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Autore: MatitaGialla    13/10/2013    10 recensioni
Questa è una raccolta di One Shots:
1. Sulle lapidi che non esistono. [Drabble - I saluti a coloro che non hanno un luogo dove riposare.]
2. Figli della luna. [One Shot - Se Katniss è in grado di farlo, perché non io?.]
3. Mi presenti i tuoi? [One Shot - Peeta è sicuro: sua figlia non avrà mai un fidanzato.]
4. Ci vediamo domani [Flashfic - Peeta non amerà mai sua moglie a sufficienza.]
5. Odio la playstation [Flashfic - Ogni coppia ha le sue divergenze matrimoniali.]
6. Odio la pioggia, oggi. [Flashfic - Peeta, dopo essere tornato da Capitol City.]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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** Ho eliminato e ripubblicato questa shot tipo 4 volte di oggi perché EFP mi ha dato un sacco di problemi con l'editor. Speriamo sia la volta buona!!
*Probabile OOC. Ecco la prima One – Shot (Peeta Centric). Buona lettura!


IMPORTANTE PREMESSA: si narra che nella mitologia delle tribù native americane, i figli della luna erano indomiti cacciatori senza paura; sprezzanti del pericolo e coraggiosi per il beneficio delle loro famiglie, morenti di fame per il troppo sole e quindi troppo deboli per la caccia notturna al chiaro di luna. Essi disprezzavano chiunque fosse figlio del sole, in quanto graziati dal cibo coltivato con il calore dei raggi solari e quindi destinati ad una vita più avvantaggiata.



2. Figli della luna.


– Pebble, Phil, questa sera non rincasate tardi – dice mia madre, mentre posa in tavola un pentola di stufato. Poi mi guarda. – Anche tu, Peeta –
– Perché? – domando. Come se avessi qualcosa da fare la sera, oltre a rintanarmi nella mia stanza a dipingere.
Sono due mesi ormai che sono tornato reduce dagli Hunger Games.
Ho diciassette anni e una gamba in meno, il cuore infranto e non dormo una notte serena da tre mesi.
Sul treno, tornando da Capitol City, mi guardavo in continuazione la gamba e chiudevo gli occhi; come per sperare che riapparisse la mia carne. Ma non è mai successo.
In quei momenti di sconforto, uscivo dalla mia cabina per cercare di incrociare il viso di Katniss.
Mi abbracciava, mi baciava, mi sosteneva.
Mi sentivo rincuorato. Nonostante avessi perso una parte di me e non avrei mai più dimenticato quello che mi era toccato vedere nell’arena, sapevo che ci sarebbe stata lei al mio fianco, da quel momento in poi.
 
“– Non sapevo che ci fosse qualcosa da capire – ribatto – Stai dicendo che in questi ultimi giorni.. e immagino.. anche nell’arena, allora.. quella era solo una strategia che avete architettato voi due?
 
Mi è letteralmente crollato il mondo addosso..
No, non voglio pensarci, meglio tornare al mio stufato. – Perché? – domando.
Lei mi guarda seccata, come al suo solito.
– Il vecchio Cray ha detto che è di passaggio dal bosco un branco di cinghiali selvatici questa notte. Non vorrei mai che superassero il recinto del distretto ed entrassero in città – risponde al suo posto papà.
– I cinghiali selvatici sono pericolosi – continua mia madre – spero non ci mangino la spazzatura –
Certo mamma, preoccupati della spazzatura.
– Perché accendono la recinzione stanotte? – domanda mio fratello Pebble. È vero, ultimamente la accendono praticamente mai: consuma troppa energia e lascia al buio le case del centro.
Proteggere i lavoratori delle miniere, abitanti ai confini con i boschi, non è mai stata una prerogativa della città.
– Solo fino alle tre di notte – risponde papà, in tono gentile – per evitare che qualcuno vada nel bosco a cacciare di frode – conclude, e poi mi guarda.
Lascio cadere il panino che ho da poco iniziato a spezzettare e un senso di nausea mi fa spingere il piatto lontano da me.
Katniss. Un branco di cinghiali. Deve averlo saputo per forza, e non si lascerà sfuggire un simile bottino.
Calma, Peeta. Ha vinto gli Hunger Games con te, ora è ricca e piena di cibo.
Ma Gale no, ed ha altri quattro da sfamare, a casa.
Mi alzo di scatto – Non ho fame, vado a dormire. Buona notte – dico.
Mentre mi avvio verso le scale che mi portano in camera mia, zoppicando ed aggrappandomi al corrimano, sento mia madre urlarmi: – Stupido figlio! Avanzi così il cibo che ho comprato?! –
– Taci, Hexe. È grazie a lui se ti sei potuta permettere questo cibo. E poi, si può benissimo conservare per domani – la rimprovera mio papà, e mentre tiro un sospiro di sollievo e avanzo a fatica sulle scale, sento il suo sguardo sulle mie spalle.
 
Sono le due del mattino. Guardo fuori dalla finestra e vedo solo fili d’erba argentei illuminati dal chiarore della luna piena.
L’entrata al Villaggio dei Vincitori è piccola, vista da qui. Mi chiedo se mai avrò altri vicini di casa, oltre ad Haymitch e Katniss.
Sarà compito mio, riportare a casa i prossimi tributi.
Compito mio e della ragazza che mi ha ucciso il cuore, ma che mi ha salvato dall’arena.
Katniss, che le settimane dopo il nostro ritorno ha continuato a sorridere ai miei baci; e poi, una volta sparite le telecamere, si è rifugiata nei boschi senza mai venire a parlarmi, cercando in tutti i modi di evitarmi.
Eppure, ogni notte mi sveglio sperando di ritrovarla accanto a me, raggomitolata al mio petto.
Il suo sospiro di sollievo nel momento in cui le lasciai la mano, quando sua madre disse in stazione davanti ai giornalisti di non essere d’accordo del fatto che ora avesse un fidanzato, mi colpisce ancora lo stomaco in una morsa famelica che mi fa soffrire.
Eppure non riesco a non pensare ai suoi occhi mentre mi baciava nella grotta. Le sue labbra mi cercavano!
 
Il ticchettio dell’orologio scandiscono le due e un quarto, e con uno slancio mi sollevo dal letto.
Spostando le lenzuola, guardo con una smorfia la mia gamba amputata; e con un po’ di dolore inserisco la protesi. Non ho tempo di pensare che sono uno storpio. Direi che non mi serve proprio, ora.
Metto un maglione pesante, la giacca, pantaloni lunghi e gli scarponi per le giornate di pioggia.
Nonostante sia settembre, di notte fa freddo come novembre.
Mi avvolgo una coperta alle spalle e silenziosamente scendo le scale.
In cucina sfilo dal ceppo dei coltelli la lama più grossa e affilata che ci sia in casa: sarà sufficiente per difendere Katniss da un cinghiale, questo? Mi domando nel buio della stanza.
Quando mi volto, una figura nera seduta al tavolo mi fa sbattere le spalle al muro per lo spavento.
L’arena mi ha cambiato. Ogni movimento furtivo è una minaccia, è un favorito, è un ibrido.
Mi lancio ad accendere la luce e faccio per brandire il coltello quando al tavolo, seduto nel buio di questa notte di luna piena, vedo mio padre.
– Cosa fai sveglio? – gli domando, ansimante per lo spavento.
– Figlio mio, potrei domandarti la stessa cosa – mi risponde.
Nascondo il coltello dietro le spalle e rimango in silenzio.
Mio padre sospira, si alza, e mi posa le mani sulle spalle.
I suoi occhi, così simili ai miei, mi danno sempre conforto. La frustrazione degli Hunger Games, di questi ultimi mesi in preda alla mia sensazione di solitudine, mi hanno reso perennemente agitato e nervoso.
Ma gli occhi di mio papà mi fanno sempre sentire un bambino piccolo, che va in cerca di un po’ di amore.
Proprio come quello che ho sempre cercato da Katniss.
– Hai vinto gli Hunger Games. Non sarò io a dirti cosa fare o meno. Solo.. sta attento, Peeta – mi dice, e mi abbraccia.
Vorrei singhiozzare e piangere, e far uscire dalla mia bocca tutta la mia paura e il dolore per l’idillio di Katniss. Quello che mi limito a fare invece è sorridergli.
Penso che i sorrisi gli facciano bene. Mi chiedo come possa vivere con mia madre allora.
– Tornerò prima che la mamma si svegli – rispondo.
– Meglio, o ce ne sentiremo tante tutti e due! – mi risponde, quasi divertito.
Ma sotto quelle iridi azzurre e buone, aleggia la preoccupazione di vedere ancora suo figlio andarsene; anche se solo per una notte un po’ avventurosa.
Mi chiudo la porta dietro le spalle, e inspiro l’aria fredda che mi sveglia del tutto.
Nella mia mano, il coltello si illumina, argentato e letale.
– Peeta, dovresti dormire a quest’ora – dice una voce alle mie spalle. Insomma, stanotte nessuno vuol capire che non si parla alle spalle e nel buio, ad un reduce degli Hunger Games armato di coltello.
Ma riconosco la voce, impastata ed ubriaca. – Anche tu – replico al mio mentore, voltandomi.
Nonostante abbia complottato assieme a Katniss, non riesco ad odiare nemmeno lui.
Lo so, mi hanno salvato.
– Oh, io sono un animale da buio. E Katniss è figlia della luna, in questi casi. Sai.. la leggenda.. – mi risponde, e io lo guardo perplesso mentre tracanna giù un lungo sorso di Gin.
Lo trovo forse in un momento poetico? L’alcool lo ammazzerà, prima o poi, ne sono sicuro.
Rimango in silenzio, in attesa di una spiegazione che non si accenna ad uscire.
– Sei più un fiorellino da giardino, tu. Non sei fatto per avere dei tormenti notturni – spiega poi.
– Katniss non centra – mento – e non ho nessun tormento – ribatto, serio.
Haymitch alza un sopracciglio, e guarda il sentiero per il bosco – No? –. Mi sorride.
Colpito e affondato. – Katniss deve ancora uscire, se ti può essere utile, ma la luce della sua stanza è accesa già da qualche minuto – dice.
Annuisco, e mentre supero a passi “veloci”, per quanto la protesi mi consenta, casa Everdeen; mi sforzo di non cercare con gli occhi la luce della stanza di Katniss.
Perché so, che se scopro in quale stanza dorme, non passerò più giorno senza cercare di vederla attraverso la finestra.
Arrivo davanti alla recinzione dopo una buona mezz’ora di cammino arrancante, con il fiato corto e un freddo che si irradia sino alle ossa. Sento il vibrare del filo elettrificato affievolirsi lentamente, sino a quando diventa quasi impercettibile.
Faccio un sospiro profondo e mi ritrovo ad essere paralizzato dalla paura.
Durante gli Hunger Games, mentre ero nascosto tra il fango del torrente, la notte era il momento peggiore. Di giorno, ogni quattro o cinque ore qualcuno mi correva affianco, senza vedermi.
Io sentivo il loro fiatone, i loro passi malfermi e stremati. Sapevo che ero vivo, perché potevo ancora udire tutte quelle cose.
La notte invece era interminabile. Io ero sveglio nella mia semicoscienza, non sentivo né fame né sete; solo le forze abbandonarmi lentamente. Il silenzio attorno a me era sconvolgente e io morivo dalla paura perché non sentivo niente. Più volte mi sono portato la mano infangata alla gamba ferita, per toccarla.
Il dolore mi riportava alla realtà, facendomi capire che ero ancora vivo, che non me ne stavo andando.
Guardo la recinzione, ancora e ancora.
                Tu sei più un fiorellino da giardino. 
Ti sbagli Haymitch. Questa notte sarò anche io figlio della luna. Nell’istante esatto in cui lo penso, la rete cessa completamente di essere invasa dall’elettricità, e io scavalco la recinzione raggiungendo a passi veloci il primo albero del bosco.
Una torcia sarebbe impensabile, verrei subito notato sia da Katniss che da Gale; e comunque la luce della luna è sufficiente a scorgere gli ostacoli più grossi.
Un enorme pino con rami forti  e robusti a pochi metri da terra da inizio al bosco vero e proprio. Conficco il coltello della sua robusta corteccia e faccio leva per alzarmi ed arrampicarmici sopra.
Raggiunto il primo ramo, mi ci siedo sopra lasciando le gambe a penzoloni. La gravità richiama a terra la mia protesi pesante, e una fitta di dolore mi coglie assolutamente impreparato, facendomi quasi cadere.
Trascino a stendere sul ramo la gamba, facendola sfuggire al moto gravitazionale, e sospiro di sollievo.
Con la coperta mi lego al ramo robusto, come faceva Katniss durante gli Hunger Games.
Faccio un respiro profondo e aspetto.
Non si allontaneranno troppo dalla recinzione; è notte ed è un rischio che nessuno dei due può permettersi di correre, e la mia postazione è sufficiente alta da poter vedere tutto.
 
Non passano nemmeno quindici minuti che sento in lontananza delle voci familiari avvicinarsi: se non fosse per i loro bisbigli, non sentirei nemmeno i loro passi quanto cauti sono.
Vedo Gale, imponente come sempre, mettersi davanti a Katniss e con una mano portarla dietro la sua schiena. Un impeto di gelosia mi invade morboso, e per un secondo provo il desiderio di far cadere il coltello nella sua testa. Pensiero che, mi si ritorce contro violentemente, perché io non sono così.
Sento crescere dentro di me la frustrante invidia nel vederlo camminare nel bosco con un passo così impercettibile, quando io faccio scappare qualsiasi animale nel raggio di dieci metri; il senso di impotenza nel guardarlo sorridere illuminato dalla luna, mentre porge a Katniss i loro archi nascosti nel muschio e nel fogliame; e la stretta allo stomaco quando tende l’arco e in neanche mezzo secondo colpisce il fagiano appollaiato ed addormentato a qualche ramo di distanza da me.
Tappo subito la mia bocca che ha emesso un sussulto involontario; non ho certo pensato che potrei sembrare un enorme gufo grassottello, da laggiù.
Mi appiattisco più che posso al tronco nella speranza che gli occhi selvaggi di Katniss e Gale non mi vedano, ma loro sono già distanti cinque metri dal pino e si nascondono dietro i due alberi che seguono il mio rifugio.
Katniss si nasconde silenziosamente dietro e fa un cenno a Gale, sedutosi dietro il tronco affianco.
Posso vedere nel chiarore della luna i capelli scuri di Katniss e le sue mani così piccole e agili stringersi attorno all’arco, il suo viso eccitato e spensierato. Lei vive nei boschi, è questo il suo posto.
Sei una figlia della luna, come ha detto Haymitch? Se lo sei tu, lo sarò anche io.
Stringo forte il coltello quando li vedo rizzare le orecchie ed alzarsi di scatto, silenziosi come puma.
Nel fruscio del vento, riesco persino io ad udire versi animaleschi di decine e decine di animali alti come cani selvatici, ma molto più robusti.
Mi slego dalla coperta e inizio a calarmi dall’albero facendo più attenzione possibile a non farmi sentire; ma entrambi sono troppo concentrati ad incoccare le frecce ed attendere che uno di loro si stacchi dal gruppo.
Ora sono in piedi, a cinque metri dai due cacciatori più letali che io conosca con un coltello da cucina in mano e una protesi alla gamba. Un solo passo falso e mi scambieranno per un animale da rosolare al fuoco.
Mi sistemo dietro il tronco e aspetto, mentre il freddo inizia a farmi battere i denti.
Come previsto, un giovane di cinghiale sufficientemente grosso per sfamare una decina di persone, si stacca dal branco alla ricerca di qualche arbusto. Lo guardo da una distanza di trenta metri, e nel buio argentato è difficile riuscire a vederlo bene, ma mi ricorda terribilmente i maiali nel mio porcile, dove a pochi metri di distanza salvai la vita a Katniss.
Amore mio, forse stai pensando anche tu a queste cose, mentre vedi quel cinghiale?
Sono terribilmente spaurito ed emozionato allo stesso momento: spaventato per quello che potrebbe succedere a Katniss, eccitato perché quello che sto facendo è completamente illegale, e io non sono certo il tipo da cui ci si aspetta questo tipo di cose.
Penso a questo, quando Katniss scocca la freccia che colpisce perfettamente il cranio del cinghiale, che nei grugniti sofferenti abbandona la sua vita, e richiama il suo branco.
Solo quattro bestie tornano indietro dal suo compagno, ma sono anche troppe per due persone (e mezzo, se consideriamo anche me).
Gale ammazza abilmente altri due cinghiali in pochi secondi che cadono al suolo emettendo versi che mi spezzano il cuore.
Sono tentato di farmi notare, di dire a Katniss che sono venuto fino a qui per proteggerla; ma la buonissima possibilità che lei mi rifiuti e si senta violata nell’unico posto in cui è libera di stare con il suo (e lo dico con un lieve tono di disprezzo, lo ammetto) Gale; mi lascia immobile dietro il mio tronco, con il coltello in mano.
Il terzo cinghialetto, più piccolo degli altri che sono accorsi al loro compagno, se la da a gambe quando scopre di essere attaccato da cacciatori, e scappa verso il branco che si sta allontanando velocemente.
Mi chiedo dove sia il quarto cinghiale che ho visto correre incontro a Katniss e Gale, proprio quando mi volto quasi per istinto perché sento una presenza avvicinarsi rapidamente.
La quarta bestia, facendo un giro lungo e quindi evitando lo sguardo dei due cacciatori, si butta a capofitto verso di loro che sono voltati di schiena e corrono verso le loro prede catturate.
Non possono sentire il suo guaito quando il mio coltello lo prende alla sprovvista sbucando dall’ombra creata dal tronco, e lo colpisce mortalmente alla gola.
Mi sento sporco, cattivo; mentre il sangue di quella povera bestia mi imbratta la giacca e la faccia.
Ma stava per colpire Katniss, e mi piace pensare che questa volta Gale non se ne sarebbe accorto in tempo; così da rendere il mio intervento fondamentale per la loro sopravvivenza.
Mentre il povero animale esala l’ultimo respiro, i due cacciatori sono corsi a dare il colpo di grazia alle loro tre prede, non scorgendo il mio gesto nascosto dal buio e dal suono del bosco.
Nonostante la luna sia piena e il bosco sembra argentato e azzurro quasi ne fosse tinto, a distanza di trenta metri è per loro impossibile vedermi.
L’adrenalina mi fa battere il cuore ad una velocità spaventosa,  e io mi sento così trionfante contro me stesso per aver aiutato Katniss, che tutto il nervosismo degli ultimi mesi se ne va poco a poco sempre di più.
Voglio dire a Katniss quello che ho fatto, forse così troverà in me un po’ l’istinto del cacciatore che la attrae a Gale.
Forse si renderà conto che io non sono solo un ragazzo buono col quale può fingere un idillio.
Forse, potrei piacerle un po’ di più?
Faccio un passo, poi due, emozionato ed orgoglioso di me stesso; sto per uscire dall’ombra del pino ed essere rischiarato dalla luna quando scorgo Gale scuoiare una coscia del cinghiale per crearne una sorta di corda da trasporto, e guardare Katniss soddisfatto; che nel mentre recupera le frecce conficcate nei crani delle bestie.
– Questo non lo sa fare, il tuo ragazzo del pane di città – dice Gale con tono impudente.
Mi blocco sui miei passi, come se mi avessero falciato entrambe le gambe. Mi rendo conto di avere gli occhi sgranati e la bocca semichiusa. Sento una leggera rabbia iniziare a ribollirmi dentro.
Katniss, ti prego, dì qualcosa.
Non permettergli di convincerti della mia inutilità, posso darti tanto anche io. Io ti darò tutto quello che mi chiederai.
Sto tremando per l’equilibrio precario del mio passo mosso a mezz’aria, quando lei sopprime un sorriso flebile, e resta in silenzio continuando con il suo lavoro.
Rimango al buio del pino con il cuore a pezzi, lo stomaco nauseato e un coltello imbrattato di sangue in mano. Mi volto sui miei passi e non penso a niente.
Sono talmente ferito che non ho idea di come poter reagire, quindi nascondo nelle incavità create dalle radici immense dell’albero il cinghiale morto, così che non si possano accorgere che qualcuno era dietro di loro a coprirgli le spalle.
Sto per andarmene, quando ragiono che loro sono molto più veloci di me che sono storpio, e nonostante il pesante bottino correrei comunque il rischio che mi raggiungano prima di aver superato la recinzione.
Recupero la coperta sporca di sangue e mi arrampico sul primo ramo robusto, inspirando pesantemente per il dolore che la protesi mi attanaglia la gamba. Mi abituerò mai a questo marchingegno?
Mi lego il busto al ramo e rimango ad aspettare, con la testa appoggiata alla corteggia e gli occhi fissi sulla luna piena che ha rischiarato questa notte gelida.
Li sento caricare nelle sacche di iuta le carcasse dei cinghiali e trascinarli via silenziosamente come sono arrivati, mentre incoccano una freccia di sicurezza per ulteriori ed eventuali pericoli.
Quando è passato un ragionevole tempo che li abbia portati sicuramente nelle loro case, scendo dal mio albero tremante e fuggo più veloce che posso verso casa, con il freddo che mi raggela le interiora e il cuore privo di ogni emotività.
Entro nel villaggio dei vincitori sporco di sangue e lurido di terra umida.
– Buona notte, Haymitch – dico a bassa voce senza soffermarmi davanti alla vetrata del mio mentore che, oltre alla finestra, con una bottiglia vuota in mano, fa un cenno con la testa.
Accendo la luce di casa mia e getto nel lavabo il coltello sporco di sangue, e con una pezzuola bagnata mi pulisco il viso.
Alla visione dello straccio tutto sporco di rosso, mio padre spunta dal salotto preoccupato, prendendomi le spalle.
Mi ha aspettato tutta la notte, non ha nemmeno iniziato il suo lavoro al forno fino a che non sono tornato.
Trattiene il respiro mentre mi scruta ogni angolo della faccia, e io lo lascio fare.
Sono troppo stanco per impedirgli di tastarmi ovunque. Mi mette le mani calde sulle guance e mi sorride.
Io lo guardo e mi abbandono tra le sue braccia forti e odoranti di lievito e farina, come lo sono sempre state.
Papà, cosa posso fare per essere un figlio della luna come Katniss?
 
 
Premo affinchè mi lasciate una vostra opinione, per questa shot ci tengo particolarmente.  
 
 
  
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