gatto, vieni qui!” Esclamo battendo sul letto proprio accanto a me. Il gatto mi guarda, poi guarda la mia mano come se stesse decidendo, infine fa qualche passo e con un agile salto viene accanto a me e si acciambella elegantemente sul letto. Gli accarezzo il capo e contino a leggere la rivista. Ho ancora un po’ di tempo prima di andare ad aiutare il nonno e ne approfitto, anche se so, che invece di leggere gossip dovrei studiare, ma proprio non riesco a non leggere i pettegolezzi!

“Oh! Ora puliamo qui eh…" Cosa? "Jen? Jen!”Dice la nonna scuotendomi. Apro gli occhi confusa e mi ritrovo rannicchiata sul letto, con tutti i gatti sdraiati a semicerchio davanti a me che mi fissano. Le mie labbra si piegano in un lieve sorriso e soffoco uno sbadiglio con la mano. “Oh, scusa nonna, devo essermi addormentata, vado subito ad aiutare il nonno giù in paese”, dico scendendo dal letto. Mi liscio il vestito spiegazzato, mi ravvio i capelli con un gesto veloce della mano e mi guardo allo specchio. Sono pallida e mi sono assopita, che strano mi ricordo chiaramente che stavo leggendo una rivista, non so che cosa mi sia successo. Mi sfilo i calzettoni, prendo un lungo cappotto di lana bianca, i guanti, una lunga sciarpa che mi metto intono al collo, ed esco passando accanto a nonna. “Vado!” Esclamo.

Fuori mi viene incontro un’aria pungente e fredda. Mi stringo forte e mi strofino le braccia. Sento freddo anche se coperta dalla pesante e calda lana del cappotto, ma nonostante tutto, decido di camminare fino alla piazza, così da riscaldarmi, invece di attendere l’autobus. Mentre cammino lungo il marciapiede ecco venirmi incontro il grande bestione metallico, ma ormai ho deciso e continuo a camminare a passi svelti, ticchettando con i tacchi degli stivali sul marciapiede e intanto mi guardo intorno. Nonostante la strada sia sempre la stessa con le case e le villette sempre uguali come le famiglie, c’è sempre qualcosa di nuovo. Giù in piazza ci sono solo alcuni bambini che giocano e sono tutti imbacuccati tanto che hanno difficoltà a muoversi. Mi fermo davanti al ristorante di mio nonno, un ristorantino rustico con un bel tetto spiovente di tegole marroncine e un’ ampia e accogliente entrata. Accogliente come i dolce profumi del cibo che ti saluta una volta entrato.

Entro e saluto Asia con un cenno. Lei è l’addetta ai telefoni, colei che prende le ordinazioni per via telefonica e che deve rispondere in modo soddisfacente alle domande dei probabili clienti. È una tale chiacchierona, infatti non ha problemi nel suo lavoro. Per mia fortuna è impegnata a mostrare il volantino del nostro ristorane ad una coppia, così non mi ha fermata. Per carità è sempre gentile, ma a volte soffocante. Passando per la cucina, mi fermo i capelli sul capo con un mollettone e come sempre dei boccoli sfuggono e m’incorniciano il volto. Ignoro il fatto e chiedo di mio nonno. “Ah, ciao Jen! Tuo nonno è nella dispensa” mi risponde quel gran bel ragazzo di Peter, l’aiuto cuoco.

 “Nonno? Vuoi una mano?” Chiedo sbucando dalla porta.

“Ah! Eccoti, sei in ritardo”

“scusa, mi sono addormentata”.

“Tutto bene?”Mi chiede preoccupato.

“Si, forse ero solo un po’ stanca”

“capisco, senti, prendimi due pacchi di farina e delle patate e vieni. Oggi aiuterai Peter a setacciare la farina e a sbucciare le patate”

 “va bene”dico delusa br />
 “Che vocina mogia, non ti preoccupare, domani ti faccio fare una cosa nuova”,annuisco e prendo ciò che mi ha detto.

Due secondi dopo sono seduta su uno sgabello accanto a Peter e abbiamo entrambi un secchio fra le gambe e delle patate accanto. Guardo Peter. Cavolo lui è più veloce di me, né ha già sbucciate tre, noto.

“Che c’è Jen?”

“Niente”dico continuando a lavorare, ma ogni tanto alzo lo sguardo per guardarlo. Peter è venuto ad abitare in questa cittadina di campagna per vivere accanto a sua nonna, poiché dopo una brutta operazione ha avuto una ricaduta. Ormai lui e il matrigna si sono trasferiti definitivamente qui da ben tre mesi. Peter ha tratti Inglesi, infatti sui padre è un famoso architetto inglese che ora abita in Inghilterra e dopo la morte della moglie, sembra quasi preferisca il lavoro che la famiglia, quindi anche il secondo matrimonio è difficile.

Peter si passa un braccio sulla fronte e si sposta dei capelli che gli sono ricaduti sul viso. Certe volte è così allegro, ma ora sembra talmente assorto a sbucciare le patate da apparire quasi un’altra persona. Alza lo sguardo su di me e mi sorride con il suo solito sorriso allegro e tanto spontaneo. Forse si sentiva osservato, comunque lui è uno dei pochi con cui mi sento a mio agio.

“Perché mi guardi?” Mi chiede ad un certo punto.

“Niente, è che sei così concentrato e stai solo sbucciando delle patate”dico quasi incredula.

“Beh, queste sono fondamentali per il pollo con le patate, non credi?” Gli sorrido. Ed è anche carino e ha solo tre anni più di me, penso, ma ritorniamo a lavorare che è meglio.

Dopo aver svolto quest’umile lavoro, che faccio da molto tempo e infatti, sono abbastanza brava, ma non tanto veloce,comincio a servire in sala con Orni,Ornella, la cameriera, un tipo molto chiuso che non parla quasi mai, ma questo non fa di lei un tipo freddo, è solo timida e chissà forse anche insicura. Non appena entro in sala con un piatto in ogni mano, l’effetto è sempre lo stesso, caldo, famigliare. Noto subito il grande e sbarrato camino di rocce, grande quanto una persona, con un bel fuoco acceso alto e scoppiettante e i muri con la carta da parati raffigurante dei mattoni rossicci con dell’edera rampicante che si alza fino al soffitto, è tanto bella e ben disegnata da farla sembrare vera e il tutto da l’idea di un ristorante di altri tempi. La gente è sempre numerosa e parla invitando alla discussione anche altre persone: qui tutti si conoscono e chi è nuovo viene subito integrato e aiutato. Il clima è sempre accogliente, niente litigi e niente problemi. Poso sul tavolo le ordinazioni e faccio un gran bel sorriso ai clienti e ritorno a lavorare, piena di energie.

Alle sette si sera, ora di cena, il nonno mi manda a casa. Devo magiare e fare i compiti e perché no, anche un bel bagno caldo. Esco dal ristorante e mi trovo davanti una scena bellissima. Tanti piccoli e leggeri fiocchi di neve che cadono dal cielo. Alzo una mano e ne prendo uno che si scioglie all'istante sul mio palmo. Adoro la neve, è così pura e candida. M’incammino verso casa e a mano a mano il vento spira sempre più forte diventando sempre più freddo e i fiocchi cadono sempre più abbondanti, cominciano a coprire i marciapiedi e a creare una leggera patina di ghiaccio sulle strade.     

Fortunatamente riesco a rincasare prima che cominci la bufera di neve. Vivo qui da così tanti anni che non posso più nemmeno contarli sulle dita delle mani e so bene quando sta per iniziare una bufera di neve; fortunatamente non rimane mai molto a lungo, questa è una particolarità della nostra cittadina. Mi chiudo la porta di casa alle spalle, mi tolgo di dosso la neve e mi passo una mano fra i capelli. Il cappotto di lana è fradicio e ho freddo. “Jen, eccoti” dice nonna sbucando dall'arco che porta alla sala. “Dallo a me, guadati sei tutta bagnata”,mi dice toccandomi i capelli. Mi prende per mano e mi tira dentro.

 In sala c’è un bel calore, il camino di mattoni rossicci è acceso e crea come una bolla di calore e luce, subito mi sento meglio. “Tesoro, vai farti un bel bagno caldo e indossa qualcosa di asciutto, intanto preparo qualcosa da bere, ma tuo nonno?”

“Suppongo verrà tardi come al solito”

“quell'uomo lavora troppo”.  

Non posso che concordare. Salgo di sopra, mi pendo un cambio e vado al bagno. Mentre la vasca si riempie mi tolgo gli abiti di dosso e strofino lo specchio per togliere l’alone del vapore che si è già formato e mi specchio. Il mio viso è pallido. Beh, non è proprio una novità, infondo credo di essere sempre stata così. Da piccola ero cagionevole di salute e l’aria di città non mi faceva bene, così inquinata e anche la città stessa così caotica e rumorosa con persone totalmente diversa da quelle che si trovano qui in campagna, così superficiali, egoiste e ipocrite.

Quando ancora eravamo in città, la mamma mi ha portata dal nostro medico di fiducia che mi ha prescritto di andare a vivere in un luogo con aria pura e fresca. Così mia madre mi mandò a vivere dai nonni, lei aveva il suo lavoro d’avvocato che non poteva svolgere in campagna, così rimase a Los Angeles. Immersa nella calda acqua mi rilasso, chiudo gli occhi e penso inebriata dal dolce profumo di vaniglia del bagno schiuma. Poco dopo esco rilassata e lavata. Mi avvolgo il corpo con l’asciugamano e comincio ad asciugarmi i capelli che altrimenti mi diventerebbero crespi.

Mi cambio e vado di sotto, scendo l’ultimo gradino e all'improvviso la stanchezza mi assale, tanto che porto una mano al capo e mi appoggio al muro, mentre la testa mi gira. Quando mi riprendo vedo davanti a me Briciola e Nerone che mi fissano. Mi rimetto dritta e passo loro accanto senza smettere di guardarli, diretta in sala. Certo che sono strani quei gatti, mi dico inquieta. Mi siedo sulla poltrona e ci sprofondo, mentre sento il calore del camino davanti a me che mi avvolge con il suo chiarore.

“Eccomi, tieni”dice improvvisamente nonna, porgendomi un piatto

“ah, grazie nonna, ma vengo a tavola”

“non importa, rimaniamo qui, c’è una bella atmosfera”dice sedendosi vicino a me.

Annuisco e mi porto alla bocca il cucchiaio di brodo caldo. Brodo di pollo, buono. “Tutto bene cara? Ti vedo pallida”

 “si tutto bene”le dico mentre Briciola sale sul bracciolo della poltrona e si accoccola sulle mie gambe e Nerone si accuccia accanto a nonna sul divano.

Il silenzio che si crea stranamente non è né teso, né gioviale, solo silenzio. “Dammi cara, li porto in cucina” le passo il piatto e accarezzo Briciola. Mi sento stanca.

“Ecco”dice nonna poco dopo, passando una tazza fumante. L’accosto alle labbra e prendo un sorso con attenzione.

“Cioccolata calda”dico deliziata.

 “Si,so che ti piace, ne sei golosissima”sorriso e comincio a sorseggiarla. Mi sento così bene sprofondata nella poltrona davanti al caldo del camino e nella penombra della sala, tanto che se non sto attenta potrei addormentarmi. “L’hai finita?”Chiede la nonna dopo alcuni minuti. “si”.

“Vai a dormire che sei stanchissima e domani devi andare a scuola”.

“La scuola!” Esclamo saltando in piedi e facendo cadere a terra Briciola che era ancora sulle mie gambe. “Scusa Briciola”.

“Oh, nonna ho dimenticato di fare i compiti!”

 “Beh, fai quello che riesci, forse domani sarà chiusa per via della neve”

Si, ma domani…penso, quando la porta di casa si apre infrangendo i miei pensieri.

“Ah, finalmente, che freddo”

“Leonardo, Orlando, Fernandi, ma sei impazzito!” Esclama la nonna e subiti mi metto sull'attenti, perché non si arrabbia mai.

“Che c’è? è questo il modo di accogliere un povero marito congelato?"

“Il povero marito congelato, non lo vedo da nessuna parte, vedo solo un uomo che lavora troppo e che va in giro durante una tormenta dove non ci si vede neanche la propria mano. Potevi farti male, imprudente!”

“Ah, allora se è per questo tranquilla, la tormenta ha smesso da un po’”

“davvero?”Chiede la nonna scettica, ma comunque più rilassata. Il nonno non dice mai bugie

“si,ora posso mangiare e farmi un bagno?”

“Si, intanto fai un bagno” gli dice. “Visto nonna, domani di sicuro il ghiaccio si sarà sciolto e la scuola sarà aperta, devo andare a fare i compiti”.

 “Va bene, ma non fare troppo tardi e copriti, in quella stanza sembra di stare in un congelatore” annuisco e salgo di sopra.

In camera sto per chiudere la porta in faccia a Briciola, ma prima mi fermo e lo lascio entrare. Una volta isolata prendo i libri adeguati e mi siedo alla scrivania. So bene che ora nonna chiacchiererà con nonno e mi disturberà. è incredibile come si senta tutto quello che succede di sotto. Comincio gli esercizi di grammatica e faccio appena caso a Briciola che è salito sulla scrivania e si è messo in un angolo dove non può disturbarmi. Davvero, sembra abbia capito che non voglio essere intralciata mentre studio. Finisco di studiare abbastanza presto, bloccandomi solo su quello a cui non ho prestato molta attenzione a scuola. Lo faccio sempre e poi ne pago le conseguenze, che stupida che sono.

 Preparo lo zaino in base alle lezioni che ho domani, mi metto il pigiama e quando lo faccio, Briciola si nasconde sotto il letto. Apro la porta e m’infilo nel piumone azzurro, tanto caldo e vaporoso e chiudo gli occhi. Dopo pochi secondi sento subito un peso sulle gambe. Accendo la bat - jour sul comodino e come avevo immaginato, è Briciola che mi cammina sopra per raggiungermi. Si stiracchia al mio fianco e mi guarda. “Vuoi dormire con me, eh? Ma lo fai sempre” e come se le mie parole fossero un richiamo, cosa che non sono, ecco venirmi incontro Ector e Birba. Uno si mette ai mie piedi, l’altro acciambellato sul mio tappeto e infine ecco il gran signore Nerone che si accuccia sulla mia scrivania a debita distanza e mi fissa. Sorriso, fanno sempre così, spengo la luce e mi metto a dormire.

 
 
  
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