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Autore: MistakenWind    12/10/2013    0 recensioni
Sentii il vento soffiarmi sulla faccia, scompigliarmi dolcemente i capelli. Era freddo, e sentivo le mie mani congelarsi sotto i guanti, le gambe tremare leggermente. Ma ero felice. Probabilmente quella fu l'unica volta che riuscii a vedere la felicità così vicina a me.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Demetria


 

Cosa c'è di meglio di una buona tazza di caffè caldo che ti riscalda mani e cuore, un bel divano su cui sprofondare e un momento dove decidere di smettere di correre e fermarci a pensare totalmente a noi stessi. Niente problemi da risolvere, niente pensieri che vagano alla ricerca di un loro filo conduttore, solo una tazza di caffè dove possiamo vedere riflessi i nostri occhi nel liquido scuro. 
Riesco a sentire il tepore dei miei ricordi salire in alto verso il soffitto della stanza insieme al fumo caldo del caffè. L'atmosfera è rassicurante e sembra voglia assecondare il mio corpo stanco, che grida silenziosamente parole di pietà a me conosciute troppo bene. La manica sinistra del golf si solleva un po', quel tanto che basta per farmi risaltare all'occhio quei segni che ormai sembrano essere un tutt'uno con la carne.
Cicatrici che portano il nome di lacrime, menzogne, paure, incertezze. Segni profondi. Contagiano la circolazione del sangue e lo rendono amaro come il fiele e dolce come la morte. 
Fa male ricordare. Alcuni ammettono con decisione che ricordare mette paura. I pugnali che hanno ferito, tornano, come negli incubi, a dar strazio alla carne e all'anima che si corrode sotto il peso dei giorni. Le palpebre si chiudono e si riaprono velocemente, si inumidiscono e bruciano leggermente. Ecco le lacrime.
Solcano il volto leggere come piume portando il peso di cento pietre che lasciano solchi profondi al loro passaggio.
Cos'è che ricordiamo meglio in fondo? Perchè rimane solo il gusto amaro della rabbia e della tristezza a far compagnia al palato? Eppure, le nostre labbra ne hanno visti di sorrisi, di baci dolci, di parole sussurrate al vento con armonia e felicità. Sembrano però non voler marchiare il nostro corpo.
Intervalli di tempo. Ci distolgono forse dall'enorme peso della realtà che sorreggiamo sulle nostre spalle? 

Il caffè si raffredda, così come le mie mani ed il mio cuore. Lo sguardo è sempre la, e mi osserva a lungo infranto talvolta dalle increspature del liquido. Concederò al mio corpo quella pausa che da anni aspetta, e lo riscatterò con le parole più belle che potrei riuscire a trovare. E probabilmente, finalmente sarò felice.


Era una giovane donna, indubbiamente bella, solare, con un fisico tonico e due occhi caldi come la terra. Più e più volte si accarezzava la pancia rotonda e si guardava allo specchio, contemplando le sue linee che a poco a poco cambiavano. Sul suo volto si colorava un sorriso di madre, un sorriso fiero e contagioso. Ricercava l'amore perfetto nelle più piccole cose, e nel suo sguardo qualcosa le diceva che era certa di averlo trovato. 
Un uomo forte e di bell'aspetto, con un sorriso smaliante e due occhi da sognatore che guardavano lontano oltre i confini della vista. Lei era follemente innamorata di lui. Lui di lei probabilmente. 
Passavano la loro esistenza l'uno di fianco all'altra, lavorando per poter permettere ad una nuova vita di vivere come principe, o principessa nel loro castello di legno. La futura madre si guadagnava il pane come insegnante di danza classica. Indossava quelle punte un po' spaccate dal tempo, e nonostante la pancia rotonda e pesante e gli svariati mal di schiena, ballava tutto il giorno e tutto il giorno la musica risuonava anche nell'antro buio e scuro dove dormiva il bambino. Non si stancò mai di muoversi seguendo la musica, inventare nuove coreografie e muoversi leggiadra come la neve, lasciando negli occhi delle allieve uno stupore timido e infantile. Tutte, a distanza di anni, ricordano della donna che ballava come spinta dal vento, con le punte rotte e i piedi arrossati per lo sforzo. 
Qualcosa però ruppe il loro castello di legno. Qualcosa che lasciò lividi sul corpo e l'anima della donna, qualcosa che però non le impedì di dare alla luce quella che poi sarà la sua unica ragione di vita.

Strinse più e più volte la creatura tra le braccia sussurrando il suo nome tra le lacrime, respirandone a fondo il profumo e sentendo il sangue che correva nel suo giovane cuore impetuoso. La sua ancora di salvezza.

Un errore, uno sbaglio del tempo. Si rimproverò di esser nata dalle ceneri di un castello in fiamme, rimpianse di non aver mai trovato il coraggio di farla finita e mettere fine alle sofferenze della carne. Ogni volta però preferiva rialzarsi e andare avanti.
Il corpo però si logora e incamera ogni tipo di emozione. A lungo andare si ripiega su se stesso, collassa oppure scoppia, come un vulcano.
Un errore.
Un errore così dannatamente bello e imperfetto.
Un errore che porta il nome di Demetria.
  
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