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Autore: FlyingBird_3    12/10/2013    3 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
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Il giorno dopo ci alzammo come se niente fosse accaduto; dopo colazione io presi la mia bicicletta, come ogni mattina, per andare in paese.
“Aspetta Maria, vengo anch’io!” sentii mia sorella Elena gridarmi dal piano di sopra.
Mentre ci stavamo avviando però, nostro zio ci fermò e disse ci avrebbe accompagnate fino in città, per vedere se fosse tutto apposto.
Noi due eravamo sopra le nostre biciclette, mentre lui camminava di fianco a noi con una grande pala in mano e, ci scommetterei, qualche pistola tra i vestiti.
Ripassammo davanti ai carri armati: stavolta i soldati erano in bella vista seduti sopra, o nei campi a sgranchirsi le gambe.
Nessuno disse niente ma un brivido corse lungo la mia schiena, ed impugnai così forte il manubrio che le nocche divennero completamente bianche.
Una volta arrivati in paese, la situazione sembrava normale; ognuno faceva quello che aveva sempre fatto.
Mio zio accompagnò mia sorella a comprare le cose che servivano per la famiglia, invece io mi diressi, come ogni giorno, al convento.
Avevo deciso di prendere i voti: non fu una scelta personale comunque, ma più dettata dai fatti che erano successi.
Mia sorella aveva avuto la fortuna di incontrare un ragazzo, 10 anni prima, e lui chiese la sua mano a nostro padre, quattro mesi dopo che si furono conosciuti. Era un ragazzo per bene, ma spesso non mi piaceva come trattava Elena.
Mio padre poi, morì un anno dopo essere stato inviato al fronte; era ancora giovane e la leva era obbligatoria. Così non ha avuto tempo di scegliere per me un marito; mia madre ha provato a propormi buoni partiti ma io li feci sempre scappare, perché non fui mai interessata a nessuno.
Il mio sogno era quello di seguire mio padre nei suoi viaggi attraverso l’Europa, vedere i luoghi che mi mostrava solo nelle fotografie, o parlare quelle lingue così diverse dall’italiano. Fu così che iniziai a studiarle, ed in un certo modo il mio sogno si è poi avverato, anche se non nella maniera che speravo io.
Comunque, l’unico modo che avevo per non gravare sulla famiglia era quello di prendere i voti: ho pianto tanto, non avrei mai voluto farlo. Sognavo una vita libera, ed invece stavo andando incontro ad una vita totalmente opposta.
Da quel giorno in poi fui una novizia: avrei dovuto perciò indossare un velo nero sulla testa che mi copriva interamente il capo e arrivava fino a metà schiena; avevo appena finito il periodo di prova, e sarebbe dovuto passare un anno perché io prendessi i voti veri e propri.
La giornata al monastero si svolse come sempre: preghiere, servire i pasti alle altre sorelle, studiare i doveri delle spose di Gesù, preghiere ed infine di nuovo a casa.
Passò in questo modo circa una settimana, senza stravolgimenti dall’arrivo dei tedeschi.
Le uniche voci che giravano in paese erano che l’ufficiale più alto in grado aveva chiamato il parroco ed il sindaco per parlarci, ma nessuno sa di cosa.
Era uno dei primi pomeriggi di settembre quando, mentre stavo ritornando a casa, ebbi un tuffo al cuore: vidi due macchine nere al di fuori della fattoria, e senza neanche pensarci entrai in casa col cuore a mille.
La scena che mi si presentò fu agghiacciante: tutta la mia famiglia era al piano di sotto, con i bambini che piangevano silenziosamente e un gruppo di quattro SS, tre soldati e un ufficiale, davanti a loro.
Per un attimo rimasero sorpresi nel vedermi, quanto io nel vedere loro, e sentii delle voci in tedesco che arrivavano dal primo piano.
“Non c’è niente qui!”
Appena si affacciarono dalle scale mi fecero segno di andare nella stanza accanto, insieme agli altri.
Mi sbagliai: un'altra SS era nella stanza, di spalle, intenta a leggere dei fogli sul tavolo.
I soldati si misero a parlare in tedesco fra di loro e mia madre si girò verso di me, sussurrandomi.
“Maria, cosa vogliono? Cosa stanno dicendo?”
Io li capivo. Li capivo perché avevo studiato il tedesco. E con questo il francese e un po’ d’inglese.
Erano le lingue dei luoghi che mio padre frequentava di più durante i suoi viaggi, ed io mi ero ripromessa di impararle bene per aiutarlo nel suo lavoro.
“Non parlano l’italiano?” sussurrai a mia volta.
“No…poco ma non si capisce niente” rispose mia madre.
Vidi l’ufficiale che stava leggendo i fogli, girarsi e parlare con l’altro ufficiale, e li capii: stavano cercando mio padre e mio fratello. Stavano cercando i ribelli.
Mio fratello era uno dei capi partigiani: aveva la testa dura e, data la vicinanza al paese, usavano casa nostra come ritrovo un paio di volte alla settimana, prima di ritornare sulle colline.
“Stanno cercando papà e Francesco” dissi, e notai che l’ufficiale si girò a guardarmi.
Io abbassai lo sguardo, sperando che non mi avesse sentito.
La SS fortunatamente non mi sentì, ma si avvicinò chiedendomi il nome, in un italiano stentato.
“Maria De Felice” dissi.
Mi chiese poi se abitavo in quella casa. Dopo un altro paio di domande, si girò e fece segno ad un suo compagno che stava scrivendo.
“Cerchiamo Augusto e Francesco De Felice, dove sono?” disse, in tono freddo e neutro.
Nessuno rispose.
Sentii la SS schioccare la lingua in tono di disappunto, e con un gesto della mano fece segno verso mio zio, che venne preso di peso e portato fuori.
Nessuna di noi mosse un muscolo, due soldati erano davanti a noi con dei fucili lunghi più di un metro.
“Torneremo” disse poi l’ufficiale.
Quando sentimmo le macchine nell’aia andare via, riuscimmo ad alzare gli occhi da terra; io mi tolsi il velo, e mia zia iniziò a piangere.
“Lo uccideranno! Non parlerà mai, lo uccideranno…”
Mia mamma tremava e si avvicinò a sua sorella per consolarla, per quanto poteva.
Io presi tra le braccia Federico, il bambino più grande di mia sorella; lei teneva gli altri due.
Eravamo rimaste solo noi donne; in un modo o nell’altro avremo dovuto farcela.


 
*
 
 
Dopo circa cinque giorni lo zio non era ancora tornato; fu durante un pomeriggio, in cui portai uno dei bambini di Elena con me in paese, che feci un passo falso.
Stavo comprando della frutta, quella che non erano riusciti a vendere durante il giorno; erano circa le sei e mezza, la solita ora in cui torno a casa.
Dissi a Federico di aspettarmi fuori dato che non riuscivo a calmarlo; vidi dei bambini della sua età e lo spinsi a giocare con loro.
Quando uscii però non li vidi più; gettai le provviste nel cestino della bicicletta e corsi a perdifiato nei dintorni. Li scorsi in una vietta vicino, intenti a giocare con un uomo.
L’uomo era sopra la bicicletta di uno dei bambini e li stava facendo divertire; chiamai Federico, ma in quell’istante si girò anche l’uomo.
Il cuore iniziò a battermi forte, di nuovo, come ogni giorno da dopo che la prima bomba era caduta sul nostro paese; teneva una sigaretta in bocca, e il fumo gli usciva come da un camino. Aveva occhi chiari e capelli di un biondo che sembravano quasi paglia.
“Federico, bambini! Via! Presto!” dissi prendendo i bambini per le mani, e trascinandoli via da quell’uomo.
Lui si alzò dalla bicicletta, e come ogni suo compagno che avevo visto fino a quel momento, mi sovrastava di ben venti centimetri.
“No zia! È divertente!” disse Federico tirandomi nella direzione opposta.
Sentii distintamente il soldato darmi della puttana, e in modo incondizionato ripetei la stessa parola come se fosse una domanda.
Hure?
“Capisci il tedesco?” disse lui, sempre in tedesco, ridendo.
Io non risposi ma riuscii a portare Federico via da lì. Mentre lo montavo sulla bici colsi le ultime parole di quel soldato, prima di vederlo sparire in una stradina.
“Pensavo che gli italiani fossero tutti pecore traditrici e ignoranti.”
  
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