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Autore: precipitango    06/04/2008    0 recensioni
(solo agli sguardi è concesso di sperdersi nell'aria)
Un esperimento, null'altro. Per ora il rating è Arancione, ma credo che occorrà, fra breve, farlo saturare un po'...
Hope you'll enjoy it! :)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ineluttabile

- (solo agli sguardi è concesso di sperdersi nell'aria) -

*

Mancava un pezzo al suono della campana della prima ora, almeno secondo il suo orologio, eppure lui era già in classe, seduto vicino alla finestra con aria sognante.

Guardava gli altri ragazzi passargli sotto al naso, ridendo al pensiero che, dietro quegli spessi vetri, lui vedeva loro ma, quasi per magia, loro non potevano neanche immaginare che vi fosse qualcuno ad osservarli.

Rideva, certo, ma non troppo.

In realtà se ci avesse pensato meglio, avrebbe scoperto che così era stata tutta la sua vita, e allora non avrebbe più avuto tanto da ridere.

Aveva sempre vissuto come dietro ad uno scuro vetro compatto, guardando tristemente gli altri bambini giocare, senza alcun pensiero al mondo se non quello di divertirsi.

Eric sedeva invece presso la sua finestra, i begl’occhi verdi ricolmi di una tristezza celata da un falso sorriso.

Eric non sorrideva mai davvero. Non aveva motivi per farlo.

Eric guardava le risate degli altri, e già scompariva nella sua solitudine.

Si crogiolava in un cronico fastidio, alimentato da una voglia, presto divenuta necessità, di afasia pura.
Ma lui non era di quelli che vivevano piangenti, certo che no.
Lui era forte, doveva esserlo, doveva apparirlo.
Certo se fosse stato uno di loro, uno degli altri, si sarebbe goduto più liberamente ogni istante, senza lamenti, senza rendere necessariamente ogni respiro noioso, e incurante.

Sarebbe bastato poco.

Sarebbe bastato che le sue corde vocali non avessero tradito rimpianti costruiti, forse, con forza.

Sarebbe bastato che le sue braccia-mani avessero avuto maggiore consapevolezza di loro stesse, per dipingerlo in modo forse, o quasi, incantevole.

Eppure Eric era bello.

Molto bello.

Almeno era quello che dichiarava circa la metà delle ragazze del suo liceo, seguendolo svenevoli lungo i corridoi.

Era un ragazzo dalla pelle e dai tratti delicati, quasi femminili.

I morbidi capelli scuri gli ricadevano in ciocche distratte davanti agli occhi verdi come il mare.

Eric, inoltre, era di buona famiglia, anzi, di ottima famiglia.

Suo padre era un insigne oncologo, oltre che un discendente diretto di una celebre casata reale.

Possedevano numerose proprietà nei luoghi più belli d’Europa, dove trascorrevano le loro vacanze, e loro stessi vivevano in una enorme villa che, si narrava, fosse addirittura dotata di scuderie.

Insomma, era risaputo ovunque che ai Du Maurier non mancava proprio nulla.

Ed era questa, forse, più di ogni altra cosa, la causa del risentimento che i suoi compagni provavano nei suoi confronti.

I suoi compagni lo odiavano.

Eppure, pensava lui, io non ho fatto loro niente, cerco d’essere invece sempre garbato e disponibile… Ieri ho persino passato la versione a quel bruto di Matthew! Cosa avrò mai fatto per meritarmi il loro disprezzo e le loro derisioni?

Mentre pensava in tal modo, fu interrotto dal suono della campana.

Gettò un’occhiata al suo Cartier e, con aria un po’ contrariata, s’accorse che in effetti erano già le 8.10.

Fra un po’, come sempre accadeva, sarebbero arrivati tutti, e lui non avrebbe potuto più guardare al di fuori della sua adorata finestra.

*

La prima ad entrare in classe fu Chloe, che lo salutò sbadatamente con la mano e si diresse verso il suo banco, probabilmente, pensò Eric, per ripetere la lezione della prima ora.

Chloe era una ragazza di estrazione medio-bassa, piuttosto carina, sempre cordiale.

Era sempre in compagnia di un’altra ragazza, la sua compagna di banco, Denise, la quale fece il suo rumoroso ingresso in classe dopo pochi minuti, costringendo Eric a distogliere lo sguardo dal vuoto.

Questa, al contrario, parve non accorgersi neanche della sua presenza, ma si diresse come una furia verso Chloe, spettegolando fittamente su una ragazza della III B.

Eric, dal canto suo, tornò a guardare la finestra.

Pian piano la classe andava riempiendosi.

Arrivarono le altre ragazze che, dopo averlo salutato calorosamente, si riunirono civettanti presso i loro banchi, sospirando e lanciandogli continue occhiate. Qualcuna arrischiava perfino un saluto, seguito dallo scoppio di una risatina maliziosa.

Fu verso le 8.30 che arrivarono i ragazzi, come sempre, esultanti per essere riusciti a scappare dal vicepreside che li avrebbe sicuramente trattenuti, per i continui ritardi, fino alla seconda ora.

« Siamo troppo furbi per quel tricheco! »

Aveva urlato Matthew entrando in classe.

« Ma non troppo per me, signorino…»

Sfortunatamente, Matthew non aveva notato che la professoressa di storia dell’arte era già seduta dietro la sua cattedra, aspettando nessun altro se non proprio loro.

Biascicò delle scuse affrettate, e andò a sedersi al suo posto, proprio dietro Eric.

« Dovreste prendere esempio da lui, voi, là dietro. Du Maurier arriva sempre per primo. »

Mentre Eric si chiedeva perché mai dovessero sempre tirarlo in ballo, i ragazzi dietro, fra un’alzata di spalle ed una risatina compiaciuta, annuirono.

«« Sentito, Matt, come il signorino dovremmo essere… »»

«« Ma per favore, preferirei piuttosto farmi beccare da quel tricheco di Forbes…»»

«« Ma che ne pensa il nostro baronetto, eh? »»

Eric evitò volutamente tutti quei bisbigli. Sapeva benissimo che in realtà volevano che li sentisse.

«« Eric, piccino, hai lavato le orecchie questa mattina? »»

Uno sbuffo.

«« Ora che fai, Du Maurier, lo dici alla mammina? »»

Eric chiuse gli occhi, domandandosi perché mai dovesse sopportare tutto questo ogni giorno. Poi si ricordò che in effetti suo padre aveva intenzione di iscriverlo in un liceo privato, come sua sorella, ma lui ne aveva preferito uno pubblico.

Pensava così di riuscire ad avere più amici. Amici veri però, non quei bastardelli viziati figli dei colleghi di papà.

Ma forse, si chiedeva a volte, non era anche lui un bastardello viziato figlio di papà?

Non era forse per questo che ora, proprio in quel momento, Matt scimmiottava una sua imitazione?

Non era forse per questo che Brian, Ernie, Jimmy ridevano dello spettacolino offerto dal loro amico?

« Mi scusi, professoressa, potrei uscire? »

La domanda gli scappò ancor prima di averne realizzato il senso.

La professoressa lo osservò intensamente per qualche secondo, durante i quali sembrò volergli leggere la stessa anima, poi gli accordò il permesso, ricordandogli, ad ogni modo, che durante la prima ora non sarebbe stato possibile uscire dall’aula.

Ma Eric aveva bisogno di uscire, di allontanarsi per un po’ dagli scherni dei compagni.

Solo allora riflesse sulla parola compagno, derivante dal latino, cum panis. Un compagno era colui col quale si divideva il pane, il cibo.

Un compagno, nell’antica Roma, valeva molto più di un amico.

Ma Eric, ancora, non conosceva il valore né dell’uno, né dell’altro.

*

In giorni come quelli, in cui sembrava che l'autunno volesse ostinatamente dimostrare quanto fosse forte, quanto fosse dannatamente crudo con le sue foglie piangenti e tristi.

In cui sembrava che l'autunno pretendesse a tutti i costi di farsi valere, di farsi valere contro tutte le convenzioni prestabilite, incastrandosi magicamente ad ogni prevedibile aspettativa.

Un autunno stanco di svalutazioni epocali.

Era in giorni come quelli che gli mancava terribilmente.

Non sapeva che cosa potesse mancargli di lei.

Forse quel suo strano modo di sorridere in cui sembrava che volesse comunicargli amore perpetuo.

Forse, semplicemente, l’amore di una madre.

Le parole di quello stupido di Matthew, ora, bruciavano più che mai nella sua testa.

Richiuse la porta alle sue spalle, appoggiandosi contro il muro.

Respirò profondamente, quasi a voler aspirare, oltre che l’aria, anche un po’ di conforto.

Non riuscì a fermare la lacrima che ormai gli scorreva giù per le gote, né i singhiozzi che la seguirono.

No, lui non era uno di quelli che vivevano piangenti.

  
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