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Autore: bastille    12/10/2013    2 recensioni
[kyoutaku]
'cause we made a promise,
we swore we’d always remember.
no retreat, baby, no surrender.
blood brothers in the stormy night
with a vow to defend.
no retreat, baby, no surrender.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shindou Takuto, Tsurugi Kyousuke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cinquecento venticinque mila seicento minuti.




 


"Forse è più come hai detto prima, che dentro di noi si sono aperte delle crepe.
Ognuno all’inizio è una nave inaffondabile, poi ci succedono alcune cose: persone che ci lasciano, che non ci amano, che non capiscono o che noi non capiamo.
Ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo male, gli uni con gli altri.
E lo scafo comincia a creparsi, e quando si rompe non c’è niente da fare: la fine è inevitabile.
Però c’è un sacco di tempo tra quando le crepe cominciano a formarsi e quando andiamo a pezzi; ed è solo in quel momento che possiamo vederci, perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro."

John Green – "Città di Carta"


 

 a cristina perché lei crede in me, nonostante tutto e tutti.
 


 

Cinquecento venticinque mila seicento minuti, ventidue albe e trentanove tramonti, quarantasei caffè bevuti insieme, e quindici film visti.
Cinquecento venticinque mila seicento minuti, ventotto temporali, quindici cene a base di mc donald’s, e cinque weekend al mare.
Cinquecento venticinque mila seicento minuti, tredici litigi, dieci notti insonni, cinquanta sigarette, e troppi baci e sorrisi per contarli.
Cinquecento venticinque mila seicento minuti, e tre birre sul bancone del bar.

Kyousuke gioca con l’ennesima bottiglia di birra, se la rigira tra le grandi mani, mentre con il pollice ne traccia il profilo liscio, e sorride.

Ha le guance arrossate, un po’ per il caldo e un po’ per l’alcool -soprattutto per l’alcool- e l’alito che puzza di nicotina e di Amstel.
-Un’altra- soffia, trattenendosi dal ridere -ne voglio un’altra.-
-Non credi di averne bevute un po’ troppe, ragazzo? Sei giovane, quanti anni hai? Smettila, torna dai tuoi amici.- risponde il barman, non capendo il motivo di tutta quella ilarità.
-Ho detto che ne voglio un’altra-
Scuote la testa -Ti stai rovinando- e gliela posa davanti al viso, per poi allontanarsi e dividere due tizi che stanno per fare a botte.
Oh, ma questo Kyousuke lo sa già. Lo sapeva dal primo momento in cui ha messo piede in quel sudicio bar di periferia, se no perché l’avrebbe fatto?
Sorride, ma è un sorriso di quelli tirati, di quelli che dicono "va bene così" e invece non va bene affatto.
Sente il liquido scendergli giù per la gola in fiamme, bruciare nello stomaco, e un retrogusto amaro in bocca.
-Bastardo!-
-Sei tu che hai iniziato, figlio di…-

Beve e per un attimo gli sembra di mandar giù anche le sue preoccupazioni e tutti i problemi e pensieri, e sorride.
-Hey, niente risse nel mio bar! Fuori tutti e due.-
Appoggia la birra insieme alle altre tre, lascia una banconota da venti sul bancone in legno rovinato e se ne va.
Non gli importa del resto, che dovrebbe essere esattamente di… ah, chissenefrega.
Se ne va e sta ancora sorridendo, e forse riderà un po’ anche.


Sono le due e un quarto di notte, o del mattino?, e Kyousuke vaga per Inazuma Cho; le mani infilate nelle tasche della larga giacca nera, la sciarpa messa distrattamente, che gli nasconde la bocca, e gli occhi liquidi.
Fa freddo per essere solo ad ottobre, e Kyousuke non sorride più ora.
È seduto su una panchina, in un parco di cui non ricorda il nome, e lo sguardo è duro, distaccato.
Ha toccato il fondo, lo sa.
Probabilmente se fosse stato Yuuichi si sarebbe preso a schiaffi, fino ad avere le mani gonfie e doloranti. O se fosse stato Takuto si sarebbe rivolto una di quelle occhiate che solo lui sa fare, una di quelle deluse e arrabbiate, una di quelle che, le parole, non le urla -non ne ha bisogno- ma le sussurra, piano, tagliente.
Ma lui è Kyousuke, solo KyousukeEd è appena rabbrividito al solo pensiero di quel nome.
Gli fa male lo stomaco, ma non è l'acool, anche se è ubriaco, non è stupido. Gli manca, troppo da poter anche solo pensarci.
Sorride.
Tira fuori il cellulare, un gesto secco ed impulsivo, e digita il numero in fretta, quasi temesse di dimenticarlo -che cosa stupida, lui non dimentica mai. Nulla.
Uno squillo, due, tre...
Sorride.
-Ciao, sono io. Ma questo l'avrai già capito di sicuro... insomma, chi vuoi che ti chiami a quest'ora?- trattiene una risata -Ma non ti ho chiamato per dirti questo. Il punto è che, sì, sono ubriaco e, sì, so di essere un idiota, lo so bene. Ed è per questo che ho bisogno di te. Andrò alla stazione, perché è lì che ci siamo visti per la prima volta, e ti aspetterò. E magari ci sarai anche tu, forse non subito, tra un po', quando potrai insomma... solo dimmi che verrai, ti prego.-
Il blu comincia mentalmente a contare i secondi, trattiene il fiato, e... niente.
-Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa, ti prego.-
Niente.
Lancia il telefono con forza, e ride.
Ride alla faccia di chi ha detto che alle assenze, col tempo, ci si abitua e di chi ci crede pure, perché non è vero nulla, non ci si abitua mai.
Ride perché sa che se comincia a piangere non la smette più.


Sono le sette e trenta del mattino, e quello che è successo la notte a Tsurugi sembra solo un lontano ricordo sbiadito, forse un sogno.
La testa gli scoppia, ma non importa. Non importa, perché l'ha promesso, perché la voglia di sapere se Takuto gli ha attacato il telefono in faccia davvero o è stato solo un incubo lo tortura. E senza neanche accorgersene, ora è alla stazione, immobile.
Osserva i treni, le persone che partono e arrivano, che si salutano piangendo o sorridendo, magari ignorando il fatto che non si rivedranno mai più.
Lui non ha dedicato un anno a Shindou per vederlo partire, così, da un giorno all'altro, come fanno tutti; eppure quello che tiene un pezzo di carta bianca, un biglietto, in una mano e una valigia verde nell'altra è proprio lui.
No, si ripete più convinto, e il suo braccio sta già stringendo quello del moro, ma se ne accorge solo quando questo sussurra, sopreso, il suo nome.
Dire che gli è mancato è riduttivo, Tsurugi ora crede di aver dimenticato come si fa a respirare.
-Perché, dimmi perché- soffia, senza spostarsi di un centimetro dal corpo di Takuto.
-Non so di cosa tu stia parlando, Kyousuke- si dimena l'altro, liberandosi dalla presa, freddo -E se ti riferisci a questo biglietto, beh, non sono affari tuoi. Non ti deve più importare.-
Questo è un colpo basso, lo sanno entrambi, perché cinquecento venticinque mila seicento minuti sono tanti, e non può dirgli questo.
Cinquecento venticinque mila seicento minuti, e trentasette 'ti amo', ma evidentemente non sono bastati a riempire il silenzio di Tsurugi e a far restare, di conseguenza, Takuto. Perché se non fosse stato sempre così introverso, geloso dei suoi pensieri da non volerli quasi mai condividere, forse lui sarebbe rimasto.
La verità però è che a Kyousuke piaceva quando Shindou parlava, riempiendo lui i suoi silenzi al posto suo, o suonava per lui.
-Senti, mi dispiace, dico davvero Kyousuke. Te l'avrei detto una volta arrivato a Tokyo, perché volevo evitare proprio questo. Non posso restare, non ce la faccio. E forse un giorno tornerò, ma, ti prego, volta pagina. Io lo sto facendo, devi farlo anche tu. Sarà meglio per entrambi, fidati.- mormora, sorridendo appena.
-Non è vero, lo sai. E sai anche cosa voglio dirti, ma immagino che non conti più nulla.- sospira.
Non sente nemmeno il bisogno di piangere, non serve.
Takuto si allontana, stringendo saldamente la valigia; non ha percorso più di mezzo metro e sente già la voglia di tornare indietro.
Si volta, aspettando. Che cosa, però, non lo sa nemmeno lui.
Basterebbero invece otto semplici parole: ti prego, resta, perché ho bisogno di te.
-Allora... ciao, Kyousuke- sussurra, più a se stesso.
Il ragazzo inspira e "ti prego, resta, perché ho bisogno di te" pensa.
-Grazie di aver preso quel treno quella volta- dice invece, perché quelle otto parole non riesce a farle uscire dalla sua bocca.
Cinquecento venticinque mila seicento minuti, trentasette 'ti amo', tre arrivederci, otto parole, e un addio.




 

nda.
ssssalve people ~
ho scritto questa shot ieri sera, dopo aver pianto come non so cosa per la puntata di glee dedicata a cory monteith. vedere l'intero cast piangere mentre cantavano è stato qualcosa di impattante. --feels di una gleek, sorry.
anyway, mi è risultato difficile finirla perché, credo si sia notato, ero combattuta tra un happy ending e un finale invece che lascia con l'amaro in bocca. alla fine l'angst ha vinto. e poi volevo far soffrire kyousuke per takuto, perché di solito è sempre tsurugi lo stronzo .u.
ho scritto una kyoutaku perché è una coppia che amo e shippo -nonostante vada contro due mie otp- e perché quando c'è stato il kyoutaku day nella home c'erano le bellissime ff di autrici che personalmente adoro, una dopo l'altra -non faccio nomi, non mi sembra il caso- che mi hanno fatto venir voglia di scrivere qualcosa su di loro. ora so che sembrerà stupido, ma credo che nessuno possa capire quanto sia stato bello per me vedere la home quel giorno: mi sembrava di essere tornata ai vecchi tempi, quelli dove le bimbeminchia erano pressoché assenti e.. boh, ero contenta.
vabbè, la finisco qui.
spero davvero con tutto il cuore che vi sia piaciuta. so che lo dico sempre, ma sappiate che lo dico sul serio.
grazie mille di essere arrivati fin qui
simo.

  
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