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Autore: rosa_bianca    12/10/2013    1 recensioni
E se la madre del temuto Fantasma dell'Opera, invece di consegnarlo ad un circo di zingari, avesse deciso di affidarlo ad un convento parigino?
E se, il caso volesse, quest'ultimo fosse proprio il Petit Picpus, rifugio di Valjean e Cosette?
Cosa succederebbe se, quello che sarebbe in un'altra vita un futuro Fantasma, venisse accudito dal nostro ladro di pane preferito?
Come si evolverebbero i fatti? Cosa accadrebbe nel noto 1832, anno della Ribellione di Giugno?
Leggete e scoprirete.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Cosette, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 giugno 1832, Vespro
 
 
 
Cosette entrò in casa a passi lenti e rassegnati, mentre Valjean aveva già raggiunto il suo studio.
Non lo avevano trovato, in ben un giorno di ricerca. Internamente, sia il padre che Toussaint avevano perso quasi del tutto le speranze.
Cosette no. Lei era certa, certissima, che Erik si trovava da qualche parte vicino a lei, che la stava pensando e che sarebbe tornato a casa presto.
Continuò a camminare fino a trovarsi davanti alla porta della sua camera. Vi entrò e si posò sul letto.
Ripensò alle parole di Valjean.
 “La gente vocifera che ci sarà una sommossa, domani. Dovremo interrompere le ricerche.”
A sentirlo, Cosette si stupì di suo padre. Come aveva potuto dire una cosa del genere? Eppure lei pensava che gli importasse trovare Erik… evidentemente non quanto importasse a lei.
Ovviamente, questo non era che il suo pensiero, ma in realtà Valjean, nel suo studio, si stava arrovellando anche lui per trovare un modo sicuro di continuare a girare per Parigi anche il giorno successivo.
La differenza è che a Cosette non importava la sicurezza.
Se Erik fosse morto, morirei anch’io.
Poi la mente le andò al giovane che aveva visto per la seconda volta quel pomeriggio. Sospirò amaramente.
Perché sembrava che tutto andasse così male? Non sapeva neanche il suo nome…
Cosette strinse i pugni e si alzò. Scese rapidamente le scale ed informò Toussaint che quella sera non avrebbe cenato.
No, avrebbe avuto cose molto più importanti da fare…
 
 
 
 
 
 
 
 
5 giugno 1832, Mattina
 
 
 
Erik non si era mai sentito così frastornato. Da quando si era svegliato, quella mattina, era come se non avesse avuto più la pallida idea di ciò che stava succedendo sotto i suoi occhi.
Aveva seguito Gavroche, e questo bastava per farlo sentire al sicuro, per quanto possibile.
Non aveva mai partecipato ad un funerale. La bara di Lamarque era un’enorme cassa da morto di mogano, ornata da bandiere tricolori a non finire.
Poi, in un attimo, tutto era degenerato. Uno sparo sulla folla, e gli Amici dell’ABC si erano messi a correre verso la barricata. Ce n’erano moltissime, sparse in tutta la città.
Enjolras li aveva guidati al Corinto, che sarebbe stata la loro base. Si erano armati, avevano caricato le pistole, la barricata era pronta.
A quel punto Erik sentì che stava per iniziare. Cosa? Tutto e niente, si disse.
La locanda si era popolata di donne con grembiuli candidi, che avrebbero fatto da infermiere.
I ragazzi si erano rifugiati dietro i mobili che costituivano l’alta barricata, con i fucili in mano.
Gavroche era eccitatissimo, e se ne andava ovunque a chiedere se avessero bisogno di aiuto.
Erik iniziò ad avere paura, invece. Eppure, qualcosa in quell’atmosfera euforica ed allo stesso tempo pregna di timore, lo faceva sentire coraggioso.  Si tastava spesso la maschera per controllare che aderisse perfettamente sul volto, e ne conseguiva sempre un impercettibile sospiro di sollievo.
“Erik, vieni!” gli gridò Gavroche, facendo cenno con la mano di avvicinarsi. “Ti voglio presentare mia sorella, Eponine.”
Erik squadrò la giovane, senza chiedersi il perché del suo abbigliamento maschile. Ecco chi era! La ragazza che aveva portato l’annuncio della morte del Generale.
“Stai zitto, o mi scopriranno!” bisbigliò affannata lei, puntando involontariamente gli occhi sul solito giovane. “E vedi di non parlare neanche tu!” consigliò, minacciosa, ad Erik. Poi girò i tacchi e rientrò nella locanda.
“Non ci fare caso, fa sempre così.” sorrise Gavroche, stringendosi nelle spalle con aria vissuta. “E pensa che questa è l’unica sorella con cui riesco ad avere una conversazione civile! Ma se non ci fossi io, lei sarebbe perduta!”
La mente di Erik andò a Cosette. Chissà se lo stava ancora cercando, in carrozza, come il giorno prima. Magari aveva lasciato stare. Provò una fitta di dolore solo al pensiero.
In fondo non era questo che volevo? Che mi lasciassero in pace, che continuassero a vivere le loro vite senza essere disturbati dalla mia maledizione?
“Gavroche!” chiamò una voce, dal lato sinistro della barricata.
“E’ Courfeyrac, andiamo.” suggerì il piccolo biondo. Raggiunto l’uomo, i due si misero ad ascoltarlo.
“Sentite, ho bisogno che mi facciate un favore.” iniziò, quasi bisbigliando, accompagnando le parole ai suoi soliti gesti “Lo vedete, no, Marius?” chiese, indicando con la testa un ragazzo alto alla porta del Corinto. “Bene, ho un assoluto bisogno che me lo controlliate per bene.”
“Cosa?” esclamò Gavroche, quasi offeso “Io sono venuto qui per combattere, non per fare da balia ad uno con più del doppio dei miei anni!”
Courfeyrac parve offeso, ma non ribatté. Lanciò  invece uno sguardo pietosamente interrogativo ad Erik. “Lo potresti fare tu, allora?” domandò, e poi aggiunse, con un tono a cui non si poteva dire di no “Per favore…”
Erik si strinse nelle spalle. Osservò brevemente il ragazzo indicato da Courfeyrac. Notò che aveva un’aria sognante che gli parve da scemo.
“Va bene, accetto.” rispose con calma. Courfeyrac, dopo aver visto l’espressione di Erik, disse fiero “Comunque, non è come sembra, diciamo. È un ragazzo d’oro, davvero intelligente.” Fece una pausa.
“A te il compito di controllare che non faccia cavolate.” concluse, e si ritirò dentro il Corinto per fare incetta di armi.
Erik si esaltò subito del suo primo compito. Almeno, in questo modo avrebbe aiutato.
Lasciò che Gavroche tornasse dalla sorella e si diresse, senza farsi troppo notare, verso Marius.
La battaglia non era ancora iniziata, e tutti si muovevano, come per mascherare il nervosismo, avanti e indietro, portando tra le braccia armi, mobili in legno per la barricata, chiedendo alle donne affacciate ai balconi di lanciare materassi.
Enjolras stava istruendo un ragazzo molto più giovane di lui a prendere la mira per sparare, quando un rumore dietro di lui colse la sua attenzione.
“Va a digerire il vino che hai bevuto fuori di qui. Non disonorare la barricata.” ordinò, freddo, senza neanche voltarsi per cercare il contatto visivo con l’interlocutore.
Grantaire, dal canto suo, si era appoggiato ad un tavolino con tre gambe, e osservava la schiena del suo marmo.
“Tu sai che io credo in te.” disse, in tono serio e non più sognante. Non sembrava più ubriaco.
“Vattene.” sibilò Enjolras, ancora girato verso il giovane con la pistola.
“Lascia che dorma qui.” lo supplicò l’altro.
“Va a dormire in un altro posto!” gridò l’uomo vestito di rosso, voltandosi bruscamente e puntando i suoi occhi chiari ed ardenti in quelli scuri di lui.
“Lasciami dormire qui, fino alla morte.” rispose con voce grave.
Erik strabuzzò gli occhi dinnanzi a tanta testardaggine. Non era sicuro che avrebbe agito con tanta ostinatezza, se si fosse trovato davanti quello che non era un uomo, ma una fiamma. Notò che Marius ed altri Amici non stavano osservando la scena. Solo tre o quattro avevano, come lui, gli occhi puntati sui due uomini.
“Grantaire, tu sei incapace di credere, di pensare, di volere, di vivere e di morire.” constatò duramente Enjolras.
“Vedrai.” fu la risposta lugubre che seguì. Il capo si voltò, con fare noncurante ed addirittura seccato dal comportamento del compagno.
Erik, che era un acuto osservatore, notò il leggero brivido che scosse Enjolras dopo la risposta dell’ubriaco. E si chiese come faceva, quell’uomo, a non far notare le sue emozioni. A rimanere sempre come… come una statua, ecco. Impassibile. Chissà quante cose avrebbe voluto dire ancora, quante altre risposte avrebbe desiderato dare…! Eppure era lì, fermo immobile.
Erik si disse che era meglio cercare di fare qualcosa di più utile di rimanere a fissare la schiena di una persona –cosa che non passò neanche per l’anticamera del cervello a Grantaire-, dunque girò i tacchi per entrare al Corinto. Aveva moltissima sete, poiché non beveva dalla sera prima. Quella era una locanda, quindi doveva pur esserci un po’ d’acqua per lui, giusto?
Al solo entrare, le sue narici furono pervase da un acre odore di polvere da sparo, che cercò di ignorare. Però, prima che potesse anche solo muovere un passo per cercare una botte, il naso prese a solleticargli irrefrenabilmente. Il suo corpo si flesse all’indietro e, con impeto, si sporse dal lato opposto a starnuto finito.
Ma Erik avrebbe dovuto capire subito che c’era qualcosa che non andava. Insospettito dagli sguardi delle neo-infermiere, posò lo sguardo in terra.
I suoi occhi incrociarono un piccolo taglio di tela bianca dalla rozza forma di un mezzo viso.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Eccoci al capitolo numero… 5!
Allora, le ricerche di Valjean e Cosette sembrano non andare proprio proprio a meraviglia, purtroppo.
Intanto Erik prende parte al funerale di Lamarque, e raggiunge finalmente la barricata. Si prende la responsabilità di ‘osservare’ Pontmercy (ma che caro ragazzo!).
Ma, soprattutto…*rullo di tamburi*… gli cade la maschera! E ora?
Lo saprete nel prossimo capitolo!
(Oddio, fa molto telenovela XD)
Vabbè… grazie a coloro che leggono e recensiscono!
rosa_bianca
 
   
 
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