Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
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Autore: Gozaru    11/10/2013    1 recensioni
[Jade] [Dajan]
Fluer e Robin sono fratello e sorella legati al mondo dello sport. Il padre, morto in un incidente, e il fratello, infortunato, lasciano alla sorella il loro sogno legato al Basket. Lei intende coltivarlo fino a che non arriva un nuovo studente che farà crollare tutte le sue convinzioni.
Tra sudore e ore di canestri sprecati, cocci di ceramica e fiori di cui prendersi cura, la ragazza dovrà ritrovare la strada persa facendo affidamento solo su se stessa.
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«Hai sentito, Fleur? [...] C'è un nuovo ragazzo, qui a scuola! Viene dall'estero ed è qui per il basket!» lascia scappare un gridolino eccitato mentre mi saluta agitando la mano e correndosene via, verso la palestra. Prima era Castiel, il rosso bulletto, ad essere al centro dell'attenzione; ora invece tutte le ragazze parlano di questo nuovo arrivato. E dicono che sia anche molto bravo. Mah, scrollo le spalle. Io, da quella prospettiva, non cerco affatto un ragazzo. Un fratello mi basta e avanza.
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[I nomi Robin e Fluer sono ispirati rispettivamente a Kaede Rukawa e Hanamichi Sakuragi di Slam Dunk]
Genere: Demenziale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dajan, Dolcetta, Jade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap2 Dolce Flirt ~


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Capitolo Due.
Trasferimento.

Il segretario delegato ci mise molto più tempo del previsto prima di ricevermi. A quanto pare, quel giorno mille scartoffie avevano deciso di sommergerlo fino a che, a metà pomeriggio, non sono venuti a chiamarmi.
La sala delegati è una stanza fredda, poco accogliente e spartana. Il biondino, seduto dietro ad una piccola cattedra piena di fogli, alza lo sguardo da una pila e mi sorride gentilmente, facendomi cenno con la mano di sedermi. Gli prendo posto davanti, aspettando che sia lui a rompere il ghiaccio. Mi sento turbata, senza un motivo apparente. E mentre io mi massacro le unghie delle mani per tentare di calmarmi, il ragazzo di fronte a me continua a leggere un fascicolo graffettato. Con una penna appone la sua firma in fondo all'ultimo foglio e, dopo aver controllato che siano tutti ben allineati, li ripone sopra una pila ancor più grande. Poi torna a rivolgermi un sorriso accogliente.
«Mi scusi ma la burocrazia non lascia scampo» afferma facendo un piccolo gesto con gli indici rivolgendosi verso le varie file di carte che adornano la sala. Faccio di no con la testa, intimorita da chissà cosa. «Bene.» batte le mani sul ripiano di legno così da potersi alzare. Lo seguo con gli occhi mentre si allontana dalla sua postazione e va a frugare tra dei fogli dentro ad un piccolo cestino porta carta. Ne estrae un modulo e poi torna dov'era prima. Lo liscia, pian piano, sul banco davanti a me e solo allora lo riconosco nella mia richiesta di trasferimento. Gli da una lettura veloce e poi riporta l'attenzione su di me. «Quindi vorresti cambiare club» comincia e l'agitazione mi cresce nello stomaco che sento attorcigliarsi su se stesso. «So che fai parte da molto tempo della squadra e che sei una giocatrice di tutto rispetto. Come mai vuoi cambiare?». Domanda più che legittima. Ma non sono certamente affari suoi e, soprattutto, come posso spiegare ad una persona che non conosco affatto che un totale estraneo da cui sono rimasta affascinata è venuto da me e mi ha psicologicamente distrutta inducendomi così ad abbandonare il sogno di mio padre? Davvero, non riuscendo a trovare le parole per ciò mi limito ad un «A volte cambiare può essere positivo». Che risposta stupida. Ogni scusa che avevo pensato fino a dieci minuti prima era scomparsa e, d'istinto, non ho saputo dire altro. Ma, forse capendo il mio imbarazzo o, chissà, forse credendo alle mie parole, il biondino mi timbra il foglio, accettando così la mia richiesta. Non so come riesco a trattenere un respiro di sollievo. Forse io stessa mi sto convincendo della balla che gli ho rifilato. Ora mi serve solo un nuovo club.
«Hai già deciso a cosa iscriverti?» mi chiede. Faccio di no con la testa. Non essendo mai interessata ad altro se non allo sport non ho la più pallida idea riguardo alle altre 'offerte' del Dolce Amoris.
«Allora, vediamo se ricordo bene...» comincia il biondo, puntellandosi una tempia con l'indice. «Oltre al basket, ci sono altri club. Ma alcuni hanno già raggiunto il limite massimo di iscritti. Puoi scegliere tra quello di musica, quello di scacchi e quello di giardinaggio». Una scelta piuttosto complicata. Niente sport, quindi mi tocca pensare pure alla scelta. Musica? Potrebbe essere. Mi piacerebbe imparare a suonare il pianoforte anche se so che la scuola ne è sprovvista. Scacchi? Decisamente no: la strategia non mi manca ma la lentezza del gioco non va certo a suo favore. Giardinaggio? Avevo visto di sfuggita la serra tante volte e spesso mi ero ritrovata a pensare a chi si occupasse di tutti quei fiori, visto che non sembrava mai entrarci anima viva. Però mi sembra quello con più attrattive: rimandendo da sola avrei avuto modo di riflettere senza persone che mi sarebbero state troppo addosso. «Giardinaggio» proferisco senza pensarci troppo. In fondo, chissà, avrei anche potuto saltare le attività; nessuno se ne sarebbe accorto.
Vedo il delegato apporre la mia scelta in una calligrafia sghemba. Un giorno lui potrebbe diventare un dottore, ne sono sicura.



Come previsto, la serra è completamente vuota. Deserta. Tengo le chiavi ricevute dal corpo docenti attaccate ad un comodissimo gancetto di una vecchia salopette che non avevo mai avuto modo di indossare. Ora più che mai mi sento soddisfatta della scelta fatta. Non ho mai messo alla prova il mio pollice verde ma, chissà, potrei anche scoprire una nuova parte di me che va d'accordo con le piante.
Ma per prima cosa devo mettere tutto in ordine. Ci sono tanti vasi sparsi in giro tra cui alcuni rotti, i cocci sparsi per terra possono rivelarsi pericolosi. Fortunatamente c'è un secchio già usato in precedenza: dentro ci sono ancora alcuni piccoli frammenti di terracotta. Chissà cosa ha dovuto passare questa povera serra...
Il primo giorno passa tra le pulizie generali e la cura alle piante secondo un foglietto di carta datomi da ex membri del club a cui avevo chiesto informazioni. Sto spostando gli ultimi vasi vuoti così da far posto a nuove piante quando trovo un quadernetto pieno di fogliette svolazzanti che escono dalle pagine dentro al primo vaso infilato nella pila. Ha un leggero strato di polvere e terriccio e chissà da quanto è lì!
Appoggio il tutto nella loro nuova collocazione e lo prendo, curiosa. Ma deve aspettare che io finisca prima di essere esaminato.
Lo sfoglio per la prima volta tornata a casa. Mio fratello non sa niente del mio cambiamento né voglio fargli sapere alcunché quindi mi rinchiudo in camera mia con il mio piccolo nuovo tesoro.
È pieno di foto di piante e appunti. C'è anche una piccola piantina della serra con annotate le disposizioni ottimali per ogni tipo di pianta e noto che sono un po' diverse rispetto a come le avevo messe io. Poi mi tornano in mente le parole di un alunno del quarto anno: Sempre che lui ti lasci lavorare in pace. Che significavano?
Il giorno successivo provo a seguire i consigli annotati sul quadernetto un po' malandato ormai diventato la mia guida ufficiale alla botanica e al giardinaggio. Secondo alcune ricerche in internet, per conferma, ho scoperto che le sue annotazioni sono molto più utili alle piante delle parole degli ex e degli orari che il club di giardinaggio ha sempre avuto. Per non dimenticarmene, traccio una bella riga in matita sulle parti sbagliate del grande foglio bianco che sta dentro alla serra come monito generale agli affiliati del club. Ora che ho imparato cose nuove non vorrei che altri sbagliassero a curare le piante come io stessa, per prima, avevo fatto.

«Sei tu che ti occupi di tutto, ora?» una voce mi richiama alla società. Immersa nel terriccio e nella piccola vegetazione non mi sono nemmeno resa conto dell'arrivo di qualcuno. Mi tiro in piedi, oltre i vari scaffali della serra, per vedere il mio interlocutore. «Sì. Ha bisogno di qualcosa?». Un ragazzo dai dolci lineamenti si guarda intorno. Anche lui porta una buffa salopette. Una in testa un cappello con cui tiene a bada una massa di capelli mossi verdi come le piante in cui è immerso. Dalla sua spalla pende una tracolla che sembra essere molto pesante. Non mi guarda bensì sembra notare ogni particolare che gli sta attorno. Strappa una piccola fogliolina rovinata da un bonsai e poi accarezza i delicati petali di una rosa. Passa tra altre piante ma finisce per inchiodarsi davanti al foglio degli orari della serra su cui avevo annotato dei cambiamenti la settimana prima. Lo contempla portando una mano al viso, sotto al mento. Purtroppo riesco solo a vedere le sue spalle non molto grandi racchiuse in una maglia bianca senza poter vedere la sua espressione. Certo è che quella prospettiva non mi dispiace affatto nonostante io sia abituata a dei ragazzi aventi un fisico molto più muscoloso e atletico. «Hai fatto anche questo?» mi chiede senza girarsi. Annuisco avvicinandomi a lui. «Sì, sono stata io. C'è qualcosa di sbagliato?» mi ricordo infine di usare la voce dopo essermi portata di poco dietro di lui. Ripasso mentalmente tutti gli orari controllando di averli trascritti correttamente per non fare brutte figure. La sua testa ondeggia e il cappello sembra muoversi pericolosamente senza però cadere. «No, anzi» il suo tono si fa molto più basso e compiaciuto «sono perfetti». Si gira verso di me mostrandomi un limpido sorriso a cui non posso che arrossire. «G-grazie» balbetto cercando di non farmi notare. Poi apre gli occhi, guardandomi per la prima volta. I suoi occhi strabuzzano e la sua espressione si fa decisamente più stupita. Resta a fissarmi per un tempo indefinibile scandito solo dai battiti del mio cuore che sento rimbombarmi in gola. E ora perché fa così? Non so dire se l'imbarazzo è dovuto alla situazione quantomeno spiacevole o al fatto di non aver mai visto due occhi verdi così belli come i suoi.
«Lavoreremo insieme?» mi chiede ad un tratto. Annuisco. «Ho cominciato settimana scorsa. Prima ero nel club di basket...» concludo abbassando visibilmente il tono di voce sull'ultima frase. Lo mio sguardo si posa sul pavimento ma una mano stretta in un guanto marroncino rientra nel mio campo visivo. «Sono Jade, sarà un piacere collaborare». Sorrido forzatamente stringendogliela. «Fleur». Mi oltrepassa andando verso il fondo della serra dove posa la sua enorme borsa e, ridacchiando, si rigira verso di me.
«Hai proprio un nome adatto»

«Sei la prima persona che non segue quelle assurde direttive della scuola» mi dice, un giorno «Normalmente, chi entra in questo club non fa che rovinare tutto il mio lavoro; quelle poche volte che riesco a trarre qualcosa di buono dai loro errori». «Oh» faccio io, allontanandomi dai vasi su cui stavamo lavorando e dirigendomi verso la mia cartella di scuola. Mi sfilo un guanto per non sporcarla e ne estraggo il quadernetto «Mi ha aiutato questo». Glielo mostro, tornando da lui. Vedo la sua espressione illuminarsi. «Ma è il mio! L'ho perso mesi fa!». Gli racconto di come l'avevo trovato tra i vasi e lui, emozionato, mi stringe forte a sé. Un gesto impulsivo molto apprezzato che, dopo un attimo di titubanza ricambio. Stringo le mie braccia attorno alla sua vita e appoggio la testa sulla sua spalla ma faccio appena in tempo ad inspirare il suo profumo di fiori misto a sudore che le sue mani, posatesi sulle mie spalle, mi allontanano da lui. «Scusa» mi fa balbettando leggermente. Si gira dandomi la schiena e mettendosi a lavorare su altri vasi.
«Ho fatto qualcosa di male?» gli chiedo fermandolo sulla porta della serra poco prima che se ne vada. La sua presenza intermittente è un problema e la sua espressione sconfortata che ho avuto modo di scorgere nel pomeriggio non può certo passare inosservata tanto facilmente. Cerco di chiarire quanto prima, visto che avrei potuto non vederlo anche per giorni. Lui si gira con aria interrogativa. «Dimmelo, per favore» continuo davanti alla sua aria da non-so-nulla comparsa sul suo viso. Mi avvicino a lui ma la cosa sembra dargli fastidio. «A che ti riferisci?» mi chiede facendo il finto tonto. «A prima» continuo, imperterrita «A quando hai smesso di rivolgermi la parola». Dal mio tono può benissimo captare una nota di disapprovazione riguardo le sue azioni. Ma non dice niente. Abbassa lo sguardo piazzandosi sul volto un sorrisetto amaro. «Non hai fatto niente» quasi sussurra. «Allora perché quel-» ma non riesco a finire la frase che le sue parole mi bloccano. «Perché sei abituata a ben altro e mi sento uno stupido». Il suo sguardo dice più di quanto non facciano le sue parole ma io ancora non capisco. Scuoto la testa, chiedendo mutamente delle spiegazioni. Lui si lascia sfuggire uno sbuffo ironico. «Dai, guardami» apre le braccia, lasciandomi entrare nei suoi pensieri più profondi «Sono così diverso dagli atleti che hai frequentato finora. Sono un illuso...» Riabbassa amaramente lo sguardo e si gira, andandosene. Lascia che la porta della serra sbatta facendo tremare tutta la struttura. Lo rincorro, finalmente conscia di ciò che intendeva dire. La sua schiena è più lontana di quanto non vorrei e penso che potrei ancora raggiungerlo ma qualcosa mi blocca lì, sulla soglia. «Ho lasciato il basket proprio per quegli atleti che tanto invidi» gli grido con le lacrime che cominciano a pizzicarmi gli occhi «Ho tradito i sogni di mio padre e mio fratello per colpa di un idiota con tanti muscoli e senza cervello! Non osare offenderti mai più, paragonandoti a quelle persone, razza di stupido ottuso!». Resto a guardarlo reprimendo le lacrime. Si ferma in mezzo al cortile ormai deserto ma non si gira né dice altro. Alza una mano, solamente, andandosene.

Non lo vidi per un'intera settimana. Affranta ed emotivamente a pezzi, decido di prendermi un piccolo periodo di pausa dalla serra, lasciando sul tavolo una lettera per Jade in cui gli racconto tutta la mia storia, della tragica morte di mio padre e di ciò che ho dovuto passare da allora. So che un giorno tornerà alla serra e la leggerà ma fino ad allora non posso che aspettare.
Controllo che la lettera sia lì nelle ore in cui sono sicura di non trovarlo. Passano altri due giorni e finalmente la sagoma bianca scompare. L'ha presa e probabilmente l'ha anche letta. Finalmente posso tornare alle mie mansioni.

«Avresti potuto dirmelo tu» esordisce dal nulla, buttandomi davanti al viso la mia lettera. Ancora non capisco come riesca a spuntare fuori dal nulla senza farsi sentire. Mi giro verso di lui, trattenendo a stento un sorriso: la gioia di riuscire a vederlo dopo tanto tempo di lontananza è incontenibile. «Non mi hai dato l'occasione per farlo» gli dico continuando ad annaffiare una fila di piccoli vasi appena inseminati. «Quindi?» chiede lui. Non rispondo, restando a guardare i fili d'acqua che dai piccoli fori dell'annaffiatoio cadono sul terriccio che assume pian piano una colorazione più scura. Non so che dirgli né se guardarlo ora sia la mossa giusta. Ma una sua mano si posa sulla mia. Senza guanti è così calda e delicata. Mi sfila dalle dita il piccolo annaffiatoio blu poggiandolo in un angolo libero del tavolo, tra due vasi abbastanza distanti l'uno dall'altro. «Guardami» mi dice, quasi ordinandomelo. Alzo quindi lo sguardo al suo volto, appoggiando le mani al ripiano davanti a me. Ancora non riesco a trovare le parole. «Come fai a stare qui dopo tutto quello?» fa un cenno con la testa alla lettera bianca sporcatasi con qualche goccia d'acqua e polvere di terra. Sospiro. «Si sta bene» rispondo abbassando lo sguardo e picchiettando terra con la punta di una scarpa «Non c'è nessuna pressione, qui». «Ma tuo fratello...» comincia Jade, ma non posso lasciarlo continuare. Mi farebbe tutto troppo male. «Lui non deve saperlo!» quasi mi trovo ad urlare. Un attimo di silenzio interrotto poi dalla voce di lui. «Quindi ti vergogni di... questo» apre le braccia riferendo le sue parole alle piante, a tutta la serra, ad ogni singola foglia, anche appassita, che c'è qui dentro. «No» sussurro «Ma... è complicato». Mi mordo un labbro per paura di dire qualcosa di troppo. La mano di Jade si appoggia sul mio braccio, riscaldandolo. Mi invita a riposare il mio sguardo nel suo e così faccio. Mi sorride dolcemente. Non vuole forzarmi a parlare ma è ovvio che non aspetta altro.
«Non posso tornare dopo quell'umiliazione» gli dico, alludendo alle poche righe su Dajan nella lettera. «Se quello non ha capito quanto vali, è uno stupido». Il suo viso si fa più vicino, tanto che riesco a sentire le sue parole soffiate sulle mie labbra. «Sei forte e puoi essere la migliore. Dimostragli chi sei!». «Chi sono?» chiedo, imbambolata dai suoi occhi sempre più grandi e vicini. Il cuore mi batte così forte che quasi non riesco a ragionare. «Sì, chi sei. Accettalo. Dillo!» mi sorride. «Io sono» sussurro. Le sue labbra sempre più vicine.Chiudo gli occhi riuscendo a vedere che anche le sue palpebre si stanno abbassando. «Innamor-»

«Fleur! Fleur!
»
Delle voci fin troppo familiari mi fanno sussultare. Riapro gli occhi trovandomi le due verdi iridi confuse davanti a me. Accidenti, mancava così poco! Mi sposto, abbastanza da riuscire a vedere delle sagome oltre i vetri opachi della serra. Riconosco a grandi linee la divisa femminile del club di basket e, poco dopo, vedo entrare due mie ex compagne di squadra.
«Oh!» esordisce una, capendo al volo di aver interrotto un momento d'oro. Jade, ancora troppo vicino, ha comunque interrotto ogni contatto riprendendo abilmente in mano l'annaffiatoio. L'altra guarda prima lui e poi me, chiedendosi chissà cosa o riflettendo sul da farsi. «Avremmo bisogno di...» fa la prima indicandomi. Jade, sentendosi tirato in causa, torna a guardarmi, poi riporta il suo sguardo alle nuove arrivate. «Ma certo!» sfodera il suo sorriso più ammaliante «Io continuo con i vasi. Tu va pure!».
Torno da lui qualche minuto dopo, sbuffando.
«Che volevano?» mi chiede senza nemmeno girarsi, intento a strappare qualche fogliolina malandata da una pianticella di limoni. Sbuffo ancora. Ripensando a tutta la conversazione decido di omettere i discorsi insensati su me e lui insieme ai commenti piccanti fatti dalle due ragazze. «Vogliono che torni al club» gli dico. Lo vedo irrigidirsi e girarsi di scatto verso di me. «E tu?» mi chiede con la mascella contratta. L'argomento non gli piace affatto. «Non voglio tornare» rispondo quasi lagnandomi. Poi abbasso lo sguardo e lo raggiungo. «Ma...?» intuisce subito il problema. «Ma» riprendo io, un po' scocciata «si tratta della partita più importante del Campionato scolastico».










Finalmente è entrato in gioco Jade e si mostra così il flirt di questa storia. Sì, purtroppo Dajan non mi piace perché, da brava persona quale pensavo di essere, ho avuto la -per lui- presunzione di volergli offrire la bottiglietta d'acqua. La prossima volta gliela tiro sul muso.
Cooomunque, il bacio è saltato e c'è la partita alle porte. Secondo voi che cosa succederà?
Ovviamente io già lo so e quando leggerete questo capitolo avrò già ultimato anche il terzo. Però mi piacerebbe sapere comunque le vostre opinioni.
Su, sparate!
  
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