Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Ricorda la storia  |       
Autore: Gozaru    08/10/2013    1 recensioni
[Jade] [Dajan]
Fluer e Robin sono fratello e sorella legati al mondo dello sport. Il padre, morto in un incidente, e il fratello, infortunato, lasciano alla sorella il loro sogno legato al Basket. Lei intende coltivarlo fino a che non arriva un nuovo studente che farà crollare tutte le sue convinzioni.
Tra sudore e ore di canestri sprecati, cocci di ceramica e fiori di cui prendersi cura, la ragazza dovrà ritrovare la strada persa facendo affidamento solo su se stessa.
.
«Hai sentito, Fleur? [...] C'è un nuovo ragazzo, qui a scuola! Viene dall'estero ed è qui per il basket!» lascia scappare un gridolino eccitato mentre mi saluta agitando la mano e correndosene via, verso la palestra. Prima era Castiel, il rosso bulletto, ad essere al centro dell'attenzione; ora invece tutte le ragazze parlano di questo nuovo arrivato. E dicono che sia anche molto bravo. Mah, scrollo le spalle. Io, da quella prospettiva, non cerco affatto un ragazzo. Un fratello mi basta e avanza.
.
[I nomi Robin e Fluer sono ispirati rispettivamente a Kaede Rukawa e Hanamichi Sakuragi di Slam Dunk]
Genere: Demenziale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dajan, Dolcetta, Jade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cap1 Dolce Flirt ~




Dimostra chi sei







La protagonista di questa storia si chiamerà Fleur. Non tanto per i fiori ma come tributo al Genio del Basket Hanamichi Sakuragi. Da qui, Hana che significa fiore passa a Fleur.
Per il fratello ho avuto un po' più difficoltà. Volevo che avesse un nome con la K ma i francesi hanno pochi nomi e tutti orrendi. Così, per omaggiare Kaede Rukawa, ho cercato un nome con la R. Per quanto il fratello sia una figura minore ci tenevo a dargli un nome e un ruolo tributario. E così è nato Robin.


Capitolo Uno.
Abbandono.

Il silenzio della palestra vuota è perfetto per pensare. Seduta sul linoleum marroncino su cui mi alleno ogni giorno, con la palla da basket tra le mie gambe aperte. La faccio rotolare sotto alle dita, spostandola solo coi polpastrelli. Il sedere calcato sulla metà campo e lo sguardo puntato al canestro di fronte a me. È il mio più grande rivale e obiettivo; il pallone ruvido il mio migliore amico.
Se ripenso al passato, onestamente non ricordo quando cominciai ad amare il basket. Forse è stato grazie a mio padre che mi faceva sedere sulle sue gambe e guardavamo insieme le partite. O forse grazie a mio fratello che mi chiese di giocare con lui quando eravamo bambini. Fatto sta che oggi faccio parte della squadra del mio liceo per diventare un'ottima playmaker.
Non che il ruolo mi si addica particolarmente. In realtà era la posizione che ricopriva mio fratello, tanti anni fa. Prima che smettesse di giocare. Prima che gli capitasse l'incidente con cui s'infortunò il ginocchio; lo stesso in cui perse la vita il mio amato papà.
E forse è anche per loro due che ora inseguo un sogno che non sento propriamente mio ma a cui, comunque, tengo molto. So di non essere brava. So cavarmela, certo. E so anche che questo non basta per poter un giorno diventare qualcuno. Per questo mi alleno il doppio; per questo mi alleno più di quanto io stessa riesca a resistere.
Fermo la palla per poi cercare di palleggiare sul posto, elevandola al massimo di cinque centimetri. Poi la fermo a mezz'aria. L'afferro, sentendone la superficie su tutto il palmo di entrambe le mani. Fisso più intensamente il canestro e, prendendo la mira, la lancio.
Entra! Entra!
Ma come sempre, essa ricade ancor prima di sfiorare la rete. Sono ancora troppo debole ed inesperta. Da metà campo, poi, senza l'uso delle gambe non posso nemmeno sperare di toccare il tabellone. Però continuo a provarci. E ogni giorno c'è un piccolo miglioramento.
Mi rialzo sbuffando. Ormai s'è fatto tardi e devo tornare a casa. Vado a recuperare la palla che ancora rotola per tutto il campo. Se non la rimetto a posto, il coach avrà di che lamentarsi e, sinceramente, è proprio una cosa che vorrei evitare.
Prima di chiudermi la porta della palestra, controllo che sia tutto a posto. Ho pulito, ho sistemato e a prima vista sembra tutto in ordine, come sempre. Anche per quest'oggi posso chiudere qui gli allenamenti.

Quando rientro a casa trovo mio fratello ai fornelli. La cucina non è mai stata il suo ambiente ma, dovendosi adattare, da qualche tempo fa il cuoco a casa. Siamo rimasti solo io e lui dopo che la mamma ci ha lasciati. La sua motivazione? Una cosa veramente patetica: Vedo il suo volto in voi e non posso sopportarlo. Peccato che io assomigli tutta a lei e Robin, mio fratello, non abbia tutta la barba di papà. Ma ormai abbiamo imparato a cavarcela da soli. Da lei ci arriva solo un assegno mensile di mantenimento. Niente telefonate, niente biglietti di auguri. Figurarsi poi una sua visita. Sarebbe come chiedere un miracolo.
«Sbrigati a fare la doccia!» mi rimprovera mio fratello intento a mescolare un sugo dal colore insolito.
«Nah, la faccio dopo». Mi limito a lavarmi le mani e subito sono al fianco del ragazzo per aiutarlo. La tavola è l'unica cosa che riesce a fare senza creare danni. L'unica cosa positiva è che, essendo sempre stato un atleta, sa molto bene quali cibi danno energia e quali possono aiutare le prestazioni fisiche: una dieta sportiva è ciò che si segue in casa nostra. E la cena, poi, è l'unico momento che riusciamo davvero a passare insieme.
Lui lavora tutto il giorno, mentre io passo gran parte del mio tempo tra banchi e palle da basket. Ma ci va bene così. Ormai, la nostra vita ce la stiamo costruendo da soli.
C'è solo una cosa, ormai, che mi stupisce ogni volta. Un dettaglio che mi fa piangere il cuore ogni volta che lo vedo: l'infortunio di mio fratello. La nostra vita passata è andata in frantumi più di un anno fa e, ormai, il suo ginocchio ha ripreso parte delle sue funzionalità. Dopo mesi e mesi di riabilitazione, ora mio fratello riesce di nuovo a reggersi su entrambe le sue gambe. Ma fa male, incredibilmente male, vederlo ancora zoppicare in giro per casa. Ormai la sua carriera agonistica è distrutta. Per questo io continuo a percorrere la via della pallacanestro. Lo faccio per lui e per mio padre, fin troppo legati a questo sport.

«Hai sentito, Fleur?» una mia compagna di squadra mi si avvicina tra i corridoi della scuola. Il suo solito fare da oca arrapata non mi fa presagire niente di buono. Lei è una di quelle classiche tipe che si impegnano nello sport solo per farsi notare agli occhi degli uomini per cui stravede: gli atleti muscolosi e ben piazzati. «C'è un nuovo ragazzo, qui a scuola! Viene dall'estero ed è qui per il basket!» lascia scappare un gridolino eccitato mentre mi saluta agitando la mano e correndosene via, verso la palestra. Prima era Castiel, il rosso bulletto, ad essere al centro dell'attenzione; ora invece tutte le ragazze parlano di questo nuovo arrivato. E dicono che sia anche molto bravo. Mah, scrollo le spalle. Io, da quella prospettiva, non cerco affatto un ragazzo. Un fratello mi basta e avanza.
Ma non è così che, a quanto pare, le cose sarebbero andate. Mi aspettavo uno dei soliti allenamenti ma il programma era stato cambiato dal coach, fin troppo sorridente per i miei gusti. Ci fa sedere tutte sugli spalti: quel giorno sarebbe stato dedicato solo ai ragazzi.
«Oggi avremo l'opportunità di conoscere un vero e proprio genio del Basket. Venuto qui solo per allenarsi con noi. Vi presento Dajan!» poi si gira verso un ragazzo dalla carnagione scura e dai capelli fatti su in tante treccine legate in una coda dietro alla nuca. I muscoli guizzanti sono messi in bella mostra da una delle nostre divise maschili. Tutto quel rosso non è mai stato bene nemmeno sul corpo atletico e pallido di Castiel che, notando la cosa, ha uno sguardo piuttosto ostile per il nuovo arrivato. Lo squadra, geloso che abbia tutte le attenzioni. Un luccichio sopra l'occhio mi lascia intendere che abbia pure un piercing, nonostante sia troppo lontano perché io possa vederlo bene. Ma tutto ciò ancora non mi convince. A prima vista può anche essere considerato un bel ragazzo ma niente di lui mi piace davvero. Non sembra nient'altro che un ragazzo di caramello. E io, il caramello, lo detesto.
Ma non posso che ricredermi. Per mostrare a tutti le doti del ragazzo, il coach ha improvvisato una partitella d'allenamento. Non ci vuole molto per rendersi conto che le sue capacità e il suo gioco sono nettamente superiori a quelli del resto della squadra. Segna un canestro dopo l'altro con mosse stupende e tiri da 10 e lode. Rimango incantata a vederlo volteggiare attorno al canestro, saltando e correndo a dieci centimetri dal suolo per tutto il campo. Sono estasiata. Ormai non vedo giocare Robin da molto, moltissimo tempo. Ma questo ragazzo potrebbe essere addirittura più bravo di lui; e a questo pensiero vorrei tirarmi un calcio dritto in faccia.
Ma una gomitata della mia migliore amica, seduta di fianco a me, mi fa risvegliare.
«Sei tutta rossa» sussurra al mio orecchio, ridacchiando. Già, sento le guance divampare. Ma non è certo per dei sentimenti stupidi, non è per una cotta che sono così. È il suo modo di giocare, una spanna sopra tutti gli altri che mi fa battere forte il cuore. Ma lei questo non può capirlo.


Irritata dall'idea di aver perso un intero giorno di allenamento, mi sono chiusa in palestra dopo la partitella per provare a caldo le mosse che avevo visto fare al nuovo alunno. Mi mancano gli avversari ma certe cose non riesco comunque a farle. Il suo dev'essere senza dubbio un talento naturale. Sono molto più lenta, più impacciata e la mia scarsa esperienza è facilmente visibile. Per non parlare del mio aspetto: anche se non voglio ammetterlo sono sempre stata consapevole che il fisico maschile è di gran lunga più potente ed esplosivo rispetto alla più aggraziata forma femminile.
A malincuore sono costretta ad ammettere che i miei tiri sono molto meno precisi e il mio palleggio più lento e prevedibile. Ma il suo esempio è ancora nella mia testa, stampato a fuoco nella mia memoria. Quel Dajan ha una marcia in più.
Mi fermo un attimo, piegata in due per la stanchezza con il sudore che m'impregna i vestiti e le gocce che disegnano scie sulla mia pelle. Asciugarle con il braccio non fa che peggiorare le cose. Forse dovrei smetterla lì e andare a farmi una doccia. Anzi, l'idea che forse sia troppo tardi comincia a insinuarsi nella mia testa. Non sia mai arrivare tardi per la cena: Robin si arrabbierebbe troppo!
Mi giro verso il tabellone segnapunti. Posso tirare un sospiro di sollievo: è ancora presto. Ma non appena i miei muscoli si rilassano, una voce sconosciuta mi fa rizzare di nuovo sull'attenti. Viene da oltre la porta che conduce agli spogliatoi. Dalla penombra del corridoio, Dajan viene fuori, illuminato dalle luci della palestra. Ha addosso ancora la divisa: non sembra essere nemmeno sudato da tutto il moto fatto precedentemente. Ma come fa?!
Mi fissa e la cosa mi mette parecchio in soggezione. Cosa vuole da me? Deglutisco aspettando che faccia o dica qualcosa. Ma lui resta lì, fermo davanti a me. Socchiudo le labbra, cercando qualcosa da dire ma lui, finalmente, si decide ad aprire di nuovo la bocca. Per ridere. Aggrotto la fronte: Davvero, ma che vuole questo?!
Mi viene incontro, fissandomi negli occhi. Decisamente, la prima sensazione avuta su di lui sembra la più giusta: questo tipo non mi piace.
«Non sei male» pronuncia. Ha un accento straniero parecchio pronunciato ma comprensibile. E il suo commento non può che farmi piacere. «Ma...» il suo sguardo diventa malizioso e ora è troppo vicino per non notare che nelle sue iridi ambrate c'è qualcosa di strano e... oh, sì, ha proprio un piercing sul sopracciglio! Poi scompare. Un attimo prima è davanti a me, quello dopo sento la palla scivolarmi via dalle mani. S'è mosso. Mi ruba la palla e in pochi secondi è sotto canestro mandando la palla nella rete. Una schiacciata perfetta.
Prende la palla prima che possa rotolare altrove e ritorna da me. Mi allunga la palla che io prendo senza staccare gli occhi dalla sua espressione ammaliante.
«Non sei niente in confronto a questo».
Fredde, pungenti. Le sue parole mi trafiggono il cuore riducendolo in mille pezzi. Perché? Perché deve dire delle parole così cattive? Perché? Mi sembra di non avere nemmeno più i polmoni. Il respiro spezzato a metà e il mio intero corpo che comincia a congelare. Le lacrime vogliono scorrere e se le lasciassi correre andrebbero solo a fondersi in tutto il mio sudore, ma no, non posso. Non gli darò la soddisfazione di vedere il dolore che mi sta provocando.
«Ritirati. Non vali niente» conclude il suo attacco ingiustificato distruggendomi totalmente. Scompare com'è arrivato. Nel buio del corridoio lasciandomi lì, nel bel mezzo del campo da basket a piangere per un sogno che sapevo già da sola di non poter raggiungere.







Le note sono ad inizio capitolo. Non c'è nient'altro da dire su questa storia. Prima di pubblicarla ho deciso di scriverla interamente quindi chiunque la comincerà sappia che la fine arriverà prima di quanto s'immagini. Scusate, ma non volevo tirarne fuori un'altra incompleta.
Detto questo, come avrete notato, sarà incentrata su Dajan e Jade (che arriverà nel prossimo capitolo). Il fratello della dolcetta è una figura importante ai fini di trama ma apparirà raramente. Come sapete, io lavoro su una triade di personaggi. Anche Castiel e Nathaniel saranno solo comparse.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Gozaru