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Autore: Dasvidania    07/10/2013    1 recensioni
Cosa fare quando il più putrido dei pericoli si annida nella tua anima?
Slade, dopo la sconfitta di Trigon, ha bisogno un'ultima volta del potere di Raven, ma questa volta unicamente per se stesso.
Si instaurerà così un malato legame tra i due, un legame fatto di fiamme e tenebre, di odio e dipendenza, che potrebbe salvarli tanto quanto annientarli. (possibile RavenxSlade e RavenxRobin, possibile in quanto la storia è ancora in fase di costruzione )
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raven, Robin, Slade
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Le tenebre la avviluppavano, collose e profonde  come l’angoscia che si era annidava nella sua mente sconvolta.

Impossibile determinare cosa fosse accaduto dopo che la sagoma l’aveva trascinata dentro la sua pozza nera, facendola scivolare all’interno di uno spazio che spazio non era, angusto e al contempo vuoto come il cuore di demonio, privo di dimensioni, di colori, mancante di tutto fuorchè dell’orrore che Raven provava.

I suoi occhi non vedevano e non era in grado di capire se gli arti ubbidisse ai suoi ordini: laddove si trovava in quel momento, qualunque luogo fosse, I cinque sensi erano inermi e privi d’alcuna funzione, piegati dalla presenza-assenza di quell’inarrestabile e incomprensibile buio.

C’erano picchi di orrore in cui Raven tornava ad avvertire il suo corpo, poteva sentirlo dolere e scricchiolare sotto il peso di forze invisibili che lo comprimevano, lo dilatavano, manipolando le viscere che cozzavano l’una contro l’altra in una macabra danza o che si tendevano fino all’esasperazione, tanto da farle temere che si sarebbero lacerate lasciando di lei solo un mucchio di tessuti e sangue.

In breve, le parve di aver perso qualunque forma riconducibile ad un essere antropomorfo.

Non poteva vedersi, ma avrebbe giurato che nulla aveva più in comune con una donna, orribilmente deturpata dai moti infernali che deformavano la sua persona.

Non aveva mai provato sensazioni tanto sgradevoli, tanto insopportabili da portarla a desiderare di lasciarsi sfuggire un acuto grido fatto d’istinto e raccapriccio.

Forse lo fece, ed esso si perse in quello spazio inesistente, o forse non aveva più labbra o lingua o corde vocali con cui dargli vita.

Poi, finalmente, l’orrore finì.

Sembrò che qualcuno accendesse una luce, come quando ci svegliamo di soprassalto, e il mondo compare estraneo e distante davanti ai nostri occhi confusi.

 

Slade, seduto  come ore prima sul suo scheletrico trono d’acciaio e bulloni, attendeva con paziente sicurezza di successo il ritorno della creatura nera da lui inviata per rapire Raven.

Quando vide un cerchio nero strisciare nella penombra della grande sala, guardando al di sotto della sua maschera, forse si sarebbe potuto intravedere un discreto ghigno.

L’attesa non lo aveva snervato, per quanto fosse consapevole che dalla riuscita di quella missione dipendesse molto più di ciò che sarebbe stato disposto a perdere, perchè aveva da tempo imparato a dare un freno alle emozioni smodate, facendo dell’autocontrollo la sua virtù.

Così quando il cerchio nero si fermò di fronte a lui, quando la figura emerse stringendo Raven tra le cupe braccia, Slade non ebbe un fremito, solo una profonda cascata di soddisfazione a bagnargli il cuore.

Raven sembrava caduta in uno stato di lucida incoscienza, che nel giro di pochi secondi si dissolse, facendo irrigidire il pallido corpo, più anemico di quanto non fosse normalmente, facendolo scuotere di un febbrile tremolio, mentre gli occhi tornavano in grado di inviare immagini alla mente sfinita.

Si posarono su Slade, osservandolo per qualche secondo con vuota sorpresa, per poi evolvere in una fredda rabbia.

“Ciao, Raven” la morbida voce di Slade le scivolò alle orecchie, mentre questo s’alzava, avvicinandosi ai suoi ospiti, e le mani scivolavano dietro la schiena, nella posa di raffinata compostezza che amava assumere “Fatto un buon viaggio?”

Le labbra di Raven sembrava destinate a rimanere rigidamente serrate, mentre la ragazza tentava di far ordine nella mente frastornata dalla terribile esperienza da poco vissuta.

Cercava disperatamente di afferrare I proprio pensieri e dargli un ordine, riprendendo il controllo su sè stessa, e con penosa lentezza iniziò a calmare I sintomi di shock che il viaggio con la creature le avevano provocato.

Slade la osservava dall’alto con cupa compiacenza, attendendo la sua ripresa.

Finalmente, si sentì nuovamente padrona di sè, avvertì con realismo le mani gelide della creatura nera stringerle I polsi, la debolezza delle proprie caviglie affrante, la secchezza in bocca e un diffuso, dolente disagio.

Pareva  che le sue ossa fossero scollate l’una dall’altra, che invisibili ferite le percorressero il corpo e che ora avessero iniziato a pulsare, prendendo vita.

Fece per schiudere le labbra aride nel  tentativo di rispondere alla nemesi che si era palesata davanti ai suoi occhi, ma un improvviso spasmo la costrinse a terra, facendola cadere pesantemente sulle ginocchia.

Vomitò sangue.

Il suo aguzzino non allentò la presa, non modificò la sua posizione, nemmeno quando, prostrata in ginocchio, le sue braccia assunsero un’angolazione dolorosa e sbagliata.

Tossì, gli occhi stretti, aspettando che i crampi interni si placassero: l’entrare nella pozza nera doveva aver sottoposto il suo corpo ad un enorme stress.

“Perchè sono qui?” chiese con voce rauca, debole, una voce che suonò estranea persino a se stessa, mentre alzava uno sguardo carico di rancore all’uomo dal viso coperto.

Questo sospirò con leggerezza, allontanando l’occhio da lei, come fosse in presenza di una bambina maleducata.

La sagoma nera costrinse Raven ad alzarsi.

“Troppa fretta, mia cara.” Rispose, cingendole il mento con la mano guantata, per poi passarle il pollice sulle labbra sporche di sangue, pulendole, in un gesto di provocatorio raggiro.

Le diede poi la schiena, sfregando le dita inumidite dal liquido rosso e tornando a sedersi sul suo trono di ferro.

“Portala via.”

La frase risuonò fredda e pericolosa tra le pareti di nudo metallo.

“E lasciala stare, ho bisogno che sia lucida.”

Raven avrebbe desiderato ribellarsi, usare I suoi poteri per togliersi di dosso quella disgustosa sagoma, colpire Slade e scappare per scoprire in seguito con gli altri qual era stato il motivo del rapimento, ma la sua mente era anestetizzata dal trauma del viaggio, come anche il suo corpo.

L’unica cosa che potè fare fu emettere un lamento aggressivo quando la creatura nera cercò di farla muovere: si sentiva orribilmente impotente e debole.

La fragile resistenza che oppose non portò alcun risultato e quando tentò di invocare la sua formula magica, una mano nera e fredda le serrò la bocca.

Con la coda dell’occhio riuscì a vedere Slade immerso nel buio che circondava il suo trono, solo una fioca luce a definirne timidamente I contorni, e incrociando il suo unico occhio Raven fu sicura che sotto quella maledetta maschera c’era un viso ghignante e divertito dal vederla così inerme.

Strinse la mascella, rabbiosamente, ricordandosi di quanto era stata in grado di sconfiggere da sola quell’individuo, quando aveva martoriato il suo corpo e costrettolo a fuggire dalla sua furia.

La sagoma nera la trascinò via e un pesante portone di metallo si chiuse alle loro spalle.

  
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