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Autore: radioactive    13/10/2013    5 recensioni
CAP. 6 Il cigolio del legno si mischiava al battito del cuore del ragazzo tanto da confondergli le idee, non capiva più se il suo cuore era malandato come quelle travi o se l’Arena era viva quanto il suo cuore, aveva il terrore che ciò che lo teneva sospeso in aria crollasse sotto i suoi piedi.
Ma Ariel si bloccò di colpo, Lyosha avrebbe voluto chiederle che diamine stesse facendo, che erano inseguiti!. Ma lei non si muoveva, immobile, fissava ciò che solo in un secondo istante il fratello identificò come Sean, quello che li aveva derubati.
«Ciao, otto»
[...] Stavano per morire, stavano per morire!
CAP. 10 Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del presentatore, era già morto.
| 72esimi Hunger Games ● Lyosha e Ariel Isaacs ● DISTRETTO 8 |
EDIT - testo in via di revisione e betaggio (01 capitoli su 14) + cambio grafica [in data 11/11/2013]
→ I capitoli 15, 16 e 17 sono degli SPINOFF di Die on the front page, just like the stars.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 10

                 well, these days i’m fine – no, these days i tend to lie.

 

 

 

Lo studio delle interviste brillava sotto la luce di mille riflettori di ultima generazione, roba che non aveva niente a che vedere con le candele di Lyosha o la lampadina penzolante al centro della cucina. Rimaneva appoggiato sul muro in attesa che arrivasse il suo turno, che sarebbe arrivato tra molto, a dirla tutta: Caesar Flickerman nel suo completo fucsia, con capelli e scarpe di un rosa maialino scandaloso aveva appena salutato gli spettatori che lo seguivano da casa e raccontava qualche barzelletta come faceva ogni anno, seguito dalle risate quasi registrate del carnevalesco pubblico di Capitol City.

Chiamò la prima intervistata: Lexi era vestita con un lungo abito color madreperla, teneva lo strascico con una mano in modo elegante, come se non avesse mai fatto altro. Si mise dritto con un colpo di reni mentre la fissava sedersi sulla poltrona accanto al Capitolino, stava accavallando una gamba – il vestito aveva uno spacco che scopriva molta più pelle di quanta Lyosha ne avesse vista in un corpo che non fosse il suo.

Deglutì arrossendo, abbassando lo sguardo verso i propri piedi: concentrati si diceva, ripetendosi che erano gli Hunger Games, non una vacanza di piacere. Non poteva perdere la testa per qualcuno.

Un fischio prolungato si fece spazio tra i suoi pensieri confusi e la voce della sua mentore lo riportò alla realtà, costringendo il neotributo ad alzare lo sguardo, «Mi ascolti, Isaacs?» domandò Lloyd, indossava una gonna a tubino lunga a metà polpaccio, una camicetta nera a mezze maniche di qualcosa che gli sembrava seta e dei lunghi guanti che le coprivano interamente le braccia. I capelli erano raccolti in una magnifica acconciatura contornata qua e là di brillanti e sull’anulare destro portava un anello delle medesime pietre. Gli occhi nocciola sembravano profondi nel trucco scuro e lo fissavano come se volessero fulminarlo.

Perché diavolo era conciata così bene? Avrebbe voluto chiederglielo, ma Ariel non era con lui e non poteva scrivere con nulla. Lloyd – solitamente in vesti più comode e semplici – spostava il peso da un piede all’altro, incrociando le braccia al petto come se aspettasse un consenso che non poteva arrivare a parole. Lyosha, ricordandosi improvvisamente della domanda fattagli dalla mentore annuì, accantonando per un momento quei pensieri ambigui che avevano occupato il posto di quelli su Lexi. Troppe donne, qui.

«Bene, sono qui solo per dirti che ho parlato con Caesar, e la tua intervista puoi tranquillamente farla con Ariel, ma non interverrà – farà solo da… traduttrice, o qualcosa del genere. Ok?» si era chinata leggermente sul ragazzo che, reazione involontaria, aveva gonfiato un po’ il petto e trattenuto il respiro, spalancando gli occhi per guardarla qualche momento nelle pupille ed infine puntarli sulle scarpe. «Le tragedie sono molto amate, vedi di usarla bene, la tua condizione» sospirò, slacciando le braccia e ritornando dritta, «non puoi far sopravvivere Ariel, beh, notizia dell’ultimo momento: non puoi fare un bel nulla, ma gli sponsor sì. E considerando i voti pietosi che avete preso, questa è la tua occasione» e se n’era andata senza aspettare risposta.

Lyosha si riappoggiò al muro, passandosi le mani sulla nuca: gli avevano tagliato i capelli molto più corti di quanto era solito tenerli, e gli dava un fastidio tremendo. Si rese conto, alla fine dell’intervista della femmina del due – che aveva fatto una qualche allusione ad un certo Roel – che la cosa che lo aveva scosso nel discorso della mentore non era tanto il doversi mettere in gioco, ma il fatto che Lloyd lo considerasse già morto.

Perché si sorprendeva così tanto? Alla fine, era la prima cosa che aveva deciso una che il suo nome era stato estratto – e in un certo senso si chiedeva se avrebbe mai portato a termine quella missione.

Prima che potesse dare una risposta, l’intervista di Ariel si era conclusa e Caesar Flickerman chiamava a gran voce Lyosha.

 

Lo studio di un brillante Caesar lo avvolgeva come una calda coperta, esattamente come quell’abito color perla dai riflessi argento disegnato da Vilette.

Si sentiva stordito, come se avesse ricevuto una pallonata in testa. La poltrona bianca era comodissima, ma niente in confronto al letto che la Capitale gli aveva riservato al Centro di Addestramento per quelle due settimane e poco più. Le sue settimane da stella, insomma.

Si era accorto poco dopo che sua sorella era accanto a lui: improvvisamente gli venne in mente il discorso di Lloyd: non interverrà – farà solo da… traduttrice.

«Ehy, Lyosha Isaacs!» esordì Flickerman, chinandosi verso il ragazzo, voltandosi poi verso il pubblico in attesa, «non trovate che abbia un nome particolarmente melodioso?» concluse, ritornando a guardare Lyosha.

In risposta il tributo ridacchiò, seguito a ruota dal pubblico – mosse le mani e a seguire la sorella diede voce ai segni fatti dall’altro, «anche a me piace il tuo nome, Caesar».

Il presentatore raddrizzò le spalle, incrociando le caviglie con il suo solito sorriso sul volto, «cosa sentono le mie orecchie!» iniziò, come se avesse appena notato la figura di Ariel, muovendosi sulla poltrona come per guardare le quinte oltre le spalle dei due fratelli, «regia, la piccola Ariel è ancora qui! Portatela via prima che decida di tenerla come cucciolo da compagnia!».

La leggera risata dei Capitolini si diffuse debolmente, Caesar continuò, «per chi non lo sapesse, Lyosha non può parlare a causa di una malformazione. La sorella è l’unica a capire il suo strano linguaggio dei segni. Non è estremamente dolce?».

Gli spettatori si palesarono con un’ondata di “aah!” e “oow!” e altri strani versi che Lyosha non riuscì a identificare, ma prima che potesse formulare un qualsiasi pensiero, Flickerman era già passato all’attacco, «allora Lyosha. Il tuo voto dopo le sessioni di addestramento non era particolarmente alto… ce ne vuoi parlare?» aveva un tono dolce, quasi compassionevole. In realtà era solo il suo lavoro, sporco lavoro.

«Non sono bravo a fare niente, solo a cucire» aveva risposto Ariel dopo aver osservato le dita di dell’altro.

«E che facevi al distretto? Ariel mi ha già raccontato che vostro padre è morto…» proseguì con cautela.

La bimba teneva gli occhi puntati sulle mani di Lyosha, il quale aveva abbassato a sua volta lo sguardo nel sentir parlare del padre: non era mai stato una figura genitoriale molto presente, nella vita del ragazzo, ma in qualche modo il tributo sentiva la sua mancanza – così, dopo qualche secondo che fece intenerire il pubblico, rispose, e a parlare fu chiaramente Ariel. «Cucivo i ricami sui fazzoletti, mi piaceva molto, anche se il lavoro era un sacco e a volte lo portavo a casa. Ariel mi faceva compagnia canticchiando – vorrei tornare a rifarlo, ma temo non sarà possibile», la voce della piccola tremava un po’ verso la fine della frase.

Le labbra di Caesar si incurvarono leggermente verso il basso, «e perché mai dici così?» – sapeva benissimo la risposta.

Vilette era seduta in una delle prime file, di fianco a lei Lloyd con il suo sguardo serio e impenetrabile, anche Cecelia era presente così come la stilista di Ariel, troppe donne. Ma non gli importava, ora come ora era interessato solo a fare colpo sul pubblico di Capitol City, sempre secondo gli insegnamenti della mentore. Mosse piano le mani, cercando di far assorbire il colpo anche alla sorella che sembrava voler sprofondare sottoterra, infine la piccola parlò: «perché sono disposto a portare Ariel in finale, e ovviamente farla uscire dall’Arena viva. Così ritornerà a cantare, per la mamma, per esempio».

Ancora nel pubblico si levarono altri versi simili ai precedenti.

«Vuoi dire qualcosa a tua madre?»

Ancora, Lyosha mosse le mani dopo qualche secondo di meditazione: «sto bene» parlò Ariel. Lyosha mentiva.

L’intervista prese una piega più divertente, sotto certi aspetti, e quel velo di malinconia e tristezza era stato abilmente messo da parte dalle capacità oratorie del presentatore. Quando il segnale acustico forzò il Capitolino a mandare via i due fratelli, lo sguardo contornato da eyeliner rosa metallico erano fissi sul maggiore dei fratelli che si era alzato e aveva preso per mano Ariel. Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del presentatore, era già morto.

 

Quel ricordo l’aveva colpito come un treno, facendogli distogliere l’attenzione dal sentiero che avevano deciso di intraprendere – era diventato pericoloso girare in tondo -, una liana attraversava la via e Lyosha inciampò su questa, cadendo in avanti e sporcandosi di terra ed erba. La sorella si chinò su di lui e gli afferrò un braccio per aiutarlo ad alzarsi, mentre con la mano dell’arto libero il maschio di puliva come poteva i pantaloni, ma non c’era nulla da fare: ormai era sporco e sporco sarebbe rimasto fino alla fine.

«Che ti è preso?» gli domandò con cautela la sorella, raccogliendo da terra la lancia dell’altro per ridargliela.

In risposta l’altro scosse la testa, alzando poi le spalle. Non gli andava di parlare; le prese la mano e ritornò a camminare mentre il sole iniziava ad abbassarsi dietro gli alberi e la luce si imbruniva leggermente, colorando la nebbia di riflessi arancioni.

Il sentiero finì e i due scalarono un piccolo pendio afferrando le radici per non scivolare verso il basso, ma si fermarono quasi alla fine nel sentire grugniti e suoni di rami che si scontravano, corpi che cadevano a terra e si rialzavano affannosamente. Lyosha schiacciò la mole della sorella contro la terra premendole una mano sulla schiena, il volto di Lyosha era impallidito nel vedere cosa succedeva davanti ai loro occhi: due tributi – il sedicenne del nove e il diciottenne del sei – combattevano a perdifiato con dei grossi rami con cui si erano armati nell’incontrarsi: entrambi non avevano niente con sé ed entrambi erano disperati, vedevano rosso dalla rabbia e dalla voglia di vivere da non accorgersi dei due corpi per terra seminascosti da una grossa radice.

Il più grande dei due avversari colpì con la clava la tempia dell’altro, facendolo scivolare a terra e urlare dal dolore, lasciando cadere dalla presa la sua arma, il ragazzo del sei si sedette sopra l’altro iniziando a dare forti colpi alla testa del più piccolo che tentava di proteggersi con un braccio, schizzi di sangue volavano in tutte le direzioni e un altro urlo fece comprendere ai due dell’otto che probabilmente il braccio del nove aveva subito qualche grave danno, tanto da spostarlo e lasciare così la fronte totalmente scoperta. Un altro colpo violento colpì quello del nove sulla testa e un altro urlo si levò dalle sue labbra, un altro ancora e la macchia scarlatta sul ramo dell’avversario si allargò.

Quello del sei si fermò un attimo per riprendere fiato, ma ecco che il più piccolo infilò la mano del braccio relativamente intatto ed estrasse da questo un piccolo bastoncino appuntito, con un ultimo urlo per darsi la carica, infilzò la gola dell’altro e una fontana di sangue si alzò in cielo per poi bagnare i due tributi. Il sedicenne cadde sfinito all’indietro e il cadavere del sei sopra di lui, mentre una pozza di entrambi i sangui formava un letto rosso attorno ai corpi. Qualche secondo dopo, due colpi di cannoni sovrastarono l’urlo di Ariel e uno stormo di uccelli si levarono in cielo, comparendo dagli alberi attorno a loro.

 

Lyosha si girò di scatto e tenendo la mano ad Ariel scivolò verso il sentiero che avevano abbandonato, correndo poi verso il lato opposto che li aveva condotti alle tribune di quell’orrenda battaglia per la sopravvivenza dei due tributi, la nebbia diventava più fitta e la vegetazione meno folta, ma Lyosha non vedeva nulla di tutto questo: voleva scappare da quella visione di morte, dagli uccelli di cui aveva finalmente capito il significato e dalla loro postazione, dove Ariel aveva gridato, avrebbero potuto sentirli e raggiungere, perciò era suo preciso dovere allontanarla il prima possibile da quel luogo.

Diventò paonazzo per lo sforzo della corsa che mantenne per qualche minuto, si fermò piantando i talloni sulla terra e quasi andò a sbattere contro un grosso tronco che non aveva visto proprio a causa della foschia.

«Ly…Lyo» ma la voce di Ariel non finì il suo nome che la mano della sorella sfuggì alla debole presa dell’altro, Lyosha si girò di scatto alla ricerca della sorella che sembrava sparita nel nulla.

Sentiva il panico impossessarsi dei suoi muscoli, l’ansia trasformarsi in urla che non sarebbe mai riuscito a dire.

Sentiva… sentiva… poi qualcosa lo colpì dietro il collo e il suo corpo si sciolse a terra, ma non la raggiunse mai perché due lunghe braccia ossute lo afferrò per le spalle. L’ultima cosa che avvertì fu un coro di voci che dicevano parole sconosciute e lo zaino scivolargli dalle spalle, la lancia cadde a terra e a terra rimase.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 






«I’m sorry, mother… I’m sorry, I let you down.

Well, these days I’m fine – No, these days I tend to lie.»     

[IMAGINE DRAGONS; “Amsterdam”]

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»

 

Inizio con uno sfogo: mancano nove tributi! Ebbene sì miei cari, mancano nove tributi e di questi nove solo uno sarà il vincitore. E mano a mano che mi avvicino alla fine sento di non potercela fare, e un angolino del mio cervello vuole cambiare la fine di questi Giochi ma è una cosa che non si può fare, davvero.

Allora, mi rendo conto che questo capitolo è stato più flashback che altro ma è arrivato il momento di fare full-immersion nei fratelli Isaacs, probabilmente tra il capitolo 11 e il 12 ci saranno dei focus sui favoriti, ma alla fine si riunirà tutto in un unico grande pov. Per poi concludere il tutto con forse un paio di capitoli di epilogo (o forse solo uno, dipende dalla lunghezza del tutto).

Sì insomma, ci avviamo verso la fine.

Intanto, i tributi ancora vivi sono: M-1; F-1; F-2; M-3; F-4; M-7; M-8; F-8; F-10. Insomma, voglio sentire il tifo!(?) anche se mi sembra abbastanza ovvio chi vincerà, o al massimo la scelta può ricadere su due tributi… ma lascio a voi il beneficio del dubbio (:

Ho voluto inserire Caesar come presentatore per il semplice fatto che questi sono i 72esimi Hunger Games, e Katniss dice che già nei 73esimi era lui a condurre le interviste, quindi ben venga. E’ un personaggio molto apprezzabile e ho adorato la sua comparsa in questa fan fiction, il colore del suo outfit è stato scelto da yingsu, quindi prendetevela con lei!

Lo so, lo so che probabilmente il far rimanere Ariel durante le interviste di Lyosha è un po’… come dire, contorto? Ma in tutti i casi il ragazzo aveva bisogno di una voce e Ariel è l’unica a capirlo. Inoltre Lloyd (che donna, eh! 8D) lo spiega chiaramente: è per gli sponsor. E a proposito di questo, ci tengo a dirvi che Lyosha ha preso 5 negli addestramenti, mentre Ariel 6. Come ha detto la mentore, voti davvero pietosi, ma che ci volete fare? Non sono tutti dei Katniss Everdeen, Lyosha sa solo cucire e agli addestramenti ha fatto più corsi di sopravvivenza – per Ariel, appunto – che altro, lei invece è un po’ a stampo Rue: sa uccidere piccole prede, arrampicarsi e correre, ed è una bimba ;;

Ultima cosa *pare* è appunto la citazione finale. Questa è tratta da Amsterdam, la canzone degli Imagine Dragons (*A*) che mi ha ispirato maledettamente per l’intervista. Insomma, è stata anche ripresa nel testo del capitolo perché davvero adoro quella canzone, ecco.

 

Alla prossima!

radioactive,

 

 

 

a n g o l o s p a m

            Sono stato fatto per amarti { Hunger Games – ONESHOT – pre!Die on the front page, just like the stars – Liv (D2) • radioactive }

         I’m frozen to the bones { Hunger Games – LONG – 73esima EdizioneRoel (D2) • yingsu }

         Cadenti come le stelle { Hunger Games – LONG – 69esima Edizione – Lesath (D8) • iysse }

         Blur { Hunger Games – LONG – Klaus & London (D6) • ivola }

         Quella volta Jem sarebbe morto davvero { Shadowhunters: TID – ONESHOT – Will + Jem • radioactive }

   
 
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