Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Take_Me_ Home    12/10/2013    4 recensioni
Amo le ragazze intelligenti, che sono belle ma non sanno di esserlo. Mi piacciono quelle semplici, ma non facili, di quelle che sono più contente di ricevere un abbraccio che un anello. Adoro quelle bassine, così da poterle prendere in braccio ogni volta che voglio e poterle stringere in abbracci soffocanti senza che abbiano la possibilità di ribellarsi. Mi piacciono quelle che restano alzate fino a tardi per terminare un libro, quelle che si sentono diverse ma sono felici di esserlo. E soprattutto mi piacciono quelle che sanno ridere, che ti contagiano con i loro sorrisi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


TANTI AUGURI MARGHEEEEE!

Ma ti pare che per tutto un pomeriggio non ti scrivo? Poi il giorno del tuo compleanno! Ahahahaha. Io, tua sorella e Sofia speriamo davvero che questa ff ti piaccia. Come avrai naturalmente immaginato il banner è stato fatto da quella genia cndjivneui. La trama della storia è ispirata a noi, anche se molte cose come vedrai cambiano ahahah. Che dire, speriamo che ti piaccia, ci rivediamo in fondo <3


Stockholm Syndrome

I'm waking up to ash and dust
I wipe my brow and I sweat my rust
I'm breathing in the chemicals…


Mi svegliai di soprassalto, gesto che fece disgraziatamente volare il mio cellulare e le cuffie sul pavimento. Mi guardai intorno e constatai che doveva essere notte fonda. Guardai la sveglia sul mio comodino in cerca di una conferma. Avevo indovinato: il display segnava le 04.26. Mi alzai per recuperare il cellulare e spegnere la musica. Evidentemente mi ero addormentata con le cuffie, il che spiegava perché non portassi il pigiama, bensì un paio di jeans scoloriti e una felpa extralarge, di quelle che piacciono a me. Una volta aver riposto il cellulare e le cuffie sul comodino mi affrettai a liberarmi degli scomodi jeans per passare ad una tuta che usavo di solito per casa. Oh, ora sì che ero comoda. Valutai l’opzione di rimettermi a letto, ma ogni traccia del sonno che mi aveva spinta la sera prima a rinchiudermi in camera alle 21.00 sembrava sparito.
Lanciai uno sguardo al computer poggiato sulla scrivania e decisi di passare un po’ di tempo navigando su internet. Se c’è qualcosa che può farti stare meglio e che può tenerti occupata alle 4 di notte è proprio farsi due risate di ciò che gli altri scrivono sui social network. Sul serio, si trova un sacco di roba esilarante lì sopra. Però non ero neanche una che viveva di computer e facebook. No, io amavo leggere e l’ultimo libro che avevo divorato era... be’, alquanto strano. Riguardava la Sindrome di Stoccolma, e all’inizio l’idea di leggerlo non mi affascinava, ma mi ero decisa a provare. Il risultato? Era diventato il mio libro preferito. Accesi il portatile e lo portai con me sul letto, sperando che la batteria durasse più di 2 secondi. Mi collegai automaticamente su facebook e mi curai di azzerare il volume così da non svegliare tutta la casa con la musichetta di quelle pubblicità del cavolo che ti appaiono ogni 5 minuti. Una volta collegata scorsi lungo la mia bacheca.

“Ora come farò? Come vivrò senza di te?”.

Ed ecco la tipica ragazza che non ha niente da fare alle 4 di mattina se non aggiornare facebook raccontando agli altri della rottura con il ragazzo. Ehi, anche tu sei davanti al computer alle 4 di mattina! Mi ricordò la mia coscienza. Sbuffai e continuai a scorrere con il mouse, fin quando non trovai finalmente qualcosa di interessante.

Nominato il libro dell’anno “La Sindrome di Stoccolma” è un libro intenso, che tratta di un argomento su cui hanno e stanno ancora studiando molto. Può davvero una vittima voler bene, quasi innamorarsi del suo carnefice? Leggete il libro per saperne di più.

Questo recitava il piccolo stato di una pagina dedicata ai libri. Mi emozionai talmente tanto che se non avessi avuto il computer sulle gambe sarei saltata in piedi e mi sarei messa a saltellare. Insomma, faceva uno strano effetto trovare il proprio libro preferito in una pagina su facebook. Volevo commentare, quindi scesi ancora un po’ con il mouse, ma prima che potessi cominciare a scrivere i miei occhi si posarono sull’ultimo commento che lo stato aveva ricevuto:

Per me questo libro non ha senso. Sul serio, non lo capisco. Non so come facciate ad amarlo.

Se prima ero stata così orgogliosa che avrei potuto mettermi a ballare, ora ero irritata a tal punto che avrei volentieri picchiato il... ragazzo che aveva commentato. Sì, l’artefice di quel commento completamente fuori luogo era un ragazzo di nome Louis Tomlinson. Ecco, già dal nome non mi sembrava qualcuno che sapesse usare il cervello. Feci correre velocemente le mani lungo la tastiera e commentai a mia volta lo stato.

Non credo affatto che questo libro sia senza senso, anzi, è il libro più profondo che io abbia mai letto!

Commentai stupendomi di me stessa. In fondo, cosa mi importava se a quel ragazzo non piaceva il mio libro preferito? Proprio mentre stavo per cancellare il commento se ne aggiunse un altro proprio sotto il mio. Notai con rammarico che apparteneva allo stesso ragazzo.

Il libro più profondo che tu abbia mai letto? Ma per favore. Vorresti spiegarmi perché lo trovi così profondo?

Nessuno, e ripeto nessuno, ha il diritto di giudicare malamente i miei libri preferiti. Mi arrivò un’altra notifica, questa volta da parte delle richieste di amicizia e quasi mi si fermò il cuore.

Louis Tomlinson ti ha inviato una richiesta di amicizia.

E quasi contemporaneamente mi si aprì una chat nuova.

Louis Tomlinson: Allora, vorresti spiegarmi perché ti affascina quel libro. Magari qui, così non intasiamo di commenti quella pagina.

Rimasi di sasso, ma poi sorrisi. E così voleva parlare? Be’, parliamo, Louis.
 

*3 mesi dopo*

Sbattei la porta di casa, non per rabbia, bensì per la fretta e corsi in camera mia. Gettai il mio povero zaino sul letto e accesi il portatile quasi automaticamente. Ormai era quella la mia routine: alzati, vai a scuola, cerca di non fare proprio schifo, corri a casa, parla con Louis, fai i compiti, parla con Louis, mangia, parla con Louis e dormi. Ho già menzionato che parlo tantissimo con Louis? Mi connessi a facebook mettendo fretta alla connessione che non ne voleva sapere di andare più veloce. Sembrava che lo facesse apposta, la bastarda. Finalmente riuscii ad aprire la chat e, più veloce di quanto avessi mai scritto, digitai un:

Ho vintooooooooooooo!

Neanche due secondi dopo arrivò la risposta:

Lo stavo scrivendo, mi hai battuto per un millesimo di secondo L

Erano mesi che ormai andavamo avanti così. Era una specie di sfida: chi scriveva per primo una volta tornati a casa vinceva. Cosa? La possibilità di prendere in giro l’altro per tutto il giorno per cose futili e di benché minima importanza. Di solito però quando vincevo io lo costringevo ad inviarmi una registrazione di una delle sue canzoni, o magari una sua cover. Esatto, Louis cantava e la sua voce era davvero paragonabile ad un coro di angeli. Sognava di diventare un cantante, più in là, ed io pensavo davvero che ci sarebbe riuscito.

Muhahahahah. Preparati ad essere perso in giro fino alla morte. Ah, mi aspetto una registrazione u.u

Scrissi, felice di avere la possibilità di prendermi la rivincita per il giorno prima, durante il quale, per colpa dell’autobus che era arrivato in ritardo, mi ero sentita chiamare nei peggiori modi, quali “Tappa”, “Nana” e via dicendo. Come se non avesse ammesso lui stesso che trovava le ragazze basse infinitamente dolci.

Mmm... non credo che per te sarà facile prendermi in giro.

Digitò in risposta alla mia minaccia.

E perché mai?

Ecco, la sentivo: la cavolata del giorno stava per arrivare.

Perché è impossibile prendere in giro un ragazzo perfetto.

Scrisse infatti. Scoppiai a ridere, chiedendomi come vivessi prima di “conoscere” Lou. Ormai era una delle pochissime persone con cui potevo essere me stessa, anche se si trovava a chilometri di distanza da me.

Presuntuoso.

Scrissi, ma non lo contraddissi. Lo sapevo che stava scherzando, Louis era ben lungi dall’essere un tipo narcisista, ma per me lui era davvero perfetto. Ed ecco l’ombra cupa che copre la luce del sole. Lui non lo sapeva, anche perché neanche io ero del tutto sicura, ma stava cominciando a  piacermi sul serio, molto più di quanto fosse lecito.

Ehi ehi, attenta a come parli. Allora, com’è andata la giornata?

Mi chiese come al solito, ma sapevo che la sua non era una domanda fatta così, tanto per parlare. A lui importava davvero cosa facevo e come stavo, così come a me importava come stesse lui. Era per questo che mi trovavo così bene con lui.

Abbastanza bene. Alla fine chimica non mi ha interrogata, ma storia mi ha fatto capire che la prossima volta toccherà a me.

Digitai e mi allontanai un attimo dal pc per aprire la finestra di camera mia e far entrare un po’ d’aria. Un trillo familiare mi riattirò al computer come una calamita.

In che senso te l’ha fatto capire? Ahahaha.

Ecco un’altra cosa che amavo di Louis: la risata. Non che avessi avuto il piacere di sentirla mai dal vivo, al massimo in video chat, ma era comunque bellissima perché stava nei posti giusti. Solo il pensiero dei suoi occhi che si illuminavano faceva ridere anche me. Mi appuntai mentalmente di proporgli al più presto una video chat.

Mi ha squadrata come se avesse in serbo per me le peggiori torture. Ora, o devo cominciare a guardarmi le spalle, o devo cominciare a studiare storia più seriamente.

Abbassai la chat e diedi una rapida occhiata alle altre notifiche. Niente di interessante. Riaprii la chat e la risposta di Louis arrivò puntuale come... nessuno degli autobus della mia città.

Io farei entrambe le cose. Se vuoi ti invio uno spray al peperoncino per posta, ahahah.

Automaticamente risi e ripensai all’ultima lettera che mi aveva inviato, una settimana fa. Era arrivata del tutto inaspettata perché sapevo che lui preferita scrivere su facebook. “E’ più rapido”, aveva spiegato, ma io proprio non concepivo l’idea di come un messaggio scritto al computer potesse essere paragonato ad uno scritto di proprio pugno. Tutto cambiava, la persona che leggeva si sentiva più vicina a quella che scriveva... era qualcosa di magico.
Così non impiegai molto a chiedergli l’indirizzo passando per una stalker e ad inviare la prima lettera. Non avevo scritto niente di particolare e soprattutto niente di sdolcinato in stile film romantico, ma la sensazione di averlo in qualche modo più vicino mi aveva fatta sentire bene. Così avevo continuato a scrivergli, e lui aveva continuato a rispondermi su facebook, fino a poco più di una settimana prima, quando mi aveva detto di voler provare. Gli avevo dato l’indirizzo e, pochi giorni dopo, la lettera era arrivata.
Prima di aprirla, mi ero persa ad esaminare la scrittura sottile con la quale era stato scritto il mio indirizzo. Ne avevo studiato ogni segno, ogni stanghetta della A, ogni pancia delle B. Era semplicemente perfetta. Non ordinatissima, ma era questo che la rendeva speciale: il senso di disordine con il quale erano state scritte le parole rendeva tutto più armonioso, come se Louis mi avesse detto quelle cose ad alta voce.
Riuscivo a vedere dove era andato veloce, ansioso di scrivere qualcosa che mi facesse ridere, e quando invece aveva scritto lentamente, forse in cerca delle parole adatte. Al contrario di quello che avevo pensato conoscendolo, Louis non era il classico idiota che si crede figo scrivendo peggio dei bambini di 6 anni. No. Louis sapeva come esprimersi e non cadeva mai nel banale. Ogni cosa scritta da lui, che fosse su facebook o in una lettera, portava il suo marchio. Louis era unico, in tutto e per tutto.

E tu? Che mi racconti?

Scrissi prima di allontanarmi nuovamente per andare in cerca di qualcosa da mangiare. Non trovai niente di soddisfacente, quindi dovetti accontentarmi di un pacco di biscotti Gocciole. Mi versai un bicchiere di succo all’ace e portai tutto in camera mia. Lou mi aveva risposto.

Niente di che. Oggi Jessica Spancer mi ha chiesto di uscire, di nuovo. Le ho detto: “spiacente, ma ho già un altro impegno”. Tu sei riuscita a liberarti, vero?

Non riuscii a comprendere il significato di quel messaggio. Perché le aveva detto di no? Cosa c’entravo io. Mi presi un minuto per pensare, ma il mio riflettere venne interrotto da un “bip”.

Non te ne sei dimenticava, vero?

Dimenticata? Cosa avevo dimenticato? Il suo compleanno no, era solo il 10 novembre e lui era nato il 24 dicembre, quindi non era quello il problema. Insomma, per me era un problema perché non sapevo assolutamente cosa regalargli. Lui per il mio compleanno aveva composto una poesia stupenda. Neanche il fatto che me l’aveva scritta come messaggio su facebook l’aveva rovinata. L’avevo ricopiata e ora era attaccata proprio sopra il mio letto. Ogni notte, prima di andare a dormire, la rileggevo e mi beavo del pensiero che quella poesia l’avesse scritta appositamente per me, solo per me. Ma quella era un’altra storia.

Margheritaaaaaaaa! Non ti sei dimenticata il nostro mesiversario, vero?! D:

Ecco cos’era! Ci eravamo scritti per la prima volta il 10 settembre, quindi quel giorno erano 3 mesi che ci conoscevamo e qualche settimana prima Lou mi aveva accennato ad una video chat... che smemorata!

Ma no! Come ti viene in mente!

Risposi, cercando di non dare a vedere quanto fossi idiota.

Te l’eri dimenticato.

La sua era un’affermazione, non mi lasciava nemmeno il beneficio del dubbio.

No!

Mentii ancora.

Sì.

Uff... insomma, era così facile scoprirmi?

Ok, d’accordo. Me l’ero dimenticato, contento?

Gli scrissi scocciata. Non era giusto, ecco.

Ahahahaha. Certo che solo tu riesci a farti prendere in giro anche quando toccherebbe a te farlo. Ma del resto ti voglio bene per questo <3

Oh santissimi unicorni rosa, era un cuore quello? Insomma, aveva appena accompagnato un “ti voglio bene” ad un cuore? Presto, chiamate un’ambulanza. Ringraziai mentalmente che non potesse vedermi e cominciai a saltare sul letto come una bambina urlando: “Lou mi vuole beneeeee!”. Mi fermai solo quando sentii la porta di casa chiudersi e la voce di mia madre chiamare preoccupata il mio nome. Digitai velocemente un

Ti voglio bene anch’io. Ora vado che è arrivata mia madre. Ci sentiamo dopo <3

E corsi al piano di sotto, pronta a sorbirmi ottantamila domande circa la mia giornata a scuola.
 

*circa un anno dopo*
 
“... e poi potremmo andare al centro commerciale! L’altra volta ho visto un vestitino che mi piaceva molto. Non so, potremmo cercare qualcosa anche per te! Ehi, Marghe? Sei ancora lì?”.
Mi ripresi dal mio momentaneo stato di trance e risposi a Sofia.
“Ehm... cosa?”, le chiesi del tutto distratta infilando il telefono tra il collo e la spalla così da avere le mani libere.
“Ti stavo chiedendo se volevi venire al centro commerciale, oggi pomeriggio”.
Io? Centro commerciale? Ugh.
“Sinceramente Sofia, non mi sento in vena di grandi festeggiamenti”, ripetei per la millesima volta.
“Ma come no! Non si compiono 18 anni tutti i giorni! L’anno prossimo sarai sperduta chissà dove e non avrò il piacere di festeggiare con te, fammi questo favore!”.
Ripeté con voce petulante. Insomma, era così difficile da capire che non volevo festeggiare? In realtà mi sarebbe piaciuto festeggiare, ma non con lei. Non con le persone che avevo attorno. Sì, c’era una persona con cui mi sarebbe piaciuto passare il mio compleanno, ma questa persona si trovava a chilometri di distanza.
“No, Sofia. Non me la sento. Ora devo andare a fare i compiti. Ci vediamo a scuola”, dissi e attaccai senza aspettare una sua risposta. Fissai per un momento il cellulare nelle mie mani e poi sbuffai, spegnendolo e scaraventandolo con molta poca grazia sul letto. Accesi il computer, per nulla contenta come negli altri giorni. Come era possibile sentire la mancanza di qualcosa che non hai mai avuto? Non sapevo spiegarmelo, ma era proprio quello che provavo. Il senso di mancanza si intensificò quando scoprii che Lou non era in linea. Gli lasciai comunque un messaggio:

Oiiii! Come va? Appena ti colleghi scrivimi <3

Mi chiesi perché non si fosse ancora collegato e, soprattutto, se si fosse dimenticato del mio compleanno. Di solito era velocissimo a farmi gli auguri per Natale, Pasqua, onomastico... ma ancora non mi era arrivato nessun messaggio da lui, né sul cellulare, né su facebook. Ignorai completamente tutte le notifiche per gli auguri di gente che nemmeno conoscevo e passai in offline per tutti meno che per lui. In realtà non so cosa mi aspettassi. Non era tenuto a farmi gli auguri o a scrivermi tutti i giorni. Lui non era mio, anche se probabilmente non l’avevo mai desiderato così tanto.
Era passato poco più di un anno (un anno, un mese e due giorni) da quando ci eravamo scritti per la prima volta, ma mi sembrava di conoscerlo da sempre, anche se in realtà non lo avevo mai visto se non via web chat. Avevo davvero sperato che lui potesse ricambiare i miei sentimenti. Ormai leggevo cose irreali dietro un cuoricino scritto in chat, dietro ad un “buonanotte, ti voglio bene”, e questo non era giusto. Non era giusto che non potessi essergli amica senza pensare ad altro. I castelli di carte che mi ero costruita erano crollati quando, qualche mese prima, mi aveva annunciato di aver accettato le proposte di quella Jessica Spancer. Mi ero sentita malissimo, ma mai come quella volta ero stata grata che ci fosse un computer a separarci, perché mentre scrivevo cose come
Che bello! Sono felicissima per te!”, in realtà stavo piangendo. Per fortuna la loro relazione non superò il mese e potei tornare a respirare senza che un
magone mi ostruisse lo stomaco.

“Non era il mio tipo”

Aveva spiegato così la rottura, al che io mi ero azzardata a chiedergli:

“E qual è il tuo tipo?”.
Mi ero pentita all’istante perché a me non avrebbe dovuto interessare quali ragazze gli piacessero, ma la mia stupidità aveva vinto contro quel briciolo di coscienza che ancora persisteva.

"Amo le ragazze intelligenti, che sono belle ma non sanno di esserlo. Mi piacciono quelle semplici, ma non facili, di quelle che sono più contente di ricevere un abbraccio che un anello. Adoro quelle bassine, così da poterle prendere in braccio ogni volta che voglio e poterle stringere in abbracci soffocanti senza che abbiano la possibilità di ribellarsi. Mi piacciono quelle che restano alzate fino a tardi per terminare un libro, quelle che si sentono diverse ma sono felici di esserlo. E soprattutto mi piacciono quelle che sanno ridere, che ti contagiano con i loro sorrisi.".

E lì mi ero sciolta completamente. Quel ragazzo non scherzava quando mi aveva scritto di essere perfetto. Finalmente Louis si connesse e, veloce, rispose al mio messaggio.

Tesoroooooo! Ho una sorpresa per te <3

Io. Lui. Sorpresa. Muoio.

COSA COSA COSA COSAAAAAA? :D

Gli scrissi felice. Ecco, forse ero anche diventata lunatica.

La vedrai ;)

Tutto lì? Nessuna rivelazione, nessun indizio? Cosa avrei dovuto vedere? Un rumore mi distrasse. Veniva da fuori, così mi alzai dalla sedia e mi affacciai alla finestra della mia camera. Niente. Cominciavo a preoccuparmi.

Un attimo solo, ho sentito un rumore.

Scrissi e, senza aspettare una risposta, scesi al piano di sotto. Sentii lo stesso rumore di prima: sembrava che qualcuno stesse sbattendo i piedi sul legno del portico. Riflettei sul da farsi: uscire e affrontare il tizio barra maniaco che cercava di sfondare il pavimento o rinchiudermi in casa e aspettare che qualcuno mi aiutasse? Ero più propensa per la seconda, ma non potevo essere così codarda! Corsi di nuovo in camera mia e spalancai l’armadio. Frugai in una borsa e, una volta trovato quello che stavo cercando, corsi nuovamente di sotto. Prima di aprire la porta di casa con mano tremante provai a ricordarmi le mosse di auto-difesa che mi aveva insegnato mio padre tanto tempo fa. Nada. Sbuffai e trattenni a fatica un brivido di paura mentre aprivo la porta con le mani tremanti. Mi catapultai di fuori urlando come una matta e quasi feci venire un infarto alla mia vecchia vicina che stava passando davanti casa mia proprio in quel momento. Dopo avermi squadrata per bene si affrettò a raggiungere la sua casa e si chiuse dentro.
 Perfetto. Mi guardai intorno ma non riuscii a vedere niente di anormale. Mi spinsi ancora più avanti scrutando per bene anche dietro l’angolo della strada e... saltai come se mi avesse appena colpito un getto d’acqua fredda. Mi voltai rapidamente verso il rumore che avevo sentito e tremai trovando la porta chiusa. Era stato il vento? Ma se tutto era immobile intorno a me! Non c’era altra spiegazione: avevo aperto la porta ad un ladro e gli avevo anche lasciato casa libera. Che idiota. Corsi attraverso il giardino, cercando di raggiungere la porta sul retro che, di norma, lasciavamo sempre aperta. Fui sollevata di trovarla proprio come mi aspettavo e, stringendo a me la bomboletta di spray al peperoncino, rientrai in casa. Evitai le solite scenate idiote da film e non urlai “c’è nessuno?”. Certo che qualcuno c’era, le porte non si chiudevano da sole.
Avanzai cautamente e aggiunsi il salotto, giusto in tempo per riuscire a vedere un ombra dirigersi in cucina. Mi diressi anch’io lì ma prima che potessi davvero entrare nella stanza qualcuno mi tirò in avanti, chiudendomi tra il suo corpo e il muro di mattonelle fredde. Istintivamente chiusi gli occhi, preparandomi al peggio.
“Dovresti prestare più attenzione. Se le mie intenzioni non fossero state assolutamente bonarie a quest’ora saresti già morta, oppure rapita e in viaggio per l’Uganda”, mi sussurrò l’uomo misterioso all’orecchio. Bonarie? Chi era quel tizio? E perché mi sembrava di conoscere la sua voce. Riaprii gli occhi e mi trovai davanti due occhi azzurro cielo, che mi fissavano comprensivi.
“Non ti ho fatto troppa paura, vero? Mi dispiace, volevo che fosse una sorpresa. Non sono bravo con queste cose. Forse avrei dovuto semplicemente suonare al campanello, ahahahaha”. Ed ecco che al suono della sua risata riconobbi il ragazzo che si era intrufolato in casa mia.
“L-Louis?”, balbettai confusa mentre si allontanava in modo da lasciarmi un po’ più di spazio.
“L’unico e solo. Sai, non mi aspettavo in’accoglienza del genere. Scherzavo sul fatto dello spray al peperoncino e non avrei mai creduto che alla fine avresti tentato di usarlo contro di me. Volevo solo...”.
“TU QUI?!”, lo interruppi metabolizzando finalmente ciò che stavo vedendo. Lui sorrise e dovetti combattere per non perdere nei suoi occhi anche quel grammo di sanità mentale che mi rimaneva.
“Esatto. Ecco la mia sorpresa, contenta?”, mi chiese sorridendo ancora di più e allargando le braccia, come se mi stesse invitando ad intrufolarmici dentro. Adoro quelle bassine, così da poterle prendere in braccio ogni volta che voglio e poterle stringere in abbracci soffocanti senza che abbiano la possibilità di ribellarsi. Mi fiondai al caldo nelle sue braccia e lo strinsi a me. Quante volte avevo sognato quell’incontro? Non me l’ero aspettato così. Insomma, lui era perfetto, è solo che avrei voluto conoscerlo senza avere in mano uno spray al peperoncino, e soprattutto vestita meglio di una tuta e una felpa da casa.
Con mio grande dispiacere sciolse l’abbraccio e infilò una mano all’interno della giacca, come in cerca di qualcosa. Ne estrasse poco dopo un pacco regalo. Be’, più che un pacco regalo sembrava che avesse racimolato un po’ di carta e che l’avesse messa insieme a caso con dello scotch.
“Non è il massimo, ma non sono bravo con queste cose”, si scusò porgendomelo. Lo afferrai con mani tremanti senza staccare i miei occhi dai suoi. Prima di aprirlo lessi le poche righe che aveva scritto sulla carta azzurra:

Tantissimi auguri Margheeee! Ti voglio bene.

Deglutii a fatica e lo aprii. Mi sforzai di non scoppiare a piangere come una cretina, ma non potei evitare di saltargli addosso e abbracciarlo più forte di come avessi fatto prima.
“Ti piace?”, mi chiese ridendo mentre restituiva l’abbraccio. Mi staccai un momento per contemplare il libro che avevo tra le mani: 17 Black and 29 Red, cioè il proseguo del mio libro preferito, quello grazie al quale ci eravamo conosciuti. Non riuscii a trattenermi e lo riabbracciai.
“Ehi! Non pensavo ti piacesse così tanto. Insomma, ci speravo, ma...”.
“E’ perfetto”, lo interruppi, e avrei voluto aggiungere “come te”, ma mi trattenni. Lo portai in camera mia e, ridendo, mi disconnessi da facebook. Per la prima volta avrei potuto parlare con lui faccia a faccia. Parlammo per tutto il pomeriggio, felici di poterci conoscere davvero. Era esattamente lo stesso che su facebook: semplicemente perfetto. Era una perfezione che andava oltre il livello fisico. Il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi gesti, la sua voce... erano un connubio speciale. Quando, verso sera, arrivò mia madre con una piccola torta, fu felice di conoscerlo. Insomma, le avevo parlato così tanto di lui che era come se lo conoscesse già. Le piacque, il che per me fu importante. Lo invitò a fermarsi a cena e lui accettò. Purtroppo dovette ripartire subito dopo.
“Tornerai presto, vero?”, gli chiesi sulla soglia di casa, chiudendomi dietro la porta per non essere ascoltati dai miei.
“Appena posso. So già che mi mancherai nel momento esatto in cui rientrerai”, disse sospirando. Mi avvicinai e lui mi strinse a sé. Perché non si poteva fermare il tempo?
“Ti aspetterò”, sussurrai.
“Ci conto”, mi rispose baciandomi dolcemente la fronte. Alzai lo sguardo, stupita dal suo gesto, e incontrai i suoi occhi di quell’azzurro talmente bello da mandarmi il cervello in pappa. Fu in quel momento che successe. Le sue labbra cominciarono ad avvicinarsi sempre di più alle mie, lentamente e con cautela. Ma io non potevo aspettare ancora. Lo avevo aspettato per più di un anno, ora il bisogno era impellente. Così eliminai rapidamente la distanza che ci separava e unii le nostre labbra. Com’è che si dice? L’attesa del bacio è meglio del bacio stesso? Posso assicurare che non sia affatto vero. L’attesa fa schifo, così come la distanza. Solo ora che le sue labbra toccavano le mie, ora che le sue braccia mi cingevano la vita, potevo essere davvero felice. Ci staccammo solo quando ci trovammo entrambi senza fiato, ansimanti.
“Ti amo”, sussurrai finalmente e il mio cuore si alleggerì di un peso che aveva portato per tanto, troppo tempo. Lui mi sorrise.
“Ti amo anch’io”.
 

*5 anni dopo*
 
Cara Sofia,
Mi dispiace che sia passato così tanto tempo dalla mia ultima lettera, ma abbiamo avuto dei problemi con il trasloco. Non vedevo l’ora di lasciarmi quell’insulso appartamento alle spalle. Giuro che d’ora in poi non comprerò niente, che sia anche un parcheggio per la macchina, che non superi i 60 metri quadri. Come me anche Louis non vedeva l’ora di andare via. E’ davvero un sollievo non avere più il peso dell’università addosso e potersi godere la vita. Louis è già in cerca di un lavoro, ma ieri mi ha detto di aver ricevuto una chiamata da una casa discografica. Chissà, forse ce la farà davvero a sfondare. Io penso di sì. Non ho mai sentito nessuno con una voce più angelica della sua. Lui dice che sono di parte, ma lo penso davvero. La casa che abbiamo preso è molto più grande, ha persino un giardino! Vorremmo prendere un cucciolo, tanto per avere un po’ di compagnia. E poi se il lavoro andrà bene dovrà passare molto tempo lontano da casa e non vuole che io stia sola. Quando ci vieni a trovare? Forse è meglio che aspetti che il disastro del trasloco si risolva. Ormai anche quando dormo sogno scatoloni pieni da sistemare. Non vedo l’ora di riabbracciarti...

Alzai la testa di scatto al rumore della chiave che apriva la porta.
“Sono a casa!”, urlò Louis. Corsi di sotto e, stando attenta a non inciampare negli scatoloni che ingombravano quello che sarebbe diventato il nostro soggiorno, lo abbracciai.
“Che bella questa parola: casa”, sussurrai e lui ridacchiò.
“Per ora è solo un deposito di scatoloni, ma è già qualcosa. Mi basta che stiamo insieme”, mi sussurrò in risposta massaggiandomi la schiena contratta. Lo aiutai a liberarsi del giaccone ingombrante e, tenendoci per mano, ci sedemmo sul divano bianco che avevamo appena comprato. Avevamo scelto insieme dove posizionarlo: non davanti ad un’insulta tv, bensì di fronte alla finestra scorrevole di vetro, così da avere la possibilità di osservare le stelle, e quella sera ce n’erano tante.
“Com’è andata la giornata?”, chiesi interessata.
“Alla grande. Mi hanno detto che l’accordo è fattibile e che manca solo qualche scartoffia da firmare”, rispose con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“Q-quindi...”, balbettai, troppo felice per riuscire a parlare.
“Sì, ce l’ho fatta. Ce l’abbiamo fatta”, si corresse stringendomi in un abbraccio.
“Non dire sciocchezze, è tutto merito del tuo talento. Se si fossero lasciati sfuggire una voce così sarebbero stati degli stupidi”, constatai al settimo cielo. Lui ridacchiò e sciolse l’abbraccio.
“Dove vai?”, gli chiesi triste.
“Tu aspettami lì”, mi raccomandò e salì al piano di sopra. Rimasi dove mi aveva detto e sbuffai. Insomma, adoravo le sue sorprese, ma ogni volta il desiderio di sapere tutto mi logorava dall’interno. Io e la mia stupida curiosità. Quando scese notai che teneva le braccia in modo strano, quasi a nascondere qualcosa dietro alla schiena.
“Ma cos...”, iniziai, ma lui mi interruppe con un cenno.
“Lascia parlare me, per favore”, mi riprese sorridendo. Okay, cominciavo a preoccuparmi.
“Margherita, sono passati più di 6 anni da quando, per caso, ci siamo conosciuti. La prima impressione che avevo avuto di te era stata quella di una ragazza acida e superba, che si credeva superiore agli altri solo perché le piaceva leggere. Non so cosa mi abbia spinto a contattarti in una chat privata, né perché il desiderio di parlarti diventasse sempre più forte. Ti ho conosciuta grazie ad un libro ed è a questo libro che devo la mia felicità. A questo e alla mia stupidità, lo ammetto”. Ridacchiai, totalmente d’accordo sulla sua ultima affermazione.
“Quello che sto cercando di dirti è che io non potrei immaginare la mia vita senza di te affianco a me, quindi...”. Si fermò e, dopo essersi inginocchiato, mi mostrò ciò che teneva nascosto dietro la schiena. Era un libro, ma non un semplice libro: il suo interno era stato intagliato e, legato con un nastrino color oro, c’era un anello talmente bello che per un secondo credetti di sognare. Riconobbi il titolo del libro e il mio cure fece un balzo: Stockholm Syndrome
“Quindi, amore mio, saresti così pazza da sposarmi?”, concluse mentre io avevo ceduto alle lacrime che mi bagnavano il viso. Lui sorrideva e i suoi occhi brillavano più dell’anello nel libro. Mi alzai in piedi e urlai:
“Sì! Certo che ti sposo!”. Non passò neanche un secondo e mi ritrovai nuovamente tra le sue braccia, cioè il posto dove avrei voluto rimanere per sempre.
 
Quando mi accorsi che i respiri del mio fidanzato (che bello poter usare questa parola) si erano fatti più regolari, segno che si era addormentato, tornai in camera nostra e mi sedetti di nuovo alla piccola scrivania in legno dove avevo lasciato a metà la lettera.

... non ci crederai e probabilmente mi ammazzerai per non avertelo scritto all’inizio, ma poi ti spiegherò: ci sposiamo! Sì, mi ha fatto la proposta poche ore fa. Non è fantastico? Dobbiamo ancora organizzare tutto, ma quel che conta è che staremo insieme. Lo amo come non ho mai amato nessuno e solo il pensiero di poter passare la mia vita affianco a lui mi riempie di gioia. Sono contenta di non aver lasciato che la distanza ci separasse e soprattutto sono contenta di averlo conosciuto. Non sarei la stessa senza di lui. Lo amo, lo amo da impazzire. Non vedo l’ora di farti vedere l’anello! Rispondi presto,

Margherita.
 
 

 ARICIAOOOOOOOOO!
Che te ne pare? Speriamo davvero che ti sia piaciuta.
Ognuna di noi ha fatto qualcosa per renderla speciale.
Ti vogliamo bene, non dimenticarlo mai.
E tu, lettrice/lettore infiltrato (?):
MUOVITI E AUGURA TANTISSIMI AUGURI ALLA NOSTRA MARGHE! è_è
Ahahahahahahaha.
Spero non sia venuta una cacchetta. Ti voglio bene love, sei un panda cuccioloso e un fungo morbidoso (?).
HO FATTO LA RIMAAAAAAAAA!
Ok la smetto.
Sciaoooooo <3
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Take_Me_ Home