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Autore: FindingDarcy    11/10/2013    1 recensioni
Gwendaline Winter è soddisfatta della sua vita. Ha un lavoro che adora, un fidanzato che piace a tutta la famiglia e che presto la porterà all'altare, un appartamento spazioso affittato a prezzo d'occasione, una sorella adorabile e un pò eccentrica che sa sempre quando correre in suo aiuto.
Ma.. una nuvoletta grigia penderà presto sulla sua testa, portandole via fidanzato, appartamento e forse anche il lavoro. Ecco che vediamo la nostra protagonista barcamenarsi tra un bizzarro episodio e l'altro, per cercar di rimettere in piedi la sua vita. In fondo si dice sempre "chiusa una porta, si apre un portone". Ma Gwen sarà in grado di individuare il portone giusto a cui bussare?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Svuoto pochi scatoloni e sistemo un po’ di vestiti nell’armadio della camera da letto che scelgo per me: non la più grande, ma quella con la vetrata più ampia perché, anche quando sono chiusa in casa o in ufficio, mi piace avere una larga visione di ciò che accade fuori, di cosa mi sto perdendo a starmene chiusa tra quattro mura.
Che strano.
Trovo cassetti semi pieni e qualche camicia appesa alle grucce. Saranno di chi abitava qui prima di me… di sicuro una ragazza da ciò che vedo. Magari sarà una che voleva dare un taglio drastico col passato, proprio come me, e ricominciare da zero.
Cambiando anche stile e rifacendosi un guardaroba nuovo… suggerirei.
Che gusti osceni. Fantasie floreali eccessive, nemmeno un capo di tonalità pastello ed un po’ troppi jeans a vita non bassa ma inguinale e leggermente a zampa di elefante, mol-to grunge. Da quanti anni non va più di moda la zampa?!
Di fianco al letto, c’è una meravigliosa cassettiera un po’ vintage, arte indiana credo, con disegni stilizzati arancioni
e verde smeraldo sulla base di appoggio, nascosti da qualche libro sullo yoga e sul… sesso tantrico. Interessante . . .
La terrò!!
Non si accorda minimamente al resto dei mobili che ho portato con me dal vecchio appartamento, ma che importa?!?!
Terrò anche i libri, già! Possono tornare utili…
E’ quello che mi auguro.
Beata ragazza.. sesso tantrico!! Non ero convinta esistesse sul serio. Credevo fosse uno stratagemma messo in circolazione da qualche disgraziato per convincere le ragazze ad andare a letto con lui e per illuderle, dando la falsa speranza che un rapporto sessuale poteva durare anche più di due, tre minuti.
Svuoto l’armadio e la cassettiera delle sue cose e le ripongo momentaneamente sul letto della camera attigua, rimandando all’indomani il da farsi. Le avrei date a qualche parrocchia nel quartiere, così da poter vestire qualche malcapitato che avesse il coraggio di farsi vedere in giro con quelle camicie pseudo hawaiane.
Anche questa camera non sembra … abbandonata. Ma dove sono capitata? Nel covo di una banda criminale? E’ tutto intatto come se ci avessero vissuto fino a ieri e fosse-ro stati costretti a scappare di corsa, lasciando tutto così come l’ho trovato. Corro all’ingresso e apro la porta dell’appartamento per leggere il numero metallico inchiodatoci sopra. E’ il 6B. Non ho sbagliato, è proprio questo il mio appartamento. Mah.
Ritorno nella camera dov’ero prima, ci sono un sacco di foto e post-it attaccati su un’enorme bacheca che la fa da padrona sulla parete opposta alla finestra. Non mi ci avvicino; non ho tanta voglia di curiosare stasera. E poi, in fondo, quelle foto rimarranno lì fin quando avrò voglia e tempo di gettarle via. Ci sono anche alcuni berretti da ba-seball poggiati sul pomo della testiera del letto, un paio di converse, ora grigiastre ma in origine dovevano essere bianche, parecchio consumate e sfilacciate, nascoste sotto il letto e una montagna di panni, probabilmente sporchi, accantonati in un angolo.
Mi squilla il cellulare e dal display vedo che è mia madre.
«Ciao mamma!» trillo eccitata, voglio che percepisca che sto bene e che non mi spaventa dover voltare pagina.
«Amore della mamma! Come stai? Hai mangiato qualcosa? Stai riposando di notte? Come ti senti? Tutto bene? Ed il trasloco? Sono venuti gli operai? Non dargli una mancia
troppo generosa, questa gente se ne approfitta sempre e lavora poco. Stai attenta, potrebbero anche rubarti qualcosa.»
Mia madre è italiana. Si è trasferita qui per amore. Uno studente di storia dell’arte, diventato poi docente, con il quale ebbe una storia da ragazza. Lei credeva di fargli una sorpresa, presentandosi all’Università. Invece fu lei a riceverla quando lo vide baciare un’altra al termine di una le-zione. Allora mia madre pensò di far ritorno in Italia per leccarsi le ferite e lasciarsi tutto alle spalle. Il fato volle che in uno dei bar dell’aeroporto incontrasse papà che, all’epoca e fino a pochi mesi dopo, si occupava del tra-sporto bagagli dei passeggeri, così decise di prolungare il suo soggiorno qualche altro giorno, senza immaginare che sarebbe durato una vita intera. Menomale che gli zii di mia madre abitavano poco distanti da qui, altrimenti avrebbe speso una cifra inimmaginabile per la camera in albergo dal momento che papà impiegò quasi tre mesi a chiederle un vero appuntamento.
Ammortizzo in fretta l’impatto della valanga inquisitoria di mia madre, questo terzo grado è di routine per lei e non riesco a volergliene: ogni volta che ci sentiamo mi chiede sempre le stesse cose, sia che passino solo tre ore
dall’ultima telefonata, sia che passi un mese. E se non riesce a sentirmi per troppo tempo – nella sua scala di valutazione si tratta di, al massimo, una settimana - allora organizza l’attacco frontale presentandosi alla mia porta sen-za preavviso. Ora che ci penso, non le ho ancora dato il mio nuovo indirizzo… ed è molto meglio così. Farò pas-sare un altro po’ di tempo prima di rivelarle la mia nuova base segreta. Amo la sua premura e il fatto che accompa-gni me e mia sorella, nella nostra vita, come quando ci accompagnava alle scuole materne. Però ogni tanto risulta fastidiosamente invadente, per di più spesso si lascia sopraffare dall’ansia e la cosa peggiore è che riesce a trasmetterla a tutti quelli che le sono intorno. Così, quando lei è un po’ nervosa o agitata, generalmente si crea una situa-zione di panico diffuso e quel poveretto di papà è costret-ta ad imbottirla di valeriana o camomilla mentre tutti quelli intorno fuggono prima di esser sommersi da uno tsunami ansiogeno. Rasentiamo il ridicolo quando mia madre con-agia me e mia sorella: per calmarci abbiamo imparato ad apprezzare l’utilità degli esercizi preparatori al parto così, quando abbiamo le nostre crisi, ci sincronizziamo guar-dandoci negli occhi e, all’unisono, inspiriamo ed espiriamo a ritmi concitati. Ricordo che una volta è capitato che mia
sorella si sdraiasse addirittura a terra e divaricasse le gambe, ed io, coinvolta dagli eventi, le urlassi:
«Dai, tesoro! Ce l’hai quasi fatta! Spingi, spingi!! SPIIIIIINGI!»
Sistemo, in quello che adesso è diventato il mio armadio, alcuni dei miei vestiti e, poi, crollo sul letto ma solo per pochi minuti. Sento di avere la schiena a pezzi e i piedi un po’ gonfi.
Meglio buttarsi sotto la doccia.
Dallo scatolone dei detersivi, prendo quello disinfettante con ammoniaca e do una rapida pulitina al box della doccia e al lavabo, sorridendo tra me e me perché seguo lo stesso rituale tutte le volte che metto piede in una camera di albergo per le vacanze. Non mi fido dei servizi di pulizia esterni. Preferisco far tutto da me.
Mi svesto e lascio cadere i miei vestiti intrisi di passato, poi dritta sotto il getto dell’acqua calda. Starei qui per ore ma potrò farlo l’indomani. Ho due settimane di ferie tutte per me. Non per Paul, non per Mandy né per mia madre, ma per me.
Questi ultimi giorni sono stati un inferno, più per il trasloco che per il peso… delle corna.
Devo ammettere che un po’ me l’aspettavo da Paul; da qualche tempo avevamo smesso di fare sesso come prima, di parlare come prima, di comportarci come prima. Non mi preparava nemmeno più il caffè come aveva fatto, per i due anni di convivenza, tutte le mattine. Quando vivevo ancora dai miei, addirittura lui passava spesso a portarmi cappuccino e briosche, e poi mi accompagnava in ufficio. Era stato un fidanzato perfetto, per un po’ di tempo.
D’altra parte, anche io avevo avuto qualche mancanza: ad esempio, facevo passare qualche giorno di troppo prima di stirargli le camicie di cui aveva bisogno per le riunioni op-pure faticavo a chiamarlo “amore”, mi saliva un moto di insofferenza dentro. E odiavo anche chiamarlo per nome, così mi limitavo ad attirare la sua attenzione con qualche mugugno, in modo da fargli girare la testa nella mia direzione, sempre che ne avesse voglia. Ed anche i miei mugugni erano, via via, diminuiti. Poche parole, qualche cen-no e falsi sorrisi di approvazione avanti agli amici.
La verità era una: non amo più Paul. Non lo amo da un bel po’. E neanche lui mi ama. Potrei quasi dire che è stato un bene il fatto che mi abbia tradito: non mi sono abban-donata ad una vita, forse comoda, ma infelice in cui entrambi avremmo continuato a ferirci silenziosamente.
Tre anni della mia vita scorrevano via nello scarico della doccia, insieme all’acqua e bagnoschiuma che mi scivolavano addosso.
E’ andata così.
Fa male.
Passerà.
Ma sono incazzata da morire. E mi sento ferita nell’orgoglio, nella mia dignità di donna.
Odio a morte Maria!
Povera Maria, magari è una brava ragazza. Magari ero io ad essere un ostacolo alla felicità sua e di Paul. Magari faranno una figlia e la chiameranno come me perché sono stata così buona da lasciarli liberi di vivere il loro amore. E magari mi chiederanno di essere la madrina al suo battesimo. Sì… ma che stronzi.
Che stronzo, Paul. Lurido porco.
Il tradimento?!?!
Parlarne, no?
Che vigliacco.
C’era bisogno di umiliarmi così?
Il mio divano!
Tutti questi pensieri mi surriscaldano e avverto l’acqua addosso ancora più calda di quanto non l’avessi regolata prima, così schizzo fuori dalla cabina.
Anche nell’armadietto in bagno, ci sono alcune cose della precedente coinquilina. Forse anche del suo ragazzo. Asciugamani, qualche lametta, un rasoio elettrico, un paio di spazzolini e tante creme per il corpo: depilanti, rassodanti per il ventre piatto, anti stress ed energizzanti.
Ma quante ora doveva passarci in bagno?!
Meglio mettermi a letto. Detto fatto: in pochi minuti, crol-lo in un sonno pesantissimo.
«Aaaaah… ma cos’è questo disordine? Oh mio Dio… pazzesco! Ma cos’è passato di qui? Schwarzenegger che balla in tutù rosa La morte del cigno? »
Ma chi è che parla? Anzi, chi è che urla?
Forse sto sognando.
No, no! Sono sveglia! Sono sicura di essere sveglia.
Guardo l’orologio con le lancette fluorescenti e vedo che sono le due inoltrate.
Il portiere dello stabile mi aveva avvisato che, intorno alle ventidue, l’addetto alla vigilanza ispezionava ogni piano del palazzo per controllare che non ci fossero problemi.
Ma, vista l’ora, non può essere lui. Né tantomeno credo abbia le chiavi per entrare negli appartamenti dei condomini.
Afferro una copia dei I Miserabili che avevo tirato fuori dagli scatoloni nel pomeriggio, convinta che milletrecento-sessantadue pagine di letteratura francese mi sarebbero servite per proteggermi dall’intruso, e sbircio al di fuori della stanza. Non ho sentito alcuna chiave girare nella toppa, eppure la voce sono sicura che non fosse un’allucinazione.
L’appartamento è completamente al buio, tranne una luce accesa nel bagno.
Mi avvicino con passo molto felpato, mantenendomi con le spalle al muro. In una mano ho il librone, nell’altra il cellulare ed ho già digitato il numero della polizia. Mi basta solo premere un tasto per avviare la chiamata.
L’acqua scroscia ed esce una nuvola densa di vapore al profumo fruttato dalla porta semichiusa.
Riesco ad intravedere una sagoma molto alta e magra infilarsi nella doccia, ma la tendina di plastica non mi permette di indagare a modo.
Chi diamine sarà!?
   
 
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