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Autore: frjendlouis    11/10/2013    0 recensioni
[Augustus Waters]
Quando Augusto aveva dieci anni, i grandi dicevano che era un bambino difficile.
Lui però non capiva in che senso.
Non si sentiva per niente difficile.
Gli pareva, tutto sommato, di essere un tipo piuttosto facile.
Che cosa aveva di cosi complicato?
Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che finalmente capi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Augusto, il bambino che voleva stare solo.

Quando Augusto aveva dieci anni, i grandi dicevano che era un bambino difficile. Lui però non capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile. Non scaraventava le bottiglie del latte contro il muro del giardino, non si rovesciava in testa il ketchup facendo finta che fosse sangue, e neppure se la prendeva con le caviglie di sua nonna quando giocava con la spada, anche se ogni tanto ci aveva pensato di farlo. Mangiava di tutto, tranne che il pesce, le uova, il formaggio e tutte le verdure eccetto le patate. Non era più rumoroso, più sporco o più stupido degli altri bambini. Aveva un nome facile da dire e da scrivere e una faccia pallida e lentigginosa, facile da ricordare. Andava tutti i giorni a scuola come gli altri e senza fare poi tante storie. Tormentava sua sorella non più di quanto lei tormentasse lui. Nessun poliziotto era mai venuto a casa per arrestarlo. Nessun dottore in camice bianco aveva mia proposto di farlo internare in un manicomio. Gli pareva, tutto sommato, di essere un tipo piuttosto facile. Che cosa aveva di cosi complicato? Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che finalmente capi. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. Altro problema è che gli piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente. Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo più gli piaceva prendersi qualche ora per stare tranquillo in qualche posto, che so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri. Il guaio è che i grandi si illudono di sapere che sono succede dentro la testa di un bambino di dieci anni. I grandi sapevano che nella sua testa qualcosa doveva pur esserci, ma non riuscivano a vedere o sentire qualcosa. Dirgli di smettere non potevano, non sapendo che cosa stesse facendo. Magari stava pensando di dare fuoco alla scuola, o di dare sua sorella in pasto a un alligatore, o di scappare di casa a bordo di una mongolfiera, ma loro non vedevano altro che un ragazzino tutto preso a contemplare ul cielo senza battere ciglio, un ragazzino che, se qualcuno lo chiamava, neppure rispondeva. Quanto a stare per conto suo, neanche quello ai grandi andava giù. A mala pena sopportano che lo faccia uno di loro. Se ti unisci alla compagnia, la gente sa che cosa ti passa per la mente. Perché è la stessa cosa che sta passando per la mente degli altri. Se non vuoi fare il guastafeste, devi unirti alla compagnia. Ma Augusto non la pensava cosi. Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso. Ma la gente esagera. Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un pò meno tempo a stare insieme e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un pò più a stare da soli e a pensare a chi siamo e chi potremo essere, allora il mondo sarebbe stato un posto migliore, magari anche senza guerre. 
A scuola Augusto spesso lasciava Augusto seduto sul banco, mentre la sua mente partiva per lunghi viaggi, ma anche a casa gli era capitato di avere delle noie per quei sogni a occhi aperti. 
A scuola, il problema dei sognatori a occhi aperti, e di poche parole per giunta, è che gli insegnanti, specie quelli che non vi conoscono bene, tendono a considerarvi un pò stupidi. O se non proprio stupidi, come minimo, tonti. Nessuno che riesca a vedere le cose fantastiche che vi passano per la testa. Se un insegnante vedeva Augusto assorto a scrutare fuori dalla finestra, o bloccato davanti a un foglio bianco, pensava che si stesse annoiando o che non sapesse la risposta al quesito. Ma la verità era ben diversa. 
Una mattina, per esempio, i bambini della classe di Augusto dovevano fare un compito di aritmetica. Si trattava di sommare dei numero molto grandi, e avevano a disposizione venti minuti per farlo. Augusto si era appena messa al lavoro sulla prima addizione, che prevedeva la somma di tre milioni cinquecentomila duecento novantacinque a un altra cifra della stessa lunghezza, quando gli capitò di pensare al numero più grande del mondo. Giusto la settimana prima aveva letto da qualche parte di un numero che aveva il nome bellissimo: googol. 
Un googol era dieci volte elevato alla centesima potenza. Perciò doveva avere un centinaio di zeri alla fine. E ce un altro ancora più sensazionale, una meraviglia assoluta: il googolplex. Che era dieci moltiplicato dieci per un googol di volte. 
Augusto lasciò vagare la mente tra quelle sconfinata distesa di zeri, che creavano nello spazio una scia di bolle. Suo padre gli aveva detto che secondo i calcoli degli astronomi, il numero totale di atomi contenuti nei milioni di stelle visibili dai loro telescopi giganti, era una cifra pari a dieci seguito da novantotto zeri. Quindi tutti gli atomi del mondo non bastavano neppure a fare un googol. E un googol era una cosuccia del tutto insignificante, paragonata a un googolplex. Se aveste chiesto a un droghiere un googol di caramelle mou ricoperte di cioccolato, non si sarebbero trovati in tutto il mondo, neppure abbastanza atomi per fabbricarle. 
Augusto appoggiò la testa alla mano e diede in un sospiro. In quel preciso momento la maestra battè le mani. Erano passati i venti minuti. E Augusto aveva appena scritto la prima cifra della prima addizione. Tutti gli altri bambini avevano finito. La maestra aveva osservato Augusto fissare il suo foglio senza scrivere niente e sospirando ogni tanto. 
Poco dopo questo episodio, Augusto venne inserito in un gruppo di bambini che avevano enormi difficoltà a sommare anche cifre piccole come quattro e sei. Non gli ci volle molto ad annoiarsi e a trovare anche più impossibile fare attenzione. Gli insegnanti incominciarono a pensare che fosse troppo scarso in aritmetica anche per quel gruppo speciale di recupero. Che dovevano fare con lui? 
Naturalmente, i genitori di Augusto e sua sorella sapevano bene che lui non era stupido o pigro o indolente e alcuni insegnanti della scuola finirono col rendersi conto del fatto che nella sua testa succedevano migliaia di cose interessantissime. Dal canto suo anche Augusto, crescendo, imparò che, siccome la gente non riesce a vedere che cosa ti sta passando nel cervello, la cosa migliore per farsi capire, è dirglielo. E cosi incominciò a scrivere alcune delle avventure che gli capitavano mentre guardava dalla finestra o se ne stava sdraiato a fissare il cielo. Da grande diventò un cantante e attore e visse una vita felice. 
  
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