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Autore: HellWill    12/10/2013    0 recensioni
Il traumatico primo giorno di scuola di Enya inizia male e finisce peggio; alla bambina sembra una tragedia, ma scopre che ci sono cose peggiori (e migliori) dei compagni di classe che ti prendono in giro...
{È la prima storia di tenerezze padre-figlia che scrivo, abbiate pietà di me. :°D}
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Papà?».
La luce che entrava dalla finestra socchiusa quasi danzava sui capelli rosso fiamma della bambina che in quel momento lo stava guardando imbronciata, sovrastandolo.
«Ah.. merda».
L’uomo si sedette di scatto, mentre la bambina alzava gli occhi al cielo.
«Sono già le sette!» lo rimproverò con la sua vocina acuta, parecchio arrabbiata. Aidan sorrise appena, sorridendo, e scosse il capo mentre le carezzava i lisci capelli rossi; per qualche istante si perse nei suoi occhi verdi, uguali a quelli della madre, poi sorrise un po’ di più, alzandosi dal letto.
«Cosa vuoi per colazione?».
La bambina gli trotterellò dietro, tentando di tenere il passo con quelle lunghe gambe, e si arrampicò su una sedia della cucina, sorridendo timidamente.
«Pancakes!».
«Arrivano» sorrise l’uomo, passandosi una mano fra i capelli neri e sbadigliando: mise in mezzo l’occorrente e in una ventina di minuti era riuscito ad accontentare la figlia, che gli sorrise raggiante mentre prendeva il primo boccone. «Allora... oggi è il primo giorno di scuola, vero? Sei nervosa?» mormorò lui, sorridendo e sedendosi accanto a lei. L’uomo sbocconcellò una fetta di pane tostato e la bambina rovesciò il sorriso all’ingiù.
«Mm» mugugnò, per niente soddisfatta.
«Non vuoi andarci?».
La bimba lo scrutò attentamente, come se lo stesse sondando per carpirne i pensieri.
«...significa che posso non andarci?» chiese speranzosa, prendendo il secondo boccone e continuando ad osservarlo con aspettativa. Aidan rise piano.
«No».
«Oh» Enya ritornò a fare un faccino depresso a cui l’uomo non seppe resistere, e le baciò la fronte.
«Dai, non sarà così terribile, vedrai. Ti divertirai e imparerai tante cose nuove!».
La bambina sbuffò, incerta se credergli o no, e lasciò la colazione a metà mentre scendeva dalla sedia e sgambettava via in camera sua. L’uomo la seguì, apprensivo, e la trovò in bagno che si era messa in piedi sulla sedia per lavarsi: sorridendo, le si affiancò e si lavò anche lui, togliendosi via la polvere del proprio lavoro notturno.
La vestizione fu difficile e travagliata: Enya non era mai contenta di quello che le proponeva e quando indossava quello che le piaceva cambiava immediatamente idea, arrivando anche a scoppiare a piangere fra le braccia del padre, che la tranquillizzò con parole dolci e sicure.
«Sarai bella con qualunque cosa addosso, Enya».
«Non è vero!».
«E invece sì.. perché tu sei la mia bellissima Enya. Non è vero?».
«Sì.. sono bellissima?».
Quegli occhioni verdi spalancati erano un balsamo per la sua anima travagliata, e Aidan non poté fare a meno di sorridere per non far uscire le lacrime che gli pungevano gli occhi: Enya era così simile ad Alexandra...
«Sì, lo sei davvero».
Un sorriso timido si riaffacciò sul suo visino minuto e Aidan la vestì per l’ultima volta, facendole indossare un vestitino verde pastello che la faceva sembrare una bambola, dato che legava con i suoi occhi in un modo particolare.
Dato che la scuola elementare era vicina, Aidan decise di fare la strada a piedi: prese per mano Enya, che scrutava il vicinato con ansia, e si mise a parlarle di come a settembre il tempo fosse ancora bello per il mare e di come ad ottobre si sarebbe levato un vento fresco che avrebbe reso impossibile fare il bagno. Enya si limitò ad annuire piano: ricordava i loro tre giorni di mare, si era divertita e l’acqua le era sembrata il suo elemento naturale.. cosa avrebbe dato per ritornare lì, in quella calma liquida e silenziosa! In qualche modo il pensiero del mare riuscì a calmarla, e si accorse che suo padre si era chiuso in un silenzio misterioso: gli tirò piano la mano e lui la guardò con gli occhi azzurro chiaro, assente.
«Papà?».
«Sì?».
«Cosa farò a scuola?».
Il pensiero, chissà com’era, non la intimidiva più così tanto: era curiosa, ora, e voleva sapere cosa la attendeva. Aidan sorrise.
«Ci saranno altri bambini, più o meno della tua età, e conoscerai la maestra...».
«Maestra?».
«Sì. È una persona adulta che deve prendersi cura di voi e insegnarvi delle cose, come..».
«Leggere e scrivere?».
«Sì. Tu sai già leggere, quindi non ti spazientire se andrete un poco lenti all’inizio, capito?».
Enya sorrise raggiante.
«Capito! Quindi sarò la più brava della classe!?».
Aidan rise piano. Enya l’aveva notato: suo padre non rideva sguaiatamente, in modo rumoroso.. anzi, si poteva dire che lui quasi stesse attento a produrre il minimo rumore. Era un atteggiamento strano, ma l’aveva abituata al fatto che il silenzio era piacevole, non era un vuoto da riempire ma anzi, in esso si potevano nascondere tante cose.
«Non lo so, Enya... Può darsi che qualcuno dei tuoi compagni sappia già leggere e scrivere, come te, oppure no.. lo saprai fra poco, in ogni caso, no?».
«Mm» mormorò la bambina: la sua attenzione si era focalizzata sull’enorme edificio di mattoni rossi che li sovrastava. Quell’edificio le piaceva poco, anche se aveva farfalle e fiori colorati sulle finestre questo non lo rendeva meno minaccioso. «Quando inizia?».
Suo padre diede una scorsa al telefono cellulare.
«Fra qualche minuto. Ti devo fare delle raccomandazioni, piccola mia» disse, accovacciandosi di fronte a lei. La bambina evitò il suo sguardo: sul porticato della scuola c’erano tanti altri bambini, soprattutto con tante donne.
«Papà...». L’uomo le carezzò la guancia e lei lo guardò titubante. «Cosa ci faccio qui?» mormorò lei, a disagio.
«Ci sei... e ci sarai. Piccola mia, non avere paura.. qualunque cosa succeda tu me la dici e vedremo se possiamo risolverla, va bene? Certo, dovrai fare molte cose da sola, ma io sarò sempre accanto a te... voglio che questo ti sia chiaro».
«Lo è» mormorò Enya: non avrebbe sopportato che qualcun altro si occupasse delle sue cose, tanto che le dava fastidio persino essere vestita da suo padre e, lentamente, stava imparando ad allacciarsi le scarpe da sola.
«Non rispondere male alla maestra.. e nemmeno ai tuoi compagni. Non dar loro retta se fanno confusione, non cacciarti nei guai, va bene?».
Enya annuì forte e le porte della scuola si spalancarono: lei si girò di scatto, spaventata, e i suoi capelli rossi rifletterono la luce del sole, mandando bagliori. Aidan si alzò e le carezzò il capo, mentre la accompagnava dentro: dopo qualche minuto suonò la campanella e lui le lasciò la mano, sorridendole.
«Vai, la tua maestra è quella lì» le indicò una donna con i capelli biondi e dall’aria materna.
«Somiglia a River» mormorò lei, colpita, e suo padre si irrigidì appena.
«Sì, un poco. Ora vai, piccola, cerca di stare bene... ti verrò a prendere alle quattro».
«Così tardi!» gemette la bambina, nuovamente ansiosa, ma a quel punto il padre la spinse verso la donna, che le sorrise e vigilò anche sugli altri bambini; ed Enya si sentì più sola che mai.
 
Enya era silenziosa, e Aidan non aveva realmente voglia di sentire la sua voce dirgli cose che già sapeva: l’avevano presa in giro, o maltrattata, o spintonata, e lei non voleva aiuto per queste cose ma anzi, voleva risolverle da sola.. o forse stava dando troppe cose per scontato? Tamburellò le dita sul volante, grattandosi una tempia con irritazione, e senza distogliere lo sguardo dalla strada le diede un’occhiata veloce: pallida e piccola, rannicchiata sul sedile accanto a lui, sembrava scomparire nel vestitino verde.
«È andata così male?» si arrischiò a chiedere piano, ma nonostante avesse avuto il tatto di parlare a bassa voce la bambina sussultò come se avesse urlato: non era un buon segno. Enya si schiarì la voce.
«Uhm» borbottò, senza volergli mentire ma senza volerne parlare. Aidan storse le labbra e sorrise appena.
«Me lo fai un sorriso?» le chiese, per alleggerire l’atmosfera. La bambina aggrottò la fronte e guardò fuori dal finestrino.
«Cos’è una mamma?» chiese, con un filo di voce.
Mancò poco che Aidan finisse contro un albero, nel dirigersi verso la spiaggia; avevano il loro rito, loro due: il pomeriggio mollavano qualsiasi cosa stessero facendo e andavano sulla spiaggia, a guardare il mare. L’uomo cercò di recuperare la calma, ma ormai Enya aveva notato il fatto che si era irrigidito sul sedile e stringeva convulsamente il volante; fortunatamente, erano giunti alla loro meta. La bambina non si fece sfuggire nemmeno una mossa del padre e, quando lui le aprì la portiera dell’auto, gli prese timidamente la mano.
«Sei arrabbiato con me? Non dovevo chiedertelo?» chiese con un filo d’ansia nella voce, e l’uomo abbassò lo sguardo in modo vacuo.
«Ma che dici? No, no, non sono arrabbiato con te..» mormorò lui, stringendole forte la mano, così tanto che le fece un po’ male.
«E allora cos’hai? Non ti senti bene?» chiese ancora lei, se possibile più in ansia. Aidan sorrise appena.
«No.. voglio parlarti di una cosa».
La bambina tacque, non sapendo cosa dire e non essendo sicura di voler sapere cosa il padre volesse dirle, e lo seguì trotterellando sulla spiaggia, fino alla linea disegnata dalla battigia. Lì, suo padre si sedette e si tolse le scarpe, affondando i piedi nella sabbia: lei lo imitò, avendo cura di sistemarsi il vestito sotto il sedere per non riempirsi di sabbia le gambe.
«Sai, Enya.. ogni essere vivente ha un ciclo naturale» cominciò l’uomo, in tono malinconico.
«Un ciclo?» mormorò la bambina, tirandosi le ginocchia al petto e guardando l’orizzonte che si confondeva fra cielo e mare.
«Sì... ognuno di noi nasce, cresce, e poi, un giorno.. muore» mormorò Aidan, socchiudendo appena gli occhi, abbacinato dallo scintillio delle onde davanti a loro.
«Muore» ripeté lei con tono piatto. «Cosa significa?».
«Significa che quella persona non vive più.. il suo corpo perde vita, e la sua anima sopravvive solo in quelli che ricordano quella persona» mormorò lui, con tono più dolce.
«E dove finisce il suo corpo?» la bimba si voltò verso di lui, sondandolo attentamente con lo sguardo. Lui sorrise appena.
«Ovunque venga messo, quel corpo diventerà nutrimento per il mondo. Ci si riunisce con il tutto, si diventa il tutto».
Enya si sentì sollevata, senza sapere un perché.
«Oh.. mi sembra un buon modo per lasciare il corpo. E tutto il resto?».
Aidan si voltò verso la bambina, aggrottando le sopracciglia.
«“Tutto il resto”?» chiese, confuso. Enya annuì piano.
«Sì.. quello che mi fa sentire triste o felice. O anche quello che mi fa piacere i pancake. Quello non è il corpo.. è qualcos’altro, no? Tutto il resto oltre al corpo» mormorò lei, impacciata. Aidan sorrise e sembrava sollevato.
«Oh.. l’anima, intendi».
«Si chiama così? Lanima?».
«Anima, sì, si chiama anima. È ciò che ti rende Enya.. ciò che mi rende Aidan».
«Ma tu sei papà».
Aidan rise piano e Enya sorrise: gli piaceva sentir ridere suo padre, era segno che andava tutto bene... aveva imparato a sue spese che se lui non rideva per troppo tempo, c’era da preoccuparsi.
«Il mio nome è Aidan, però».
«E dove finisce l’anima?» mormorò Enya, interessata. L’uomo alzò lo sguardo al cielo, tentato di citare un famoso cartone animato, ma poi sorrise.
«Nel tutto, anche lei».
«Non capisco..» mormorò lei, stropicciandosi gli occhi.
«Non fa niente.. sei piccolina, piccola mia» mormorò lui, attirandola a sé in un abbraccio. La bimba si rifugiò sotto il suo braccio, appoggiando la testa sulle sue gambe, e restarono entrambi a fissare il mare per un po’, senza parlare più.
«E la mia mamma è morta?» mormorò lei dopo un po’. Sentì i muscoli del padre irrigidirsi tutto attorno a lei, come era successo in macchina, e come un lampo la comprensione arrivò: non era rabbia, come aveva ipotizzato, ma dolore, puro e semplice dolore.
«..sì, Enya, poco dopo la tua nascita» mormorò lui, carezzandole i capelli rossi.
«E perché?».
«Non importa. Tu sei qui».
«A scuola hanno tutti una mamma» sussurrò lei, mentre la prima lacrima le oltrepassava il naso e finiva sui pantaloni di suo padre, su cui strofinò il viso per non farsi vedere piangere.
«Ti hanno presa in giro?» mormorò lui, intenerito e malinconico alla vista della propria bambina così desolata. Lei singhiozzò, in una maniera quasi adulta, quasi dignitosa, ma poi iniziò a piagnucolare in modo degno di una bambina, e Aidan la strinse forte a sé, sollevandola dalla sabbia.
«Mi hanno chiamata Zenzerooo»* pigolò lei, disperata, singhiozzando e piangendo forte come se fosse appena ruzzolata giù per un burrone, e il padre la strinse forte e la cullò contro di sé per un po’, fin quando non si fu calmata abbastanza da udire la sua risposta.
«Ma sì, tu sei la mia Zenzerina» mormorò lui, scostandole i capelli dal visino, e lei si stropicciò gli occhi, solo per guardarlo malissimo, con un evidente broncio e le guance bagnate. «La mia piccola testa rossa»* mormorò lui, sorridendo dolcemente. Enya sorrise piano e si strinse a lui, accoccolandosi contro il suo petto.
«Come si chiamava la mamma?» mormorò lei dopo un po’, per vincere il sonno che la stava portando via.
«Alexandra» soffiò lui, stringendola appena più forte.
«Amavi tanto la mia mamma?» sussurrò lei, e Aidan fece un sospiro che aveva un che di tremolante.
«Sì, immensamente. Almeno quanto amo te» mormorò l’uomo, chiudendo gli occhi per impedire alle lacrime di uscire.
«Tu mi ami?» chiese lei, sorpresa, aprendo gli occhioni verdi e fissandolo. Aidan ridacchiò e la strinse più forte a sé.
«Ovvio che ti amo. Sei mia figlia.. tutti i genitori dovrebbero amare i propri figli».
«E la mamma mi amava?» mormorò lei, guardando il mare e bevendo ogni singola parola come se fosse acqua e lei stesse morendo di sete.
«Certo, immensamente anche lei».
«E allora perché se n’è andata?».
Aidan sussultò e le lacrime uscirono senza che lui potesse farci nulla.
«Lei.. non è stata colpa sua. Lei non voleva andarsene.. lei voleva restare con noi, per sempre» mormorò lui, piangendo silenziosamente. Enya sentì il tremore che lo animava e sollevò di nuovo lo sguardo, stupendosi nel vederlo piangere: suo padre, l’uomo impenetrabile che faceva tutto da solo.. stava piangendo. D’improvviso si vergognò molto per avergli provocato quel dolore e si fece piccola sul suo grembo, appallottolandosi come un riccio.
«Non volevo farti male..» sussurrò, ricominciando a piangere anche lei.
«Non me l’hai fatto, piccola mia, è solo un dolore troppo grande, sono passati solo sei anni.. lasciami soffrire, amore mio» mormorò lui, baciandole piano la testa rossa, e lei sollevò lo sguardo senza capire cosa volesse dire.
«Lasciarti soffrire?» sussurrò, colpita.
«Ognuno di noi elabora il dolore come può» mormorò lui, rimanendo con le labbra appoggiate sulla sua testa.
«Oggi mi hanno tirato i capelli» Enya si lisciò i lunghi capelli rossi che, lisci, le cadevano sulle spalle, quasi con fare protettivo. «Io li ho spintonati e la maestra mi ha messo in punizione».
«In quanti erano?» chiese lui, aggrottando la fronte.
«Cinque» confessò lei, piena di vergogna.
«E li hai spintonati tutti?».
«Solo due. Gli altri li ho picchiati».
Aidan restò a fissarla senza parole e Enya arrossì.
«I miei capelli non si toccano» cercò di giustificarsi, come se fosse una cosa ovvia, e il padre scoppiò a ridere. La bambina rimase sbalordita: mai lo aveva sentito ridere così forte e così di gusto, ma forse dipendeva dal fatto che lì nessuno poteva sentirlo.. se non lei. E lei prese quella risata come il più grande regalo che il padre le avesse mai fatto, quella risata era solo per lei, e lui aveva deciso di farla sentire solo a lei.
«Ti sei battuta con cinque bambini! E hai vinto!» rise lui, evidenziando la cosa. Enya non capiva.
«E allora?».
«Non è mica una cosa da tutti i giorni!».
«Non mi toccheranno più i capelli almeno» commentò lei, torva, lisciandosi ancora i capelli. L’uomo rise di nuovo, stavolta piano come al solito, e le fece cenno di rimettersi i sandali. La bambina eseguì impacciata, mentre anche il padre si infilava calzini e scarpe, e quando entrambi furono in piedi si presero per mano.
«La mamma è ancora viva, papà?» mormorò poi lei, prima di salire in macchina. Aidan non ebbe bisogno di pensarci: sollevò gli occhi azzurri sulla figlia, aprendole la portiera della macchina, e sorrise.
«Sì, Enya. Lei vive in me e nei miei ricordi» mormorò, allacciandole la cintura. «E vive in te.. hai i suoi stessi occhi, i suoi capelli. Era bella come te» disse, baciandole il naso. La bimba fece una smorfia, ma sorrise: forse dopotutto non era male essere Zenzero.
 
 
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*Zenzero: Dal momento che Aidan e Enya vivono negli Stati Uniti, parlano inglese. Zenzero, in inglese, è “Ginger”, che è anche uno dei ‘soprannomi’ dati alle persone con i capelli rossi. In questo caso, dunque, i compagni di Enya la prendono in giro perché ha i capelli rossi, chiamandola Ginger.
 
*Testa rossa: Anche questo è una parola inglese: “Redhead” (lett. “Testa rossa”) è il nome con cui vengono indicate le persone con i capelli rossi. Questo nome è meno offensivo di “Ginger”, pur identificando la stessa tipologia di persone.
   
 
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