Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Acinorev    13/10/2013    18 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


I'm yours

Capitolo 21


Più avanti, ho messo nel testo il link della canzone (capirete poi quale): se cliccate sulla parola,
vi manderà alla base con il pianoforte, se cliccate sul numerino in alto invece vi manda alla canzone originale!
Scegliete voi quale usare come sottofondo, sempre se volete usarne una :)


Vicki.
 
Erano passati otto giorni: tra il lavoro, il paio di telefonate troppo brevi a Brian, il cavo dell’alimentatore del portatile che non funzionava più per chissà quale strano motivo, Stephanie e le docce lunghe e bollenti, erano passati esattamente otto giorni, anzi, erano a dir poco volati.
Ed io avevo cercato in tutti i modi di separare la mia vita “normale” da quella contaminata dagli altri: dei nomi a caso? Louis Tomlinson e Zayn Malik.
Mi ero imposta di pensare agli ultimi avvenimenti solo quando fossi stata sola, quando avessi potuto assumere le espressioni che più rispecchiavano il mio stato d’animo senza che qualcuno le notasse e mi chiedesse spiegazioni: così, proprio nel buio della mia stanza, ero finalmente arrivata ad una conclusione sulla quale avevo rimuginato per le successive due ore circa, finendo per addormentarmi per la troppa stanchezza ma non per l’indecisione.
Il fatto che mi trovassi sotto casa di Zayn, infatti, era la prova della mia determinazione a portare a termine ciò che mi ero prefissata come obiettivo, come mezzo per smettere di essere una persona passiva pronta a farsi manipolare o condizionare da tutti. Ero decisa a fare ciò che ritenevo giusto, ed il sospiro profondo che fece entrare l’aria fredda di Londra nei miei polmoni ne fu la prova.
Prima che potessi suonare il citofono, il portiere che più volte mi aveva scortata alle scale per raggiungere l’appartamento di Zayn, aprì il portone rivolgendomi un largo sorriso di benvenuto: gli occhi troppo piccoli per quel viso grassoccio e pallido mi accolsero all’interno, mentre io lo salutavo gentilmente e forse un po’ a disagio da quell’inaspettata cortesia.
Non ci misi molto ad arrivare davanti alla porta che mi avrebbe condotta da lui, forse perché ero pervasa da una specie di energia propositiva che speravo non scomparisse da un momento all’altro: sapevo che piombare in casa sua così, senza avvisare, era rischioso e anche un po’ avventato; sapevo anche che avrebbe potuto essere chissà dove a presidiare chissà quale evento o intervista, ma quello era un rischio che ero pronta a correre e al quale la parte più insicura e riluttante di me si aggrappava disperatamente.
Mi inumidii le labbra con la lingua e alzai il viso quasi a volermi dare un certo contegno, mentre la mano destra passava tra i capelli sciolti e disordinati prima di premere con un dito contro il campanello.
Inspirai profondamente e attesi in silenzio una risposta, ascoltando attentamente in caso potessi udire qualsiasi rumore che avrebbe testimoniato la presenza di Zayn in casa.
Dopo un tempo abbastanza lungo da farmi pensare che stessi aspettando qualcuno che evidentemente non c’era, la porta si aprì all’improvviso: Zayn era davanti a me con il respiro accelerato, la t-shirt grigio topo infilata al contrario, i pantaloni un po’ rovinati di una tuta nera e i piedi scalzi.
Aveva i capelli corvini abbassati sulla fronte, bagnati probabilmente dalla doccia che aveva causato il suo piccolo ritardo nel rispondere: quasi trattenni il fiato, quando mi scontrai di nuovo con i suoi occhi dopo tutti quei giorni.
«Hey…» sussurrò, evidentemente sorpreso dal vedermi lì, come suggerivano le sue sopracciglia leggermente aggrottate e lo sguardo curioso. Non lo biasimavo di certo, dato che avevo ignorato tutti i suoi messaggi, che erano poi notevolmente diminuiti con il tempo.
Io non risposi, deglutendo semplicemente mentre continuavo a guardarlo quasi potessi fargli capire tutto semplicemente in quel modo.
«Ero sotto la doccia» spiegò dopo qualche secondo, indicando un punto indefinito dentro casa con il pollice della mano sinistra e schiudendo le labbra come se volesse aggiungere dell’altro.
«Posso entrare?» domandai, stringendo i pungi delle mani.
Mi rilassai solo quando lo vidi farsi da parte, un po’ esitante, dandomi il permesso non solo di entrare ma anche di parlare una volta per tutte.
Esattamente nel momento successivo al chiudersi della porta di casa, la voce di Zayn tornò a farsi sentire. «Vicki, ascolta…»
«No, Zayn – lo interruppi, voltandomi verso di lui con una fermezza della quale mi stupii io per prima. – Fai parlare me».
Lui mi osservò attentamente per un paio di secondi, con le labbra socchiuse e gli occhi tremendamente profondi, poi annuì lentamente, avvicinandosi subito dopo a me: sospirai e lo ringraziai mentalmente per quella concessione, che d’altronde era il minimo che potesse offrirmi.
«Accetto le tue scuse» esclamai semplicemente, sostenendo il suo sguardo e spostando il peso sulla gamba destra. Notai immediatamente lo stupore sul suo viso.
«Come?» chiese infatti, facendo un passo esitante nella mia direzione.
«Ti perdono – spiegai, sospirando via quel peso dal petto. – O dillo come preferisci».
«Davvero?»
Sembrava incredulo e diffidente, ben oltre quanto io avessi immaginato: e forse non aveva tutti i torti ad esserlo, perché probabilmente molte altre persone, al mio posto, non avrebbero di certo agito come me.
«Sì, davvero» confermai, annuendo.
«Perché?» domandò, quasi in un sussurro. Il suo viso era serio, pensieroso, mentre lui si avvicinava ancora, fino ad arrivarmi a nemmeno un metro di distanza.
«Perché voglio ancora aiutarti – ammisi, abbassando la voce e anche lo sguardo. – Perché io sono sempre stata sincera con te quando dicevo di volerlo fare e tu hai sbagliato, è vero, ma questo non ha cambiato nulla, a quanto pare. Voglio ancora aiutarti» ripetei.
Riportai i miei occhi nei suoi, curiosa di scorgere qualsiasi emozione al loro interno: non potevo nascondere a me stessa l’affetto che mi teneva legata a Zayn, la voglia di fare qualcosa per dargli la possibilità di stare meglio – la stessa che mi aveva praticamente obbligata ad aiutarlo anche quando il nostro rapporto non era dei migliori -, e non potevo nemmeno negare che, per quanto il suo errore fosse stato grave, io sentivo di capirlo e di volerlo perdonare. Ed era stupido, ingenuo e mille altre cose poco incoraggianti, ma avevo passato otto giorni a combattere contro la tentazione di chiamare Zayn e confessarglielo, e alla fine l’inequivocabile risultato era stata la mia clamorosa sconfitta.
«Penso ancora che tu abbia sbagliato a mentirmi e ad essere stato così egoista – continuai. Avevo intenzione di mettere in chiaro le cose: ero consapevole della situazione, nonostante stessi cercando di aggiustarla, quindi non volevo che lui credesse che fossi una povera illusa. – Ma penso anche che tutto quello che abbiamo passato non sia ridotto solo a quello, e che tu abbia ancora bisogno di… Non me la sento di abbandonarti».
Non potevo dimenticare tutta la sofferenza che quel ragazzo covava dentro, tutte le sfumature cupe che le sue iridi mi avevano mostrato anche inconsapevolmente e quelle allegre che invece mi avevano incoraggiata a stargli accanto. Non potevo essere cieca e altrettanto egoista.
Osservai ogni sua piccola reazione, in cerca di un indizio riguardo cosa gli stesse passando per la testa, e deglutii una certa impazienza: ero pervasa dalla speranza di non star commettendo un errore.
Zayn non si mosse, per la prima manciata di secondi: potevo solo vedere il suo petto alzarsi ed abbassarsi lentamente ma profondamente, ed i suoi occhi assottigliarsi nel tentativo di comprendere a pieno le mie parole. Subito dopo, chiuse le mani a pugno ed inspirò, per poi arrivarmi di fronte a stringere le braccia intorno al mio corpo.
Spalancai gli occhi per la sorpresa, ma li chiusi subito dopo per godermi quel contatto: sentivo il suo respiro sul mio collo mentre lo abbracciavo a mia volta, aggrappandomi alla sua maglietta, ancora al contrario. E mi venne da sorridere, forse per il sollievo o forse per la felicità di aver fatto un passo avanti con Zayn, un passo che magari avrebbe prodotto qualcosa di buono.
«Grazie» sussurrò vicino al mio orecchio destro, per poi lasciarmi un bacio prolungato sulla guancia.
Lo strinsi un po’ di più.
«E non solo per questo – aggiunse poco dopo, allontanandosi lentamente da me. Riuscii a guardarlo in faccia, mentre le mie braccia tornavano lungo i miei fianchi e mentre la sua mano sinistra mi spostava una ciocca di capelli dal viso. – Grazie per tutto quello che hai fatto e che vuoi ancora fare, nonostante io sia stato uno stronzo. Grazie per aver deciso di restare. E grazie per avermi urlato contro. – Fece una pausa ed io attesi in silenzio. - Nessuno lo fa più, sai? Nessuno mi rinfaccia di essere un egoista, di essermi arreso, né osa ancora dirmi che potrei farcela, anche dopo tutto questo tempo».
Ero incantata a specchiarmi nei suoi occhi, perché continuavano a studiarmi attentamente permettendomi di decifrarli a mia volta, come se volessero mostrarsi innocui e riconoscenti. Erano completamente diversi da quelli che mi trovavo davanti durante i momenti più bui di Zayn.
«Invece tu hai saputo farlo: hai saputo scuotermi e dirmi la verità, perché non ti sei fatta scrupoli e perché non hai avuto paura di ferire il povero ragazzo che ha perso la persona che amava – riprese, pronunciando quelle ultime parole come se fossero una presa in giro. Era evidente che Zayn risentisse dell’amore forse eccessivo che i suoi amici provavano per lui, del loro senso di protezione e comprensione che probabilmente non li faceva essere oggettivi: era facile capire come avessero potuto trattenersi dal riprendere Zayn quando invece ce ne sarebbe stato bisogno, per paura di fargli del male o di mostrarsi insensibili. – Quindi grazie, perché mi hai fatto bene».
Ero ammutolita: non mi aspettavo quelle parole, né il tono di voce estremamente sincero con il quale erano state pronunciate. Per questo non risposi, incapace di trovare le cose giuste da dire, e per questo Zayn ebbe tutto il tempo di riprendere a parlare senza alcuna interruzione.
«Vicki, io voglio che tu sappia che so di aver sbagliato, di essere stato un vero stupido – aggiunse infatti, questa volta con più enfasi, come se sentisse il bisogno di convincermi. – Voglio che tu sappia che mi sono pentito di averti… usata, in un certo senso, e di aver lasciato che la mia debolezza ti facesse del male. E, soprattutto, voglio che tu capisca che, nonostante quello che ho fatto e il motivo che mi ha spinto a farlo, io tengo davvero a te: e non perché hai gli occhi di Kathleen, ma perché sei tu».
Questa volta fui io a cercare un contatto con lui, perché, stranamente, non riuscivo ancora a trovare le parole giuste, quelle che avrebbero potuto esprimere il mio stato d’animo.
Così, mentre affondavo il viso nell’incavo del suo collo – il profumo del suo bagnoschiuma era ancora molto forte -, pensai a quanto sembrasse strano essere arrivati ad un chiarimento così semplicemente, senza bisogno di urlare ancora o di litigare; a quanto sembrasse strano esserci capiti senza troppi sforzi; a quanto sembrasse strano aver aspettato otto giorni per fare qualcosa. Eppure, allo stesso tempo, avevo l’impressione che fosse più che giusto avere il suo sorriso sincero – quello che all’inizio della nostra conoscenza mi ero chiesta se l’avrei mai visto rivolgermi – tra i miei capelli, e il mio cuore un po’ più leggero rispetto a prima. Era terribilmente giusto essere di nuovo l’uno accanto all’altra.
«Promettimi solo che non mi mentirai più.»
«Te lo prometto.»
 
L’orologio da parete appeso sopra la porta della cucina segnava quasi le cinque: io ero seduta su uno degli sgabelli intorno all’isolotto al centro della stanza e stavo mangiando le ultime patatine che Zayn mi aveva offerto poco prima. Lui, intanto, girovagava su internet grazie al computer portatile appoggiato davanti a me, proprio come se fossimo due vecchi amici in un pomeriggio di nulla-fare.
Effettivamente, però, quando spostai lo sguardo su di lui – se l’era presa quando si era reso conto di aver indossato la maglietta al contrario e di non essere stato avvertito -, lo trovai a fissarmi quasi fosse incantato. Gli occhi scuri erano concentrati e assorti.
Smisi di masticare e corrugai le sopracciglia, leggermente a disagio da quella situazione; ora che sapevo cosa pensasse esattamente quando mi guardava in quel modo, era un po’ difficile abituarsi all’idea di assomigliare alla sua ex ragazza: a casa avevo persino cercato delle vecchie foto di Kathleen, forse tentando di capire perché non me ne fossi mai resa conto, e durante quel pomeriggio ne avevo anche parlato con lui, chiedendogli addirittura perché nessun altro se ne fosse accorto. Zayn mi aveva spiegato che la somiglianza che mi legava a Kathleen non era così scontata: derivava da piccoli dettagli, da piccole espressioni che solo lui e - a fatica - Abbie erano riusciti a cogliere.
Quando deglutii, mi rivolsi direttamente a lui. «Pensa alle differenze» gli consigliai.
Zayn corrugò la fronte e si riscosse, sistemandosi meglio sulla sedia. «Eh?»
«Quando ti ricordo Kathleen, pensa a tutte le cose che invece abbiamo di diverso – spiegai meglio. – A quelle cose che amavi di lei e che io non ho».
Lui ci pensò su per un attimo, incupendosi leggermente: sapevo ci fosse ancora molto su cui lavorare, ma il mio obiettivo era proprio quello di farlo sbarazzare di quelle espressioni che ormai regnavano incontrastate sul suo volto in gran parte della giornata. Era impressionante come il suo stato d’animo potesse cambiare da un momento all’altro: talvolta sembrava essersi liberato di tutti i suoi tormenti, ma l’attimo dopo ripiombava nelle sue rimuginazioni.
«Ci proverò» disse soltanto, abbassando lo sguardo e riportandolo sullo schermo del computer. Era ovvio che, dopo la nostra riappacificazione, le cose non sarebbero cambiate di punto in bianco: ci voleva tempo affinché lui si potesse abituare a quel distacco definitivo dalla speranza che l’aveva accompagnato fino ad allora, quella di riavere una parte di Kathleen al suo fianco, ed io ero disposta a concedergliene, perché in fondo serviva anche a me.
«Cazzo» sbottò subito dopo, sospirando e facendomi quasi spaventare.
«Che c’è?» domandai, leccandomi le dita dai residui delle ultime patatine.
«Ehm… Vicki, io non è che voglia cacciarti, però… - farfugliò, alzandosi in piedi. – Non pensavo fosse così tardi».
«Devi uscire?» chiesi, cercando di andargli incontro.
«No. No, non devo uscire – rispose, scuotendo la testa. – È che a momenti dovrebbero arrivare gli altri e… Oh, insomma, ci sarà Louis e quasi sicuramente anche Eleanor».
Schiusi le labbra e il respiro mi si bloccò in gola: il nome di Louis ormai aveva sempre lo stesso effetto su di me, soprattutto se pronunciato ad alta voce, dato che che per tutto quel tempo era rimasto un semplice eco nella mia mente. Era buffo come, dopo la sua comparsa improvvisa in casa mia, non si fosse più fatto vivo: solo una volta, dopo tre o quattro giorni, avevo trovato una sua chiamata persa sul cellulare, e quando avevo provato a richiamarlo – nella speranza di sentire la sua voce e magari di parlargli – lui era scomparso, obbligandomi a fare lo stesso.
«So che tra di voi le cose non vanno molto bene, o almeno così mi è sembrato – aggiunse Zayn, stupendomi. – Alla fine quel bacio è servito a qualcosa, avevo ragione» ridacchiò, per smontare la tensione che mi aveva conquistata nell’arco di pochi secondi.
Io accennai un sorriso, ma tornai seria subito dopo. «Come fai a saperlo? Ti… Te ne ha parlato lui? Ti ha raccontato qualcosa?» domandai. Non avevo detto niente a Zayn dell’accaduto, ma evidentemente lui sapeva più di quanto immaginassi.
«Non so molto, in realtà – ammise, alzando le spalle. – Io e Louis abbiamo solo avuto una piccola discussione, due giorni dopo l’evento: era convinto che io e te stessimo insieme, o qualcosa del genere».
Spalancai gli occhi e deglutii a vuoto: avevano litigato? Effettivamente Louis aveva visto quel bacio tra me e Zayn ed io non avevo mai realmente smentito una nostra possibile relazione, ma solo perché avevo dato per scontati i miei sentimenti, credendo che fossero più che palesi. Che questo l’avesse portato ad essere più insicuro, nonostante le sue parole e nonostante le mie?
«Zayn, dimmi cosa ti ha detto – lo pregai, a bassa voce. – Per favore».
Notò la mia agitazione, quindi non esitò. «È solo piombato qui chiedendomi delle spiegazioni – cominciò. – Mi ha detto che era stanco di doverci vedere insieme anche se sapeva che tu mi avresti potuto rendere felice: vedi, nemmeno gli altri conoscevano tutta la storia. Avevo detto loro esattamente quello che avevo detto a te, ovvero che mi piacevi e che volevo provare a stare bene. Per questo Louis non ha mai avanzato nessuna pretesa su di te, nonostante io sapessi che gli interessassi: ovviamente ha il suo caratteraccio, ma a questo punto credo che volesse anche farsi da parte. Per me».
Forse quello era un altro fattore da aggiungere tra quelli che avevano spinto Louis ad allontanarsi da me? La paura di rovinare tutto e la volontà di mettere il suo migliore amico al primo posto dovevano essere stati un mix fatale, per lui.
Ma in che razza di situazione mi ero cacciata per tutto quel tempo?
«Comunque poi gli ho spiegato come stavano realmente le cose e lui se ne è andato» concluse, facendomi capire di non sapere altro.
Era evidente che Louis non riuscisse ad aprirsi a pieno nemmeno con i suoi migliori amici. Inoltre, a proposito, stava per arrivare a casa di Zayn: significava che avrei potuto rivederlo, anche se ci sarebbe stata Eleanor.
«Posso restare?» domandai, senza commentare il suo racconto e schiarendomi la voce. Ero la solita masochista testarda e sentimentale, ma dovevo fare una cosa.
Zayn mi guardò con tanto d’occhi, forse leggermente spaventato dalle mie intenzioni sconosciute, ma proprio nel momento in cui aprì bocca, il campanello di casa interruppe il nostro discorso.
Mi voltai in direzione della porta ed inspirai profondamente.
«A quanto pare sei già rimasta» mormorò lui, riferendosi alla prontezza con la quale ero stata accontentata.
Io non risposi, limitandomi a concordare con lui nella mia testa: non pensavo che quando Zayn aveva detto che presto sarebbero arrivati gli altri, intendesse così presto. Per un attimo, infatti, andai nel panico: era come se la parte di me che conservava ancora un minimo di istinto di sopravvivenza avesse preso il sopravvento e mi stesse spingendo ad andarmene il più velocemente possibile. Eppure dovevo resistere.
Seguii Zayn in salotto, schiarendomi la voce solo per scaricare un po’ di tensione, e sorrisi apertamente quando Niall entrò per primo, dirigendosi velocemente verso di me per salutarmi: credevo che, dopo aver scoperto ciò che realmente legava me e Zayn, mi avrebbero guardata in modo diverso, invece erano sempre i soliti. Anzi, forse fui io a salutare Liam con un po’ di disagio, dopo la confessione di Stephanie. Harry invece non c’era.
Quando poi intravidi Louis, alle spalle degli altri due, dovetti impormi di continuare a respirare e di fingere un certo autocontrollo: rispondendo all’irlandese riguardo “come me la fossi passata in tutto quel tempo”, sbirciai oltre il suo viso arrossato per il freddo ed i suoi occhi vivaci. Altre iridi, infatti, catturarono la mia attenzione.
Louis indossava una vecchia felpa nera ed un paio di pantaloni grigi in cotone: aveva gli occhi assonnati ma comunque allegri, mentre salutava tranquillamente Zayn – evidentemente la discussione tra di loro era stata di poco conto -. I capelli disordinati e bassi sulla fronte mi ricordavano quelli che aveva quando era venuto a casa mia, anche se lui non era più in pigiama e al posto delle espadrillas indossava dell Vans bianche consumate.
Mi mancava il fiato, perché mi mancava lui e perché Eleanor al suo fianco mi faceva male: fu lei, infatti, – con le gambe magre e lunghe strette in un paio di pantaloni di un blu elettrico e con indosso un maglione largo e biancastro che copriva le sue forme eleganti – a vedermi per prima. Non esitò a farmi notare tutto il suo disappunto tramite uno sguardo di puro odio, per poi alzare gli occhi al cielo sospirando sonoramente.
Io mi concentrai di nuovo su Niall e sorrisi per farmi forza, tentando di fingere che il mio cuore non stesse per uscirmi dal petto.
«Victoria?»
Al suono di quella voce mi immobilizzai, spostando poi lo sguardo su Louis, che ci aveva intanto raggiunti: era parzialmente nascosto da Niall e Liam, che però si spostarono leggermente di lato per permettermi di salutarlo. Ed io sarei potuta rimanere lì ad osservarlo per ore o giorni, perché i suoi occhi erano finalmente di nuovo nei miei e perché le sue labbra mi chiamavano, mi supplicavano. Eppure dovevo attenermi alle mie intenzioni, quindi sorrisi debolmente e «Ciao, Louis» dissi flebilmente, stringendo i pugni per non permettere alle mie mani di allungarsi e di accarezzargli il collo scoperto.
Non parlammo oltre, però, perché Eleanor era al suo fianco e lui era consapevole di cosa significasse, quindi non aspettò a riscuotersi dalla sorpresa e a dirigersi con lei verso il divano.
Zayn, alle sue spalle, scosse la testa come per farmi capire che mi sarei fatta del male da sola, ma io ero pronta.
Sapevo perfettamente che avrei dovuto sopportare la vista di Louis con un’altra a pochi metri da me, sapevo che probabilmente Eleanor avrebbe fatto di tutto per marcare il territorio e che lui, a sua volta, si sarebbe comportato come al suo solito, ovvero come se andasse tutto bene ed io non significassi assolutamente niente. Però sapevo anche che non era così, perché io un significato ce l’avevo, quindi ero disposta a sentire il mio cuore pulsare per il dolore e a nascondere le mani che tremavano per il nervosismo: ero disposta a tutto, pur di far capire a Louis che non mi sarei arresa facilmente. Che poteva nascondere i suoi sentimenti nella relazione con Eleanor, dirmi di essere andato a letto con lei altre mille volte, fare lo stronzo e cercare di allontanarmi di nuovo, ma che non sarebbe riuscito a scoraggiarmi.
Avrei stretto i denti e sarei andata avanti, fino a convincerlo del fatto che non l’avrei lasciato fuggire da ciò che invece voleva anche lui.
 
Sospirai sonoramente, strisciando le mani sul tessuto  dei jeans chiari nonostante le avessi già asciugate in bagno, quasi come segno di tensione: mi richiusi la porta alle spalle e per un attimo rimasi immobile nel corridoio.
Potevo sentire gli schiamazzi dei ragazzi, a qualche metro da me, e mi chiedevo quanto sarei riuscita ancora a resistere: nonostante fossi stata io a decidere di rimanere, non era passata nemmeno un’ora dal loro arrivo – dall’arrivo di Louis insieme ad Eleanor – e già iniziavo a sentire i primi sintomi di stanchezza, quasi di dolore, per quegli occhi azzurri che ogni tanto incrociavano i miei. Mi imploravano tacitamente di andarmene e talvolta sembravano quasi chiedermi spiegazioni, ma di certo erano sorpresi dal vedermi ancora lì: probabilmente non erano abituati a riscontrare tanta ostinazione in me.
C’era qualcosa, nello sguardo di Louis, che era notevolmente cambiato: forse, da quella notte in casa mia, lui si sentiva completamente scoperto? Vulnerabile? Era come se mi temesse e allo stesso tempo non potesse fare altro che osservarmi attentamente: ovviamente solo quando non c’era pericolo che Eleanor lo potesse scoprire, dato che ogni minuto che passava dava l’impressione di essere sempre più infastidita dalla mia presenza.
Appena feci un passo verso il salotto, per tornare proprio dove mi attendeva una tortura che io stessa mi ero imposta, delle note al pianoforte attirarono la mia attenzione: corrugai la fronte, stupita, e rimasi in ascolto. Non sapevo nemmeno che Zayn ne avesse uno in casa, figuriamoci sapere dove fosse: e poi, chi era a suonare?
Esitante, mi mossi verso quella melodia1: era lenta e credevo di conoscerla, perché c’era qualcosa di familiare in lei. Alla fine, percorrendo il corridoio, lasciai alla mia destra la porta aperta della stanza dalla quale sembravano provenire quei suoni delicati: avevo quasi paura di sbirciare all’interno, perché temevo che, chiunque stesse suonando, avrebbe potuto smettere non appena mi avesse vista.
Alzai gli occhi al cielo e mi spostai i capelli sulla spalla sinistra, sbuffando: mi avvicinai alla parete e feci ben attenzione a non mostrare troppo del mio viso mentre davo un’occhiata alla stanza.
Tornai subito ad appiattirmi contro il muro, però, quando riconobbi chi fosse: il pianoforte nero e lucido si trovava al centro di una specie di salottino al quale si poteva accedere grazie anche ad un’altra porta, e dietro di esso, gli occhi seri e concentrati di Louis scorrevano sui tasti come se fossero inesorabilmente collegati ad essi. La luce del tramonto inondava lo spazio di una sfumatura calda e rossastra, illuminando ogni lineamento del ragazzo.
Non sapevo sapesse suonare, né che sapesse farlo tanto bene.
Deglutii ed inspirai profondamente, prima di tornare a spiarlo con discrezione: eppure, appena posai i miei occhi su di lui, Louis alzò i suoi e mi fissò, come se fossi riuscita a chiamarlo. Preoccupata, mi pietrificai sul posto, ma in realtà non ne avevo bisogno: senza dire o fare altro, infatti, lui sostenne il mio sguardo per qualche secondo e poi si concentrò di nuovo sullo strumento che sembrava creta nelle sue mani, quasi fosse indifferente alla mia presenza.
Senza più un motivo per nascondermi, mi raddrizzai e mi appoggiai all’uscio della porta, con le braccia incrociate al petto per l’imbarazzo e per coprire la pelle d’oca che quella melodia mi stava provocando.
Il mio sguardo era fisso sul viso del ragazzo a due o tre metri da me, e non potevo fare altro che osservare ogni suo più piccolo particolare, immaginandomi le sue dita sui tasti bianchi e neri: avrei voluto raggiungerlo e magari sedermi accanto a lui per avere una migliore visuale, ma non osavo farlo.
Poi, all’improvviso,  i nostri occhi si incontrarono di nuovo, facendomi bloccare il respiro in gola, e Louis iniziò a cantare. A cantare di fronte a me e – chiamatemi illusa – a cantare per me.
 
“You touch these tired eyes of mine
and map my face out line by line
and somehow growing old feels fine.
I listen close for I’m not smart,
you wrap your thoughts in works of art
and they’re hanging on the walls of my heart.”
 
Per poco le gambe non cedettero sotto la voce acuta e leggermente roca di Louis. Il mio cuore martellava prepotentemente nel mio petto, quasi volesse fare da ulteriore base alla canzone che ormai avevo riconosciuto e che non contribuiva a farmi sentire meglio, date le parole del testo.
E Louis la stava cantando con le sue iridi che non mi lasciavano scampo – il loro solito azzurro era sporcato dalla luce rossastra del tramonto -, mentre io ero combattuta tra il chiedergli pietà, perché tutto quella era davvero troppo, e il chiedergli di continuare per settimane intere. Era la prima volta che lo sentivo cantare, senza tener conto di quel paio di volte che avevo ascoltato un loro singolo alla radio, e non avrei mai pensato che avrei potuto esserne così affascinata, e indebolita.
Louis, con quella voce, mi stava togliendo le forze.
 
“I may not have the softest touch.
I may not say the words as such,
and though I may not look like much,
I’m yours.
And though my edges may be rough
and never feel I’m quite enough,
it may not seem like very much,
but I’m yours.”
 
E fu proprio in quel momento che mi costrinsi a mordermi il labbro inferiore per trattenere dentro di me tutte quelle parole che in un secondo avevano iniziato a spingere per uscire e farsi sentire.
Era impossibile che il testo di quella canzone potesse essere così… Così nostro. Ed era anche assurdo, perché come sempre stavo lasciando che i miei sentimenti mi guidassero in un’interpretazione della realtà tutta mia, ma non potevo fare a meno di ritrovare Louis in ogni verso.
Lui, d’altra parte, non sembrava voler smentire quella mia sensazione, perché era come se mi stesse parlando: le sue labbra sottili accompagnavano ogni parola con delicatezza, e avrei potuto giurare che, in quel momento, non ci fosse nulla di più sincero di loro.
 
“You healed these scars over time,
embraced my soul,
you loved my mind…”
 
Tutto finì troppo in fretta.
Louis sobbalzò di poco, producendo un suono stonato con i tasti del pianoforte, quando qualcuno si schiarì la voce mentre entrava dall’altra porta. Distolse lo sguardo da me e si voltò verso Eleanor, che gli stava sorridendo dolcemente avvicinandosi a lui.
Io fui veloce a nascondermi di nuovo dietro la parete, con la schiena che aderiva ad essa perfettamente e il petto che si muoveva ad un ritmo leggermente più alto per lo spavento e per tutto quello che avevo provato nei momenti precedenti. Chiusi gli occhi e mi obbligai a non ascoltare le loro parole, perché ne avevo già abbastanza.
Solo dopo circa un minuto, osai spiare di nuovo all’interno della stanza, sporgendomi dall’uscio della porta con cautela: Eleanor lo stava abbracciando da dietro, con le braccia a stringergli il petto e il viso nascosto nell’incavo del suo collo. Inutile dire che quella visione mi fece male, più di quanto avessi previsto.
Louis alzò lo sguardo su di me – forse per controllare se ci fossi ancora o forse per puro caso – dopo una manciata di secondi: eppure non lo distolse, appena incontrò il mio. Anzi, sembrò essere sollevato dalla mia presenza: i suoi occhi erano carichi di consapevolezza ed ebbi l’impressione che volessero farmi fare da testimone a quella che era la realtà e allo stesso tempo chiedermi scusa per quello a cui dovevo assistere, ma che non potevo cambiare.
Strinsi i pugni talmente forte da farmi male, perché non potevo credere che Louis riuscisse così facilmente a farsi baciare la pelle da quella che definiva “la sua ragazza” e al tempo stesso guardare me in quel modo, come se volesse farmi capire che avrebbe preferito che fossi io a farlo e, intanto, come se volesse rendermi chiaro quanto quello fosse impossibile.
L’”I’m yours” della canzone, quello che lui aveva cantato per me solo un attimo prima, era terribilmente in contrasto con ciò che mi stava davanti. In fondo, però, non era così assurdo, perché rifletteva la verità: Louis era mio, in un certo senso, nonostante non riuscisse ad esserlo completamente e nonostante continuasse a rimanere legato ad Eleanor a causa delle sue paure.
Però forse lui non sapeva quanto io fossi determinata, e quanto quei pochi minuti passati ad osservarci nel profondo mi avessero incoraggiata: non sapeva che in quel momento avevo l’impressione che fosse in gabbia, in una prigione che si era costruito con le sue stesse mani e nella quale continuava a tornare di sua spontanea volontà nonostante desiderasse la libertà.
Quindi sospirai silenziosamente e guardai per l’ultima volta quelle iridi azzurre, prima di andarmene da lì con un’idea insistente nella testa.

 



SPAZIO AUTRICE
 
Mi scuso in ginocchio per l’immenso ritardo!!!!!!
Ci ho messo un’eternità a scrivere questo capitolo e ho avuto anche poco tempo!
L’ho finito ieri, però poi mi sono venute le mie solite paranoie, quindi eccolo solo oggi hahaha
(Cate grazie ancora mille volte <3)
Detto questo, ci sono un po’ di cosette da dire:
1. Zayn e Vicki che fanno pace: so che può sembrare “avventata” come cosa, che magari
vi aspettavate un’altra discussione etc etc, però non sarebbe stato realistico. Questo perché
Zayn si è scusato un miliardo di volte, nonostante lei non gli abbia mai dato retta, e perché
Vicki non può fare a meno di aiutarlo e di essere completamente risucchiata dalla sua situazione
e dall’affetto che prova per lui. Se avesse deciso di allontanarsi e di tenergli il muso all’inifito
sarebbe stata in netta contraddizione con quello che è il suo personaggio! Che ne dite?
2. Louis era davvero convinto che tra Zayn e Vicki ci fosse qualcosa: se ci pensate, nessuno
gli ha mai detto il contrario, perché Zayn stava mentendo a lui e a tutti gli altri, e Vicki non lo
riteneva necessario! Quindi anche questo ha contribuito a mettere in difficoltà il complessato Louis ahhaha
3. Spero sia chiaro il motivo per cui Vicki decide di rimanere a casa di Zayn:
vuole solo dimostrartsi determinata e ostinata, per far capire a Louis che qualcosa è successo
e che lei non ha di certo dimenticato le sue parole!
4. la scena del pianoforte è un casino ahahah avrei voluto renderla più intensa, ma spero
che vi piaccia anche così! La canzone che Louis canta l’ho trovata dopo aver iniziato la storia e
subito mi ha fatto pensare a lui e Vicki, quindi non potevo non inserirla hahah
Più che altro tutta la scena è una confessione di Louis riguardo i suoi sentimenti, che per
quanto è orgoglioso e impaurito non riesce a fare a parole, e un involontario meccanismo di incoraggiamento
per Vicki: il fatto che Eleanor entri nella stanza proprio mentre c’è quella canzone,
è proprio per rimarcare un po’ la loro situazione. Louis si mette da solo nelle mani di Vicki,
ma sostiene il suo sguardo mentre è tra le braccia di un’altra per farle capire di non poter
fare altro (secondo lui): è qui che Vicki se ne va con “un’idea” in testa!
Bene, credo di essermi dilungata un po’ troppo ahahha Vi chiedo di farmi sapere cosa pensate
di tutto questo bel casino, perché ci terrei davvero :)

GRAZIE MILLE per tutto quello che fate per me e per le recensioni allo scorso capitolo!
Mi piace che la storia sia seguita anche da persone che non hanno letto “Unexpected” fjsdal
 
Per qualsiasi cosa, mi trovare su Facebook, Twitter ed Ask!
 
Ah, credo di non aver mai messo il link qui, però un po’ di tempo fa ho scritto
un missing-moment di “Unexpected”, per chi è interessato: “It doesn’t end” :)

 
 


  
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Acinorev