Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: pandosea    10/10/2013    2 recensioni
«Un piccolo Louis in jeans rossi, felpa grigia tre volte più grande di lui e vans bianche, era seduto sull’erba morbida e umida del cimitero.
Non si avvicinò, lo osservò prima da lontano. Com’era cambiato.. aveva la barba e i capelli più lunghi e soprattutto il viso più stanco e segnato dalla lotta contro la sua pazzia. Nonostante tutto Harry lo trovò stupendo e sentì tutto ciò che aveva provato e provato a reprimere, riaffiorare. Deglutì e girò i tacchi con l’intenzione di andarsene prima che fosse stato troppo tardi, ma Louis lo fermò. O meglio, la voce di Louis. “Dove pensi di andare, curly?”»
FanFiction by: pandozeus.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Madness.

Writer: pandozeus.
Raiting: Yellow.
Note: AU/soulful/angst.
Inspiration: 'Madness' by Muse, my travel from school to home by train and, obviously, Louis Tomlinson and Harry Styles.
Hope you'll enjoy it! :)

 

…I can't get these memories out of my mind
and some kind of madness has started to evolve..

 
 
Se c’era qualcosa che Harry Styles proprio non riusciva a fare di notte, era dormire.
Era qualcosa più forte di lui. Ci provava, ci riprovava, ma non ci riusciva.
Era tormentato dagli incubi, dai pensieri, a volte anche dalle voci. Non era pazzo, era semplicemente innamorato.. perché le voci che sentiva non erano voci a caso, ma erano le varie sfumature di una voce. La voce di un ragazzo. La voce di Louis Tomlinson.
Chi era Louis Tomlinson? Era un ragazzo, pazzo. No, non quei pazzi che si dicono tanto per dire. Louis Tomlinson era davvero pazzo, aveva passato praticamente la sua intera adolescenza in un centro psichiatrico perché tormentato da strani pensieri. Questi pensieri si erano interrotti solo dopo l’arrivo nella sua vita di Harry Styles. L’unico problema era che Louis aveva fatto diventare pazzo anche Harry.
Louis, infondo, non era un cattivo ragazzo, anzi, era semplicemente perfetto. Non tutti però erano disposti a conoscerlo, capirlo, apprezzarlo e, addirittura, amarlo.
Harry era una di quelle poche persone, oltre alle sorelle e alla madre del ragazzo.
I suoi amici non avevano mai approvato questa sua amicizia con lui. Avevano sempre detto che Louis era un tipo da cui stare alla larga, uno poco raccomandabile e, la più frequente, era un malato mentale. Ad Harry non era mai andato giù che venisse definito in questo modo e aveva fatto più volte a pugni per difenderlo, ma quando raccontava a Louis di ciò che dicevano di lui, quello si limitava a sorridere e “Sono solo invidiosi di me” affermare. Ed Harry lo amava per quello, lo amava tanto. Lo amava perché era positivo, rare erano le volte in cui non lo era. Lo amava perché era strano, diverso dalla massa. Lo amava quando iniziava a fare discorsi lunghi e senza senso, ma che, infondo, un senso lo avevano. Lo amava quando si addormentava sulle sue ginocchia quando erano al parco. Lo amava quando sorrideva per lui. Lo amava perfino quando, durante le sue crisi, iniziava a parlare di morte, sangue e guerre. Stava diventando pazzo insieme a lui e amava quella sensazione. Perciò, quella notte, quando aveva saputo che l’avrebbe rivisto dopo sei mesi di terapia, Harry Styles non era riuscito a chiudere occhio.
Si sentiva eccitato, emozionato, preoccupato e altre ventimila cose insieme.
Aveva paura che, nel rivederlo, Louis lo avrebbe schifato o, peggio, ignorato.
Era felice di riabbracciarlo dopo tanto tempo.
Era preoccupato perché, prima dell’inizio della sua terapia, Harry gli aveva confessato di amarlo.
Era ansioso e non riuscì a seguire nemmeno la minima parte delle lezioni di quel giorno.
Già “lezioni”, perché Harry non era altro che un diciannovenne. Un diciannovenne innamorato di un ventunenne pazzo.
Alle dieci e mezza il telefono del riccio lampeggiò sul banco e il ragazzo si affrettò a nasconderlo sotto il banco per non far vedere al professore il messaggio.
Sapeva che Louis non poteva mandare messaggi, anzi, non poteva nemmeno aver un cellulare, quindi non ci rimase male più di tanto quando lesse il mittente.
 
DA: Mamma: Oggi ti vengo a prendere alle 11:00. :) xx
 
Wow! Sua madre aveva imparato ad usare le emoticon, ammirevole.
Harry non ricollegò quel messaggio al ritorno di Louis, poiché, anche se la madre sapeva della sua situazione, il ragazzo non sarebbe arrivato a Londra prima del tardo pomeriggio.
Esatto, sua madre sapeva. Sua madre sapeva perché l’aveva sentito piangere nella sua stanza quando si era reso conto di provare qualcosa per Louis. Sua madre sapeva perché da piccolo lo aveva visto camminare mano nella mano con un suo compagno d’asilo. Sua madre lo sapeva perché, quando Harry parlava di Louis, i suoi occhi si illuminavano di una luce particolare, le fossette affioravano sulle guance e la sua voce si riduceva ad tono eccitato e allegro, forse troppo.
 
A: Mamma: ok :) successo qualcosa?
 
Tamburellò con le dita sul banco mentre il professor Magren stava spiegando qualche concetto matematico che non avrebbe comunque imparato.
 
DA: Mamma: No tesoro, semplicemente voglio passare del tempo con te. :)
 
Ok, il fatto che sua madre piazzava quello smile da tutte le parti gli fece saltare i nervi, ma il fatto che facesse la misteriosa lo impaurì. Non si curò più di tanto del messaggio e ripose il cellulare in tasca. Cercò di prendere qualche appunto aspettando che quella mezz’ora passasse in fretta, molto in fretta.
Quando, alle undici spaccate, la porta si aprì rivelando la bidella della scuola, Harry davvero ebbe paura. Sua madre non era mai stata così precisa, MAI. “Styles esce, la madre è qui.” Disse la donna al professore che scrisse la notizia sul registro prima di voltare lo sguardo verso il riccio e “Puoi andare signorino” dire. Gli altri compagni lo salutarono, ma Harry non ci badò più di tanto. Uscì dalla classe e vide sua madre aspettarlo davanti al portone della scuola. “Ok, perché mi hai risparmiato due ore della Fairsh?” il ragazzo andò dritto al dunque, ma la madre si limitò a scrollare le spalle “Una madre non può voler trascorrere del tempo con suo figlio?” sbottò contrariata. Ma Harry sapeva che c’era un secondo fine, ne era sicuro. “Ti hanno diagnosticato qualche malattia terminale? Stai morendo?” chiese allora. “Non fare l’esagerato!” lo rimproverò allora la donna facendolo salire in macchina per poi andare al volante. Mise in moto e guidò per una decina di minuti in assoluto silenzio. “Dove stiamo andando? Casa nostra è dall’altra parte.” Anne, la madre, non rispose ed a Harry balenò in testa l’idea che stesse facendo sequestro di persona. Continuarono il viaggio in silenzio religioso per qualche altro minuto, prima di fermarsi davanti ad un cimitero. “Hai deciso di uccidermi?” chiese Harry, un po’ spaventato. La madre si girò verso di lui e, dopo avergli dato un ceffone dietro la nuca, rispose. “C’è qualcuno che vuole vederti.” Il riccio non considerò, nemmeno per un secondo, l’idea che potesse essere chi voleva che fosse, perché lui sarebbe arrivato in pomeriggio inoltrato. Aprì lo sportello e prima di chiuderlo e incamminarsi sentì la madre urlargli “Attenti, potrebbe piovere.” Detto questo sparì in una nuvola di fumo lasciata dalla macchina.
Harry non pensava potesse essere lui, non ci poteva pensare e non ci voleva pensare. Non era ancora pronto. Non ancora.
Ma quando, dopo aver percorso metà cimitero, vide una piccola figura appoggiata con la schiena ad una lapide, non poté fare a meno che maledirsi mille e mille volte.
Un piccolo Louis in jeans rossi, felpa grigia tre volte più grande di lui e vans bianche, era seduto sull’erba morbida e umida del cimitero.
Non si avvicinò, lo osservò prima da lontano. Com’era cambiato.. aveva la barba e i capelli più lunghi e soprattutto il viso più stanco e segnato dalla lotta contro la sua pazzia. Nonostante tutto Harry lo trovò stupendo e sentì tutto ciò che aveva provato e provato a reprimere, riaffiorare. Deglutì e girò i tacchi con l’intenzione di andarsene prima che fosse stato troppo tardi, ma Louis lo fermò. O meglio, la voce di Louis. “Dove pensi di andare, curly?”
La sua voce. Ah, quanto gli era mancata. Si girò di nuovo verso la sua direzione, ma lui non lo stava guardando. Harry non sapeva se andarsene senza dire niente oppure raggiungerlo, buttargli le braccia al collo e non lasciarlo andare mai più, ma, quando Louis si affacciò da dietro la lapide sorridendo giocoso, il riccio eliminò completamente la prima opzione dalla sua mente.
 
…I tried so hard to let you go
but some kind of madness is swallowing me whole, yeah…
 
Harry si sedette accanto a lui appoggiando anch’egli la schiena contro la lapide di chissà quale pover’uomo. “Scegli sempre posti molto allegri, Louis.” Disse con fare ironico. “Io preferisco.. artistici. Ma da un lato hai ragione tu, curly.” ammise l’altro. “Davvero?” Louis si limitò ad annuire. “Quando morirò mi farò cremare, quindi non so perché la mia testa mi abbia detto di venire qui.” Il riccio rimase un attimo spiazzato da quella affermazione, ma non per la frase in sé, ma per tre parole in particolare. ‘La mia testa’.. sei mesi prima non avrebbe mai detto così, avrebbe usato l’espressione ‘non so perché io abbia deciso di venire qui’, mentre ora, aveva dato la colpa alla sua testa, come se non fosse un elemento del suo corpo, come se fosse una completa estranea. Louis si accorse della sorpresa del ragazzo accanto a lui e “Tranquillo, ormai so che non sono sano, cioè.. che lui - disse indicandosi la testa - non è sano.” Harry ebbe l’impulso di abbracciarlo per la tenerezza che gli fece in quel momento. E così fece, si buttò su di lui stringendolo a sé con tutte le sue forze. Il liscio, all’inizio rimase piacevolmente sorpreso da quell’azione, ma poi decise di abbandonarsi del tutto a quell’abbraccio. Gli erano mancate le braccia del moro, gli era mancato il suo profumo, i suoi capelli, i suoi occhi. Gli era mancato Harry. Dopo un po’, il riccio alzò lo sguardo guardando prima i suoi occhi e poi le sue labbra, ma si irrigidì nel guardare il suo labbro inferiore. Louis se ne accorse. “Oh, non farci caso.” Disse agitando una mano davanti ad una alquanto prosperosa cicatrice, talmente prosperosa che Harry si chiese come avesse fatto a non notarla prima. “Come.. come te la sei..” Il castano non gli diede nemmeno il tempo di terminare la domanda che stava già rispondendo. “Beh, il dottor Francis, il mio psichiatra, il primo giorno di terapia aveva detto che se non avessi collaborato, avrebbe fatto del male al mio ragazzo.” sorrise cercando di capire se il ragazzo di fronte a lui avesse colto l’allusione, ma evidentemente non successe perché Harry si limitò a mormorare un “Oh..” spezzato. Louis sospirò e, senza pensarci due volte, prese le mani del ragazzo tirandolo in piedi. “Dai andiamo!” esclamò con tutta la voce che aveva in corpo. “Dove?” il riccio era confuso, era comprensibile. “Devi raccontarmi un po’ di cose, tu.” Louis lo guardò di sottecchi, ma sorridendo, appena un po’ malizioso. Prese a correre dall’altra parte del cimitero con Harry dietro di lui e si fermò solo una volta arrivato davanti ad una bicicletta. “Cosa significa?” la voce di Harry era un misto tra il curioso e l’impaurito. “Devi pedalare!” disse Louis come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Cosa? Ma perché io? E poi sta per mettersi a piovere!” Il più grande sbuffò, gli prese il viso tra le mani e gli diede un bacio vicino, troppo vicino, alle labbra, tanto che Harry rimase pietrificato. “Hai dimenticato come si vive, curly?” chiese prima di prendere la bici e salire sul ferretto sulla parte posteriore di essa. Harry aveva ormai capito che, tornato Louis, sarebbe tornata anche la pazzia nella sua vita. Montò in bici e iniziò a pedalare senza una meta, non si fermò nemmeno quando le braccia di Louis si andarono ad avvolgere intorno alla sua vita.
 
…I have finally seen the light
And I have finally realised what you mean
And now I need to know is this real love
Or is it just madness keeping us afloat?..
.
 
Stavano andando in bici da circa quindici minuti quando Harry sentì una goccia d’acqua piombargli sul naso e l’attimo dopo sentì Louis alle sue spalle esclamare “Perfetto! La stavo aspettando.” Il cielo era pieno di nuvoloni grigi e le gocce iniziavano ad aumentare ogni secondo di dimensioni e numero. “Sta iniziando a piovere.. non è meglio-” “NO!” lo interruppe il castano. Non ora che stava iniziando a piovere. Non ora che poteva sentirsi vivo dopo tanto. “Accelera!” Harry non poteva credere alle sue orecchie, ma sapeva che con Louis non poteva dire di no. Insomma, Louis, con la sua pazzia, gli aveva insegnato a vivere. Lo aveva strappato da quel buco di mondo in cui si era rinchiuso per paura di essere troppo o troppo poco. Lo aveva fatto uscire allo scoperto, alla luce del solo, gli aveva insegnato a cogliere l’attimo. Come se stesse leggendo nel suo pensiero, Louis sciolse la presa dalla sua vita e lasciò andare le braccia all’indietro urlando “Carpe diem!” mentre la pioggia si abbatteva sul suo corpo, sul suo viso, sulle sue mani e mentre Harry pedalava sempre più veloce. Si girò solo un attimo, il riccio, per vedere il ragazzo dietro di lui sorridere tenendo gli occhi chiusi e sorrise anche lui. Il sorriso di Harry dipendeva da quello di Louis, c’era poco da fare.
 
…And when I look back at all the crazy fights we had
Like some kind of madness was taking control, yeah
And now I have finally seen the light
And I have finally realised what you need…
 
Dopo aver percorso un bel po’ di strada, i due si ritrovarono al parco più abbandonato, ma più bello di Londra. C’erano andati solo una volta, un giorno, quando, per seguire Louis in una delle sue avventure spericolate, si erano persi. Ora però erano di nuovo lì. Scesero dalla bicicletta e la lasciarono lì, nel fango. Louis, senza rendersene conto, aveva preso la mano di Harry e insieme avevano corso fino alla piccola casetta per bambini sotto lo scivolo. Si ripararono lì dalla pioggia che nel frattempo era aumentata. Si sedettero l’uno vicino all’altro. Le gambe intrecciate tra loro per il poco spazio. Louis si soffermò a guardare il profilo di Harry che guardava la pioggia. I capelli bagnati lo rendevano ancora più perfetto. “Sei diventato ancora più bello.” Disse infatti, senza pensare alle conseguenze delle sue parole. Harry si voltò di scatto verso di lui, perplesso. “Louis cos-?” “In questi sei mesi, sei cambiato.. sei maturato.. sei cresciuto.. sei diventato più bello. Sono geloso.” Ammise. Harry pensò che fosse uno dei suoi discorsi senza senso. “Harry..” lo richiamò appena. Il riccio incastrò il suo sguardo in quello di Louis. “Dimmi perché le nuvole sono bianche.. dimmi perché sono pazzo.. dimmi quanto ti sono mancato.. e dimmi di nuovo quella cosa.” Disse avvicinandosi di più a lui. I loro volti a pochi centimetri di distanza. “C-Cosa?” Harry si ritrovò a balbettare. Era nervoso, imbarazzato e si maledisse mille volte, perché Louis ricordava. Ovvio! Hanno lavorato con la sua pazzia, non con la sua memoria. “Sai cosa Harry.. Ciò che mi hai detto prima che salissi sull’aereo per Seattle.” Disse ancora, stavolta abbassando la voce ad un sussurro come se fosse un segreto, perché tra loro era tutto un segreto. Loro sapevano tutto l’uno dell’altro, ma in realtà non sapevano niente. Sapevano i dati di fatto, ma non sapevano le cose astratte. Louis sapeva che Harry era innamorato di lui, ma Harry non sapeva che era ricambiato. Sapevano della pazzia di Louis, ma in realtà nessuno dei due sapeva bene cosa fosse e cosa comportasse. Sapevano tutto, ma non sapevano niente. “Io.. io non mi ricordo...” Harry abbasso lo sguardo terribilmente rosso in volto. “Davvero Harry? Davvero non ricordi?” Louis gli aveva preso il viso tra le mani, ma Harry aveva lo sguardo basso. “Guardami, dritto negli occhi e dimmi che non ti ricordi.” Non sa, Harry, dove aveva trovato il coraggio di alzare lo sguardo e incastrare il verde nell’azzurro. “Io.. io..” deglutì, forse si sarebbe pentito di ciò che avrebbe detto, forse no, ma non riusciva più a tenerselo dentro. “Io.. ti.. ti.. ti amo.” Dopo un tempo che gli parve infinito, il riccio sentì la debole e dolce voce di Louis rispondergli. Credeva e pensava in una risposta negativa, ma rimase stupito dal sentire due parole. “Anche io.” Non sapeva, infatti, se crede o meno a quelle parole. Forse per Louis avevano un altro significato, volevano dire che lo amava come si ama un migliore amico, un fratello, un cugino.. “Come?” chiese il moro, senza pudore. Voleva e doveva sapere. Louis chiuse gli occhi, prese un respiro e “Ti amo come si ama la luna durante una notte d’estate.. ti amo come si amano le vacanze al mare.. ti amo come la pioggia ama Londra.. - questo fece ridacchiare un po’ il riccio - ti amo come si può amare la nutella, forse di più.. ti amo perché mi hai accettato per quello che sono, perché non mi consideri un malato mentale, perché mi apprezzi per questo.. e ti amo.. come solo un ragazzo pazzo può amare.” Terminò la sua dichiarazione con un tenero sorriso sulle labbra. Harry non aveva parole, non sapeva come reagire, quindi si limitò a prendere il viso del ragazzo fra le sue mani e baciarlo. Un bacio innocente, labbra premute su altre labbra, poi iniziarono i movimenti, piccoli e regolari. Harry era al settimo cielo, il ragazzo che amava da più cinque anni lo stava baciando. Cioè, lui lo stava baciando, ma l’altro ricambiava. Ok, stava diventando pazzo. Completamente pazzo, pazzo di Louis.
 
…But now I have finally seen the end
And I'm not expecting you to care, no
That I have finally seen the light
And I have finally realised…
 
Quando si staccarono ad entrambi mancava il fiato, tanto che respiravano affannati. La loro allegria, la loro gioia, la pioggia che aveva cessato di cadere. “Devo tornare a Seattle, lo sai?” disse poi Louis, la voce affievolita. Harry si sforzò di annuire, ma sentiva già le lacrime premergli sugli occhi, tanto che Louis si precipitò ad afferrargli il viso tra le mani “No no no. Non devi piangere. Fallo per me. Piangere è una specie di pazzia sapendo che il cielo ha appena smesso e che ora siamo insieme.” Il maggiore sorrise incoraggiante e anche Harry si sforzò di ricambiare il sorriso, quando però Louis ebbe un attacco. Il riccio ne aveva visti un paio, ma quello era decisamente strano. Il ragazzo uscì dalla casetta, e si precipitò verso l’altalena, ci salì con i piedi sopra e poi saltò per afferrare il palo superiore con le mani, si issò su e poi si lasciò cadere all’indietro, rimanendo a dondolare con le gambe strette intorno al palo di ferro. Nel vederlo gettarsi all’indietro, Harry sentì un colpo al cuore, pensava che si sarebbe lasciato cadere, che non si sarebbe mantenuto, riprese a respirare, infatti, solo un paio di minuti dopo. Si avvicinò al ragazzo che lo guardava perso. “Voglio morire Harry.” La serietà, la fermezza, la sicurezza con cui disse quella frase fece gelare il sangue del riccio. Aveva paura, paura di cosa avrebbe potuto fare e paura di non poterlo aiutare. “Louis.. non..” “È così Harry.. dovresti morire anche tu.. è bello. - fece un sorriso alquanto inquietante, reso peggiore dalla prospettiva a testa in giù - Io sono stato morto, sai? Mentre stavo nella mia stanza, a Seattle.. mi ero tagliato le vene.” Lo sputò fuori così, con noncuranza, senza nemmeno un briciolo di emozione. Harry deglutì rumorosamente, davvero aveva tentato di togliersi la vita? Davvero aveva rischiato di non rivederlo mai più? “Ma mi hanno trovato, in tempo.. e .. quando ero in ospedale..” all’improvviso sembrò riprendersi, tant’è che gli sorrise. “Mia madre mi ha fatto vedere un tua foto, recente, che tua madre le aveva spedito.. e la mia crisi scomparve.” Sorrise scoprendo i denti, fiero di sé e fiero del perché c’era riuscito. “Tu sei la mia cura, Harry. La cura alla mia pazzia.” disse attirando il riccio a sé tirandolo per il giubbino di pelle. “Il tuo amore è la mia cura. Ho bisogno del tuo amore.. Tu mi salvi, vieni e mi salvi.. anche nei sogni, mi salvi dai miei incubi.. io sono sbagliato, sono così.. purtroppo.. ma tu mi guarisci.. perché.. il nostro amore.. è pazzia.” concluse prima di attirarlo a tal punto da far scontrare le loro labbra.
 
-
 
Erano passati tre mesi da quando Louis era tornato a Seattle.
Harry era appena uscito da scuola, era appena sceso dal bus e stava salendo le scale di casa sua per arrivare alla sua stanza. Quando aprì la porta, però, quello che trovò lo fece rimanere sorpreso. “Hi, love!” Un Louis Tomlinson era steso con nonchalance sul suo letto e reggeva, con una mano, un libro e, con l’altra, una sigaretta. “L-Lou? Ma tu non dovresti essere a Seattle?” Harry si stropicciò gli occhi, come per controllare che effettivamente tutto ciò fosse reale. “Sì.. dovrei. Ma i dottori mi hanno congedato, non obbedivo, non trovavano cure quindi.. mi hanno rispedito a casa.” disse con una scrollata di spalle. “E quella?” fece Harry indicando la sigaretta. “Oh gesù! Come sei drammatico.. non fa male una volta ogni tanto!” Harry rise. “No, intendo.. non la condividi?” Il riccio si era ormai arreso all’evidenza che era diventato pazzo, insieme al suo ragazzo. Si andò a sedere accanto a lui, Louis posò il libro, inspirò dalla sigaretta e gli si mise a cavalcioni, poi, espirò il fumo in faccia ad Harry che respirò a pieni polmoni e “Non mi saluti nemmeno?” chiese innocente. Louis sorrise soffiandogli un cerchio di fumo in faccia per poi catturargli le labbra. Quelle stesse labbra di cui aveva sentito la mancanza per tre mesi, ma non l’avrebbe sentita mai più perché non le avrebbe mai più abbandonate. Perché era vero, era serio quel giorno, il loro amore era così strano, così illogico da risultare pazzo.
 
 

…I need your love
Come to me, just in a dream
Come on and rescue me
Yes, I know I can be wrong
Maybe you're too headstrong
Our love is... Madness.

  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: pandosea