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Autore: Himesama    05/04/2008    0 recensioni
Una serie di storie brevi, collegate fra di loro, ambientate nel Faerun.
Genere: Generale, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La parola “dolore” era inadatta a descrivere la sua sensazione, la morsa che aveva su tutto il corpo, ma sopratutto alla testa, non era composta di solo lancinante dolore, era anche consapevolezza di essersi improvvisamente risvegliata da uno stato di torpore e di avere fatto, come prima cosa, un movimento repentino ed improvviso che nessuno dei suoi muscoli si sarebbe mai sognato di fare se si fosse reso conto di a cosa andasse incontro.

Ricadde lentamente sulla schiena, era sdraiata su qualcosa di morbido e comodo, un letto supponeva, e dalla sensazione di calore che le veniva dalle lenzuola rispetto alla temperatura esterna capì di essere stata lì per parecchio tempo.

Aprì gli occhi cercando di oltrepassare la fitta membrana di dolore che le impediva di mettere a fuoco alcunché; doveva essere tarda mattinata a giudicare dalla luce, e ovunque fosse era un posto tranquillo e rassicurante, con il soffitto a cupola sorretto da forti ma eleganti arcate di legno alle quali peralaltro erano avvinghiati dei rampicanti. Edera? Sembrava edera, difficile a dirsi dato che le foglie erano ormai cadute da un pezzo. L'inverno non era ancora finito.

Era inverno, di questo era sicura. Nonostante sentisse la testa in un luogo completamente diverso dal resto del corpo, un luogo fatto di sorde fitte che partivano in differita dal suo corpo e ci ritornavano a intervalli irregolari, era sicura che fosse inverno. Tardo inverno.

Nient'altro, in realtà, non riusciva a concentrare la sua attenzione per abbastanza tempo da formularsi altre domande se non chiedersi incessantemente perché stesse così male o se mai si fosse sentita così in vita sua. Riuscì a rispondere “no” alla seconda domanda.

Prima che riuscisse a gioire del fatto di essersi data una risposta, si aprì una porta della stanza in cui era; a uditò le sembrò essere abbastanza distante da farle supporre di essere in un luogo spazioso, e si fidava più del suo udito che della sua vista offuscata e incapace di darle una percezione della profondità. I passi risuonavano su un pavimento di legno liscio, erano entrambi piuttosto leggeri.

Una voce bianca, forse maschile ma ancora poco sviluppata, disse qualcosa che sentì ma non riuscì a decifrare una volta raggiunte le sue orecchie.

Un volto le si avvicinò, posandole una mano sulla fronte; la mano era fredda come quella di chi era stato all'aperto fino a poco fa. Più fissava quel volto e meglio riusciva a metterlo a fuoco, era come se tutte le facoltà che aveva perso del suo corpo le stessero tornando, persino il dolore stava passando in secondo piano.

Era un volto estremamente liscio, con un piccolo naso appuntito e labbra sottili; gli occhi erano leggermente piegati verso l'alto ai bordi, ed erano verdi come i capelli lisci che arrivavano a solleticarle il collo. Sentiva il suo fiato sulla guancia mentre la guardava negli occhi.

“Come ti senti?”, le disse lentamente, scandendo le parole, “Riesci a parlare?”.

Non ne era sicura, ma l'idea di annuire la terrorizzava dopo la chiarissima esperienza sullo stato in cui era ridotto il suo corpo. Trovò estremamente seccante scoprire di avere la gola arida al punto da faticare a farci passare dell'aria.

“Ti porto dell'acqua, aspetta qui”, rispose la donna dai capelli verdi in risposta ai suoi suoni sconclusionati; quindi chiese al ragazzino di prendere una brocca d'acqua e questi sparì di corsa dalla stanza.

Era una stanza molto spaziosa, non sembrava un'infermeria o la stanza di un ospedale o della casa di un guaritore, sembrava la stanza degli ospiti di una casa molto spaziosa. La donna a fianco del suo letto era chiaramente un'elfa, nel caso le sue orecchie non fossero abbastanza chiare nello sporgere di circa dieci centimetri dalla testa. Non conosceva nessun'elfa così, ma d'altronde nemmeno sapeva dove fosse, né riusciva a ricordare cosa accidenti potesse aver fatto per ridursi così.

Il ragazzino tornò con una brocca d'acqua, e l'elfa scostò le coperte per riuscire a cingerla con un braccio, usando la spalla per farle da poggiatesta, e la alzò per farla bere, lentamente. Non riusciva ancora a rendersi conto di cosa esattamente non andasse bene in lei, anche con le coperte scostate indossava una lunga vestaglia blu che non le dava alcun feedback visivo. La sua gola migliorò considerevolmente, in compenso.

L'elfa la fece ritornare sdraiata e ripose la brocca sul comodino, “Come ti senti adesso?”.

Inspirò profondamente, anche se non era più dolorante si sentiva estremamente intorpidita e faticava a pensare razionalmente, “Bene”, rispose. In un certo senso mentiva, ma si trattava di una risposta di cortesia, non sapeva neanche come iniziare a spiegare cosa le doleva e come, dubitava di avere parole adatte nel vocabolario. Dubitava esistessero.

“Come ti chiami?”, l'elfa continuava a scandire bene le parole per essere sicura di farsi capire. La ringraziò mentalmente di questo.

“Mi chiamo Eldrisa Kross”, lo disse come se la consapevolezza venisse dalla mente di un'altra, ma quando le parole le uscirono di bocca qualcosa scattò dentro la sua testa come la tessera di un puzzle nel posto giusto. Eldrisa Kross, era lei, lo era sempre stata, era tornata ad essere la cosa più ovvia del mondo.

“Io sono Bashil Tymal'Eirestand”, anche scandendo bene le parole era un cognome decisamente poco facile da comprendere o memorizzare, Eldrisa era convinta di riconoscere l'accento o comunque di avere una certa familiarità con la struttura di quel nome, ma questa sensazione era tutto ciò che riusciva a fare affiorare dalla mente intorpidita.

“Dove mi trovo?”.

“Sei a Oak Harbor, vicino a Ilmwatch. Siamo nell'Implitur”, le lasciò una breve pausa per assorbire l'informazione, “Ti abbiamo trovata sulla costa, sei stata trasportata da dei pescatori. Ti credevano morta, per fortuna non hanno deciso di seppellirti dove ti hanno trovata”.

La cosa non le fece piacere, ma nemmeno la stupì. Non riusciva a capacitarsi di cosa potesse aver fatto per ridursi così, ma con quello che aveva provato non si aspettava niente di meno. Si sforzò per un attimo di pensare a quali circostanze potessero averla portata fin lì, ma qualunque pensiero troppo complicato o introspettivo si perdeva in uno strano vortice che risucchiava tutto ciò che cercava di passare la superficie della sua mente, rendendola incapace anche solo di pensare a cose semplici come le sue abitudini.

La cosa non le piacque, se aveva l'abitudine di gettarsi in mare a rincorrere squali, voleva saperlo, e subito. Ripensandoci, avrebbe preferito non saperlo e far finta di non avere mai avuto abitudini simili.

“Edwin, lasciaci soli per favore”.

“Perché?”, non era la voce di chi voleva veramente disobbedire, ma qualcosa le fece supporre di essere sostanzialmente una specie di bizzarra attrazione.

“Devo visitarla, e non puoi stare in una stanza dove si spoglia una signora”, le premette il naso, spingendolo delicatamente via, “Su, vai a dire a Teowyn che ho bisogno di parlare con lui”.

Lui obbedì, lanciando una lunga occhiata a Eldrisa mentre se ne andava. Quando la porta si chiuse, Bashil trasse un lungo respiro.

“Riesci a muovere le gambe?”.

Eldrisa ci provò. Era una sensazione strana quella che le tornava al cervello, come attutita da un muro di melassa, ma era sicura di riuscire a muoverle.

“La destra la sento strana, non risponde bene”, commentò con la voce un po' impastata, “Faccio fatica a muovere anche la spalla sinistra”.

“Allora è meglio che rimani a letto”, Bashil trattenne il fiato per un attimo, soppesando alcune parole nella sua mente, “Eldrisa”.

“... Sì?”.

“Posso fare in modo che tu non senta il dolore, e intendo continuare a farlo finché non deciderò sarai capace di reggerti in piedi di nuovo”, fece un'altra pausa, “Devo cambiarti le fasciature, e vedere quanto le mie cure hanno funzionato. Se vuoi puoi guardare da un'altra parte”.

Non capì subito, poi semplicemente tentò di non capire volontariamente, ma era chiaro che le stava dicendo che il corpo che prima le doleva tanto da non riuscire neanche più a immaginarsi la sensazione non era in bello stato. Non aveva mandato via il ragazzino solo per una questione di pudore.

“Non c'é problema”. Voleva vedere, non sapeva cosa le era successo e voleva capirlo, aveva bisogno di ogni indizio.

Quando Bashil le sfilò la vestaglia la sua determinazione vacillò notevolmente.

Ciò che riusciva a vedere era un corpo coperto di fasciature, il cui interno era in alcuni punti cosparso di impasti medici che avevano un odore strano e stranamente poco pungente, e ogni volta che Bashil ne sfilava una scopriva il segno di qualcosa che non era né uno squalo né un semplice naufragio.

Aveva sulle braccia, in più direzioni, segni di graffi cicatrizzati, riusciva a malapena a vedere che la spalla sinistra, del braccio che muoveva male, era attraversata da dei solchi che ora, per un qualche motivo, erano meno profondi di quanto dovevano essere quando l'avevano trovata.

Sul fianco aveva un graffio molto profondo, che doveva essere arrivato a inciderle le costole per poi continuare sul seno e scendere un po' arrivato al petto, c'erano i segni di altri tagli e graffi sul busto, e dedusse di averne anche sulla schiena, nel ventre aveva quelli che non potevano essere altro che buchi poco sotto l'ombelico. Anche quelli, comunque, si erano richiusi.

Arrivata a quel punto l'orrore svanì dalla sua mente; l'entità delle ferite che doveva aver ricevuto era talmente ridicola da farle pensare che fosse un qualche strano sogno o un incubo, suppose che fra poco l'elfa guaritrice si sarebbe rivelata essere una qualche sorta di mostro e avrebbe proceduto a sventrarla, facendola svegliare di soprassalto sul suo letto in un posto molto tranquillo e lontano da queste follie.

Invece continuò, e notò che alla gamba destra mancava metà polpastrello e un pezzo di coscia; alla faccia della sensazione strana.

“Hai recuperato benissimo”, disse Bashil con un sorriso troppo onesto per essere solo un incoraggiamento generico, “Dovresti riuscire a rigenerare i pezzi mancanti entro domani. Non resterà neanche una cicatrice, vedrai”.

Eldrisa continuò a fissarla, c'era una domanda nei suoi occhi a cui l'elfa non poteva rispondere, e cadde un silenzio scomodo.

“Lascia che finisca il trattamento”, disse ricoprendola con la coperta, “Avrò bisogno di preparare qualche impacco, tu pensa solo a rilassarti e non preoccuparti di quello che hai visto”.

Chiaramente era una richiesta impossibile; qualunque incantesimo avesse usato per bloccarle il dolore le impediva anche di riflettere a fondo, bloccandole l'accesso alla memoria degli eventi. Non ricordava cosa fosse successo.

Ricordava però di non essere completamente ignorante in campo di magia, e sebbene fosse sicura di non avere alcuna capacità utile ad un guaritore, era sufficientemente sveglia da capire che una volta tornata in forma non avrebbe avuto bisogno di bloccare il dolore, quindi avrebbe riavuto accesso alla sua memoria e al resto delle sue facoltà intellettuali. Oltre che fisiche.

I componenti che stava usando l'elfa per l'impasto le erano familiari, alcune erbe era in grado di riconoscerle, le erbe mediche erano parte della saggezza popolare. Il resto no, ma a occhio non le sembrava nulla di comune né tantomeno economico, d'altronde gli incantesimi di rigenerazione erano piuttosto potenti.

Gli impacchi, come sospettava, servivano principalmente per la gamba destra, il ventre e la spalla sinistra, ferite che in assenza di cure adeguate avrebbero reso una persona inabile a vita, o più probabilmente morta. Quando le rimise la vestaglia, si sentì in un qualche modo più leggera senza tutto il bendaggio.

Poiché non riusciva a mantenere il filo di un qualunque suo pensiero molto a lungo, Eldrisa non aveva un chiara concezione dello scorrere del tempo, ma quando la porta si riaprì e vide affacciarsi un uomo in abito di lino nero con un mantello di seta rosso e oro aperto sul davanti, dedusse che il tempo previsto per il suo trattamento era terminato, e ora quell'uomo, presumibilmente Teowyn, avrebbe discusso con Bashil di qualcosa che aveva a che fare con lei, la sua origine e il suo destino.

Sopratutto il suo destino.



“Vi posso quindi assicurare che, dopo un attento e accurato esame fisico, non si tratta di una creatura mostruosa, né di una nonmorta, né tantomeno di una creatura dei piani esterni”.

Bashil si sedette, stavano usando la sala del consiglio del municipio per questa chiacchierata ufficiosa, erano in tre ed erano intenzionati a risolvere la faccenda facendo meno chiasso possibile.

“Sono sicuro che verranno a cercarla. Una pattuglia di mercenari è stata vista percorrere la via carovaniera per Trail's End; non hanno causato problemi a nessuno e non hanno dato nell'occhio, ma si stanno dirigendo qui troppo in fretta perché il loro passaggio sia una coincidenza. Inoltre, non è chiaro per chi lavorino”.

“Questa misteriosa ragazza”, si intromise Teowyn, accarezzandosi i duri baffi neri, “E' sopravvissuta a un incontro con una qualche bestia feroce, perché dovrebbero essere degli uomini armati a darle la caccia?”.

“Le ferite che presentava su tutto il corpo sono sicuramente state provocate da degli artigli molto affilati, tuttavia non credo si tratti di una bestia feroce”, Bashil si schiarì la gola, “Le bestie in genere attaccano per difendersi o perché affamate, quindi cercano di uccidere. Dal numero e dalla posizione delle ferite presenti sul suo corpo mi sembra evidente che chiunque l'abbia colpita così non lo avesse fatto per ucciderla in fretta”.

L'altro uomo, robusto e ben piazzato, con i capelli rossi arruffati e una barba folta e disordinata, si appoggiò sul tavolo liscio di mogano e marmo, riflettendo come per risolvere un indovinello, “Che siano stati dei licantropi?”.

“Non abbiamo avuto problemi di licantropi a quanto io ricordi”, disse Teowyn, “E anche se fosse, perché torturarla così e poi lasciarla vicino alla spiaggia?”.

“Non sono stati trovati relitti di navi né di altre barche, quindi dubito sia naufragata in seguito a uno scontro avuto in mare. E' stata aggredita in spiaggia, e chiunque sia stato se n'é andato senza ucciderla”.

Bashil guardò gli altri due uomini, sperando potessero aggiungere qualcosa, ma entrambi scossero la testa.

“Non ha senso”, Teowyn passò a grattarsi le basette, “Verrebbe da pensare che volessero fare di lei un esempio per una qualche trasgressione, ma perché lasciarla qui in un'anonima spiaggia nel mezzo del nulla? Chiunque l'avesse trovata non avrebbe avuto la più pallida idea di...”, sospirò, “Che siano stati i signori di Tel-Flammar?”.

L'altro uomo scosse la testa, “Non posso dire di conoscere a menadito le loro procedure, ma questa non ha l'aria di essere un'esecuzione, è incompleta. E poi, perché le ferite da artiglio?”.

“Signori”, Teowyn si alzò, “Amici miei. Non posso fare altro che pensare che ci sia dietro un qualche strano culto; probabilmente doveva essere un sacrificio a Malar, ma qualcosa è andato storto, e ora i loro soldati, i loro mercenari o templari o chi per loro sta venendo a controllare cos'é successo”. Si umettò le labbra con la lingua, la prospettiva non era delle migliori, “Forse sbaglierò a pensare così, ma dobbiamo prepararci a questa evenienza, è quella più credibile”.

“Non dovrebbero arrivare prima di domani. Per allora farò in modo che la ragazza sia in grado di reggersi in piedi”, Bashil sorrise, “Se dovessero venire a cercarla, saprò come nasconderla”.

“Molto bene. Galim, tieni la milizia pronta a ricevere la visita di una banda di mercenari. Non voglio una carneficina se posso evitarla, ma se le cose dovessero voltare per il peggio...”.

“Hai la mia parola che farò di tutto per impedirlo”.

“Molto bene”, Teowyn annuì, “Come miei amici vi ringrazio della vostra discrezione, e come vostro sindaco vi ordino di non fare parola a nessuno di questa faccenda finché non ne saremo venuti a capo”.


Galim, come il resto della milizia, indossava una cotta di maglia e un abito più pesante del solito per poter pattugliare anche quando l'inverno si divertiva a fare di tutto per tenere la gente in casa giusto quando doveva uscire. La spada che aveva al fianco era un po' graffiata e aveva le tacche che provenivano più dall'allenamento costante che dalle effettive battaglie, però lo sguardo che aveva mentre passeggiava con Bashil rendeva chiaro che se avesse estratto l'arma per uccidere, non sarebbe stata la prima volta.

“Non l'ho vista molto bene, quando l'hanno portata”.

“Era coperta da un telo, nemmeno io l'ho vista bene finché non l'ho medicata”.

“Che cosa le hanno fatto perché tu la portassi nelle tue stanze invece che in infermeria?”.

“Non era un bello spettacolo”, fece una pausa, doveva farla, perché le era tornata in mente l'immagine del corpo martoriato, eppure ancora vivo, di quando aveva scostato il telo. Non poteva permettere a gente tranquilla e non abituata alla violenza di vedere una cosa simile. “Comunque sta bene, si è ripresa in modo straordinario”.

“E' tutto grazie ai tuoi incantesimi Bashil. Molti di noi ti devono la vita”.

“Lei è diversa. E' sopravvissuta, e ha una velocità di recupero eccezionale; anche con la magia c'é un limite a quanto velocemente un corpo può riprendersi da un danno simile. Non è una ragazza normale”.

Fecero il resto della strada in silenzio, arrivarono davanti alla casa dell'elfa senza che nessuno dei due avesse ancora aperto bocca.

“Allora, a domani”.

“A domani”.




Eldrisa decise che le piaceva quel posto.

Era brillante, vitale, dalla finestra della sua stanza c'era una bella vista sul villaggio di Oak Harbor e Bashil, oltre ad essere una bella donna, era estremamente gentile.

Le aveva anche prestato dei vestiti, così poteva uscire, fare due passi, sgranchirsi le gambe ora che erano di nuovo intere. E aveva ragione: non era rimasta neanche una cicatrice.

“Ti ringrazio tantissimo per quello che hai fatto”, Eldrisa si inchinò profondamente, “Sarei sicuramente morta a quest'ora se non fosse stato per te”.

“Non devi ringraziarmi, è una cosa che avrebbe fatto chiunque”, lei sorrise, quindi le appoggiò una mano sul braccio, “Sei molto più forte di quello che sembri sai”.

“Heh”, fece un sorriso imbarazzato, “Non abbastanza, a quanto pare”. Quindi sospirò, “Immagino di dovervi delle spiegazioni”.

“Sarebbero ben gradite”.

Eldrisa annuì con la tetra comprensione di chi si rende conto di dover spiegare qualcosa che preferirebbe dimenticare. “Mi dispiace”, disse, “Ho avuto da ridire con una persona”.

“Litighi spesso con persone dotate di artigli?”.

Si fermò, il commento voleva essere di un sarcasmo utile ad alleviare la tensione, ma Bashil si accorse di aver incrinato in misura notevole la maschera di gentilezza che la ragazza si era costruita da quando aveva recuperato la memoria.

“Perdonami, non volevo essere irrispettosa”.

“Non fa niente”, Eldrisa sorrise, aveva degli occhi strani, erano di un grigio/beige e si intonavano bene con i capelli, dello stesso colore ma con una lieve tinta rosata; da quando si era lavata e sistemata un po', in mattinata, sembrava una persona nuova, completamente diversa; aveva una certa radiosità intrinseca, come se la sua presenza emanasse una luce soffice che rendesse piacevole lo starle vicino, “Sono sicura che si è trattata di un'incomprensione”.

Bashil cercò di mordersi la lingua, ma non le riuscì molto bene, tanto che disse: “Un'incomprensione che ti ha quasi uccisa, se posso permettermi”.

Ma Eldrisa scosse la testa, “Ti ringrazio tantissimo di avermi salvata ma davvero, non c'é bisogno che vi preoccupiate. Non succederà più”, il suo sorriso stava mascherando qualcosa, che sotto sotto la rendeva scossa e insicura come il giorno prima, quando non riusciva a ragionare.

“Mi spiace doverti contraddire, ma c'é una banda di mercenari diretta verso di noi, e abbiamo motivo di sospettare che siano qui per te”.

La sua reazione un po' la stupì; si limitò a scrollare le spalle, “C'era da aspettarselo. Non temete, se vi daranno delle noie gli parlerò io, sono sicura che riusciremo a ragionare”.

“Perdonami, ma dubito a crederti. Ho visto come eri ridotta quando sei giunta qui e-”.

“Grazie”, sorrise, e di fronte a quel sorriso Bashil non poté che tacere, “So che è inconcepibile quello che sto dicendo ma davvero, so quello che faccio. E' stata anche colpa mia, non dovevo perdere la calma”.

“Sei un licantropo?”.

La domanda colse Eldrisa alla sprovvista, e fissò l'elfa come se le avesse improvvisamente chiesto se preferiva i vestiti in tinta unita o plaid a quadretti; dopo un po' di imbarazzante silenzio, collegò la domanda alla cosa che le sembrava più ovvia.

“Ah! No, no...”, ridacchiò un attimo, “Quello è... Eh, è difficile da spiegare. Comunque no, sono un comune essere umano”.

Comune un accidente, pensò Bashil, e l'idea di essere sul punto di arrabbiarsi con lei la fece sorridere e sentire improvvisamente e insensatamente di buonumore, “E va bene Eldrisa. Mi sembri una brava ragazza, sono costretta a crederti”.

“Ora però devo trovare un modo per ripagarvi”, Eldrisa incrociò le braccia e annuì alla sua stessa idea, “E' il minimo che io possa fare per avermi salvato la vita”.

La porta si aprì improvvisamente e Teowyn fece capolino nella stanza, quasi spaventandosi nel vedere Eldrisa in piedi; come sospettava, la magia curativa di quel livello non era frequente da vedersi, nemmeno dove si era in grado di praticarla. Stupiva ogni volta.

“Perdonate l'intrusione”, tagliò corto e fissò direttamente Bashil, “Sono arrivati due cavalieri erranti, sostengono di essere qui per dare la caccia a un culto di Malar”.

“Devono essere le persone con cui hai avuto da ridire”, Bashil lanciò un'occhiata quanto più comprensiva possibile a Eldrisa, per quanto si possa essere comprensivi quando si parla di Malar.

Eldrisa, dal canto suo, aveva l'espressione persa di chi era cascata dalle nuvole battendo la testa così forte che nemmeno se ne era resa conto.

“No”, disse semplicemente, con tono dubbioso come temesse di essere scortese a deludere le aspettative, “No. Non so di cosa parlate”.

I tre si fissarono. Tutti e tre pensarono la stessa cosa. Tutti e tre uscirono dalla stanza e andarono a raggiungere i due cavalieri.


Si annusava nell'aria la sensazione di nuovo e di alieno, la voce di una ragazza trovata in condizioni terribili solo due giorni fa avevano fatto il giro del villaggio di Oak Harbor in pochissimo tempo, senza però che venisse svelato alcun dettaglio utile a capire la situazione, il che era a dir poco sospetto.

Ora, due uomini di bell'aspetto erano spuntati dal nulla a cercare un culto di Malar. Proprio lì.

Galim aveva intuito che non potevano essere la compagnia di mercenari diretta verso di loro a provocare guai ma aveva deciso di mantenere un atteggiamento rigido e più burbero del necessario per evitare brutte sorprese, potevano essere lì per provocare guai comunque.

“... Invero, é un bene che non ne sappiate nulla, significa che non é successo niente di grave. E' difficile avere a che fare con gli adoratori del dio della bestialità, riconoscono soltanto la forza schiacciante in grado di costringerli ad allontanarsi. Certo, se il loro culto mancasse di questa profonda devozione, sarebbe a nostro vantaggio, forse ci eviterebbe di doverli combattere”; a parlare era un giovane dai capelli rossi e gli occhi azzurri, dalla voce elegante e chiara a cui persino Galim faticava a resistere; sentiva di volergli credere, e la cosa lo irritava poiché aveva scelto di non farlo.

“Beh, perdonatemi se fatico a credere alle parole del primo viandante, ma sono convinto che se ci fosse un culto di Malar qui vicino sarei stato il primo a scoprirlo. Forse voialtri signorini siete convinti che la milizia di un piccolo paese debba essere per forza composta da incompetenti”.

“Preferite che crediamo ci stiate nascondendo qualcosa?”, l'altro uomo, che era appena sceso da cavallo, era vestito in abiti scuri e aveva varie fasce e bende legate alle braccia e intrecciate nei lunghi capelli neri, i colori principali erano tra il viola scuro e il blu scuro e le rune tracciate sulle fasce che svolazzavano anche in assenza di vento davano una lieve aura di potere che persino le persone senza sensibilità verso la magia riuscivano a captare. Il suo enorme basco scuro non aiutava a rendere l'aria meno tenebrosa, sebbene i suoi lineamenti fossero scolpiti con una tale grazia da stordire più di quanto il suo aspetto non riuscisse a intimorire.

“Dai Ran, non fare così”, lo redarguì amichevolmente il compagno dai capelli rossi, “Avranno i loro motivi per essere nervosi, non siamo certo forieri di buone notizie”.

“E in ogni caso, qualunque autorità crediate di avere noi non siamo tenuti a riconoscerla”, Galim riprese il controllo della situazione e fece due minacciosi passi avanti, incrociando le possenti braccia per atteggiarsi a muro tra loro e il resto del paese.

“E noi non siamo tenuti a permettere che un gruppo di ignoranti ci impedisca di svolgere il nostro compito”.

“Ran!”.

La situazione si bloccò nel momento in cui arrivò Teowyn seguito dalle due donne, “Ordine, per favore. Ordine e calma. Ti ringrazio Galim, permettimi di parlare a queste persone”.

“Come vuoi”, Galim si fece indietro ma non mutò la sua espressione.

“Dovete scusare il mio compagno, é così ligio al dovere che non si rende conto di quando rischia di offendere inavvertitamente le persone”, fu la prima cosa che disse il giovane dai capelli rossi, con un lieve inchino. Anche il suo abbigliamento era piuttosto radioso e in netto contrasto con quello del suo amico; il suo elegante soprabito di seta bianco e rosso definiva chiaramente lo schema di colori che si riproponeva in tutto il resto del suo abbigliamento. Nonostante l'eleganza, gli accessori e la struttura stessa dei suoi vestiti davano chiaramente l'idea che fosse una persona pronta a combattere in qualsiasi circostanza.

I loro cavalli erano a poca distanza, e restavano nei paraggi in assoluta tranquillità nonostante non fossero imbrigliati; trasportavano le armi che i due non avevano addosso e, bisognava ammetterlo, c'erano due spade in foderi decorati che avevano tutta l'aria di essere delle ottime armi come non se ne vedevano se non in mano a esperti spadaccini.

“Nessuna offesa”, riprese Teowyn con il tono del mediatore, “Il mio nome é Teowyn Ilmasir, sono il sindaco di Oak Harbor e vi do il benvenuto nel nostro paese. Posso sapere i vostri nomi, giovani cavalieri?”.

“Leasir Findhorn, al vostro servizio. Il mio silenzioso compagno é Ran Stormhold, vi ringraziamo dell'ospitalità”.

“Ho sentito che siete qui per un motivo ben preciso. Vorrei discuterne con voi in un posto più tranquillo se non vi dispiace, sono sicuro che abbiamo molte cose da chiarire”.

“Nessun problema”, lo sguardo di Leasir passò sull'elfa e poi su Eldrisa, dove si fermò per un po'.

“... Ho qualcosa sulla faccia?”.

“No, perdonate la mia sfacciataggine, devo essere stato rapito dai vostri tratti esotici”, sorrise amabilmente, “Siete qui di passaggio?”.

“Credo che parleremo anche di questo”, disse Bashil intervenendo come a proteggerla, arrivando persino a mettersi leggermente di fronte a lei, “In un posto più tranquillo, se non vi dispiace”.


Oak Harbor, nonstante il nome, non era particolarmente vicina al mare, i pescatori che avevano trovato e portato in salvo Eldrisa avevano in realtà dato l'allarme facendo cavalcare il mulo al ragazzo dei Cooper fino in paese; Bashil era quindi accorsa per prima e aveva dato le prime cure, accorgendosi appena in tempo che la ragazza non era morta, contrariamente alle aspettative.

Fu quello ad aver stupito la gente, pur avendola portata in paese coperta da un telo come un cadavere, i racconti del suo stato si erano diffusi; il fatto che fosse uscita due giorni dopo come nuova non erano certo motivo di stupore. Tutti conoscevano Bashil, le aspettative di vita e di recupero di Oak Harbor e dei paesi limitrofi erano altissime grazie a lei.

Il nome Oak Harbor veniva dunque dal fatto che fosse un paese costruito in mezzo a una rotta commerciale che esportava legname verso le zone interne dell'Implitur. Col tempo però la domanda calò, e anche le fortezze costruite vicino al confine nord, pericolosamente vicino al Thay, fecero un uso ben più abbondante della pietra, decisamente più resistente e affidabile. Il nome Oak Harbor rimase, e la gente finì col pensare che ci fosse un porto o che fosse vicino al mare o qualcosa del genere. Persino i pescatori di Oak Harbor cercavano di pensarla così, ma in verità erano due ore a piedi per raggiungere la costa.

Teowyn era sindaco da abbastanza tempo per sapere che il mondo fuori era pericoloso più di quanto non potesse sembrare per chi non era abituato a viaggiare, ma non era abbastanza vecchio da aver avuto l'opportunità di gestire crisi particolari con qualcosa di più pericoloso di gruppi di goblin. Le bande di mercenari potevano portare guai, sopratutto se erano lì dietro ricompensa, che era sostanzialmente il loro motore.

Bashil, essendo un'elfa, era in giro da molto più tempo di quanto non desse a intendere, quindi sapeva, e per questo si teneva sempre molto vicina a Eldrisa, che peraltro non sembrava capire le sue precauzioni.

Chiarire la situazione coi due cavalieri fu più facile del previsto, nonostante Ran non fosse granché socievole e insistette per restare in piedi invece che sedersi al tavolo, Leasir era ben in grado di supplire alle sue carenze. Spiegò che avevano fiutato il culto di Malar, o quel che ne restava, dopo che gli stessi erano stati cacciati da Ilmwatch.

Per quanto la cosa fosse incredibilmente sospetta, Eldrisa continuò a negare ostenatamente ogni suo coinvolgimento, anche se estrarle delle informazioni riguardo a cosa le fosse effettivamente accaduto si rivelò efficace come sconfiggere il grande mare armati di un mestolo di carta.

Tutto ciò che si sentì di dire era che aveva solo avuto un piccolo litigio. Decisero quasi telepaticamente di non voler conoscere la persona con cui aveva litigato.

Tornarono quindi alla faccenda dei mercenari, e i due cavalieri confermarono di averli visti, peraltro di buon passo, dirigersi in questa direzione, e di averli allegramente sorpassati perché gli sembravano brutta gente.

“Ehi Ran, che ne dici? Dovremmo restare qui nel caso succeda qualcosa di losco? Dopotutto-”

“No”. La risposta fu così secca che annullò retroattivamente anche solo l'idea che avesse potuto accettare.

“... Ma dai, se succedesse qualcosa e noi non avessimo tentato di impedir-”

“Abbiamo delle priorità”.

Leasir sospirò, quindi Galim si alzò in piedi dichiarando “Non abbiamo bisogno di aiuto comunque”.

“Questo ci é irrilevante”.

“Ran!”.

E nel breve silenzio che seguì, Eldrisa ridacchiò divertita, e quando si accorse che tutti gli altri la fissavano in silenzio come se fosse scema, si schiarì la voce e disse, “No, é che... Era buffo...”. E non aggiunse altro. Qualunque altra cosa l'avrebbe fatta sembrare ancora più scema.

“A ogni modo”, riprese Teowyn aprofittando del calo di tensione, “Come fate a essere sicuri che i seguaci di Malar sono nei paraggi?”.

Ran si avvicinò al tavolo e, dopo aver frugato in una tasca difficile da individuare tra le pieghe e le strisce svolazzanti di seta o di cuoio colorato, depose sul tavolo quella che aveva tutta l'aria di essere il dito imbalsamato di una bestia la cui unghia la inseriva senza ombra di dubbio nella categoria dei grandi predatori.

“Abbiamo trovato questo nel loro precedente covo. E' più che sufficiente per rintracciare il loro capo con le arti divinatorie”.

Galim sbuffò con lo sbuffo eloquente di chi non si fidava di un'arte che non contemplava interrogatori, ma si trattenne dal commentare vedendo il sindaco piuttosto interessato.

“Potete rintracciarli anche adesso?”.

“Devo portare qui la mia attrezzatura prima”.

“Allora, se non vi dispiace, vorrei controllare insieme a voi se non si sono spostati dall'ultima volta che avete controllato”.

“Poiché è la prima richiesta sensata che mi viene posta, la asseconderò”, Ran lasciò la stanza senza aggiungere altro, lasciando un Leasir lievemente imbarazzato.

“Dovete scusarlo, é nervoso perché la prima volta ci sono sfuggiti di poco”.

Bashil scosse la testa, “Perché gli state dando la caccia, comunque? Due uomini contro un culto di Malar non sembra una cosa intelligente da fare, e per quanto siate strani e sospetti, voi due non mi sembrate così stupidi”.

Lui si limitò a sorridere onestamente, “Diciamo che dovevamo un favore a un nostro amico”.

L'elfa scosse la testa, non avrebbe mai capito gli uomini, non importa quanti secoli avesse vissuto.

Eldrisa parlò così improvvisamente che fece quasi trasalire gli altri, “Se doveste trovare il culto qui vicino. Li raggiungereste subito prima che si muovano di nuovo, vero?”.

“Dato che non possiamo praticare forme di divinazione così accurate in qualsiasi momento, direi proprio di sì”.

“Posso venire con voi?”.

Bashil le avrebbe urlato contro se avesse avuto la forza di riprendersi da una tale affermazione, Leasir la prese piuttosto bene invece, “Grazie, ma temo che sarà piuttosto pericoloso”.

Sentendosi liquidata come una bambina (come effettivamente era successo), Eldrisa aggrottò le sopracciglia e, di fronte allo sguardo di chi l'aveva salvata ma temeva di non averle aggiustato bene il cervello, insistette dicendo: “Per favore. Ho un enorme debito verso queste persone. Se posso fare qualcosa, qualunque cosa per aiutarli, io...”.

“Ferma”, Bashil ritrovò la compostezza per dire qualcosa, con tono abbastanza sicuro da interromperla, “Ferma. Stop. Non andare oltre”.

“Ma-”.

“No. Ascoltami”, fece una breve pausa per fissarla dritto negli occhi, “Tu non hai alcun debito con me. L'avrei fatto per chiunque e non chiedo mai compensi per queste cose”.

“Ma-”.

“Non ti ho salvato la vita per vederti gettarla via subito dopo. Tu non andrai a cacciarti nei guai, e se insisti ti tratterrò qui contro la tua volontà”.

Eldrisa la fissò di rimando, quindi annuì, “Allora se ti batto, posso andare?”.

Si sentì un rumore come la mascella di Teowyn staccarsi dalla sua sede, rimbalzare sul tavolo e rotolare allegramente per terra, ma in realtà era solo la mano di Leasir che batteva cercando di attirare l'attenzione, “Uh... Scusate se mi intrometto ma...”.

“No!”, Bashil non lo sentì nemmeno, il suo sguardo era a metà tra l'indignato e l'incredulo, con qualche influsso di frustrazione sugli angoli, “No! Non ci vai e basta! Ma dove hai la testa? Sembra quasi che ti piaccia farti ridurre a un avanzo di spezzatino!”.

“So che sembra strano, ma in realtà sono piuttosto forte, e se restassi con le mani in mano mentre la gente che ha fatto così tanto per me é in pericolo, non riuscirei più a camminare a testa alta, forse nemmeno a mostrare il mio volto”, non era uno sguardo arrabbiato, era... Duro, ma duro di convinzione e fedeltà ai propri ideali.

Quando Bashil pensava di non capire e di non poter mai capire gli uomini, in realtà intendeva esseri umani in generale. Che fossero maschi o femmine non aveva nessuna differenza, se non avessero avuto dei caratteri sessuali uguali a quelli elfici, era sicura che non sarebbe neanche stata capace di distinguerli.

“Dicevo”, intervenne nuovamente Leasir fiutando il momento in cui ognuno era troppo stordito per dire qualcosa, “Dato che la ragazza mi sembra troppo convinta per farle cambiare idea, credo che sia più sicuro per tutti quanti se la portiamo con noi. Dopotutto non é la prima volta che mi capita di proteggere delle gentili fanciulle”, pausa, “E l'idea non mi è mai dispiaciuta”.

“Ti ringrazio della comprensione”, replicò Eldrisa con un lieve inchino come se la situazione fosse completamente risolta. Bashil fu sul punto di dire qualcos'altro, ma Teowyn le prese gentilmente la mano, e scosse lentamente la testa. Stranamente, questo fu sufficiente a farla desistere.

“Quanto diamine ci sta mettendo il tuo amico?”, sbottò Galim dopo un po', alché Leasir sembrò non sapere cosa rispondere.

Fu sollevato dall'obbligo nel momento in cui la porta si aprì di scatto, mostrando una ragazza con le lentiggini e un'armatura ad anelli che le stava un po' larga, “Capitano! Sono arrivati!”.

“Così presto?”, e Galim si gettò di corsa fuori dalla stanza, spostando la ragazza quasi di peso.


Bloccata alle porte esterne del paese, c'era la compagnia di soldati dall'aria più pericolosa che Oak Harbor avesse visto da generazioni; come molti mercenari senza lavoro erano un gruppo molto eterogeneo composto da persone con armi, armature e oggetti personali molto diversi tra loro, avevano tutti in comune l'aria di non essere per niente intimoriti dalla milizia di un paese di provincia e al contempo l'aria di essere ben più che pronti a mettere mano alle armi.

Poiché la milizia di Oak Harbor non era altrettanto abituata allo scontro, stava a Galim intervenire per evitare che la faccenda finisse in un bagno di sangue. Per qualche motivo, non fu sorpreso di vedere quell'uomo strano, Ran, impegnato a discutere con quello che sembrava essere il capo dei mercenari.

“Non so se sei pazzo o solo stupido, ma non mi piace la gente che mi dà ordini”.

“Hai scelto il mestiere sbagliato se non ami ricevere gli ordini, sei ancora in tempo per abbandonare tutto se vuoi”.

A vederli sembravano essere semplicemente due uomini molto pericolosi che litigavano pacatamente, ma tutto ciò a Galim non piaceva, e anche gli altri astanti avevano la netta sensazione che la faccenda fosse più pericolosa di quanto sembrasse a prima vista. Galim accelerò, sperando di arrivare prima che fosse troppo tardi.

“Fermi!”

Tutti si voltarono verso Eldrisa, Galim compreso. Non l'aveva vista arrivare, si era semplicemente reso conto che era lì, davanti a lui, piantata in mezzo ai due uomini nel momento in cui lei aveva parlato. Gli istanti di silenzio che seguirono dimostrarono quanto impatto avesse avuto la sua sola voce, ma intravedeva negli occhi grigiastri della ragazza una volontà, e una capacità, di comandare rispetto ancora superiore.

“Bene, ero stanco di giocare con i contadini”, l'uomo sorrise, sembrava relativamente giovane per essere il capo di una compagnia mercenaria, indossava solo l'essenziale di un'armatura segmentata, le parti metalliche che coprivano gli organi vitali e il rivestimento di cuoio, aveva una strana cicatrice in mezzo agli occhi, come lasciata da qualcosa di affilato in grado di ramificarsi a metà taglio.

“Nessuno ti ha obbligato a giocare”, tagliò corto Eldrisa, fece un cenno col capo a Ran e gli disse “Ci metterò un attimo, vai pure”.

Ran sospirò, teneva in mano una sfera di cristallo troppo opaca perché potesse essere considerata una sfera di cristallo, ed era poggiata su un piccolo piedistrallo quadrato di marmo. Doveva essere piuttosto pesante, per quanto non fosse enorme. A ogni modo, si allontanò senza dire una parola.

“Molto bene, signorina”, il mercenario sorrise, scostandosi una ciocca di capelli castani dal viso, “Immagino tu sappia perché siamo qui. La tua famiglia ti rivuole a casa”.

“Non verrò”.

Come se si fosse aspettato una risposta simile, si grattò la nuca con aria indifferente, portando in questo modo la mano pericolosamente vicina all'elsa della pesante spada che portava sulla schiena, “Non mi pagano per assecondare i capricci di una ragazzina, sai?”.

“Ti pagano per riportarmi a casa intera”, Eldrisa incrociò le braccia senza distogliere lo sguardo, “Quindi dovresti riuscire a costringermi senza usare più forza del necessario. Se anche dovessi farcela, ne sarà valsa la pena?”.

“Stai per coinvolgere dei contadini innocenti in questo capriccio, ragazzina”.

“Molto bene, se ti dà fastidio alzare la spada su un innocente, ordinerò loro di stare fermi”, Galim voleva quasi intervenire per ricordarle che nessuno della milizia era sotto il suo controllo, ma non si trovò pronto ad interromperla, “Il concetto di fondo non cambia. Sei davvero sicuro che i benefici supereranno i danni?”.

Il silenzio che calò a seguito era quasi innaturale, lo scontro di sguardi distorceva il tempo rendendo impossibile dire per quanto a lungo si fossero fissati.

“Tch”, fece quindi il mercenario con un sorriso convinto, “Non mi pagano abbastanza per fare il babysitter”, quindi si voltò, sprezzante del fatto che Eldrisa era ancora lì vicino, “Si torna indietro!”, ordinò ad alta voce.

Eldrisa li fissò, e quando ebbe fatto il terzo passo lontano da lei lo interruppe: “Un attimo solo”.

Lui si girò quasi come se lo avesse previsto.

“Non possiedo nulla, e non posso assoldarti per i tuoi servigi, ma se sei ancora interessato a lavorare per lei, posso chiederti di portarle un messaggio?”.

Negli occhi scuri di lui balenò la scintilla degli affari, “Mi piace come parli, ragazzina”.

Lei annuì, “Voglio che tu torni da lei, e le dica che mi dispiace per quello che è successo, ma non ho cambiato idea”.

“Se me lo chiedi così gentilmente, non posso che accettare, ma mi devi un favore ragazz-”, si soffermò un attimo, quindi sorrise, “Eldrisa. E' il tuo nome, vero?”.

Lei annuì.

“Io sono Couryl Meyers, capitano della compagnia dei leoni di pietra. Di solito non accetto lavori con una ricompensa così vaga, Eldrisa, ma per te farò un eccezione”, quindi si voltò, “Mi devi un favore”.

“Non me ne dimenticherò”.

Aspettò che tutto il gruppo si fosse ben allontanato prima di concedersi di tirare un sospiro di sollievo. Si passò una mano sulla faccia come se volesse asciugarsi del sudore soppresso; anche senza voltarsi aveva la consapevolezza che Ran avesse osservato la scena con occhi capaci di cogliere particolari che forse erano sfuggiti persino a lei, ma anche adesso non aprì bocca.

Lo spettacolo aveva incrementato il numero di spettatori invece che tenerlo stabile; la maggior parte di loro, era sicura, non aveva capito granché del loro scambio, aveva tuttavia capito che chiunque minacciasse la loro vita ora se n'era andato grazie a lei e prima che potesse rendersene pienamente conto Eldrisa era già circondata da fan che sentivano l'inarrestabile necessità di mostrarle tutta la loro gratitudine per una cosa che non si era pienamente resa conto di fare.

Questo trasformò Eldrisa da attrazione esotica e ragazza misteriosa a principessa aliena salvatrice di paesi; di per sé non era sicura di apprezzare questo cambiamento, ma era fin troppo imbarazzata per rifletterci chiaramente, si sforzava semplicemente di sorridere e dire frasi di circostanza per sminuire il suo contributo.

Se doveva essere onesta, nemmeno stava pensando a salvare loro, nemmeno riteneva si fossero mai trovati in reale pericolo. Galim però doveva pensarla diversamente, tanto che si riprese abbastanza per farsi strada tra la folla e piazzarsi con aria severa di fronte a lei.

“Spero, signorina, che vorrai darci delle spiegazioni riguardo alla tua famiglia e al motivo per cui ti è bastato nominarla per mandare via un gruppo di uomini armati e sanguinari”.

Lei continuò a sorridere, “C'è poco da spiegare. E la situazione è troppo complicata per parlarne qui, comunque”, non volendo assolutamente affrontare l'argomento, si spostò fisicamente per portarsi più vicino a Ran, rimasto silenzioso fino ad ora, “Hai trovato i tuoi strumenti? Ora possiamo andare a cercare i nostri bersagli, vero?”.

“E' la cosa migliore da fare” sentenziò lui, e tornarono al luogo della loro riunione, seguiti da una folla di fan e lasciando Galim indietro come se non esistesse realmente.


Avevano sgombrato il tavolo per permettere a Ran di usare la sfera e l'artiglio di bestia per rintracciare i cultisti di Malar con un rituale di divinazione, ed era probabilmente questo l'unico motivo per cui Bashil non stava tempestando di domande la ragazza.

Era stata trattenuta dall'inseguirla principalmente da Leasir, che sorridendo come se la conoscesse da decenni le aveva consigliato di stare qui ad aspettarla. Secondariamente dal fatto che era balzata giù dalla finestra. Erano “solo” al primo piano, ma la cosa l'aveva un po' colta alla sprovvista, anche considerando che in una casa tipica dell'Implitur il soffitto era sempre più alto del necessario.

Nonostante avesse tracciato (sul tavolo) le rune con quello che sembrava essere un semplice gesso viola, l'odore che ne saliva aveva un che di acre che pizzicava il naso. A un certo punto, alcune delle rune iniziarono a illuminarsi, poi a spegnersi, in modo apparentemente irregolare.

Ran era concentratissimo su ciò che faceva, fissava l'artiglio e poi la sfera, recitando sottovoce degli incantesimi che Bashil non riusciva a riconoscere, d'altronde lei si era dedicata anima e corpo alla cura delle persone, non era realmente interessata ad incantesimi di altro tipo.

La sfera, innaturalmente opaca, iniziò a schiarirsi come se al suo interno qualcosa ne stesse risucchiando le tenebre; lo scenario era troppo appannato perché si potesse capire alcunché, ma le rune iniziarono a stabilizzarsi, alcune di esse rimasero accese mentre le altre continuavano ad andare a intermittenza; poi un'altra di stabilizzava, e un'altra ancora, e l'immagine andava più a fuoco.

Si intravedeva un bosco, su una collina sfrangiata e composta di più plateau irregolari; gli alberi crescevano a distanze altrettanto irregolari, a volte sugli orli di brevi precipizi, con le radici esposte, a volte si intravedevano alcune grotte.

L'artiglio, che Ran teneva legato a un laccio di cuoio sopra la sfera, iniziava a spostarsi come se volesse indicare una direzione, nel frattempo nella sfera la scena cambiò di nuovo e si vide un gruppetto di sei persone vestite in abiti di cuoio adatti a chi passava la maggior parte del tempo nelle terre selvagge. Erano tutti uomini, e avevano barba e capelli incolti anche se di diverse sfumature tra il castano e il biondo, sembravano muoversi con una certa circospezione, valutando il posto e in particolare le grotte. Era difficile vederli in faccia, e ogni volta che qualcuno sembrava mostrarsi bene nella sfera, la visuale diventava più sfumata.

A un certo punto le rune si stabilizzarono del tutto, l'artiglio schizzò in orizzontale con precisione e sicurezza e la visuale si fece particolarmente chiara, ora tutti potevano vedere perfettamente e con ricchezza di particolari una macchia di bosco che ancora non aveva iniziato a riprendersi dall'inverno, setacciata da un gruppo di sei uomini dall'aria poco raccomandabile. Dopo qualche istante, tutto tornò inghiottito dalle tenebre e la sfera tornò opaca.

“Sono piuttosto vicini”, commentò Ran osservando l'artiglio, ancora teso in aria, “Si sono allontanati meno di quanto avessimo previsto”.

Teowyn si accarezzò i baffi, Galim e Bashil erano a loro modo stizziti con un'Eldrisa che non si rendeva conto di nulla, quindi lui era rimasto l'unico ad avere ancora ben presente la situazione del culto di Malar, “Credete che pensino di stabilirsi qui? Non sanno che gli state dando la caccia”.

“Lo sanno”, intervenne Leasir, “O almeno è plausibile pensare che se lo aspettino. Da quello che ho visto, più che stabilirsi stanno cercando un terreno favorevole”.

“Quindi ci aspettano”, Ran fece abbassare l'artiglio e lo ripose in una tasca del vestito, quindi riprese in mano la sfera, “A questo punto sarebbe meglio colpire prima che siano del tutto pronti”.

“Ah”, tutti gli occhi si girarono contemporaneamente verso Eldrisa, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine, “Allora partiamo subito?”.

“Saremmo svantaggiati se dovessimo affrontarli al buio”, concordò Leasir, “Se partiamo subito, abbiamo buone probabilità di affrontarli quando la visibilità sarà ancora dalla nostra parte”.

Teowyn si alzò, “Vorrei poter fare qualcosa in più per voi che augurarvi buona fortuna, dopotutto ci state facendo un enorme favore”.

Anche Bashil si alzò, “Vorrei poteste fare qualcosa per convincere questa sciocca a non seguirvi, ma pare siate già decisi ad assecondarla”.

“Non essere irrispettosa verso i nostri ospiti”.

L'elfa tornò a sedersi, la sua espressione non era nemmeno da considerarsi arrabbiata, era più che altro frustrata, triste, come se ci fosse qualcosa di molto importante che non riusciva a capire nonostante i suoi sforzi.

“Eldrisa”, chiese poi Leasir, “Hai qualcosa che dovresti portarti dietro?”.

“No, sono pronta così”.

“Bene, allora partiamo subito”, sorrise indicando la porta, “Questa volta però esci per di qua”.

Passarono solo pochi istanti da quando la porta si fu richiusa alle loro spalle che Galim sbuffò, “Non capisco perché ti fidi di loro, sembra quasi fossero in combutta fin dall'inizio”.

“Sei troppo sospettoso, Galim”, Teowyn prese uno straccio e provò a cancellare le rune, diventate stranamente smorte, che Ran aveva tracciato sul tavolo. Vennero via come se fossero semplici segni fatti con un gesso, “Non potevano essere in combutta”.

“E allora come spieghi tutto quello che è successo in due giorni?”, Galim fece l'elenco associando ogni elemento a una delle sue dita, “Prima troviamo questo cadavere che scopriamo respirare ancora e lo riportiamo in vita contro ogni aspettativa, poi veniamo a sapere che arrivano un sacco di brutti ceffi verso di noi, poi arrivano due tizi strani che dicono di essere qui a dare la caccia a un culto di Malar che nessuno ha visto né sentito arrivare, poi questa ragazzina che non si capisce se c'é o ci fa manda via, a parole, tutti quei brutti ceffi, poi parte insieme ai due cavalieri per sgominare una mezza dozzina di uomini che somigliano più a bestie e hanno l'abitudine di squartare la gente per divertimento. Oh, già!”, si finse sorpreso, “Ricordiamoci che c'é andata con soltanto un vestito prestato addosso”.

Teowyn scrollò le spalle, osservando il suo ottimo lavoro nel pulire il tavolo, “Deve avere molta fiducia in ciò che fa”.

Galim voleva- no, doveva dire qualcosa, ma non ne era capace, le parole gli sfuggivano, non riusciva a concepire come la situazione fosse potuta volgere in questo modo, si sentì come se gli avessero appena detto che il cielo non esisteva, e che lo vedeva soltanto lui, e che tutti ne fossero fermamente convinti.

Bashil invece ignorò la discussione, “Non le ho salvato la vita perché tornasse a farsi ammazzare”.

“Capisco i vostri sentimenti, amici miei”, Teowyn ripose lo straccio con aria soddisfatta, “Ma se c'é una cosa che mi vanto nella vita è di aver imparato a capire le persone”, tornò a sedersi al tavolo, apparendo completamente rilassato, “Eldrisa era animata da una ferma convinzione, non da un secondo fine, ciò che dicevano i suoi occhi coincideva perfettamente con le sue parole. E poi, mia cara Bashil, capisco la tua preoccupazione, ma non puoi tenere in scacco la vita dei tuoi pazienti”.

“Dovrei forse consigliargli di tornare a farsi ammazzare?”, l'elfa sbuffò, non era comunque arrabbiata, “Quella ragazza non si rende conto di quanto sia fortunata ad essere ancora viva; non ho mai capito perché gli esseri umani si ostinino a comportarsi così”.

“Sono convinto che sappia quanto sia preziosa la sua vita. E' per questo che non vuole restare in debito con te in eterno. Lo so”, fermò la sua risposta con una mano, “Tu non ritieni che sia in debito con te, ma lei sì. E dato che conosci gli esseri umani, sai che se ha deciso di ricambiarti il favore lo farà anche se dovesse provarci per il resto dei suoi giorni”.

Bashil scosse la testa. Non avrebbe mai neanche voluto capire gli umani.




Trovò incredibilmente prevedibile e stereotipato notare che il capo dei cultisti di Malar fosse la persona più grossa che avesse visto finora; era un uomo così alto e largo che sembrava l'armadio di una facoltosa signora, solo pieno di muscoli e con la faccia meno raccomandabile.

Si trovò anche poco stupita dal fatto che lui, come la vide in faccia, urlò ai due che la tenevano: “Imbecilli, è una trappola!”.

L'istante dopo un serpente di fuoco scattò verso il suo viso, mancandolo di poco, mentre altri più piccoli sgattaiolaono tra le gambe degli altri due, costringendoli ad allentare la presa su Eldrisa.

La reazione fu immediata, quello di destra si trovò con un calcio sul ginocchio e la gamba sinistra piegata lateralmente di novanta gradi, e quando l'altro se ne accorse, Eldrisa aveva già rovesciato la presa al braccio e provveduto ad assestargli un pugno alla gola che gli fracassò la trachea con un rumore sordo.

“Non va bene! Ne mancano tre!”, urlò la ragazza ai due compagni che erano comparsi dal nulla poco dietro di lei, quindi i tre uomini mancanti fecero la loro comparsa.

Due di loro spuntarono da sotto il fogliame troppo sottile perché degli uomini ci si potessero nascondere, un terzo invece era rimasto in cima a un albero e si sentì soltanto la sua voce rauca recitare un incantesimo, prima che delle radici spuntassero violentemente ad avvinghiare le gambe dei tre che li avevano attaccati.

Eldrisa non fece neanche in tempo ad accorgersene che l'uomo alla sua destra aveva già estratto un ascia per combattere nonostante la gamba spezzata, lei deviò d'istinto colpendo sul piatto della lama e cercando di schivare col solo busto mentre valutava che le radici erano troppo forti per spezzarle con le sole gambe da quella posizione, quindi si affrettò a tirarlo a sé prendendogli il braccio dell'arma e lo colpì violentemente sulla fronte col gomito, arrivando a contare dodici colpi prima di lasciarlo crollare come un sacco di patate, ricordandosi che il loro capo era a un passo da lei e aveva alzato le mani chiuse insieme sopra la testa per piantarla a terra come un chiodo.

Nel frattempo Ran e Leasir stavano cercando di salvarsi dall'incalzare dei due cultisti spuntati dal nulla, Leasir aveva una notevole abilità nel maneggiare la sua elegante spada e il piccolo scudo, ma gli mancava la portata per arrivare a colpire un avversario armato di lancia, sopratutto con le gambe bloccate, dall'altro lato, a pochi centimetri alle sue spalle, Ran stava avendo la sua buona difficoltà a deviare i colpi di una grossa ascia utilizzando solo una catena con delle lunghe punte alle estremità, dovendo limitarsi ad anticipare i colpi andando a ferire le mani del suo avversario, e anche questo non sembrava molto efficace contro persone che sentivano il dolore come un semplice fastidio.

“Ran!”, urlò Leasir vedendo la situazione rovesciata.

“Lo so! Lo so!”, rispose lui assestando un colpo frustato sulla faccia del suo avversario, costringendogli a dare quell'attimo di tregua che gli serviva per urlare un parola di potere che avvolse lui e il suo compagno in un'esplosione di fiamme, incenerendo le radici e costringendo entrambi i loro avversari ad arretrare.

Nel frattempo le radici che bloccavano Eldrisa si fracassarono come poltiglia sotto le mani del capo dei cultisti, ma la ragazza era semplicemente scomparsa di punto in bianco, per farsi quindi risentire quando assestò un forte colpo al fianco dell'uomo con entrambi i pugni chiusi, a cui lui reagì con un colpo a spazzare del braccio che la mancò passando a pochi millimetri dal suo viso quando lei si abbassò.

Eldrisa saltò quindi indietro di un paio di metri, era rimasta spiacevolmente sorpresa da come avesse scrollato in quel modo un colpo ai reni, non era solo l'armatura di cuoio ad essere innaturalmente robusta, sospettava che anche la sua pelle lo fosse.

Leasir intanto uscì dall'esplosione di fiamme incalzando il cultista armato di lancia e costringendolo a indietreggiare sotto i colpi della spada ancora avvolta dalle fiamme, fu tuttavia salvato dall'intervento del suo capo, che decise di ignorare completamente Eldrisa e di caricare Leasir sul fianco, costringendolo a cercare di parare la sua spallata, che comunque lo sbalzò a parecchi metri di distanza.

Ran invece rimase sulla difensiva, e quando il cultista sull'albero evocò una lancia di fuoco che scagliò contro un Leasir ancora a terra, lui la intercettò con la catena e la deviò verso il capo, costringendolo a fare un salto indietro per non finire incenerito.

Il lancere andò subito ad incalzare Leasir per impedirgli di rialzarsi, ma fu preso alle spalle da Eldrisa e immobilizzato da una strana chiave articolare che non riusciva a capire, né aveva il tempo di studiare, “Tu ferma quell'altro!”, urlò Eldrisa, e Leasir annuì, sfoggiando persino un sorriso tranquillo prima di caricare il capo a testa bassa. Intanto Eldrisa diede uno strattone, facendo scroccare qualche giuntura della schiena del cultista, quindi ne diede un altro, e poi altri ancora, finché non gli ebbe spezzato un numero soddisfacente di vertebre.

Anche Ran passò all'offensiva, gettandosi sul cultista armato d'ascia e cogliendolo alla sprovvista quanto bastava per spingerlo indietro di qualche passo e riuscire ad avvinghiarlo con la catena; recitò quindi una breve formula per avvolgere la sua mano in un guanto di fulmini che calò violentemente sulla catena; il cultista fu come colpito da un fulmine e il lampo fu tanto forte da accecare temporaneamente sia il suo compagno sull'albero che il loro capo, che ricevette la spallata di Leasir in pieno petto, senza però venire spostato di un millimetro.

Leasir dette il suo meglio per cercare di incalzare il capo, anche se la sua spada faticava a scalfire sia la corazza che la pelle dell'uomo, il suo scudo riusciva a parare i colpi delle sue braccia grosse come tronchi d'albero tanto che il capo dei cultisti iniziò a innervosirsi nel vedere che il braccio dell'avversario non si frantumava come vetro.

Aprofittando dell'impegno di Leasir, Eldrisa puntò indice e medio contro il cultista appollaiato sull'albero, che venne quindi colpito da una forza invisibile e sbalzato indietro, cadendo pesantemente sulla schiena; cogliendo l'occasione Ran tracciò un elegante simbolo irregolare in aria, terminandolo con una parola di potere. L'istante dopo, il petto del cultista caduto a terra fu squarciato da uno spuntone di roccia.

“Gradirei una mano qui!”, esclamò Leasir prima di essere buttato indietro, finendo gambe all'aria vicino ai suoi compagni.

Il suo attacco non era stato inefficace, era stato peggio che inefficace, il capo dei cultisti aveva l'aspetto di un orso ferito, ringhiava e stringeva i denti da sembrare che potesse fare scintille, essere rimasto solo l'aveva tutt'altro che scoraggiato; era non solo rosso di rabbia, ma sembrava anche che fosse diventato ancora più grosso, gli occhi erano talmente rossi che l'iride era diventata indistinguibile dal resto.

“Forse non si sente bene”, azzardò Ran mentre si riaggiustava il cappello.

“Spero abbiate risparmiato i vostri colpi migliori per adesso”.

“Ovviamente”, rispose Eldrisa al commento di Leasir.

L'istante dopo saltarono indietro contemporaneamente quando un pugno affondò il terreno dov'erano poco prima, Eldrisa fu la prima a scattare in avanti, spiccando un balzo con cui lo scavalcò, sfregiandogli la testa con dei corti artigli estremamente affilati che fino a un attimo fa non aveva, ma non furono che piccoli graffi nonostante tutto l'impegno, e l'uomo neanche ci fece caso, puntando dritto sugli altri due e facendo volare via Leasir con una manata mentre Ran colpiva il terreno con il palmo della mano.

La seconda manata andò a vuoto quando un cerchio magico di colore violaceo e particolarmente intricato comparve sotto i piedi del capo, facendo partire delle lunghe catene viola che andarono ad avvinghiare la sua gamba, facendogli sbagliare mira di pochi millimetri. Il cappello di Ran volò via come una piuma.

Eldrisa gli tornò sulle spalle, riprendendo ad artigliare il collo con una rapidità tale da rendere le sue braccia sfocate, prima di venire afferrata da una mano grossa quasi quanto lei e sbattuta a terra tanto forte da farla rimbalzare. Leasir caricò il braccio del capo, riuscendo a deviarlo quanto bastava perché Eldrisa non diventasse poltiglia, quindi assestò dei colpi di spada al polso che non ebbero l'effetto previsto, dal momento che fu sbalzato via di nuovo.

Ran si era intanto portato di lato e aveva creato un altro cerchio magico, le cui catene avevano bloccato una delle enormi braccia del capo; l'altra la usò per cercare di spiaccicarlo, mancandolo di poco e perdendo di vista Eldrisa, che si era rialzata di scatto per colpire la gamba libera dietro il ginocchio.

Nonostante le catene, il capo dei cultisti rimaneva estremamente pericoloso da avvicinare, costringendo sia Eldrisa che Leasir a interrompere gli attacchi per un attimo. Nonostante le catene fossero magiche, molte sembravano sul punto di spezzarsi.

“Ran!”, urlò Leasir scansando un calcio, sferrato con una gamba che non doveva più essere in grado di muoversi dopo i solchi che Eldrisa gli aveva provocato.

“Lo so! Lo so!”, lui restava un po' più in distanza, con un'espressione combattuta, “Devo avvicinarmi, cercate di coprirmi!”.

Eldrisa prese un attimo di fiato, quindi si preparò a scattare, “Leasir, io miro al braccio libero, tu mira alla gamba, non può colpirci entrambi”.

E così fecero, Eldrisa riuscì a perforare l'armatura di cuoio, incontrando comunque una resistenza innaturale sulla pelle dell'uomo, nonostante mirasse alle giunture e alle arterie sotto l'ascella, anche Leasir fece più fatica del previsto a perforare la pelle sotto il ginocchio, e sopratutto si accorse che riusciva a muovere comunque la gamba.

Entrambi balzarono via prima che potessero essere colpiti, e lo evitarono solo grazie al terzo cerchio magico di Ran, che bloccò anche l'altro braccio, o almeno ne limitò notevolmente i movimenti.

“Eldrisa, spero che tu-”.

“Sì. Spero anch'io che tu abbia il tuo colpo migliore pronto!”.

Lui trovò la tranquillità di sorriderle, “Ovviamente”.

Come un fulmine, Eldrisa fu addosso al capo, caricò gli artigli sopra la testa, e li calò a X sul suo petto lasciando una scia rossa che non doveva essere del tutto sangue, quindi scese e artigliò di nuovo le gambe sotto le ginocchia prima di passare dall'altra parte, dove Ran lanciò la propria catena attorno al collo del cultista, tirando con tutte le forze e riuscendo a malapena e grazie all'aiuto delle catene magiche a tenerlo fermo per qualche istante.

Leasir caricò la spada vicino al petto, quindi scattò in avanti e sferrò un affondo sul punto in cui Eldrisa aveva strappato l'armatura; la spada accompagnata da un'aura di energia rossa a forma di lancia riuscì a perforare sorprendentemente bene la pelle innaturalmente dura, trapassandolo completamente e facendo schizzare una vertebra fuori dalla schiena come un proiettile che passò a pochi centimetri dal volto di Ran.

Tutti saltarono indietro, tranne Ran che restò a fare forza per cercare di impedire all'uomo di dimenarsi. Alcuni anelli delle catene magiche iniziarono a staccarsi, poi lentamente se ne spezzò una che tratteneva le braccia, poi un'altra, poi anche quelle sulla gamba iniziarono ad allentarsi e Ran fu trascinato in avanti nonostante tirasse con tutte le forze.

Poi si fermò, la tensione iniziò a calare, e passarono cinque minuti buoni prima che uno qualsiasi dei tre iniziò a chiedersi se, per caso, il capo dei cultisti non fosse morto.


Dopo una rapida ricerca (e un po' di soggezione), Leasir riuscì a trovare ciò che cercava: un contenitore per pergamene, chiuso e sigillato, dentro la borsa da cintura del capo.

Era morto così, cadendo sulle ginocchia con le braccia gonfie come a cercare di liberarsi da una gabbia e con l'espressione infuriata, la schiuma ormai secca alla bocca e gli occhi rossi senza più nulla di umano al suo interno. Leasir fu ben felice di aver smesso di frugargli intorno, temeva che si potesse in qualche modo rianimare e spiaccicarlo.

“Che cos'è quella cosa?”, chiese Eldrisa; aveva fatto sparire gli artigli con un semplice gesto e si era andata a sedere sotto un albero poco lontano.

“Una cosa che avevano rubato, e che siamo venuti a recuperare”, esaminò il contenitore cilindrico e notò con sollievo che il sigillo era ancora intatto, “Per fortuna non sono riusciti ad aprirlo”.

“E' chiuso con la magia, vero? Dev'essere molto importante”.

“Lo è”, e le sorrise di nuovo, “Come va la schiena?”.

“Meglio, grazie. Il tuo braccio?”.

“So prendere cura anche di me stesso”.

In quel momento tornò Ran, spazzando via terra e fogliame dal suo cappello con una mano, e facendolo con molta cura prima di rimetterselo in testa; anche senza, era estremamente affascinante, il genere di fascino oscuro che a Eldrisa non piaceva granché, ma doveva ammettere funzionare molto bene su di lui.

“Non ho la minima intenzione di dormire all'adiaccio, quindi torniamo subito. Dovremmo farcela prima che venga notte”, sentenziò mentre fissava la custodia in mano a Leasir, “E' quella?”.

“Sì. Saranno contenti questa volta, spero”.

“Lo spero anch'io”.

Eldrisa si rialzò e ripresero il cammino per tornare a Oak Harbor, all'inizio in silenzio.

“E' stato un buon piano”, commentò quindi Ran di punto in bianco, facendo quasi fermare Eldrisa. Non riusciva a immaginarsi quell'uomo fare un complimento a qualcuno o anche solo a qualcosa.

“Eh, siamo stati fortunati”, rispose Leasir guardando Eldrisa, “Abbiamo trovato un alleato a sorpresa, altrimenti avremmo dovuto rimandare”.

“Io?”, Eldrisa si indicò, “Oh, ho fatto il possibile”.

“Era chiaro che anche occultandoci con l'invisibilità di Ran saremmo potuti arrivare fino a un certo punto, inoltre questo è il loro territorio, ed è il loro campo migliore, e hanno avuto modo di studiarselo meglio. Erano in vantaggio su tutti i fronti”.

“Come hai visto, ci hanno quasi fregati comunque”, sottolineò Ran.

Leasir annuì, “Per fortuna Eldrisa è riuscita a toglierne di mezzo due in un colpo solo. Li hai visti? Neanche se l'aspettavano”.

“Per fortuna, avevano anche il vantaggio del numero”.

Eldrisa sorrise, “Non... Grazie. Ho fatto solo la mia parte”, quindi si rivolse a Leasir, “A proposito, la figura sul pomo della tua spada è un alfiere?”.

“Oh, te ne sei accorta?”, passò una mano sull'impugnatura della spada, che in effetti terminava con un alfiere come pomo, “Sì, è un alfiere”.

“E' un pezzo degli scacchi, vero? Come mai?”.

“E' quello che sono. Un alfiere”, soppesò un attimo le parole per cercare quelle più adatte, “L'alfiere è un pezzo interessante della scacchiera, è in grado di muoversi soltanto in diagonale, nonostante le caselle siano quadrate. Uno stratega esperto sa tenere conto delle sue mosse, ma anche agli occhi esperti, muoversi in diagonale su caselle quadrate può portare a fare confusione o a sottovalutare le aperture. L'alfiere colpisce in modo indiretto, si insinua in varchi che l'avversario non credeva di avere, e si scansa con facilità dai contrattacchi, andando a rinforzare le proprie linee”.

“E' così che pensavi di batterli? Voglio dire, era ovvio che io ero un'esca, come facevi a sapere che avrei fatto la differenza?”.

“Beh. Da come Ran ti guardava era ovvio che non eri un'incantatrice, eppure il fatto che volessi gettarti nella mischia senza armi né armature significava che qualche qualità la dovevi avere. Dato che non sapevo bene come prenderti, ho preferito pensare a te come un pedone a una casella dalla promozione”.

Eldrisa batté le ciglia, a indicare che capiva l'analogia con gli scacchi ma non chiaramente cosa intendesse.

“Il pedone è umile, ma estremamente importante. E' il grosso del tuo esercito, la prima linea, e se arriva fino in fondo viene promosso, quindi è anche una carta che può ribaltare la situazione”, sorrise di nuovo, “A giudicare da quanto ho visto, sei diventata un cavallo. Il cavallo è in grado di saltare le linee nemiche e non farsi ostacolare dagli amici; eri proprio il pezzo di cui avevamo bisogno”.

“Personalmente odio quando compie azzardi simili”, commentò Ran.

“Normalmente cerco di evitarlo, ma tutte le strategie sicure sarebbero state troppo poco incisive, o persino inutili. Se volevamo fermarli, dovevamo rischiare. Senza rischio, talvolta, non si ottiene niente”.

Passarono altri momenti di silenzio, quindi Eldrisa riprese la parola, “Cosa c'é di così prezioso lì dentro, comunque?”.

“Qualcosa che non dovresti sapere”, e Ran si rivolse più che altro a Leasir, ma lui parlò comunque.

“Una cosa che dobbiamo riportare nella custodia dei sacerdoti di Torm. Eldrisa, dato che non mi sembri interessata a restare qui a Oak Harbor, e non hai né soldi né compagni né dove andare, che ne dici di seguirci fino a Ilmwatch?”.

Ran si passò una mano sulla faccia, ma Eldrisa prese molto sul serio l'offerta.

“Davvero non vi disturbo?”.

“Ehi, ci hai aiutato e probabilmente anche salvato la vita, permettici almeno di offrirti un passaggio”.

Eldrisa sorrise, “Grazie”.

Fecero il resto del viaggio di ritorno in silenzio. Si sarebbe dovuta scusare di nuovo con Bashil, ma a conti fatti non aveva niente di che, domani sarebbe stata perfettamente in forma, senza nemmeno un acciacco.

Avrebbe dovuto aprofittarsene per progettare meglio i suoi obiettivi a lungo termine. Per quelli, non sapeva nemmeno quanto tempo aveva.

  
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