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Autore: cocktaylor    13/10/2013    2 recensioni
“Ci sono giorni in cui vorrei uccidermi” Te lo dicevo alla stessa maniera con cui tu mi hai detto che ti drogavi.
“Senti, sono una merda e lo so che non ci sarà un futuro per me - respirasti a fondo, ti costava molto fare pure quello - Mi drogo. Eroina. Lo faccio da...da...Non lo so. Capisci? E io, io lo so, che non ci sarà un futuro per me, non mi interessa, posso conviverci come tutto il resto. Ma io quello per te lo vedo, chiaro e bianco come...non mi viene una cazzo di similitudine. Vaffanculo, vai. Porca puttana”
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ti potevo dire tutto.
Mi sento male, la giornata è stata una merda, la vita oggi sembra bella, mia mamma cucina uno schifo, mio padre continua a fare battute squallide, le lenti graffiano poco, di più il braccialetto che mi ha regalato Susie, certe volte dipingo, canto quando sono in casa da sola, altre volte mi sento perfino sola, vivo di pensieri sconnessi, voglio vedere il mare d’inverno, mio fratello ha dato il suo primo bacio, i cubetti di ghiaccio sono buoni, le risate spezzate mi fanno ridere, se mi si addormenta una spalla divento nervosa, ho sempre voluto portare il gesso, mi sa che ti amo, Bukowski è un gran poeta, il futuro lo voglio riempire di me e te.
Ti potevo dire tutto. E mi piaceva, per quanto fosse stupida e cattiva la cosa, accomodarmi sulla sedia in
legno dell’ospedale, strisciarla un po’ sul pavimento non come dovere ma come abitudine, prenderti una mano e sorriderti.
Ti dicevo tante di quelle cose che certe volte non mi fermavo neanche per respirare.
Sei un coglione. Quello te lo dicevo sempre. Sei un grandissimo coglione che a venti anni rotti e suonati non riesce a togliersi un vizio di merda.
E che mi manchi. Quelle due parole te le ripetevo freneticamente, subito dopo le altre, perché mi ci aggrappavo sempre con tutta la forza del mondo e la voce tremolante.
“Ci sono giorni in cui vorrei uccidermi” Te lo dicevo alla stessa maniera con cui tu mi hai detto che ti drogavi.
“Senti, sono una merda e lo so che non ci sarà un futuro per me - respirasti a fondo, ti costava molto fare pure quello - Mi drogo. Eroina. Lo faccio da...da...Non lo so. Capisci? E io, io lo so, che non ci sarà un futuro per me, non mi interessa, posso conviverci come tutto il resto. Ma io quello per te lo vedo, chiaro e bianco come...non mi viene una cazzo di similitudine. Vaffanculo, vai. Porca puttana”
Non c’era bisogno di dirlo. Non aveva senso.
Lo sapevo io, lo sapevi tu e poi non lo sapeva nessun altro, perché eravamo noi due soli contro tutto il mondo e ce lo facevamo bastare.
Per questo, per tutte le volte in cui mi hai chiesto di lasciarti morire, non ti ho ascoltato.
Ci sono stati giorni in cui sarei voluta uccidermi. Niente.
Niente era quello che provavo.
Stavo così male che non dovevo più mettere il cuscino in lavatrice a causa di tutto il mascara che avevo rigato, e non c’era bisogno di pillole e altre stronzate.
Solo stanca.
Poi te lo dicevo, con lo sguardo un po’ triste, e te lo dicevo con la gola secca ma non mi importava perché sapevo che anche lì, su quel letto smeraldino, tu mi ascoltavi.
Come facevi prima di entrare in quella merda.
Come sempre.
Se ci penso adesso scoppio proprio a ridere.
Mi faceva schifo. Mi faceva schifo venire a trovarti in ospedale, non avere uno straccio di forza per mangiare e altro, trovarti bloccato per un coma del cazzo, non sentire una tua risposta sarcastica o una risposta e basta, mi facevi schifo tu, avere degli orari di visita così corti, i tuoi che ormai si erano rassegnati, tante cose.
E credimi, credimi, se ti dico che è mille volte peggio adesso. Adesso, che tu non ci sei, che sei completamente sotto terra e forse nemmeno in paradiso, buono lo eri e questo sì, non lo discutiamo, ma cosa ti aveva portato sotto terra di meno.
Non mi ascoltavi quando ti dicevo che le tue ciglia lunghe mi facevano il solletico sullo stomaco.
Ci strusciavi il naso, le avvicinavi ancora di più se possibile, e “Devo smettere?” era la tua domanda retorica preferita.
Erano tempi belli, lo erano un po’ tutti con te, e il sole splendeva su di noi.
“Forse”
Ti è sempre piaciuto il modo con cui rispondevo. Enigmatico, dicevi. Snervante, commentavi due secondi dopo.
Non ti ho mai detto uno straccio di sentimento, non ero brava e non lo sono ancora, ci vuole impegno e il tempo è sempre stato poco.
“Stai qui”
“Dove altro vuoi che vada? Promesso, davvero, promesso”
Sei un coglione. Per questo, te lo dicevo sempre, su quella seggiola scomodissima.
Sei un coglione perché non sai neanche mantenerle, le promesse, e un modo per andartene l’hai trovato comunque.
Adesso è sera. I cancelli del cimitero stanno per chiudersi.
E allora buonanotte.







non lo so, certe cose non possono neanche essere spiegate perché verebbero rovinate e basta
scrivetemi cosa ne pensate, grazie a tutti, sempre e comunque
e grazie a te, perché non sarebbe uscita questa storia e non saresti uscito neanche tu
  
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