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Autore: Dasvidania    13/10/2013    3 recensioni
Cosa fare quando il più putrido dei pericoli si annida nella tua anima?
Slade, dopo la sconfitta di Trigon, ha bisogno un'ultima volta del potere di Raven, ma questa volta unicamente per se stesso.
Si instaurerà così un malato legame tra i due, un legame fatto di fiamme e tenebre, di odio e dipendenza, che potrebbe salvarli tanto quanto annientarli. (possibile RavenxSlade e RavenxRobin, possibile in quanto la storia è ancora in fase di costruzione )
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raven, Robin, Slade
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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La stanza in cui si trovava era spoglia e fredda.

Le pareti erano metalliche, come tutte quelle che aveva incontrato finora in quel luogo sconosciuto, ma simboli esoterici erano incisi con rozza violenza su tutta la loro lunghezza.

Raven li aveva riconosciuti subito: simboli demoniaci, simboli di limitazione e prigionia.

Era questo il motivo per cui da quando era entrata in quella sala non era stata in grado di evocare nessuno dei suoi poteri, nemmeno la trance rigenerante, quella che più di tutto sentiva di necessitare in quel momento.

Come ulteriore protezione, il quadrato della stanza era privo di qualunque arredo, per ridurre al minimo gli oggetti che avrebbe potuto scagliare con la propria telecinesi: un materasso poggiato in un angolo era l’unico oggetto presente.

Nell’angolo opposto si apriva un’ apertura nel muro che dava accesso ad un’altra piccola stanza, meglio definibile come ripostiglio, priva di porta e sul cui pavimento si poteva notare un buco circolare: immaginò si trattasse dei servizi.

Niente da dire, Slade aveva pensato a tutto, con tanta minuziosità da sfociare nella crudeltà, lasciandola in quella che le stava sembrando sempre più la gabbia di un animale.

Come se non bastasse, il lato attraverso cui si accedeva alla stanza era trasparente, come quello della prigioni più moderne, d’un materiale infrangile e limpido che lasciava intravedere tutto ciò che stava al di là.

Raven se ne stava sul materasso, appoggiata al gelido muro con le gambe piegate al petto, cercando di calmare gli effetti collaterali del viaggio compiuto con la sagoma nera che con pigra costanza stavano finalmente sfumando.

La mancanza di certezze la sfibrava: non riusciva a risalire al motivo per cui la loro nemesi avrebbe voluto rapirla, nè perchè ci fosse una così inquietante ricorrenza di tematiche demoniache.

Il nemico che l’aveva catturata aveva natura infernale e i simboli della sua cella anche.

Le sembrava di essere scivolata nuovamente nell’incubo che aveva preceduto la venuta di Trigon, dove la sua realtà veniva con lenta inesorabilità inquinata da presenze demoniache che le impedivano di ignorare il sangue ibrido che le scorreva nella vene.

D’altra parte Slade aveva già avuto contatti con un demone e, seppur la cosa gli si fosse ritorta contro, l’idea che non avesse abbandonato del tutto quella strada, irretito dalla potenza che in essa si celava, non la stupiva.

L’unica cosa che poteva fare era mantenersi calma, lucida nei suoi giudizi, e attendere le informazioni necessarie per comprendere cosa stava accadendo.

Una volta chiarita la situazione avrebbe avuto gli strumenti per capire come uscirne.

Era rinchiusa nella stanza da parecchie ore, s’era concessa di riposare per aiutarsi a recuperare energie e in quel lasso di tempo la sagoma era nera talvolta apparsa: rimaneva a fissarla immobile, quasi attaccata alla parete trasparente, per intervalli più o meno lunghi.

Non si muoveva, non parlava, si limitava a puntarle contro la sua inespressiva faccia nera, diventando una silente e angosciante presenza.

All’inizio pensava che le stesse facendo la guardia, ma la presenza di telecamere le avevano fatto cambiare idea: la osservava con una famelica insistenza, senza motivo apparente.

Raven la odiava, odiava quello sguardo lugubre e I momenti in cui spariva nel proprio cerchio per dileguarsi chissà dove erano I pochi in cui riusciva realmente a mantenersi calma e misurata.

 

S’era appisolata, scivolando in uno stato di dormiveglia disturbato dal nervosismo, dove nessun sogno riusciva a penetrare il muro di allerta che tentava di mantenere, donandole confusi sprazzi di immagini, colori, suoni, eccessivamente frammentari per costituire una reale visione, ma tutti egualmente intossicati dalle sensazioni negative che la situazione le causava: erano quindi schegge tormentate di incubi troppo deboli per grattarle il cervello con le loro unghie d’angoscia, resi forse ancora più inquietanti dalla fumosa incertezza con cui si sprigionavano, fugaci e incerti.

Aprì gli occhi con riluttanza, avvertendo l’angoscia crescerle nel petto e condensarsi in un unico massa oscura e opprimente all’altezza del cuore.

Si guardò intorno, colpita da quell’improvvisa sensazione sgradevole che le aveva ghermito le viscere.

La figura nera era tornata, immobile come sempre, tremendamente vicina al vetro e al contempo chiusa in un distacco che la faceva apparire inanimata.

Ma nessuna forma inanimata avrebbe potuto causare con la sua presenza un tale fastidio, una ripugnante aurea che pareva impregnare l’aria, sporcandola e rendendola velenosa.

Raven, sfinita da ciò, si alzò e camminò verso il vetro che la separava dalla creatura.

Si posizionò esattamente di fronte a lei, il viso puntato sulla nera superficie disumana che componeva quello dell’altra, e la fissò a sua volta per una buona manciata di secondi.

Se guardi nell’abisso, l'abisso guarda in te.

Una frase di cui non ricordava la provenienza, ma che in quel momento pensò di comprendere come mai prima.

Lo sguardo di quella creatura era infetto e ricambiarlo significava lasciarsi penetrare dal morbo, abbassare le difese, scivolando ancora più profondamente in quel nero terribile e privo di fine.

“Che cosa stai guardando?” chiese infine, con tono piatto e tagliente, una domanda retorica che era più un invito a smetterla.

La sagoma restò parecchi secondi immobile e silente.

Un brivido percorse Raven  quando finalmente qualcosa mutò: una feritoia terribile si aprì nel viso della sagoma, rivelando un curvo e lungo sorriso formato da bianchissimi denti umani, luminoso e al contempo tetro come un fuoco fatuo.

Il sorriso era maligno, affamato, divertito ed enigmatico, una terribile miscela che lo rese ancor più disturbante.

Raven fece un passo indietro, disgustata, per poi tornare nel proprio angolo, incapace di dare le spalle a quella inquietante figura sorridente.

“Vai via.”

Una voce diede vita ai suoi pensieri, ma non le apparteneva.

Era una voce che conosceva bene, seducente nella sua calda pericolosità, una voce che aveva imparato a temere.

Slade era apparso di fianco alla figura nera.

Questa non smise di fissare Raven, ignorando totalmente la comparsa quanto l’ordine dell’uomo.

“Ho detto di andartene.” Ripetè Slade, il tono più fermo, ma non spazientito, nè intimidatorio. 

Passò un’altra lunga manciata di secondi, e il sorriso della creatura si spense con esasperante lentezza, facendolo deformare in una smorfia di disappunto ed infine scomparire come termine d’una metamorfosi ripugnante.

Poi finalmente sprofondò nel proprio cerchio, che presto scivolò sul pavimento e scomparse nei corridoi cupi.

Il sollievo che Raven avrebbe potuto provare fu velocemente abbattuto dalla presenza di Slade, quindi s’alzò in piedi, fissandolo con diffidenza pur mantenendosi composta all’interno del suo mantello.

Non voleva mostrarsi nervosa o insicura, nè desiderava esserlo, perciò tenne a bada la tensione che la presenza del suo nemico le causava.

Questo aprì la porta della sua prigione e vi entrò con disarmante confidenza, come fossero protagonisti d’ una situazione totalmente nella norma.

“E’ un piacere rivederti, Raven” iniziò, il tono morbido e falso come d’abitudine “Sai, i nostri ultimi incontri sono stati piuttosto…”

Cercò il termine corretto nella propria mente con studiata teatralità, per poi inclinare appena il capo.

“…Turbolenti.”

Fece una breve pausa, in cui la ragazza immaginò stesse componendo un sorriso da serpente.

“Spero che l’ambiente ti metta a tuo agio, l’ho pensato appositamente per te.”

Congiunse le braccia dietro la schiena, in una rilassata imperturbabilità.

“Perchè sono qui?” la domanda di Raven tagliò l’aria, affilata come un dardo.

Slade scosse lievemente la testa, muovendosi intorno a lei con calmi passi misurati.

“Non sai dire altro?” commentò con indolenza e si fermò alle sue spalle.

“E’ l’unica cosa che mi interessa sapere da te.”

Il sospiro indulgente di Slade scivolò nell’aria.

“Questa infantile ostilità non ti sarà di alcun guadagno” 

Raven ebbe un fremito, tanto abituata a considerare quell’uomo un pericolo da leggere istintivamente le sue parole come una minaccia.

“Devi sapere, Raven…” cominciò appoggiandogli le mani sulla spalle in un gesto di inusuale confidenza “…che parlavo con serietà quando ti dissi di essere rimasto impressionato dalla verità sul tuo conto, sul potere silente che è racchiuso nel tuo corpo.”

La ragazza gli dava ancora le spalle e quel contatto la gettò in uno strano disagio, forse ricordandole quella terribile notte in cui Slade le aveva lasciato inciso sulla pelle il messaggio di suo padre, quando le stringeva con forza I polsi e la costringeva nella medesima posizione.

“Non diventerò la tua apprendista.”

Slade rise, una risata bassa e piena, ma chiaramente rivolta a lei, una risata che la dileggiava.

“Non sopravvalutarti, sei su diversi livelli completamente inadatta ad un compito del genere.”

Nel profondo quell’affermazione la indispose, ricordando di come Terra fosse stata scelta come allieva del loro nemico, trovando odiosa l’idea che quella sciocca ragazza potesse avere qualcosa che a lei mancava.

“Ciò non toglie che i tuoi poteri mi potranno essere immensamente utili.”

Allora Raven si girò di scatto, tornando a guardarlo faccia a faccia e allungando la distanza che li separava, per poi chiudersi nuovamente nel confortante stoicismo in cui il suo mantello la avvolgeva.

“Non mi lascerò usare da te.” Una nuova dichiarazione forte e limpida nella sua fermezza, dura quasi quanto lo sguardo di ghiaccio che gli stava rivolgendo.

Slade non si scompose, tornando in una posa di rilassata sicurezza, e guardandola per qualche secondo, sostenendo quello sguardo glaciale con superba facilità.

“Non avrai scelta.” Disse con dolcezza, una dolcezza velenosa e terribile “Farò in modo che tu mi dia il tuo aiuto, e non potrai far altro che acconsentire con ubbidienza ed umiltà.”

La ragazza serrò la mascella, soffocando la rabbia che l’impenetrabile contegno e certezza che permeava Slade le causava.

“Lo vedremo.” Il severo commento fu accolto da un’altra risata, ma stavolta leggera e appena accennata, mentre Slade faceva qualche passo verso di lei.

“Non immagini nemmeno quanto.” Sussurrò chinandosi appena su di lei, per poi superarla e uscire dalla cella.

Raven lo guardò con occhi distanti e privi d’emozione attraverso il vetro trasparente.

Restarono un poco in quel modo, sfidandosi con lo sguardo attraverso l’invisibile barriera che li separava, ognuno immerso nel proprio ostentato decoro.

Poi, finalmente, Slade scomparve nei corridoi tetri del rifugio.

Raven emise un cupo e pesante respiro, non potendo fare a meno di chiedersi cosa la attendeva, e odiando il cripticismo in cui l’uomo si stava chiudendo con irritante compiacimento.

Si sedette di nuovo sul materasso, passandosi una mano tra i capelli violacei, e incrociò le gambe.

La meditazione spirituale non le era concessa in quella maledetta sala che bloccava ogni suo potere, ma la forma più blanda di essa, quella che ogni semplice umano poteva praticare, non le sarebbe stata negata.

Chiuse gli occhi, decidendo di approfittare dell’assenza della sagoma nera per trovare la propria concentrazione.

In breve cadde nella trance della meditazione, e con il proprio corpo astrale sognò la Titans Tower, sognò di raggiungere i suoi amici.

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Ringrazio quelli che hanno speso tempo per leggere fino in fondo, sperando che sia stato piacevole. Siccome le visualizzazioni sono tante, ma i commenti miseri, vi ricordo (nonostante lo sappiate meglio di me) che un semplice commento, un'opinione, un consiglio o una critica mi farebbero molto piacere, oltre a darmi la giusta carica per impegnarmi nel cercare di scrivere capitoli migliori.

  
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