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Autore: Somoody    05/04/2008    2 recensioni
C’era una volta… No, sembra una favola, ma in realtà è così, perchè queste sono cose che non accadono nella realtà e, come si dice, sono cose che puoi aspettarti solo dai libri. Quindi… C’era un giorno, non tanto lontano, una ragazza. Monica. La sua vita senza esser tale, la vita vissuta come vegetale. Un brutto episodio le ha rovinato la vita e ora lei non vuole più viverla. C'era un giorno, non tanto lontano, Stefano. La sua vita appannata dalla tristezza, vissuta nei9 ricordi. Per una ragazza che l'ha solo preso in giro e per un papà che detesta. Tutti e due odiano la vita, tutti e due non vogliono più viverla... Ma il loro incontro potrebbe cambiare loro la vita e risvegliare un sentimento che ritenevano morto per sempre...
Genere: Romantico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

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Costanzo si alzò dal divano, con uno strano mal di testa. Ma tanto ci era abituato.
Si incamminò verso la cucina, senza pensieri. Non perché non ne avesse, ma semplicemente perché era stanco di averceli in testa. In seguito aprì il bidone, a questo punto seguito dalla sua unica considerazione. Suo figlio. Dentro vi era la carta della brioche che aveva comprato per lui, vuota.
“Allora l’ha mangiata…”
Pensò lui, con un sorriso sulla sua espressione che indicava dispiacere.
“Figlio mio, riuscirai mai a perdonarmi?”
Poi si rattristò ancora di più, a seguito dell’altra domanda…
“E ad accettarmi?”

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Guardò avanti a sé. La sua biblioteca che di solito era sempre affollata, quel giorno era stranamente vuota. Vuota… Non era strano, succedeva tutti gli anni così, la scuola finiva, l’estate iniziava e non ci veniva più nessuno. Vi erano solo una ragazza che era presente ogni giorno su quel divanetto a leggere, con cui non aveva mai parlato, neanche una volta, e Stefano. Lo guardò e sorrise. Quante risate si erano fatti assieme, quanti sfoghi Stefano aveva avuto con lui… Conosceva la sua vita, era come se Stefano si confidasse con Ambrogio perché non aveva nessun altro amico con cui farlo. Amico. Ecco, lui per Sefano era considerato tale. E non ne aveva altri.
Poi lo osservò meglio. Era sui libri, ma non fissava quelli… Guardava altrove.

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Terminato il libro, non ebbe emozioni. La storia la conosceva ormai a memoria, ma non voleva dire nulla. La prima volta che la sentì era stata sua madre a leggergliela. A Monica era piaciuta tantissimo. Lei aveva pianto quella volta… Ora “piangere” era un verbo che non faceva più parte del suo vocabolario. Non le apparteneva più.
Ormai chiusa la copertina di “Romeo e Giulietta”, si alzò dal divanetto e fece per andare a depositarlo al suo posto. Poi guardò l’orologio. Era tardissimo. Era ormai l’una. Doveva tornare a casa e cucinare.
Si indirizzò verso l’uscita.
Ad un certo punto, una mano sulla spalla la bloccò. Lei si girò di scatto e si ritrovò davanti a quel ragazzo che prima aveva notato, essere presnte in quell’aula. Rimase un attimo perlessa. Aveva fatto qualcosa per attirare la sua attenzione?? Pensò lei quasi infastidita. Lui sembrò quasi leggerle nella mente.
<< Prima mi stavi guardando. >>
Lei rimase di sasso.
<< Cosa? >>
Lui non mollava quella sua espressione decisa e altezzosa.
<< Hai capito benissimo. >>
Lei scrollò la testa.
<< Lasciami in pace. >>
Così detto cercò di allontanarsi, ma lui le si parò di nuovo davanti.
<< Volevo testare se era vero che le ragazze erano tutte stronze, per darmi torto, ma… Lo sai che me ne stai dando motivo? >>
Monica sbuffò, ormai raggiunto il suo limite di discorso con un estraneo che non fosse suo padre o la sua amica.
<< Che cosa vuoi? >>
Lui sorrise.
<< Che tu mi dica perché mi guardavi, ad esempio… >>
Lei continuava ad essere spiazzata. L’aveva guardato? Si, l’aveva fatto. Ma per poco! Non c’era nessun interesse dietro quell’occhiata. E lui era un idiota se aveva notato ciò.
<< Per vedere chi c’era e tu eri l’unico, perciò mi sono soffermata… Ora posso andare? >>
Lui la squadrò da capo a piedi.
“Ma chi si crede di essere sta ragazzina?”
Lo pensò solo, pensò di giocare lo stesso gioco.
<< E dopo? >>
<< Dopo quando? >>
<< Poco tempo fa, prima di alzarti. >>
Lei si mise le mani sul viso, per coprirsi, per cercare di pensare, per non esplodere.
“Ma chi è questo??”
<< Non lo so!! Ora devo andare, me lo faresti questo onore di scostarti e lasciarmi passare?? >>
Di fronte al suo tono autoritario, Stefano non potè fare a meno di alzare le mani in segno di resa e di spostarsi da davanti a lei. Lei lo seguì con lo sguardo fino a che non si ritrovò il passaggio libero per poterlo intraprendere. Così Monica si allontanò, lasciando così Stefano, insoddisfatto.
<< Tornerai domani, vero? >>
Lei alzò le spalle e proseguì senza voltarsi. Lui, invece, continuava a rimanere fermo immobile.
Quella ragazza continuava a fargli la stessa impressione che le aveva mostrato all’inizio. Quello sguardo era triste, si vedeva… Qualunque cosa le fosse successa l’aveva fatta soffrire parecchio e lui, quello sguardo, lo riconosceva fin troppo bene. Era lo stesso che trovava in bagno la mattina davanti a quello specchio, lo stesso che odiava.
In qualche modo pensò a quella ragazza in positivo, finalmente dopo tanto tempo gli era successo, e sperò che l’indomani l’avesse ribeccata in quella biblioteca, nonostante la sua parte razionale stesse litigando con quella irrazionale per dirle di stare attenta, che è una facciata, che è stanca di soffrire. Ma la zittì.
Davanti a lui, Ambrogio gli sorrise, facendoglio il segno di Ok con la mano. Setfano contraccambiò e si diresse verso quella scrivania per ritirare i libri.
Gli era venuta fame.

-

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Monica era davanti ai fornelli. Cercava di girare il sugo della pasta. Si portò il cucchiaio di legno alla bocca e lo gustò notando quanto quel giorno le fosse venuto perfetto. Fu fiera di se. Poi scolò la pasta ormai pronta e la mise nel sugo. La girò nella padella e la servì nei piatto.
Suo padre arrivò stiracchiandosi e sedendosi a tavola, arrivato da poco dal suo ufficio.
<< Ciao tesoro! >>
<< Ciao papà. >>
Lui la scrutò.
Niente, non era cambiato nulla. Era sempre uguale, il suo sguardo era tale. Nessun miracolo era avvenuto in quella mattina a cambiare la sua esistenza. Gabriele si stava quasi rassegnando…
<< Cosa hai fatto sta mattina? >>
Lei si sedette in tavola e cominciò a prendere la forchetta, rispondendo alla domanda senza alzare lo sguardo dal piatto.
<< Sono andata in biblioteca e ho letto Romeo e Giulietta. >>
<< Ah, si… Se non sbaglio era il libro preferito della mamma… >>
<< Già. >>
Non aveva alzato lo sguardo da quel piatto per un preciso motivo. Non era per la questione del libro, suo padre ormai conosceva a memoria quello sguardo, non c’era nulla da nascondere. Più che altro, Monica, stranamente, stava pensando a quel ragazzo.
Dopotutto l’aveva guardato per pochissimo e completamente con indifferenza. Perché si era preso la briga di parlarle? La cosa le infastidiva ancora, ma soprattutto la lasciava perplessa. Era da tanto che non parlava con un ragazzo. La sensazione la rendeva strana. Non riusciva a comprenderla, non riusciva a contraddistinguela, non riusciva a darle un nome. “Strana” era l’aggettivo che le aveva dato, ma forse, il più adatto, sarebbe stato “Nuova”. E a lei il “nuovo” la spaventava…

  
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