▪ CAPITOLO 10 ▪
well, these days i’m
fine – no, these days i tend to lie.
Lo studio delle interviste brillava sotto la
luce di mille riflettori di ultima generazione, roba che non aveva niente a che
vedere con le candele di Lyosha o la lampadina penzolante
al centro della cucina. Rimaneva appoggiato sul muro in attesa che arrivasse il
suo turno, che sarebbe arrivato tra molto, a dirla tutta: Caesar
Flickerman nel suo completo fucsia, con capelli e
scarpe di un rosa maialino scandaloso aveva appena salutato gli spettatori che
lo seguivano da casa e raccontava qualche barzelletta come faceva ogni anno,
seguito dalle risate quasi registrate del carnevalesco pubblico di Capitol City.
Chiamò la prima intervistata: Lexi era vestita con un lungo abito color madreperla,
teneva lo strascico con una mano in modo elegante, come se non avesse mai fatto
altro. Si mise dritto con un colpo di reni mentre la fissava sedersi sulla
poltrona accanto al Capitolino, stava accavallando una gamba – il vestito aveva
uno spacco che scopriva molta più pelle di quanta Lyosha
ne avesse vista in un corpo che non fosse il suo.
Deglutì arrossendo, abbassando lo sguardo verso
i propri piedi: concentrati si
diceva, ripetendosi che erano gli Hunger Games, non una vacanza di piacere. Non poteva perdere la
testa per qualcuno.
Un fischio prolungato si fece spazio tra i suoi
pensieri confusi e la voce della sua mentore lo riportò alla realtà,
costringendo il neotributo ad alzare lo sguardo, «Mi ascolti, Isaacs?» domandò Lloyd, indossava una gonna a tubino lunga
a metà polpaccio, una camicetta nera a mezze maniche di qualcosa che gli
sembrava seta e dei lunghi guanti che le coprivano interamente le braccia. I
capelli erano raccolti in una magnifica acconciatura contornata qua e là di
brillanti e sull’anulare destro portava un anello delle medesime pietre. Gli
occhi nocciola sembravano profondi nel trucco scuro e lo fissavano come se
volessero fulminarlo.
Perché diavolo era conciata così bene? Avrebbe
voluto chiederglielo, ma Ariel non era con lui e non poteva scrivere con nulla.
Lloyd – solitamente in vesti più comode e semplici
– spostava il peso da un piede all’altro, incrociando le braccia al petto come
se aspettasse un consenso che non poteva arrivare a parole. Lyosha,
ricordandosi improvvisamente della domanda fattagli dalla mentore annuì,
accantonando per un momento quei pensieri ambigui che avevano occupato il posto
di quelli su Lexi. Troppe donne, qui.
«Bene, sono qui solo per dirti che ho parlato
con Caesar, e la tua intervista puoi tranquillamente
farla con Ariel, ma non interverrà – farà solo da…
traduttrice, o qualcosa del genere. Ok?» si era chinata leggermente sul ragazzo
che, reazione involontaria, aveva gonfiato un po’ il petto e trattenuto il
respiro, spalancando gli occhi per guardarla qualche momento nelle pupille ed
infine puntarli sulle scarpe. «Le tragedie sono molto amate, vedi di usarla
bene, la tua condizione» sospirò, slacciando le braccia e ritornando dritta,
«non puoi far sopravvivere Ariel, beh, notizia dell’ultimo momento: non puoi
fare un bel nulla, ma gli sponsor sì. E considerando i voti pietosi che avete
preso, questa è la tua occasione» e se n’era andata senza aspettare risposta.
Lyosha si
riappoggiò al muro, passandosi le mani sulla nuca: gli avevano tagliato i
capelli molto più corti di quanto era solito tenerli, e gli dava un fastidio
tremendo. Si rese conto, alla fine dell’intervista della femmina del due – che
aveva fatto una qualche allusione ad un certo Roel –
che la cosa che lo aveva scosso nel discorso della mentore non era tanto il
doversi mettere in gioco, ma il fatto che Lloyd lo considerasse già morto.
Perché si sorprendeva così tanto? Alla fine,
era la prima cosa che aveva deciso una che il suo nome era stato estratto – e
in un certo senso si chiedeva se avrebbe mai portato a termine quella missione.
Prima che potesse dare una risposta,
l’intervista di Ariel si era conclusa e Caesar Flickerman chiamava a gran voce Lyosha.
Lo studio di un brillante Caesar
lo avvolgeva come una calda coperta, esattamente come quell’abito color perla
dai riflessi argento disegnato da Vilette.
Si sentiva stordito, come se avesse ricevuto
una pallonata in testa. La poltrona bianca era comodissima, ma niente in
confronto al letto che la Capitale gli aveva riservato al Centro di
Addestramento per quelle due settimane e poco più. Le sue settimane da stella,
insomma.
Si era accorto poco dopo che sua sorella era
accanto a lui: improvvisamente gli venne in mente il discorso di Lloyd: non interverrà – farà solo da… traduttrice.
«Ehy, Lyosha Isaacs!» esordì Flickerman, chinandosi verso il ragazzo, voltandosi poi
verso il pubblico in attesa, «non trovate che abbia un nome particolarmente
melodioso?» concluse, ritornando a guardare Lyosha.
In risposta il tributo ridacchiò, seguito a ruota
dal pubblico – mosse le mani e a seguire la sorella diede voce ai segni fatti
dall’altro, «anche a me piace il tuo nome, Caesar».
Il presentatore raddrizzò le spalle,
incrociando le caviglie con il suo solito sorriso sul volto, «cosa sentono le
mie orecchie!» iniziò, come se avesse appena notato la figura di Ariel,
muovendosi sulla poltrona come per guardare le quinte oltre le spalle dei due
fratelli, «regia, la piccola Ariel è ancora qui! Portatela via prima che decida
di tenerla come cucciolo da compagnia!».
La leggera risata dei Capitolini si diffuse
debolmente, Caesar continuò, «per chi non lo sapesse,
Lyosha non può parlare a causa di una malformazione.
La sorella è l’unica a capire il suo strano linguaggio dei segni. Non è
estremamente dolce?».
Gli spettatori si palesarono con un’ondata di
“aah!” e “oow!” e altri strani versi che Lyosha non riuscì a identificare, ma prima che potesse
formulare un qualsiasi pensiero, Flickerman era già
passato all’attacco, «allora Lyosha. Il tuo voto dopo
le sessioni di addestramento non era particolarmente alto…
ce ne vuoi parlare?» aveva un tono dolce, quasi compassionevole. In realtà era
solo il suo lavoro, sporco lavoro.
«Non sono bravo a fare niente, solo a cucire»
aveva risposto Ariel dopo aver osservato le dita di dell’altro.
«E che facevi al distretto? Ariel mi ha già
raccontato che vostro padre è morto…» proseguì con
cautela.
La bimba teneva gli occhi puntati sulle mani di
Lyosha, il quale aveva abbassato a sua volta lo sguardo
nel sentir parlare del padre: non era mai stato una figura genitoriale molto
presente, nella vita del ragazzo, ma in qualche modo il tributo sentiva la sua
mancanza – così, dopo qualche secondo che fece intenerire il pubblico, rispose,
e a parlare fu chiaramente Ariel. «Cucivo i ricami sui fazzoletti, mi piaceva
molto, anche se il lavoro era un sacco e a volte lo portavo a casa. Ariel mi
faceva compagnia canticchiando – vorrei tornare a rifarlo, ma temo non sarà
possibile», la voce della piccola tremava un po’ verso la fine della frase.
Le labbra di Caesar
si incurvarono leggermente verso il basso, «e perché mai dici così?» – sapeva
benissimo la risposta.
Vilette era
seduta in una delle prime file, di fianco a lei Lloyd con il suo sguardo serio
e impenetrabile, anche Cecelia era presente così come
la stilista di Ariel, troppe donne.
Ma non gli importava, ora come ora era interessato solo a fare colpo sul
pubblico di Capitol City, sempre secondo gli
insegnamenti della mentore. Mosse piano le mani, cercando di far assorbire il
colpo anche alla sorella che sembrava voler sprofondare sottoterra, infine la
piccola parlò: «perché sono disposto a portare Ariel in finale, e ovviamente
farla uscire dall’Arena viva. Così ritornerà a cantare, per la mamma, per esempio».
Ancora nel pubblico si levarono altri versi
simili ai precedenti.
«Vuoi dire qualcosa a tua madre?»
Ancora, Lyosha mosse
le mani dopo qualche secondo di meditazione: «sto bene» parlò Ariel. Lyosha mentiva.
L’intervista prese una piega più divertente,
sotto certi aspetti, e quel velo di malinconia e tristezza era stato abilmente
messo da parte dalle capacità oratorie del presentatore. Quando il segnale
acustico forzò il Capitolino a mandare via i due fratelli, lo sguardo
contornato da eyeliner rosa metallico erano fissi sul maggiore dei fratelli che
si era alzato e aveva preso per mano Ariel. Caesar Flickerman trattava tutti i tributi come validi
concorrenti, Lyosha invece, agli occhi del
presentatore, era già morto.
Quel ricordo l’aveva colpito come un treno,
facendogli distogliere l’attenzione dal sentiero che avevano deciso di
intraprendere – era diventato pericoloso girare in tondo -, una liana
attraversava la via e Lyosha inciampò su questa,
cadendo in avanti e sporcandosi di terra ed erba. La sorella si chinò su di lui
e gli afferrò un braccio per aiutarlo ad alzarsi, mentre con la mano dell’arto
libero il maschio di puliva come poteva i pantaloni, ma non c’era nulla da
fare: ormai era sporco e sporco sarebbe rimasto fino alla fine.
«Che ti è preso?» gli domandò con cautela la
sorella, raccogliendo da terra la lancia dell’altro per ridargliela.
In risposta l’altro scosse la testa, alzando
poi le spalle. Non gli andava di parlare;
le prese la mano e ritornò a camminare mentre il sole iniziava ad abbassarsi
dietro gli alberi e la luce si imbruniva leggermente, colorando la nebbia di
riflessi arancioni.
Il sentiero finì e i due scalarono un piccolo
pendio afferrando le radici per non scivolare verso il basso, ma si fermarono
quasi alla fine nel sentire grugniti e suoni di rami che si scontravano, corpi
che cadevano a terra e si rialzavano affannosamente. Lyosha
schiacciò la mole della sorella contro la terra premendole una mano sulla
schiena, il volto di Lyosha era impallidito nel
vedere cosa succedeva davanti ai loro occhi: due tributi – il sedicenne del
nove e il diciottenne del sei – combattevano a perdifiato con dei grossi rami
con cui si erano armati nell’incontrarsi: entrambi non avevano niente con sé ed
entrambi erano disperati, vedevano rosso dalla rabbia e dalla voglia di vivere
da non accorgersi dei due corpi per terra seminascosti da una grossa radice.
Il più grande dei due avversari colpì con la
clava la tempia dell’altro, facendolo scivolare a terra e urlare dal dolore,
lasciando cadere dalla presa la sua arma, il ragazzo del sei si sedette sopra
l’altro iniziando a dare forti colpi alla testa del più piccolo che tentava di
proteggersi con un braccio, schizzi di sangue volavano in tutte le direzioni e
un altro urlo fece comprendere ai due dell’otto che probabilmente il braccio
del nove aveva subito qualche grave danno, tanto da spostarlo e lasciare così
la fronte totalmente scoperta. Un altro colpo violento colpì quello del nove
sulla testa e un altro urlo si levò dalle sue labbra, un altro ancora e la
macchia scarlatta sul ramo dell’avversario si allargò.
Quello del sei si fermò un attimo per
riprendere fiato, ma ecco che il più piccolo infilò la mano del braccio
relativamente intatto ed estrasse da questo un piccolo bastoncino appuntito, con
un ultimo urlo per darsi la carica, infilzò la gola dell’altro e una fontana di
sangue si alzò in cielo per poi bagnare i due tributi. Il sedicenne cadde
sfinito all’indietro e il cadavere del sei sopra di lui, mentre una pozza di
entrambi i sangui formava un letto rosso attorno ai
corpi. Qualche secondo dopo, due colpi di cannoni sovrastarono l’urlo di Ariel
e uno stormo di uccelli si levarono in cielo, comparendo dagli alberi attorno a
loro.
Lyosha si
girò di scatto e tenendo la mano ad Ariel scivolò verso il sentiero che avevano
abbandonato, correndo poi verso il lato opposto che li aveva condotti alle
tribune di quell’orrenda battaglia per la sopravvivenza dei due tributi, la
nebbia diventava più fitta e la vegetazione meno folta, ma Lyosha
non vedeva nulla di tutto questo: voleva scappare da quella visione di morte,
dagli uccelli di cui aveva finalmente capito il significato e dalla loro
postazione, dove Ariel aveva gridato, avrebbero potuto sentirli e raggiungere,
perciò era suo preciso dovere allontanarla il prima possibile da quel luogo.
Diventò paonazzo per lo sforzo della corsa che
mantenne per qualche minuto, si fermò piantando i talloni sulla terra e quasi
andò a sbattere contro un grosso tronco che non aveva visto proprio a causa
della foschia.
«Ly…Lyo―» ma la voce di
Ariel non finì il suo nome che la mano della sorella sfuggì alla debole presa
dell’altro, Lyosha si girò di scatto alla ricerca
della sorella che sembrava sparita nel nulla.
Sentiva il panico impossessarsi dei suoi
muscoli, l’ansia trasformarsi in urla che non sarebbe mai riuscito a dire.
Sentiva… sentiva… poi qualcosa lo colpì dietro il collo e il suo
corpo si sciolse a terra, ma non la raggiunse mai perché due lunghe braccia
ossute lo afferrò per le spalle. L’ultima cosa che avvertì fu un coro di voci
che dicevano parole sconosciute e lo zaino scivolargli dalle spalle, la lancia
cadde a terra e a terra rimase.
«I’m sorry,
mother… I’m sorry, I let you down.
Well, these
days I’m fine – No, these days I tend to lie.»
[IMAGINE DRAGONS; “Amsterdam”]
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
Inizio con uno sfogo: mancano nove
tributi! Ebbene sì miei cari, mancano nove tributi e di questi nove solo uno
sarà il vincitore. E mano a mano che mi avvicino alla fine sento di non
potercela fare, e un angolino del mio cervello vuole cambiare la fine di questi
Giochi ma è una cosa che non si può fare, davvero.
Allora, mi rendo conto che questo capitolo
è stato più flashback che altro ma è arrivato il momento di fare full-immersion
nei fratelli Isaacs, probabilmente tra il capitolo 11
e il 12 ci saranno dei focus sui favoriti, ma alla fine si riunirà tutto in un
unico grande pov. Per poi concludere il tutto con
forse un paio di capitoli di epilogo (o forse solo uno, dipende dalla lunghezza
del tutto).
Sì insomma, ci avviamo verso la fine.
Intanto, i tributi ancora vivi sono:
M-1; F-1; F-2; M-3; F-4; M-7; M-8; F-8; F-10. Insomma, voglio sentire il tifo!(?)
anche se mi sembra abbastanza ovvio chi vincerà, o al massimo la scelta può
ricadere su due tributi… ma lascio a voi il beneficio
del dubbio (:
Ho voluto inserire Caesar
come presentatore per il semplice fatto che questi sono i 72esimi Hunger Games, e Katniss dice che già nei 73esimi era lui a condurre le
interviste, quindi ben venga. E’ un personaggio molto apprezzabile e ho adorato
la sua comparsa in questa fan fiction, il colore del suo outfit
è stato scelto da yingsu,
quindi prendetevela con lei!
Lo so, lo so che probabilmente il far
rimanere Ariel durante le interviste di Lyosha è un
po’… come dire, contorto? Ma in tutti i casi il ragazzo aveva bisogno di una
voce e Ariel è l’unica a capirlo. Inoltre Lloyd (che donna, eh! 8D) lo spiega
chiaramente: è per gli sponsor. E a proposito di questo, ci tengo a dirvi che Lyosha ha preso 5 negli addestramenti, mentre Ariel 6. Come
ha detto la mentore, voti davvero
pietosi, ma che ci volete fare? Non sono tutti dei Katniss
Everdeen, Lyosha sa solo
cucire e agli addestramenti ha fatto più corsi di sopravvivenza – per Ariel,
appunto – che altro, lei invece è un po’ a stampo Rue: sa uccidere piccole
prede, arrampicarsi e correre, ed è una bimba ;;
Ultima cosa *pare* è appunto la
citazione finale. Questa è tratta da Amsterdam, la canzone degli Imagine Dragons (*A*) che mi ha
ispirato maledettamente per l’intervista. Insomma, è stata anche ripresa nel
testo del capitolo perché davvero adoro quella
canzone, ecco.
Alla prossima!
radioactive,
▪ a n g o l o s p a m ▪
Sono stato fatto
per amarti ― { Hunger Games –
ONESHOT – pre!Die on the front page, just like the
stars – Liv (D2) • radioactive }
I’m frozen to the
bones ― { Hunger Games – LONG – 73esima Edizione – Roel (D2) • yingsu }
Cadenti come le
stelle ― { Hunger Games – LONG – 69esima
Edizione – Lesath (D8) • iysse
}
Blur ― { Hunger Games –
LONG – Klaus & London (D6) • ivola }
Quella volta Jem sarebbe morto davvero ― { Shadowhunters: TID – ONESHOT – Will + Jem
• radioactive }