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Autore: Scattered Dream    12/10/2013    2 recensioni
"Vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo…
Che sia la libertà di volare o solo di sentirsi vivo…
[cit]"
****
Tratto dalla storia:
"Avrebbe voluto spiccare il volo anche lui, volare in alto, sempre più in alto, fino a raggiungere la sua famiglia. Ma non poteva, lui non era un uccello, lui non aveva le ali e, anche se le avesse avute, non avrebbe saputo dove volare."
***
"Spiego le ali e volo verso l'alto, per toccare il cielo e continuare a vivere [cit.]"
Salve a tutti!
Spero che la one-shot vi possa piacere!
Fatemelo sapere ;)
Soul ~
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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The Soul Wings
 
Un ragazzino stava seduto sulla stessa altalena di sempre, legata ai rami della stessa grande quercia, con gli occhi vacui che fissavano un punto indefinito del terreno. Aveva sempre la stessa espressione malinconica, che finiva per trasformarsi puntualmente in una maschera di dolore ed amarezza. Quel bimbo aveva i capelli verdi, e si sa che il verde è il colore della speranza, eppure lui sembrava averla persa del tutto. O, forse, la speranza non l’aveva mai conosciuta. Le foglie dei rami creavano giochi di luci ed ombre sul suo viso, anche se, a guardarlo da vicino, la luce che si poteva scorgere era, appunto, solo quella del sole, poiché il viso era cupo come la notte.
Il bambino stinse forte le corde dell’altalena, mentre due uccellini azzurri spiccavano il volo, esibendosi in divertenti acrobazie aeree. Avrebbe voluto spiccare il volo anche lui, volare in alto, sempre più in alto, fino a raggiungere la sua famiglia. Ma non poteva, lui non era un uccello, lui non aveva le ali e, anche se le avesse avute, non avrebbe saputo dove volare, perché lui non aveva una famiglia. Avevano spiccato tutti il volo, volando via veloci come falchi. Troppo veloci, per i suoi gusti: non aveva fatto in tempo a seguirli. A pensarci bene, non aveva fatto in tempo nemmeno a salutarli.
 
“Luci rosse e blu lampeggiavano intorno a lui, nel buio della notte. Qualcuno gli aveva messo una coperta sulle spalle, e alcuni poliziotti lo indicavano, parlando a voce bassa. Uno di loro si staccò dal gruppo e gli si accucciò davanti, sorridendogli.
-Dove sono i miei genitori?- chiese, mentre piccoli brividi di freddo percorrevano il suo corpo. Il poliziotto che gli si era avvicinato era giovane, e a quella domanda si girò verso i suoi colleghi, che gli fecero cenno con la testa di continuare.
-Loro, ecco….Sono volati via- gli rispose dopo un po’.
-E perché non mi hanno portato con loro?- domandò ancora, prendendo coraggio.
-Non lo so, ma mi hanno detto di dirti che ti volevano bene- il giovane accennò un sorriso gentile, posandogli una mano sulla spalla.
-Non li ho nemmeno salutati- sussurrò dispiaciuto, abbassando lo sguardo.”
 
Riuuji si dondolò leggermente, mentre una calda brezza primaverile gli accarezzava i capelli. Quel ricordo era l’unico chiaro e preciso che aveva, dopodiché tutto diventava confuso, lontano. I ricordi ritornavano a farsi chiari quando lui era già arrivato al Sun Garden, e il giovane poliziotto era andato via. Ricordò che qualcuno, non ricordava bene chi, gli aveva detto senza troppe cerimonie che sua madre e suo padre, in realtà, erano morti. Da quel momento in poi, per lui era iniziato un periodo strano che, era sicuro, sarebbe durato tutta la vita. Le sue giornate si riducevano a nutrirsi, dormire e stare seduto su quell’altalena. La sua vita si era ridotta al minimo indispensabile per sopravvivere, anche se, nei momenti peggiori, quando anche il sole diventava nero per lui, pensava di non compiere nemmeno più le azioni necessarie a mantenersi in vita. Del resto, uno che non sapeva perché viveva, meritava davvero di vivere? Era una domanda che si poneva spesso. Lui non era morto in quell’incidente, lui aveva continuato a respirare, mentre la sua famiglia no. Tutto questo gli sembrava terribilmente sbagliato. Come poteva un figlio continuare a esistere se chi l’aveva messo al mondo non esisteva più? Un’altra domanda a cui, per il momento, non aveva trovato alcuna risposta.
 
[Precipito verso un mondo oscuro,
senza sapere se e quando riuscirò a tornare a volare]
 
Ogni giorno che passava il fardello che gravava sulla sua anima aumentava, diventando sempre più pesante, più grande, trascinandolo giù, verso un baratro senza fine e senza ritorno. Ma lui non voleva quel destino, si sentiva soffocare ogni volta che ci pensava, mentre una vocina nella sua testa gli sussurrava di andare avanti. Un sussurro forte quanto un grido. Solo che, ogni volta che riusciva ad alleggerire quel peso, c’era qualcosa che lo faceva ridiventare pesante, e lui perdeva drasticamente quota un’altra volta, e ogni volta era sempre più vicino a precipitare nel buio.
Un mucchio di foglie sospinto dal vento gli volteggiò davanti, compiendo una strana danza.
 
"-Sono gli spiriti a far danzare le foglie- gli spiegò una donna dagli occhi neri e un dolce sorriso.
-No, è il vento- protestò lui, assumendo un’espressione dubbiosa.
-Sciocchino, il vento è il respiro degli spiriti!- disse la donna ridendo, e lui rise con lei, mentre mucchi di foglie danzavano intorno a loro.”
 
Il vento continuò a soffiare, e la coppietta di uccellini che aveva spiccato il volo poco prima si posò sull’erba del prato. Midorikawa li guardò, e notò che avevano gli occhi neri. Come lui. Come sua madre. Scosse la testa, dandosi dello stupido. Ne aveva passate troppe, per essere uno di quei bimbetti che credeva ancora alle storie di persone che si trasformano in animali o roba simile.
-E’ davvero una bella giornata, non trovi?- gli uccellini, spaventati dalla voce improvvisa che aveva parlato, volarono a nascondersi tra i rami. Il verdino alzò lo sguardo, leggermente stupito. Nessuno lo veniva mai a disturbare in quel posto, anche perché, esclusi i proprietari dell’orfanotrofio e pochi altri, nessuno sapeva dove fosse situato esattamente l’albero con l’altalena. Come aveva fatto, allora, il ragazzino che era appena arrivato, a trovarlo?
-Si- rispose in un soffio, girandosi dall’altra parte, nella speranza che, il bambino nuovo, se ne andasse, proprio come avevano fatto gli altri. Erano caduti tutti via dalla sua vita come cadono le foglie dai rami in autunno. Dei suoi parenti nessuno si era preso la responsabilità di accudirlo, e anche i suoi vecchi amici, quelli che si era fatto quando abitava ancora in quella che era stata la sua casa prima di arrivare all’orfanotrofio, erano spariti.
-Mi chiamo Hiroto. Tu?- il rosso non se ne andò, anzi, si sedette sull’erba del prato, accanto a lui. Una nuvola pigra avanzava lentamente nel cielo azzurro, sospinta dal vento che, da leggera brezza primaverile, si era trasformato in un bel venticello caldo.
-Midorikawa. Sei venuto da me perché ti serve qualcosa?- domandò, sicuro che la risposta sarebbe stata affermativa. Del reso, gli altri bambini lo cercavano solo quando serviva, chiedendogli di aiutarli in qualche compito che la maestra dell’orfanotrofio gli aveva assegnato, o cose simili, mentre quando si trattava di giocare e di stare in compagnia, nessuno lo andava mai a chiamare.
-No, sono venuto perché mi stai simpatico- rispose Kiyama, come fosse la cosa più ovvia del mondo, andando contro tutte le previsioni del verdino, che lo guardò come se fosse un pazzo. Voleva diventare suo amico? Ma se non si conoscevano nemmeno! Era davvero strano. O, forse, quello strano era lui?
-Ma è la prima volta che parliamo- disse. Hiroto gli sorrise, e qualcosa nel suo sguardo lo spinse a desiderare che restasse, che non sparisse come avevano fatto gli altri. Era qualcosa che ti spingeva a fidarti di lui, a seguirlo, ad avvicinarti. Sbagliava, o era un senso di calore quello che aveva sentito all’altezza del petto, quando i suoi occhi avevano visto quel suo sorriso così luminoso?
-E’ vero, ma a pelle mi sembri simpatico. E poi..- disse, e le sue labbra non smisero per un momento di essere incurvate verso l’alto -....Voglio farti sorridere. Gli altri mi dicono che non lo fai mai, perché?-  gli occhi acquamarina incrociarono quelli neri come la pece di Riuuji.
-Io..- il verdino era insicuro se sfogarsi con lui o meno, ma alla fine le parole gli uscirono di getto –Mi chiedo perché non sia morto con i miei genitori. Perché io sono vivo e loro no?- non disse tutto quello che voleva dire, anche perché si era già pentito delle poche parole che aveva pronunciato.
Il bruciore alla guancia arrivò improvviso come un fulmine a ciel sereno. Hiroto gli aveva dato uno schiaffo, e faceva abbastanza male. Si morse la lingua, rimproverandosi del fatto che si era fidato come un povero ingenuo, che avrebbe fatto meglio a non dire nulla e a tenere tutto dentro. Alzò lo sguardo, e vide che il ragazzino dai  capelli rossi si era alzato, e ora gli stava davanti, i pugni stretti lungo i fianchi.
-Non dire più certe cose. La vita è la cosa più importante che hai! Dici di tenere tanto ai tuoi genitori, e poi tratti in questo modo il dono più importante che ti hanno fatto?- il suo viso era a meno di dieci centimetri dal suo -Tua madre e tuo padre soffrirebbero molto se ti sentissero dire certe cose! Loro sono contenti che tu continui a vivere- Midorikwa lo guardò con gli occhi sbarrati, non sapendo più cosa pensare. La sua vita? I  suoi genitori erano contenti? Lui…Lui non ci stava capendo più niente, aveva una gran confusione in testa.
-M-ma loro sono morti- fu l’unica cosa che riuscì a dire, mentre lottava contro le lacrime che premevano per uscire.
-La maggior parte di noi ha i genitori che sono morti, eppure andiamo avanti, sempre! Perché tutti sappiamo che i nostri genitori non sono veramente morti!- adesso Hiroto aveva alzato leggermente la voce, mentre i suoi occhi, di quel colore così sconvolgente e ipnotizzante, rimanevano fissi su di lui. Il verdino gli rivolse uno sguardo confuso. I suoi genitori non erano vivi, questa era l’unica certezza che aveva avuto da quando era successa quella tragedia, mentre adesso arrivava quel ragazzino e mandava in pezzi quell’unica risposta concreta che gli era rimasta. Cosa intendeva dicendo che non erano morti?
-Loro vivono dentro di te. Finché continuerai a pensarli, non moriranno mai- gli spiegò. E, improvvisamente, Midorikwa capì. Non sapeva nemmeno lui come spiegare esattamente quello che gli era successo, ma qualcosa nel suo cervello, nella sua anima, era scattato, facendogli comprende che le parole del suo nuovo amico erano vere. Che era tutto vero. Il sussurro nella sua testa gli ripeté ancora di andare avanti, e lui, questa volta, lo ascoltò credendoci davvero, mentre sentiva il cuore farsi più leggero. Annuì con la testa verso Hiroto, per fargli capire che gli credeva, che avrebbe iniziato a vivere per davvero. Il rosso gli sorrise, e lui ricambiò con un sorriso spontaneo che gli venne dal profondo, mentre la coppietta di uccellini svolazzava loro intorno, cinguettando.
 
[Il falco spiccò il volo,
tornando a volare nel limpido cielo azzurro]
  
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